Grazie per la risposta.
Personalmente sono convinto che non esista una legge universale che possa spiegare il tutto. Ritengo che le leggi, le strutture ed in generale i modelli di spiegazione siano delle semplificazioni che usiamo per comprendere il reale e per poter rapportarci ad esso. Se non producessimo un modello generale, una struttura non potremmo confrontarci con la realtà perché saremmo vittima della nostra incapacità di dominarla. Tuttavia il modello riproduce con i nostri limiti di comprensione e di conoscenza la realtà, quindi deve per forza essere limitato ed insufficiente. Ogni volta che viene elaborata una teoria compiamo un atto di arbitrio. E' come se volessimo dire che l'acqua è rettangolare solo perché sta in una piscina.
Mi innamorai qualche anno fa della teoria del diavoletto di Maxwell e da quella sono arrivato a queste conclusioni. Ti allego una mail che qualche tempo fa scambiai con un amico per parlare di un libro sul Karma esistenziale (faccio un estratto per non annoiarti :D) :
Un punto che mi convince molto è il rapporto tra la scelta (molto vicino alle
mie convinzioni) e il cristianesimo. Il tuo maestro inquadra perfettamente il
messaggio del cristianesimo e la sua portata rivoluzionaria che diventa ben
compatibile con il pensiero del libro.
Un altro punto molto interessante è quello sul caos, argomento molto
interessante. Il tuo maestro sostiene che esista una sorta di ordine
all'interno del caos, cioè il Karma. Questa è una bella questione su cui è
difficile trovare risposte sensate. Personalmente ritengo che l'ordine sia una
modalità di semplificazione del reale che l'uomo è costretto ad usare per
comprendere la realtà. L'entropia è la base della realtà sia naturale che
umana. Nessuna scelta può considerare tutti i fattori, ma è pur vero che ci
sono determinate scelte che rendono possibile la predizione dei risultati (tipo
pallina sul piano inclinato). Ora annullato il rapporto causa ed effetto,
abbiamo bisogno di capire se la predizione sia possibile su basi oggettive o se
sia uno strumento attraverso il quale restringiamo il campo delle possibilità.
MI spiego meglio. Quando riteniamo che posto un comportamento X discendano come
variabili dipendenti ed alternative Y, Z, T, stiamo selezionando su basi
oggettive o sulla base delle nostre capacità di comprensione della realtà?
Per me la Verità, con la v maiuscola, è un obiettivo a cui tendere, ma non è
in sé raggiungibile, di conseguenza immagino che Y, Z, T siano semplicemente
determinate dalla nostra capacità di comprensione, dalla nostra
volontà\necessità di semplificare. Per confrontarci con il mondo sin da bambini
impariamo a tenere comportamenti che se risultano validi diventano ripetuti nel
tempo (per esempio imparare a camminare è frutto di esperimenti e di
fallimenti, ma trovato il modo non si cambia più). Ora la ripetizione avviene
anche a livello sociale (Schutz la chiama senso comune), ma sappiamo anche che
la ripetizione continua di certi comportamenti rende quei comportamenti validi
oggettivamente. Durkheim. infatti, sostiene che i fatti sociali siano oggettivi
(se parlo una lingua non condivisa, sarò allontanato... tuttavia la lingua è
frutto di una convenzione, di una scelta soggettiva che poi viene assunta da
tutta la società). Ora noi creiamo e parallelamente ci immergiamo\accettiamo
queste costruzioni che per noi non sono meno vere della realtà, eventualmente
la potessimo scoprire, oggettiva. Facendo un altro esempio, per lo
schizofrenico le voci esistono, le sue scelte saranno determinate da quella
realtà. Tu potrai dirmi che, però, esiste una realtà "oggettiva" che fa a dire
a noi non schizofrenici che quelle voci non ci sono... eppure i santi non
vedevano la Madonna? non parlavano con Dio? Ma ancora, il fatto che la
maggioranza delle persone ritenga giusto condannare al rogo una strega non
costruisce una realtà condivisa, ma fallace? I tedeschi ritenevano gli ebrei
autori del complotto sionista, ma era una fantasia, anzi una paranoia, ma nella
realtà abbiamo avuto 6 milioni di ebrei morti. Questi esempi mi riportano alla
teoria di Merton: noi costruiamo la nostra realtà e la nostra costruzione
produce conseguenze sia nelle nostre scelte che in quelle degli altri (e qui
ritorna il tema del Karma). Merton parla a tal proposito di profezia che si
autoavvera (per esempio: penso\profetizzo che lo Stato vicino voglia farmi una
guerra. Non è vero, è solo una mia supposizione. Sulla base di questa
convinzione opero delle scelte quali aumentare il mio esercito, dare
dimostrazioni di forza, interrompere i rapporti diplomatici e così via. A quel
punto lo Stato confinante si attrezza per farmi guerra, benché non volesse e la
guerra inizia. In questo modo la profezia si è realizzata, ma non perché fosse
reale, ma perché ha creato l'orientamento del mio comportamento e
conseguenzialmente quello dello Stato vicino.)
In fondo noi creiamo la realtà o le imponiamo il nostro metro di valutazione
(l'io penso di Kant, legislatore della natura) e ciò che rileva è appunto
questa costruzione e non la realtà oggettiva in sé (esiste? e se esiste,
possiamo scoprirla? e se la scopriamo, possiamo essere certi che non stiamo
scambiando una vedova per una strega?). Ora in questo modo anche la metafisica
risulta particolarmente indebolita (ma insomma io sono di parte su questo
punto). Questo discorso mi fa venire, quindi, la seguente domanda: il Karma
esistenziale è per il tuo maestro riguarda l'ontologia, ma se attenesse solo al
piano gnoseologico? Potrebbe riguardare solo il nostro modo di conoscere e di
comprendere la realtà a prescindere dalla sua necessaria esistenza? E se fosse
così, sarebbe una diminuzione della sua importanza alla luce del fatto che
siamo noi a costruire la realtà?
Ti pongo questa domanda perché sul piano concreto mi sembra che possiamo anche
avere opinioni diverse sul tema ontologico del Karma esistenziale, ma possiamo
condividere le implicazioni pratiche\morali che ne discendono. Ora non voglio
rendere ancora più lunga e noiosa questa mail, ma mi soffermo su un'unica
questione "morale". Il Karma esistenziale parla di interrelazione dei soggetti.
Ora sebbene io possa pensare che questa interrelazione non abbia la valenza
ontologica descritta dal tuo maestro, posso condividere tranquillamente l'idea
che questa interrelazione esista sul piano morale e, quindi, ci sia una regola
di comportamento da rispettare. In particolare condivido l'idea di Kant della
morale come dovere per il dovere, cioè della volontà che coincide con il
dovere. In altri termini e molto prima Pomponazzi, negando l'esistenza
dell'anima e della vita oltre la morte, sosteneva che anche senza aldilà l'uomo
avrebbe continuato ad agire virtuosamente perché la virtù premia se stessa,
cioè non ha bisogno del premio dell'aldilà.
In pratica il Karma esistenziale nei suoi riflessi pratici è ciò che io
definisco regola di funzionamento del sistema (un esempio di regola di
funzionamento è nelle parole di Popper sulla tolleranza: << La tolleranza
illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata
tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a
difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora
i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. >> Con queste parole
Popper implicitamente pone la tolleranza come regola di funzionamento che va
preservata dal relativismo dei valori). Senza l'interrelazione l'intero sistema
umano salterebbe e non avrebbe senso nulla e quindi è necessario proteggerla.
Esiste un gruppo di regole di funzionamento che in molti punti può essere
compreso nel concetto di Karma esistenziale.