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Il Ministro Profumo e l'ora di religione /cattolica) a scuola

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2012 20:48
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25/09/2012 14:48
 
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Contributo ad una discussione

Un contributo del professor Prisco, che mi prega di postare, pubblicato anch'esso oggi sul blog dei lettori del Corriere della Sera (www.corriere.it). Il riferimento è alla proposta del Ministro dell'Istruzione e dell'università, Profumo, di sostituire l'ora di religione cattolica nelle scuole (peraltro a frequenza facoltativa) con una di "storia delle rligioni", per il carattere ormai multietnico di molte classi

Ottima idea, ma dubito sulla tempestività della proposta

Sono un professore universitario, che anche a questo tema ha dedicato negli anni molte riflessioni. Studiare storia delle religioni non equivale a propagandare agnosticismo e/o ateismo - vorrei dirlo a qualche lettore timoroso di questo - ma a renderci più sensibili alle differenze culturali, nella consapevolezza che la religiosità è importante per rafforzare il legame sociale e la solidarietà fra i cittadini, non bastando a questo il diritto pubblico, che pure io insegno. Detto questo, sono peraltro scettico che un governo tecnico con una mission prevalentemente economicistica e quasi a fine mandato possa darsi carico anche di questo problema, il che implicherebbe oltretutto il rivedere accordi internazionali col Vaticano e - in una campagna elettorale ormai avviata - innescherebbe impropriamente una “guerra di religione”, di cui non si avverte ora alcun bisogno
25/09/2012 19:05
 
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e' una vecchia storia, sarebbe semplicemente un atto di civiltà prima ancora che di laicita' seria, non a chiacchiere, come siamo abituati.La religione cattolica dovrebbe essere insegnata nelle Chiese soltanto,e a coloro che sono cattolici od interessati a tale credo.
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25/09/2012 19:37
 
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Forse sarò noioso, ma davvero è questo il problema della scuola italiana?
A me sembra che ci sia solo volontà di protagonismo o semplice cattiva fede. Per me Profumo vuole sembrare contrario al vaticano per poter coprire qualche altra magagna.. sarà dietrologia, ma un governo scelto anche dal Vaticano non ha interesse a tradire i suoi mandanti.

In ogni caso bisognerebbe permettere agli studenti di scegliere quali corsi seguire. Non è solo un problema di ora di religione, ma in generale di possibilità di autodeterminare il proprio percorso di studio
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25/09/2012 19:38
 
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tempo fa scrissi:

utelare il merito e valorizzare le differenze dovrebbero essere i parametri di qualsiasi riforma scolastica che renda il diritto allo studio un diritto al proprio futuro.

