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Bruciare i libri: La censura democratica

Ultimo Aggiornamento: 29/09/2011 21:37
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23/09/2011 00:29
 
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Il Tribunale di Milano, sezione civile, ha raggiunto il massimo delle sue capacità giurisprudenziali. Bisogna leggere bene questa storia e comprendere che cosa avviene in questo Paese. Nel 2007, un grande imprenditore come Bernardo Caprotti, il creatore di “Esselunga”, uno dei pochi italiani che nel campo della distribuzione tiene botta ai francesi di Carrefour (vero, signori Benetton ?, do you remember il colpo dei marchi sulle Autostrade dopo la cosiddetta privatizzazione? Un affare da 4mila miliardi di lire?), scrive un libro dal titolo “Falce e carrello”, edito da Marsilio, dove esprime dure critiche sui favori che riescono a ottenere le grandi Coop di Consumo. Non è un attacco al movimento cooperativo in generale, ma alle grandi catene di distribuzione che fanno capo a Coop Italia e che poi si declinano per tutta la penisola in Coop Adriatica, Coop Toscana, Coop Liguria, Coop Estense e via dicendo. Il libro ha un successo incredibile. La valutazione delle vendite è incerta, anche perché Caprotti lo invia a una serie di categorie, come i giornalisti, gratuitamente. Il calcolo approssimativo è che il libro sia andato nelle mani di 500mila italiani. Il testo è ovviamente una critica serrata, accompagnata da una prefazione di Geminello Alvi, economista di indubbio valore, e da un'appendice di Stefano Filippi, ottimo inviato, che ricorda il sistema delle triangolazioni delle Coop con le amministrazioni “rosse” e alcune “schivate” sulle imposte come il “prestito sociale”. E' un libro polemico, duramente polemico, ma non si tratta dello storico David Irving che nega la Shoà. A questo punto le Coop danno fuori di matto e cominciano a fare una serie di cause civili contro il libro di Caprotti. C'è una sequenza di cause messe in atto da tutte le Coop che andrà avanti per anni. Il motivo della causa civile promossa dalle Coop è la denigrazione e la concorrenza sleale, praticamente una distorsione del mercato. Quello capitalista, naturalmente. Coop Italia porta in giudizio Caprotti, i suoi collaboratori e l'editore al Tribunale di Milano e chiede la “modica” cifra di un risarcimento di 40 milioni di euro. Insomma una cifra uguale alla maxitangente Enimont che era di 80 miliardi di lire. Dopo qualche tempo arriva la sentenza della prima Sezione del Tribunale civile, depositata il 15 settembre 2011, del giudice monocratico Patrizio Gattoni. Secondo il giudice non c'è la denigrazione, ma solo la critica che è tutelata dall'articolo 21 della Costituzione, ma, sempre secondo il giudice monocratico, si è operata una distorsione del mercato, per cui Caprotti, Alvi e Filippi devono pagare per risarcimento, in solido, di 300mila euro. Ma affinché, sempre secondo il giudice monocratico, il mercato non venga evidentemente distorto anche in futuro, si è deciso il divieto di ristampa e l'ordine di sequestro dei restanti libri. Speriamo quelli ancora in vendita. Perché a questo non sappiamo se, tenendo nella libreria di casa “Falce e carrello”, commettiamo un reato o meno. Quisquilie della giurisprudenza italiana.

Il sussidiario
23/09/2011 08:27
 
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Re:
trixam, 23/09/2011 00.29:

