@Trixam: Evidentemente la storia di Reagan la ricordi un po’ male, o vuoi ricordarla male.
Reagan governò dal 1981 al 1989 per due mandati presidenziali. Analizziamo i dati relativi alla distribuzione della ricchezza presi dal
Bureau of the Census dal 1973 al 1989. Secondo la metodologia di questo istituto di statistica la popolazione si divide in quintili, che sono gruppi di reddito. Per brevità prendo solo il quintile superiore e il quintile inferiore, che sono, rispettivamente, i gruppi più ricchi e più poveri della popolazione americana. Bene, per il periodo considerato, il quintile inferiore ha avuto un incremento di reddito pari a -3,6% (quindi una crescita negativa) mentre per il quintile superiore la crescita del reddito è stata pari al 26%. Questo divario, poi, si è accentuato proprio nel periodo che va dall’83 all’89, quando il Nostro ridusse le imposte ai più ricchi (in ogni caso impossibile pensare che i ricchi siano diventati ancor più ricchi del 26% solo nell’arco di tempo relativo alla presidenza Carter).
Questo per quanto concerne la distribuzione della ricchezza. Ora, concentriamoci sul tasso di inflazione e sul P.I.L. mettendo a paragone la presidenza Reagan e quella Clinton, usando i dati del
U.S. Bureau of Economic Analysis.
Innanzitutto, v’è da premettere che il piano Reagan di taglio delle imposte del 25% in quattro anni portò negli anni ’82-’83 ad un raddoppio del deficit pubblico. Per quanto mi riguarda, la cosa non è da considerarsi necessariamente un male, però quelli fissati col pareggio di bilancio siete voi; insomma mettetevi d’accordo. Comunque, durante il mandato Reagan la crescita c’è stata ed è innegabile ma andrebbero analizzati i dati con attenzione. Si sostiene, infatti, che la crescita del P.I.L. sia dovuta al citato taglio del 25% delle imposte ai più ricchi. In realtà le cose non stanno proprio così. Quando Reagan si è insediato alla Casa Bianca nel 1981, gli USA venivano da un forte periodo di recessione economica unita ad alta inflazione (che analizzeremo in seguito) che si è trascinata anche nei primi tre anni di presidenza Reagan. Infatti, dal 1981 al 1983 il P.I.L. è cresciuto in media dello 0.1%. Dall’83 in poi è cominciata una crescita, si dice, dovuta alle mirifiche politiche da
supply-siders. V’è da dire, però, che se aprite un qualsiasi manuale di macroeconomia troverete teorie sul ciclo economico che descrivono compiutamente una situazione del genere. È assolutamente normale e prevedibile che dopo un periodo di stagflazione l’economia ricominci a crescere per lo stesso motivo per cui ad un periodo di bassi tassi d’interesse è più probabile che segua un aumento degli stessi piuttosto che un’ulteriore riduzione. La normale ripresa
post stagflazione si spiega con la resilienza del mercato del lavoro, un dato che in USA è sempre stato molto positivo. L’effetto prodigioso della riduzione delle imposte, quindi, è tutto da dimostrare.
Invece, durante la presidenza Clinton (1993-2001), sarebbe stata molto più probabile una battuta d’arresto dell’economia, proprio perché il periodo di crescita durò così a lungo. Contrariamente a quanto vaticinato dagli offertisti, accadde proprio il contrario. Il P.I.L., infatti, continuò a crescere e la disoccupazione passò dal 6,6% ereditato da Bush Senior nel ‘93 al 4,3% del 2001 (con Reagan anche si ridusse ma al 7% nel 1987). Tutto ciò con politiche totalmente opposte, ossia grazie – udite udite – ad un aumento delle imposte ai più ricchi ed una redistribuzione, anche grazie a politiche sociali, ai più poveri.
Ho lasciato per ultimo un aspetto molto importante ma che si lega bene col discorso sull’inflazione.
Durante la presidenza Reagan c’è stata la guerra tra Iran e Iraq che ha ingenerato una corsa al ribasso dei prezzi del petrolio. Prendete sempre il solito manualetto di macroeconomia e andate a vedere come sono intrecciate le vicende del P.I.L. americano, schiavo del petrolio, e il suo prezzo. Dal 1981 al 1986 (presidente: Reagan) c’è stato un crollo del prezzo del petrolio. Quando si parla della crescita nei mitici anni ’80 di Ronnie si dimentica sempre questo dato, vero? Un’analisi economica seria non può prescindere dall’utilizzo di tutti i dati rilevanti e non può tenere conto solo di quelli che fanno comodo (ad es. la riduzione delle imposte).