In Italia possiamo dire che manchi tutto tranne le riforme della scuola. Non c'è ministro che in qualche modo non abbia sbandierato il proprio progetto megagalattico di trasformazione del sistema scolastico. La parola riforma, violentata nel suo significato, è diventata un termine onnicomprensivo di qualsiasi bislacca idea. La riforma Gelmini a pieno titolo si inserisce nel filone. La riforma che vorremmo, invece, è molto semplice e va tratteggiata a prescindere dagli spot politici. I punti di riferimento imprescindibili sono il merito e l'efficienza (dato il momento potremmo accontentarci dell'efficace, ma puntiamo ad un Paese normale).
In primo luogo è necessario garantire agli studenti la piena libertà nell'individuazione sia del percorso di studi sia dei soggetti deputati ad impartire tali conoscenze. In pratica si lascia allo studente, aiutato da appositi programmi di orientamento, la determinazione quasi totale delle materie che affronterà nel suo monte orario scolastico. Una volta determinato un programma di formazione valido per le scuole primarie, durante le quali lo studente acquisisce le nozioni fondamentali di grammatica e matematica, si permette a ciascuno di individuare quale percorso seguire, decidendo in piena autonomia cosa ritiene più utile ed opportuno per la sua crescita personale. Parallelamente le scuole sarebbe costrette a presentare una pluralità di offerte didattiche e di corsi che le costringerebbe a selezionare i migliori docenti e a pretendere che l'insegnamento sia di alto livello. Questa prospettiva potrebbe essere avversata da chi ritiene che in questo modo l'interesse collettivo ad una popolazione istruita (interesse che si lega anche alle esternalità positive derivanti dal livello di istruzione) venga messo nella completa disponibilità di singoli incompetenti e\o incapaci di scegliere il meglio tanto che gli studenti potrebbero orientarsi verso corsi meno impegnativi e con professori meno esigenti, creando in questo modo il risultato opposto in ordine alle competenze dei professori e in ordine alla loro stessa preparazione. Si tratta di critiche superficiali che non considerano come già normalmente nella massa degli studenti molti decidano di ritagliarsi un percorso semplificato non ostacolato in modo realistico né dai professori né dai debiti formativi. Spesso questo disimpegno si lega semplicemente ad errori di valutazione nel momento dell'iscrizione (errori non riparabili in itinere) e alla presenza di materie non gradite ma che devono essere studiate obbligatoriamente perché si possa conseguire il titolo di studio. Infatti si aumenterebbe la possibilità che i risultati siano migliori, permettendo agli studenti di creare un percorso di studi perfettamente adatto alle proprie capacità e volontà. Inoltre il percorso scelto sarebbe altamente qualificante e specializzante, evitando inutili dispendi di tempo in materie pressoché inutili o poco formative. La vera libertà consiste nella scelta e solo dalla scelta possono derivare direttamente incentivi all'impegno, perché oggi tutti gli studenti sanno che l'unico elemento di differenziazione degli uni dagli altri potrebbe essere il voto con cui si consegue il titolo, un semplice trofeo per i migliori un alibi di disimpegno per gli altri. Inoltre l'attuale sistema garantisce geni della matematica costretti ad investire il loro tempo a cavillare su questioni di letteratura o di storia e geni della scrittura costretti ad incespicare sui numeri. L'obiettivo principale di un sistema scolastico, invece, dovrebbe essere quello di valorizzare le differenze, rendendole occasioni di crescita e di affermazione personale e professionale. Infatti la libertà di autodeterminazione culturale, oltre ad essere un chiaro diritto dell'individuo, in quanto il percorso di studi inciderà in modo determinante sul suo futuro familiare, sociale ed umano, non solo esalta le capacità dei migliori, ma permette ai meno brillanti sia di responsabilizzarsi, assumendo la responsabilità del proprio futuro, sia di eliminare quanto proprio non gli riesce senza che ciò precluda la possibilità di eccellere laddove il proprio talento si manifesta.
Si tratta di rinnegare una volta e per tutte l'idea che lo Stato conosca meglio dell'individuo cosa sia giusto ed utile per il singolo, cioè eliminare quell'idea per cui tutti devono essere uguali anche nei desideri, nelle capacità e nella volontà. Non si può pretendere che un programma scolastico ideato secondo canoni arbitrari sia compatibile con ogni studente inteso come un'unità indifferenziata e priva di individualità. In Italia si è consolidato un sistema per cui ciò che è bene per uno deve essere necessariamente bene per un altro e ciò che poteva essere valido dieci anni fa continua ad esserlo oggi. Non è un caso che lo Stato si ritrovi con le sue tipiche lentezze, vedi la lunga resistenza della riforma Gentile, a rincorrere senza successo la società moderna velocissima, complessa e mutevole, abbandonando di fatto lo studente al suo destino. È una prospettiva ingiusta soprattutto per tutti coloro che hanno minori capacità economiche, ma uguale se non maggiore voglia di salire la scala sociale, di cambiare il proprio destino senza doversi scontrare con costosissimi corsi di perfezionamento e con anni di studi specializzanti durante i quali la disoccupazione potrebbe costringerli ad abbandonare tutto, provocando una chiara perdita di benessere sia per il singolo a cui viene sottratto il futuro sia per la collettività a cui viene negata l'esternalità positiva di un soggetto potenziale più capace e competente di un altro.
Tuttavia l'altro passo fondamentale sarebbe quello di creare un sistema scolastico in cui ci siano libere aggregazioni di soggetti competenti che offrono le loro capacità per “metter su scuola”. Un sistema che non deve essere piegato necessariamente alle mire economiche del privato, ma che permetta ai membri della società civile di aggregarsi per offrire istruzione in concorrenza con altri soggetti potenzialmente più preparati. Gli studenti si troverebbero a scegliere coloro che offrono le maggiori competenze e le offerte più attinenti ai loro obiettivi. Gli insegnanti sarebbe costretti a dimostrare il loro valore sul campo non solo all'inizio della loro carriera, ma per tutta la vita. Inoltre si eviterebbero posizioni corporativiste e di chiusura del mondo dei titolari nei confronti dei precari. L'offerta didattica diventerebbe, quindi, il risultato della domanda che a sua volta sarebbe orientata non al soddisfacimento di un mero percorso legale, ma alla realizzazione di un percorso formativo in grado di specializzare e di fornire le competenze per entrare nel mondo del lavoro e dell'università. Certo sarebbe necessario abolire il valore legale del titolo di studio, ma solo così si eviterebbe l'assurdo di master post laurea, di scuole di specializzazione e di voti di laurea e di diploma non corrispondenti a parametri oggettivi. Inoltre finirebbe lo spreco di risorse in istituti incapaci di adempiere alle funzioni a cui sono chiamati, ma efficientissimi nel tutelare le proprie cattedre grazie alla garanzia di regalare l'ambito pezzo di carta a studenti incapaci di scrivere legittimo con una sola g.
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25/09/2012 19:52
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Perdonami, Letizia, se dissento. Distinguerei: la religione cattolica come "catechismo" sì, va insegnata solo nelle Chiese, dalle famiglie, negli istituti scolastici esplicitamente cattolici e scelti da chi vi studia in quanto tali (come anche il Corano per gli islamici - in Occidente, da loro non è così - solo nelle moschee, o i libri ebraici nelle sinagoghe). Detto questo, un insegnamento della dimensione religiosa come elemento culturale e non cultuale a mio avviso non può essere riservato solo ai cattolici, ma deve essere aperto a tutti, addirittura obbligatoriamente (parlo di storia delle religioni, beninteso): se no un agnostico, un ateo, un cinese, un musulmano, un buddista ecc... rischiano di non capire perché da noi ci sono tante chiese, perché per tanti Italiani (anche non credenti) la parola del Papa va (a seconda dei casi) ascoltata o proprio osservata, perché abbiamo Dante e Manzoni, o certa musica sacra, eccetera. Non sto parlando di indottrinamento, chiaro; sto parlando di studio di una tradizione. Nella misura in cui essa è anche prodotto del cattolicesimo, se la ignoro a scuola rischio di non capire bene l'Italia e non sono sicuro che questa incomprensione delle nostre radici sia utile a un cinese o a un arabo immigrati da noi, ecc... La penso dunque così: indottrinare lo si deve fare solo nelle sedi proprie, studiare criticamente la religione tradizionale di un Paese (o comunque problematuzzare dialogando, senza imprre atti di fede, l'importanza dell'elemento religioso nelle storie individuali e collettive) lo si deve - non solo lo si può - fare a scuola
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25/09/2012 20:03
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Una rapida risposta a Giusperito: qui non parlo di storia delle religioni, ma di tutto. Se a me (da ragazzo) avessero fatto "determinare liberamente il mio percorso di studi" non avrei studiato la matematica; se ad uno studente universitario medio di Giurisprudenza facessero determinare liberamente il suo percorso di studi, ti dico io che cosa succederebbe, perché è già successo, quando ero studente io: in quel periodo, dopo il '68, i piani di studio furono per un lungo periodo ASSOLUTAMENTE LIBERI. Conosco perciò gente che si è laureata IN LEGGE senza diritto commerciale, senza procedura civile... Altro è avere preferenze tra le materie, altro è studiarle in modo critico e non mnemonico e avere la possibilità di concordare con un professore un programma che, ferma restando la base essenziale di una materia, assecondasse all'interno di essa un percorso di apprendimento personale dello studente (qui figurati se non sono con te), ma secondo me ti illudi se pensi che i più non sceglierebbero, potendo, teoria e pratica dell'hamburger o delle tattiche di calcio (per le ragazze: teoria e pratica di decorazione delle unghie). Suvvia, sei intelligente, serio e, benché giovane, conosci come va il mondo...
25/09/2012 21:13
 
