Re: Re: Re:
connormaclaud, 25/09/2014 08:49:
Il conseguimento di una seconda laurea, immagino con esami riconosciuti così come a Scienze Politiche, rappresenta un ottimo traguardo, ma da quel che leggo non dettato dalla necessità impellente di un lavoro.
Se vuoi, puoi renderci note le motivazioni che ti hanno portato alla nostra facoltà e nel caso trattasi per amore della materia confermi quanto da me precedentemente scritto.
Dei miei conoscenti,chi non ha superato il test a medicina ha virato verso farmacia che, se la memoria non m'inganna, è un'altra facoltà a numero chiuso e molti altri invece sono passati a giurisprudenza. Ingegneria è un mondo a parte, molti non hanno le competenze per potervi accedere.
La modifica delle selezioni vigenti altro non è che un modo come un altro per far cassa, per poi silurare in corso d'opera.
Se il timore è quello di non aver più medici, dubito vedendo le difficoltà occupazionali di molti giovani laureati, basta aprire le maglie della graduatoria, aumentando del X% l'accesso al corso.
Da chi è dentro mi è stato però riferito che la vera riforma è la graduatoria nazionale per le specializzazioni, dunque a laurea conseguita.
Barricata o meno, il pantagruelico numero di dottori in giurisprudenza non può essere in alcun modo smaltito, tutto qui.
Qualcuno vede giustizia sociale , democrazia e meritocrazia all'accesso universitario,per quanto mi riguarda è da ricercare nel percorso postuniversitario e lavorativo.
La giustizia sociale è anche nell'accesso Universitario (inteso come parità di possibilità), ma - e devo concordare in toto con te - è soprattutto da ricercare nel percorso post universitario.
Allungare gli anni di pratica sarebbe l'ennesimo paletto posto a valle, e come tale espressione di una selezione disumana ed immorale...e lo dico anche se la pratica l'ho finita.
Su questi temi, l'argomentazione principe che vedo usare qui contro chi la pensa in modo diverso, è quella che son tutti opportunisti e ognuno vuole le barriere a suo uso e consumo, e dietro le sue proprie spalle, mai davanti.
Demonizzazioni a parte, che lascio agli interlocutori, io dico: tutti vorremmo un mondo senza alcuna barriera e dove purtuttavia tutto sia funzionale e razionale, ma preso atto che esistono delle distorsioni e delle perversioni evidenti dell'attuale sistema lavorativo, io penso anche che le barriere non siano tutte eguali, e che quelle poste a monte di un percorso siano più umanizzanti e socialmente rispettose della dignità delle persone, delle tante che invece esistono e vengono nascoste tra le pieghe dei percorsi universitari e post-universitari.
Rendere indecoroso il percorso di un praticante avvocato, e cito solo questo esempio perché lo conosco più da vicino, ma se ne potrebbero fare altri, non sarà mai moralmente paragonabile a mettere una barriera d'ingresso a una facoltà.
Sento spesso dire che i praticanti a Napoli sono privi di capacità, di competenze, di iniziative:
specializzatevi, siate pronti ad andare all'estero, imparate 2-3 lingue ed internazionalizzatevi, andate a proporvi come punti di riferimento legali di grandi imprese, dopo un opportuno percorso formativo...
Tutto bello, tutto giusto...ma c'è da chiedersi perché chi è liberista, nel fare di queste esortazioni, non percepisca la profonda ingiustizia e aberrazione che è celata dietro questo invito.
L'aberrazione data dall'accettare che il vero mondo del lavoro, le vere opportunità, siano a Milano, o Londra o New York, e non debbano invece essere le stesse a Napoli o a Palermo...dall'accettare che la selezione sia tra chi ha la volontà di mollare tutto e partire e chi invece non desidera per la sua vita o non può questo, perché è un dato di fatto liberista e tollerabile che vi siano luoghi dove esiste un mercato del lavoro dignitoso, e luoghi dove questo non sia.
Non sarebbe più "liberista", non rientrerebbe nel concetto di liberismo, lasciar scegliere alle persone se restare o andare via, senza che questo rappresenti di per sé un profondo gap lavorativo-professionale?
Utopia per utopia, perché ci si deve scandalizzare di chi propone un limite alle iscrizioni a Giurisprudenza, e non ci si deve scandalizzare di chi invece, come unica soluzione meritevole di rispetto professionale, esorta ad andar via da qui, mollare tutto e specializzarsi a Parigi?
Perché non devo aspirare ad una vita dignitosa nella mia città, e che mi formi professionalmente come può farlo Parigi o Londra?
E preso atto che le soluzioni di questi problemi passano per radicali e lunghe riforme strutturali del nostro Paese, e preso atto - dunque - che occorre pensare anche e prima a delle
soluzioni contingenti al gap di Napoli....chi lo dice che proporre una barriera di ingresso a Giurisprudenza, sia più moralmente deprecabile che abbattere ogni barriera apparente (e lasciare intatte le selezioni naturali post-universitarie) invitando piuttosto chi affoga qui ad andarsene?