Passiamo all’inflazione. È vero, durante il mandato di Reagan l’inflazione si ridusse, ma il merito più della politica (poi guarda caso abbandonata) monetarista della FED è stato appunto della discesa dei prezzi del greggio. Invece, durante la presidenza Clinton, come era prevedibile, il prezzo del greggio (periodo 1997-2001) aumentò, ma cosa fece l’inflazione? Passò dal 2.34% del 1997 al 2.19% del 1999 e il P.I.L., come già detto, continuò a crescere; tutto ciò, ribadiamo, con politiche redistributive.
Sono stanco della favoletta reaganiana dimostrativa che la riduzione delle tasse ai ricchi è la panacea di tutti i mali perché i dati economici devono essere interpretati correttamente.
Ultima notazione: quando al congresso la maggioranza è repubblicana e devi trovare un accordo sul debito a pena di rimetterci la faccia, è normale che i tagli voluti da
George Dabliù li confermi.
@Pisicchio: Permettimi, ma se la mia considerazione sul tessuto produttivo italiano è una boiata pazzesca, non vedo come l’esempio dell’amico tuo che vende i guanti possa confutare la mia affermazione. Anche qui provo a snocciolare qualche dato (fonte:Sole24Ore). In Italia, come hai detto tu, non si produrranno mai telefonini ed il motivo non è solo dell’università ma è soprattutto dell’impresa che non investe perché “
piccolo è bello”. Il numero di addetti in media nelle imprese è di 9 lavoratori in Italia e 36 in Germania. Già questo dato rende l’idea del nanismo della nostra industria. Al nanismo mettiamoci pure l’onanismo, dato che l’incremento di produttività media del lavoro in Italia per il 2010 è stato del 4,3% a fronte del 11,3% tedesco e del 6,1% per la zona euro. Questo gap di produttività è dovuto principalmente al fatto che le imprese italiane non investono in ricerca perché troppo piccole. Non c’è né innovazione di processo (vedi dati sulla PME) né innovazione di prodotto, ma siamo comunque allegri e felici perché in Italia si producono le Tod’s (
wow cool!!) o i guanti di 300€. Ma se in Cina sono capaci di imitare uno
smartphone di ultima generazione, secondo te quanto ci mettono per imitare un Jeans Gucci o un guanto originale di portici? Forse faremmo bene a ragionarci un po’ sulla “boiata pazzesca” dato che già duecento anni fa le fabbriche inglesi spazzarono via le filande del nord Italia a suon di concorrenza sui prezzi. Preferisco che la bella Kate indossi borse
made in China ma che la Fiat ritorni ad avere idee pazzesche come montare il
diesel sulla Fiat Uno (prima auto al mondo di categoria piccola ad avere un motore a gasolio).
Anche qui una breve digressione: in UK la tassazione sui redditi da lavoro è del 40% per redditi tra i 37,500 GBP e i 150,000 GBP mentre è del 50% per redditi da 150,000 GBP in poi. Ovviamente vanno considerate eventuali deduzioni e/o detrazioni ma quelle esistono anche da noi. Tutta questa differenza non la vedo comunque.
Non ho analizzato la tassazione sulle imprese che sicuramente sarà inferiore alla nostra. Credo, però, che gli studi legali, almeno le
Law firms, possano essere soggette all’imposizione prevista per le società.
@Giusperito: Purtroppo non ho il tempo che vorrei per partecipare più attivamente alle discussioni su giuristi. È vero, ci sono state molte discussioni interessanti; particolarmente sentita da me è la questione sulla liberalizzazione delle droghe pesanti e leggere. Scrissi un post in Discussioni Generali tempo fa con delle proposte in merito. Ribadisco che se volessimo tassare i proventi della vendita delle droghe risolveremmo molti problemi di finanza pubblica.
Comunque, passando alla parte seria del tuo intervento, per la prima volta condivido interamente una cosa scritta da te.
There is a core of usable macroeconomics that we should all believe in materia di riduzione della spesa pubblica al di là di ogni populismo, ma dovrebbe essere l’opinione pubblica a spingere in tal senso. Purtroppo non siamo in Francia.