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Re:
(pollastro), 25/09/2012 19.52:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Perdonami, Letizia, se dissento. Distinguerei: la religione cattolica come "catechismo" sì, va insegnata solo nelle Chiese, dalle famiglie, negli istituti scolastici esplicitamente cattolici e scelti da chi vi studia in quanto tali (come anche il Corano per gli islamici - in Occidente, da loro non è così - solo nelle moschee, o i libri ebraici nelle sinagoghe). Detto questo, un insegnamento della dimensione religiosa come elemento culturale e non cultuale a mio avviso non può essere riservato solo ai cattolici, ma deve essere aperto a tutti, addirittura obbligatoriamente (parlo di storia delle religioni, beninteso): se no un agnostico, un ateo, un cinese, un musulmano, un buddista ecc... rischiano di non capire perché da noi ci sono tante chiese, perché per tanti Italiani (anche non credenti) la parola del Papa va (a seconda dei casi) ascoltata o proprio osservata, perché abbiamo Dante e Manzoni, o certa musica sacra, eccetera. Non sto parlando di indottrinamento, chiaro; sto parlando di studio di una tradizione. Nella misura in cui essa è anche prodotto del cattolicesimo, se la ignoro a scuola rischio di non capire bene l'Italia e non sono sicuro che questa incomprensione delle nostre radici sia utile a un cinese o a un arabo immigrati da noi, ecc... La penso dunque così: indottrinare lo si deve fare solo nelle sedi proprie, studiare criticamente la religione tradizionale di un Paese (o comunque problematuzzare dialogando, senza imprre atti di fede, l'importanza dell'elemento religioso nelle storie individuali e collettive) lo si deve - non solo lo si può - fare a scuola




prof ho scritto velocemente e non mi sn spiegata bene, volevo dire proprio questo: condivido l'insegnamento delle religioni dal punto di vista storico, dico solo che l' insegnamento della religione cattolica cosi come e' desiderato dalle istituzioni ecclesiastiche deve trovare luogo solo nelle Chiese. [SM=x43805]
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25/09/2012 21:13
 
