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Pareri pro veritate in difesa del senatore Berlusconi

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2013 11:40
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29/08/2013 15:39
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Per carità, mai comandi, era solo una preghiera al vecchio Connor, lo so che è curioso e tecnicamente bravo (magari un giorno, da vicino, mi insegnerà come si fa)
Sempre per non farci mancare nulla, di seguito la mia lettera ad un esperto dei sei, Giovanni Guzzetta, che anche Giuristi Federiciani conosce, perché Giusperito lo ha invitato a discutere nel suo seminario Costituzione quattro stagioni

Carissimo Giovanni, spero innanzitutto che tu stia bene. Ti ho appena letto ed apprezzato, ma continuo a non essere convinto.
Una premessa: non credo di essere un giurista “militante” e penso che nel nostro ultimo incontro napoletano (per il quale mi scuso ancora del fatto che un ingorgo di impegni quel pomeriggio non mi abbia permesso di ascoltarti) tu abbia potuto renderti conto di persona di quanto le mie posizioni sulla forma di governo e sul processo riformatore in corso siano ad esempio oggi (per onestà dico oggi: dopo il governo Monti, la frammentazione e liquefazione del sistema partitico, la rielezione di Napolitano, il governo Letta e le “larghe intese”, dinamica che cambia in radice la questione della forma di governo; negarlo mi sembrerebbe fanciullesco o frutto di ostinazione assurda) più vicine alle tue, o comunque da esse meno lontane, rispetto a quelle, ad esempio, di Massimo Villone.
Non posso discutere funditus “a prima lettura” un tuo saggio (di questo si tratta, in realtà) pensoso, pensato, “lavorato”: ti mancherei di rispetto e comprendo la tua posizione teorica, considerandomi un garantista.
A me sembra però, ti confesso, ancora condivisibile la posizione della Corte Costituzionale che tu stesso citi con grande onestà, tuttavia per criticarla ( e cioè: “Le fattispecie di incandidabilità non rappresentano un aspetto del trattamento sanzionatorio penale derivante dalla commissione del reato, e nemmeno una autonoma sanzione collegata al reato medesimo, ma piuttosto l’espressione del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate - cfr. sentenze nn. 118 e 295 del 1994 - stabilito, nell'esercizio della sua discrezionalità, dal legislatore, al quale l’art. 51, primo comma, della Costituzione, demanda appunto il potere di fissare ‘i requisiti’ in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”), che è nella sostanza quella della “sentenza Miniscalco” del Consiglio di Stato, ricorrente difeso dal comune (in realtà più tuo) amico e coautore del manuale Francesco Saverio Marini (ho letto ricorso e sentenza).
Mi spiego: se si fosse voluto dal legislatore stabilire l’irretroattività della disciplina vigente dell’incandidabilità, escludendola in relazione a fatti commessi prima di una condanna, intanto lo si sarebbe dovuto dire e non lo si è fatto e per me “ubi lex voluit, dixit; ubi tacuit, noluit”.
In secondo luogo: sarebbe stato l’assunto sostenibile politicamente e lo sarebbe logicamente? Consideriamo la ratio del riordinamento normativo: “ripulire” le Camere da condannati a pene oltre una certa pena edittale. Introdurre una irretroattività espressa in relazione a condanne per fatti pregressi avrebbe provocato una rivolta popolare e poi come può essere comprensibile - proprio sul piano della ragionevolezza - sostenere che “Tizio è riconosciuto penalmente reprensibile, con sentenza passata in giudicato, ma va salvato comunque, in relazione alla data dei fatti a suo carico accertati”?
A me questa conseguenza sembra paradossale e assai grave: o si volta pagina, o non lo si fa e non lo dico certo per animus giustizialista. Una “candidabilità” macchiata in radice (il candidatus indossava una toga bianca proprio per dimostrare “purezza”, sul piano simbolico), ma nondimeno salvata pro tempore, cioè una virtù pretesa, ma rinviata all’avvenire, una incandidabilità a puntate, come un sequel o una telenovela, è una contraddizione in termini, a mio modo di vedere.
Resto perplesso anche sulla possibile qualificazione della Giunta delle elezioni come giudice a quo (ma direi più dell’Assemblea, che ha potere decisorio) e sull’ammissibilità della questione, sotto il profilo del combinato disposto degli artt. 51 e 66 della Carta Costituzionale. Ho letto Manzella sul Corriere di stamattina e nemmeno lui mi ha convinto (non ho invece ancora letto Roberto Nania).
Da avvocato, consiglierei semmai a Berlusconi di insistere nelle tesi giuridiche che sta tramite voi sostenendo, ma al contempo - e dichiarando di farlo per puro tuziorismo: se decadesse e la legislatura continuasse fino alla sua fine naturale, la sanzione della pena accessoria che la Corte di Appello di Milano rideterminerà avrebbe qui sì effetti ultrattivi sui suoi diritti politici e questo sarebbe un effetto sicuramente illegittimo - di accettare la condanna e accedere ai servizi sociali; nel tempo che occorresse alla Corte per decidere avrebbe scontato detta pena e sarebbe nuovamente nella pienezza dei suoi diritti, “puro di ritorno” come un giglio, mondato dai suoi peccati come ogni buon cristiano penitente e assolto da un prete [SM=g2725401].
Altro non mi sembra che ci sia da fare (o forse chiedere non la grazia, ma la commutazione della pena).
Capisco bene il riserbo, in forza del quale non mi risponderai subito, ma quando tutto sarà definito avrei piacere di parlarne.
Nel frattempo, buona coda di vacanze (la meriti, avendo dovuto interromperle per lavorare) e ancora complimenti.
A presto
Salv.



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