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Re:
(pollastro), 25/09/2012 20.03:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Una rapida risposta a Giusperito: qui non parlo di storia delle religioni, ma di tutto. Se a me (da ragazzo) avessero fatto "determinare liberamente il mio percorso di studi" non avrei studiato la matematica; se ad uno studente universitario medio di Giurisprudenza facessero determinare liberamente il suo percorso di studi, ti dico io che cosa succederebbe, perché è già successo, quando ero studente io: in quel periodo, dopo il '68, i piani di studio furono per un lungo periodo ASSOLUTAMENTE LIBERI. Conosco perciò gente che si è laureata IN LEGGE senza diritto commerciale, senza procedura civile... Altro è avere preferenze tra le materie, altro è studiarle in modo critico e non mnemonico e avere la possibilità di concordare con un professore un programma che, ferma restando la base essenziale di una materia, assecondasse all'interno di essa un percorso di apprendimento personale dello studente (qui figurati se non sono con te), ma secondo me ti illudi se pensi che i più non sceglierebbero, potendo, teoria e pratica dell'hamburger o delle tattiche di calcio (per le ragazze: teoria e pratica di decorazione delle unghie). Suvvia, sei intelligente, serio e, benché giovane, conosci come va il mondo...



Come dire, lo Stato dove ci sono i ministri dell'istruzione che fanno comunicati sui tunnel di 750 km tra Ginevra e il Gran Sasso, sa quello che è meglio per noi.

Ma in finlandia negli ultimi venti anni non battono record a raffica dopo aver fatto una riforma scolastica che permette dalle superiori in poi di seguire percorsi altamente personalizzati?
Ma non parliamo tanto bene di quelle università americane dove due anni di corsi su 4 sono a libera scelta dello studente?

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25/09/2012 21:20
 
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Prof. il problema è che la mia idea si inserisce in un contesto meritocratico e selettivo. Se scelgo scienza delle merendine significa che c'è un'università poco seria che non è in competizione con le altre e che suppongo di lavorare lo stesso anche senza commerciale e procedura civile.
In un contesto meritocratico mi augurerei che ci fossero tanti stupidi che scelgono diritto delle merendine per permettermi di accaparrarmi tutti i loro clienti.
Insomma poter determinare liberamente il proprio percorso di studi è un atto di responsabilità. Se quando esco sono costretto realmente a competere mi metto sotto a studiare.. ecco il senso delle mie parole.. che poi ci siano persone che pensano di fare le furbe questo è sicuro, ma è una furbizia limitata nel tempo..
Prof. d'altra parte tra tattiche di calcio o pratica dell'hamburger ed esami di diritto privato presi con 28 dalle dispense mi dite che differenza passa? Per quanto lei provi a scoprire chi ha studiato dalle dispense, purtroppo ci sarà sempre un gruppo di furbi che riuscirà a farla franca e addirittura negli esami fondamentali riuscirà a strappare i voti grazie alla cattedra mite, alla dispensa, al 18 risicato.. insomma uno così che differenza fa con un teorico degli hamburger?
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25/09/2012 22:43
 
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Francamente dell'obbligatorieta' di materie come: diritto ecclesiastico, romano, storia della giustizia, storia del diritto, storia del diritto romano, filosofia del diritto (I, il due mi e' piaciuto) e tante altre non riesco ancor oggi a cogliere l'utilita'.
[SM=g2725401]

In compenso avrei preferito che discipline come economia, matematica finanziaria, contabilita', statistica, diritto commerciale internazionale, tributario e tante altre avessero lo stesso trattamento "nobiliare" di quelle sopracitate, magari un po' di storia/geopolitca e di relazioni internazionali le si poteva aggiungere al nostro percorso. Vorrei una facolta' vivente, si e' capito?


Negli Stati Uniti, legge e' una scuola professionale post-lauream alla quale gli studenti accedono dopo aver studiato cio' che credono sia piu' utile, questa e' la differenza tra le sponde dell'Atlantico.



E c'e' sempre la follia di farci studiare 1200 pagine di commerciale tutte d'un colpo (fire and forget tra l'altro) quando la materia per spessore e pesantezza andrebbe trattata ed approfondita nel corso di piu' esami e anche dal profilo economico. Questione che e' stata sollevata piu' volte nelle opportune sedi, il professore certamente ricorda. [SM=g2725401]
[Modificato da ObbligazioneNaturale 25/09/2012 22:51]
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25/09/2012 23:25
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

A Giusperito: non sei il primo che mi dice privatamente o mi scrive qui che alla fine gli esami si passano... Pensavo di essere già duro, vuol dire che mi "intosterò" anche di più...

Ad ObbligazioneNaturale: e no, Obbligaziò, non ti ci mettere pure tu! Il diritto è tecnica, ma anche cultura, quindi storia e filosofia del diritto servono, ad esempio. Faccio un caso, che ripeto spesso agli studenti: in Italia una coppia di fatto (etero od omosessuale) non ha tutela come tale, un testamento biologico non si sa che cosa sia (dico: per legge). Altrove normano (non sto adesso a discutere se condivisibilmente o no), l'Italia è invece il Paese del "si fa, ma non si dice". In assenza di leggi del genere, se sei un avvocato a cui si rivolgono per chiedere tutela, se sei un magistrato che deve decidere un caso, come fai? Coi princìpi costituzionali, d'accordo. E c'è qualcosa di più teorico-filosofico e storico che interpretare / ricostruire i princìpi generali di una Costituzione? Se non hai un'armatura teorica e una consapevolezza storica raffinata, col piffero che prendi una posizione in merito, come negli esempi fatti ti è richiesto di fare
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26/09/2012 00:57
 
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Professo', mi perdoni ma lei lavora con ipotesi che inevitabilmente la porteranno a trarre certe conclusioni (secondo me errate):

A) Non tutti coloro che si iscrivono a Giurisprudenza vogliono fare l'avvocato, il magistrato o il notaio. Giurisprudenza e' una laurea magistrale e non un corso di specializzazione, pensi, io voglio fare l'analista finanziario. Sarebbe meglio che l'Universita' fornisse competenze spendibili, insomma, saper leggere un bilancio e' professionalmente piu' utile della giurisprudenza del pretore peregrino (non me ne vogliano i docenti di storia e filosofia della nostra facolta', sono ben conscio di quanto in quel campo la nostra sia una vera eccellenza).


B) Il diritto e' cultura, concordo. Che certe materie non siano parte del percorso universitario pero' non implica che lo studente non possa affrontarle in privato. Le biblioteche ci sono anche online. Se poi uno e' caprone peggio per lui. Vorra' dire che il mercato del lavoro lo mettera' all'angolo (salvo che non l'abbia gia' fatto il professor Prisco all'esame. Guardi che io sarei felicissimo che nella nostra facolta' si inziassero a bocciare tutti gli analfabeti, almeno la borsa di studio la prenderei io e non la figlia del medico che trucca l'ISEE e non sarei costretto ad andare 2 anni fuoricorso per lavoro, anzi mi sarei fatto l'Erasmus visto che le borse sarebbero piu' corpose dei 200 euro che ai pezzenti come me non servono a nulla).

C) E questo mi preme, io non chiedo cultura, quella e' un'esternalita', io voglio un titolo spendibile che dopo una specializzazione all'estero mi faccia guadagnare bene. Sono i soldi il punto importante, la cultura passa in secondo piano. Sono consapevole di quanto intimamente volgare sia l'argomentazione, ma che ci possiamo fare, la cultura si acquista anche nel privato del proprio studio, le competenze (presumibilmente) no.

Voi siete la soglia di sbarramento, tagliate la testa ai caproni e vedrete che la cultura potra' essere impartita agli studenti appassionati anche in corsi freddi come statistica o commerciale.



Istituzioni di Romano facoltativo per fermare il declino [SM=g2725401] (esami storici che in alcune occasioni mi hanno persino decimato la media)
[Modificato da ObbligazioneNaturale 26/09/2012 01:07]
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26/09/2012 10:13
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Sei lucido, Obbligaziò. Ciò non toglie che noi due viviamo proprio su due pianeti diversi, me me rendo conto. Incomincio il corso il 1° ottobre prossimo e mi appresto a dire agli studenti che il processo educativo tra professore e studenti è come "l'addomesticamento della volpe", che l'animale chiede al Piccolo Principe di Saint Exupéry (non ti dico che cos'è: la cultura è un'esternalità, se ti gira ti ricerchi il libro da solo), per cui per piacere si adeguassero: un processo di "seduzione" (secum ducere, te lo traduci da solo, se vuoi) non tra persone, ma verso la materia e verso il desiderio di apprenderla, in cui un Maestro porta con sé per mano un allievo lungo le vie del sapere e quest'ultimo sviluppa la sua personalità in modo autonomo, non come un burattino manovrato coi fili. La cultura un'esternalità? Visione miope, l'università è invece solo quello, cioè trasmissione di cultura critica, non una scuola professionale o pre-professionale. Anche i soldi (se questo è l'obiettivo) si fanno attraverso il pensiero critico e senza essere esecutori obbedienti di procedure tecniche bene apprese e applicate. Il tuo modello - se devo essere sincero - mi fa schifo e mi fa vomitare (se mi permetti, eh! Sto dicendo solo francamente quanto penso)
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26/09/2012 10:17
 
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Francamente non capisco il senso, se non in prospettiva di becero opportunismo politico, della sparata - non posso definirla altrimenti- del tecnicamente tecnico ministro in questione.
I due punti cruciali sono l'integrazione e la laicità dello stato italiano,giusto?
Cos'è l'integrazione? come funziona l'integrazione in uno stato potenzialmente multietnico?
Il ministro reputa opportuno destabilizzare l'ora -facoltativa- di religione trovando legittimazione nell'integrazione eppure lo stesso Profumo dimentica che la scarsa integrazione in ambito scolastico è data da classi che nemmeno si avvicinano al concetto di misto.
Da un un punto di vista prettamente teologico si sta parlando di aria fritta.
A venir studiati sono i valori propri del cristianesimo,valori certamente non monopolio di un singolo credo religioso.
Valori che fondamentalmente coincidono con l'etica naturale (NB nulla a che vedere con la fede primordiale di pseudognistica memoria) e che rappresentano un unum per le religioni abramitiche.
Se si passa da un discorso aleatorio ad uno concreto:
integrazione con l'ebraismo? La stessa Torah è riconosciuta,nei valori, da cristianesimo e islam. Yeshua Nazir è ,al minimo,considerato un Rabbi.
Integrazione con l'islam? I muslim riconosco le Scritture ispirate precedenti il Corano e Cristo è considerato un profeta...
Chiese protestanti? I valori non non sono comuni a tutto il cristianesimo?
Filosofia buddista? Il Dalai Lama ha sempre affermato che si debba seguire la religione nella quale si è nati e cresciuti.
Shintoismo,induismo e taoismo? sciamanesimo e spiritismo voodo?
Si può accorpare a storia come se ci fossero gentili c'è l'epica e la filosofia.
Se poi si cerca scientology o la chiesa battista di westboro,mi autocensuro :)

In definitiva,se si fosse intellettualmente onesti, l'ora di religione non rappresenta questo grande scandalo,come si vuol far credere.
Se poi si vuol strumentalizzare è un altro discorso.
Tutto il resto è.....calabraghismo senza limitismo.
Sputtanare la propria cultura e la propria storia in ossequio ad un patetico - e inutile- buonismo o per il gusto dell'esotico, dove gli altri sono belli e buoni e noi brutti e cattivi, è quanto di più lontano e deleterio per una sana integrazione.

Laicità, argomento ampliamente trattato e analizzato da gente ben più preparata di me, non deve essere confusa con ateismo.
Per il resto rimando a Zagrebelsky (mi auguro di non avergli "struppiato" il cognome) e ad un simpatico volumetto "dibattiti sul laicismo" di eugenio scalfari.

Per i detrattori della Chiesa consiglio di puntare sull'ultima uscita della congregazione della fede tetesca ( ahah) e sul finanziamento pubblico -comparato- alle confessioni religiose. Ci sto perdendo un pò di tempo,ma l'argomento è interessante.


@obbligazionenaturale: " Non tutti coloro che si iscrivono a Giurisprudenza vogliono fare l'avvocato, il magistrato o il notaio" Amen
[Modificato da connormaclaud 26/09/2012 10:17]
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26/09/2012 10:28
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Un'altra cosa, Obbligaziò, per completezza: sai perché non insegno più nella Scuola delle professioni legali? A parte che certe ragazze venivano coi pantaloni "zucati" e in piercing e certi ragazzi (a 28 anni di media!) col "pinocchietto" e molti erano iscritti tanto per perdere tempo, ho lungamente (e invano) sollecitato che si facessero scrivere atti, che si facessero lezioni con commissari di polizia ed esperti della squadra scientifica a proposito di prime indagini sul luogo del delitto, che si insegnasse a leggere un bilancio, nonché si spingesse a leggere "Il Sole 24 Ore", ma anche libri di letteratura e di filosofia che parlano di casi giuridici (lo faccio coi miei studenti, si chiama "Law and Humanities"; le università americane migliori - come vedi dalla lingua - lo fanno da tempo ed è il Paese del capitalismo per definizione). Questo alla Scuola della Federico II non lo si vuole fare e allora semplicemente non ci resto, in una scuola così
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26/09/2012 10:47
 
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Prof. ma non è il vostro esame a cui come sapete preferii erroneamente, e per ragioni(forse poco onorevoli?) sentimentali, privato comparato.
Il punto è che ho visto gente promossa ai cd esamoni studiando dalle dispense oppure caro prof., ed i casi sono davvero tanti, gente lodata per una media da 109 che il mese dopo l'esame di costituzionale non riusciva a fare un salto mentale per spiegare come funzionava il sistema elettorale regionale, ben sapendo che, però, avrebbe votato BassolinI... prof. di gente che impara a memoria i manuali ce ne è tanta e passa anche con voti top..
Non mi considero il paradigma dello studente modello e vedo altri utenti molto più preparati di me, ma nel mondo universitario che vorrei lo studio dovrebbe essere una sfida con se stessi e con i professori. Lei sa qual era l'argomento della mia tesi e se da lì ho citato nfa ed hayek e se in seduta ho goduto da matti quando lei mi ha sfidato beh allora credo che l'imparare a memoria non mi è servito... solo che molti altri hanno fatto il loro bravo compitino e hanno preso il mio stesso voto, semplicemente continuando a non distinguere tra risoluzione ed adempimento e beatamente sostenendo che chiesta la risoluzione si può chiedere l'adempimento. Prof. questa è gente che la fedII ha laureato con il massimo dei voti.. ed il problema non è sbagliare o non ricordare, perché siamo umani, ma non stare zitti e non dubitare quando le cose potremmo non saperle.
Ecco perché l'addomesticamento è fondamentale e la cultura non è una suppellettile. Ripeto che il prof. Moccia un giorno al corso disse che lui non voleva essere un professore, perché ambiva ad essere un maestro. Tuttavia ripeto un passaggio di una vecchia discussione: la cultura e la tecnica non sono due mondi opposti. A me sembra un assurdo dover ritenere la nostra facoltà umanistica, quando in realtà è una facoltà tecnica. Tuttavia essere tecnici non è un peccato, perché la tecnica senza la cultura è inutile. Il ragionamento giuridico mutua i suoi canoni dalla logica, ma solo gli stolti possono continuare a dividere il mondo in umanisti e scientifici. Non lo dicessero al povero Russell che matematico credo proprio non volesse essere, benché principalmente di logica e di matematica parlasse
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26/09/2012 11:23
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

A Giusperito: Ti ho sfidato? Ma quando? Condivisi già all'epoca il tuo post il cui succo ora ripeti e condivido anche la posizione del collega Moccia, ma con la minuscola: mi sento un modesto maestro di scuola, uno che artigianalmente insegna a fare belle scarpe, di pelle e non di pezza; ma soprattutto insegna quanto è bello fare scarpe, quanto può essere gratificante avere la soddisfazone di un lavoro fatto beme. Mi fa piacere che non mi conosci per i motivi sentimentali che conosco (ma solo se la storia è bella e importante); salutami con simpatia quella traditrice della tua ragazza: non è tale perché metta le corna a te, ma perché le ha messe preventivamente a me con Procida Mirabelli. Un abbraccio ad entrambi [SM=g2725292]

Per ObbligazionNaturale e per tutti, posto un intervento giusto di stamattina sul blog "28 anni" in www.corriere.it

Quando mi chiedono “a cosa serve” una laurea in filosofia, rispondo: “a non fare domande come queste”. E se dico che faccio il filosofo – che è quello che faccio, filosofo e storico della filosofia – per molti è come se dicessi che faccio l’astronauta: la reazione è tra l’incredulità e la supponenza. Perché questo luogo comune che sia una materia inutile, oltre che sbagliato, è duro a morire. E non per caso: oggi chi mette in discussione il sistema è una figura scomoda». Dopo l’intervento di Marco, laureato in Filosofia, che su questo blog ha raccontato le difficoltà di «non avere la laurea giusta», a contestare il cliché della «facoltà inutile» è Diego Fusaro, ricercatore e docente di Storia della filosofia all’università «Vita e Salute – San Raffaele» di Milano. Classe 1983, torinese, a 16 anni ha creato il più cliccato sito di filosofia in Italia, Filosofico.net, che oggi conta quattromila visite al giorno. E da allora ha fondato una piccola casa editrice, I cento talleri; si è laureato (in Filosofia); è diventato ricercatore (ben prima dell’età media della categoria, 45 anni); ha scritto nove libri. L’ultimo, Minima Mercatalia (Bompiani), riguarda proprio «il rapporto tra la filosofia e la nostra società capitalista. Che scoraggia l’esercizio della filosofia. Già al liceo i professori cercano di indirizzarti a facoltà più pratiche, come Ingegneria ed Economia, che insegnano a riprodurre il mondo così com’è, e non a metterlo in discussione».E magari, suggerisce il detestato luogo comune, servono di più a trovare lavoro. «Mah. Dipende da molti fattori. Al San Raffaele, dove insegno, l’85% dei laureati in Filosofia trova un impiego entro il primo anno: editoria, giornalismo, qualcuno resta nell’accademia. Ma una laurea in filosofia porta anche a lavorare in azienda. Per metterla a frutto in pieno, però, servono vari fattori». I più importanti? «Scegliere un buon ateneo, con professori noti, che scrivano libri, articoli e partecipino al dibattito contemporaneo: vuol dire che il pensiero che ti insegnano è concreto, calato nella realtà. Questo aiuta poi a trovare la seconda delle condizioni favorevoli: un buon maestro. Nella mia carriera i maestri sono stati importanti: Pierpaolo Portinaro, Andrea Tagliapietra, Costanzo Preve, Gianni Vattimo. E conosco anche giovani studiosi molto dotati che però fanno fatica, non avendo un mentore con cui collaborare. L’ambiente accademico è più esclusivo che inclusivo. Infine, e soprattutto, ci vuole una vocazione. Io dalla prima ora di filosofia a scuola ho saputo che non avrei fatto altro. Ho letto una pagina di Platone e mi sono detto: “ma è stupendo, devo farlo conoscere a tutti”, e ho fondato Filosofico.net. La passione ti fa dedicare molte energie al lavoro, che diventa non una fatica ma una conquista continua. In tedesco “professione” si dice “Beruf”, che vuol dire anche “chiamata”. Ecco, per un filosofo lo è». A proposito: quanto conta sapere le lingue? «Ugo di San Vittore, nel Medioevo, diceva: impara tutto, vedrai che poi nulla è superfluo. Ma direi che soprattutto il tedesco e il francese sono fondamentali. Invece sono contrario al luogo comune che “bisogna sapere l’inglese” a tutti i costi. Può servire. Ma vedere un italiano e un francese che cercano di capirsi parlando questa infarinatura di “global english” che ci insegnano a scuola è di una tristezza…» Quindi a chi ti chiede «faccio bene a iscrivermi a Filosofia» che dici? «Dico senz’altro di sì. È un atto di coraggio, di dissenso verso il nostro mondo nichilista, che seppellisce valori, credenze e tutti i cardini della civiltà a favore della merce. Ognuno di noi, potenzialmente, è un filosofo, quindi può metterlo in discussione. Può decidere di non accontentarsi delle (poche) possibilità di emancipazione che il sistema gli offre, e di cercare le proprie, rifiutando il sistema. Ed è questo, più del collocamento sul lavoro, che la rende una strada difficile».
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26/09/2012 11:36
 
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Re:
connormaclaud, 26/09/2012 10.17:

Francamente non capisco il senso, se non in prospettiva di becero opportunismo politico, della sparata - non posso definirla altrimenti- del tecnicamente tecnico ministro in questione.
I due punti cruciali sono l'integrazione e la laicità dello stato italiano,giusto?
Cos'è l'integrazione? come funziona l'integrazione in uno stato potenzialmente multietnico?
Il ministro reputa opportuno destabilizzare l'ora -facoltativa- di religione trovando legittimazione nell'integrazione eppure lo stesso Profumo dimentica che la scarsa integrazione in ambito scolastico è data da classi che nemmeno si avvicinano al concetto di misto.
Da un un punto di vista prettamente teologico si sta parlando di aria fritta.
A venir studiati sono i valori propri del cristianesimo,valori certamente non monopolio di un singolo credo religioso.
Valori che fondamentalmente coincidono con l'etica naturale (NB nulla a che vedere con la fede primordiale di pseudognistica memoria) e che rappresentano un unum per le religioni abramitiche.
Se si passa da un discorso aleatorio ad uno concreto:
integrazione con l'ebraismo? La stessa Torah è riconosciuta,nei valori, da cristianesimo e islam. Yeshua Nazir è ,al minimo,considerato un Rabbi.
Integrazione con l'islam? I muslim riconosco le Scritture ispirate precedenti il Corano e Cristo è considerato un profeta...
Chiese protestanti? I valori non non sono comuni a tutto il cristianesimo?
Filosofia buddista? Il Dalai Lama ha sempre affermato che si debba seguire la religione nella quale si è nati e cresciuti.
Shintoismo,induismo e taoismo? sciamanesimo e spiritismo voodo?
Si può accorpare a storia come se ci fossero gentili c'è l'epica e la filosofia.
Se poi si cerca scientology o la chiesa battista di westboro,mi autocensuro :)

In definitiva,se si fosse intellettualmente onesti, l'ora di religione non rappresenta questo grande scandalo,come si vuol far credere.
Se poi si vuol strumentalizzare è un altro discorso.
Tutto il resto è.....calabraghismo senza limitismo.
Sputtanare la propria cultura e la propria storia in ossequio ad un patetico - e inutile- buonismo o per il gusto dell'esotico, dove gli altri sono belli e buoni e noi brutti e cattivi, è quanto di più lontano e deleterio per una sana integrazione.

Laicità, argomento ampliamente trattato e analizzato da gente ben più preparata di me, non deve essere confusa con ateismo.
Per il resto rimando a Zagrebelsky (mi auguro di non avergli "struppiato" il cognome) e ad un simpatico volumetto "dibattiti sul laicismo" di eugenio scalfari.

Per i detrattori della Chiesa consiglio di puntare sull'ultima uscita della conferenza episcopale tedesca e sul finanziamento pubblico alle confessioni religiose. Ci sto perdendo un pò di tempo,ma l'argomento è interessante.


@obbligazionenaturale: " Non tutti coloro che si iscrivono a Giurisprudenza vogliono fare l'avvocato, il magistrato o il notaio" Amen




errata corrige
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prof. la sfida non era sul forum. Durante la discussione della mia tesi parlammo della democrazia a Roma e fu molto divertente.

Filosofico.net è un bel sito davvero fatto bene, benché sia un covo di marxisti :)

In ogni caso il discorso sull'utilità della laurea in filosofia non è campato in aria. Studiare filosofia serve sempre e a tutti dal medico allo storico, passando per tutte le categorie professionali, anzi umane. Confrontarsi con il pensiero dell'uomo è vitale, perché dalla filosofia nasce la civiltà.
Tuttavia il mercato richiede anche competenze tecniche. I laureati in filosofia servono in quantità minore dei laureati in informatica... non è una colpa del mercato o di qualche cattivone.
Secondo me si continua a sostenere erroneamente che cultura e tecnica siano contrapposte.
Ogni laureato deve avere cultura intesa come pensiero critico e conoscenza del mondo circostante, ma il laureato deve anche avere le conoscenze tecniche richieste dal mercato. Filosofico.net esiste perché ci sono stati tanti informatici che l'hanno permesso.
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