Il Tribunale di Milano, sezione civile, ha raggiunto il massimo delle sue capacità giurisprudenziali. Bisogna leggere bene questa storia e comprendere che cosa avviene in questo Paese. Nel 2007, un grande imprenditore come Bernardo Caprotti, il creatore di “Esselunga”, uno dei pochi italiani che nel campo della distribuzione tiene botta ai francesi di Carrefour (vero, signori Benetton ?, do you remember il colpo dei marchi sulle Autostrade dopo la cosiddetta privatizzazione? Un affare da 4mila miliardi di lire?), scrive un libro dal titolo “Falce e carrello”, edito da Marsilio, dove esprime dure critiche sui favori che riescono a ottenere le grandi Coop di Consumo. Non è un attacco al movimento cooperativo in generale, ma alle grandi catene di distribuzione che fanno capo a Coop Italia e che poi si declinano per tutta la penisola in Coop Adriatica, Coop Toscana, Coop Liguria, Coop Estense e via dicendo. Il libro ha un successo incredibile. La valutazione delle vendite è incerta, anche perché Caprotti lo invia a una serie di categorie, come i giornalisti, gratuitamente. Il calcolo approssimativo è che il libro sia andato nelle mani di 500mila italiani. Il testo è ovviamente una critica serrata, accompagnata da una prefazione di Geminello Alvi, economista di indubbio valore, e da un'appendice di Stefano Filippi, ottimo inviato, che ricorda il sistema delle triangolazioni delle Coop con le amministrazioni “rosse” e alcune “schivate” sulle imposte come il “prestito sociale”. E' un libro polemico, duramente polemico, ma non si tratta dello storico David Irving che nega la Shoà. A questo punto le Coop danno fuori di matto e cominciano a fare una serie di cause civili contro il libro di Caprotti. C'è una sequenza di cause messe in atto da tutte le Coop che andrà avanti per anni. Il motivo della causa civile promossa dalle Coop è la denigrazione e la concorrenza sleale, praticamente una distorsione del mercato. Quello capitalista, naturalmente. Coop Italia porta in giudizio Caprotti, i suoi collaboratori e l'editore al Tribunale di Milano e chiede la “modica” cifra di un risarcimento di 40 milioni di euro. Insomma una cifra uguale alla maxitangente Enimont che era di 80 miliardi di lire. Dopo qualche tempo arriva la sentenza della prima Sezione del Tribunale civile, depositata il 15 settembre 2011, del giudice monocratico Patrizio Gattoni. Secondo il giudice non c'è la denigrazione, ma solo la critica che è tutelata dall'articolo 21 della Costituzione, ma, sempre secondo il giudice monocratico, si è operata una distorsione del mercato, per cui Caprotti, Alvi e Filippi devono pagare per risarcimento, in solido, di 300mila euro. Ma affinché, sempre secondo il giudice monocratico, il mercato non venga evidentemente distorto anche in futuro, si è deciso il divieto di ristampa e l'ordine di sequestro dei restanti libri. Speriamo quelli ancora in vendita. Perché a questo non sappiamo se, tenendo nella libreria di casa “Falce e carrello”, commettiamo un reato o meno. Quisquilie della giurisprudenza italiana.

Il sussidiario



non capisco dove vuoi andare a parare.

SOno sanzioni assolutamente compatibili con gli atti di concorrenza sleale.Non sono io a dirlo, ma la legge.
Quel riferimento al sequestro, tra l'altro, è chiaro e si riferisce ovviamente ai libri ancora da distribuire. Articolo di un fazioso allucinante.

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23/09/2011 11:06
 
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quindi in pratica il giudice che doveva fare?
Accertata la distorsione, avrebbe dovuto dire: ora continua a fare senza alcuna inibitoria?
O entri nel merito e spieghi perché non è distorsione oppure, se è distorsione, l'inibitoria è normale.

Il vero problema sarebbe, secondo me, capire come una critica legittima possa distorcere il mercato.. a me è questo punto che non convince in alcun modo
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23/09/2011 14:21
 
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Re: Re:
new mojo, 23/09/2011 08.27:



non capisco dove vuoi andare a parare.

SOno sanzioni assolutamente compatibili con gli atti di concorrenza sleale.Non sono io a dirlo, ma la legge.
Quel riferimento al sequestro, tra l'altro, è chiaro e si riferisce ovviamente ai libri ancora da distribuire. Articolo di un fazioso allucinante.





Non voglio andare a parare da nessun parte, solo esprimere un po' di sconcerto.
Perché al di là della questione in sé, sequestrare un libro è sempre un gesto fascista.

Questo è l'articolo 2598 in tema di concorrenza sleale.

Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi [ 2563 ss., 2569 ss.] e dei diritti di brevetto [ 2584 ss.], compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

Caprotti ha semplicemente scritto un libro in cui ha raccontato la VERITÀ, tanto che le coop non hanno potuto smentirlo in alcun modo.
Questo giudice ha stabilito che raccontare la verità è concorrenza sleale, io ero rimasto al fatto che la trasparenza aiuta a rendere il mercato più efficiente.

Per me la concorrenza sleale è data dal fatto che su un quarto del nostro territorio nazionale la libertà di iniziativa economica è stata di fatto abrogata dall'intreccio tra coop e politica, dal più piccolo dei comuni ai massimi livelli. Un intreccio di cui il caso Penati ci sta mostrando tutto il marcio.

C'è un caso che riguarda la Esselunga che è emblematico. Nel 2002 Caprotti ha comprato un terreno vicino a Pisa per aprire un nuovo centro, il terreno aveva destinazione d'uso commerciale.
Dalla sera alla mattina il comune cambia la destinazione d'uso del terreno per impedirgli di aprire.
Caprotti si rivolge alla magistratura amministrativa, Tar e Consiglio di stato gli danno ragione, il comune si rifiuta di ottemperare alle sentenze, viene nominato il commissario ad acta.
Oggi dopo quasi dieci anni, Esselunga non è ancora riuscita ad aprire il centro.
Il comune continua a mettere bastoni tra le ruote.

Raccontare tutto questo è concorrenza sleale.

In Italia ci sono alcune cose che non vanno toccate, le coop sono tra queste.

Riporto alcuni passaggi della sentenza.

«La prefazione del libro, che ragionevolmente non resterà fra gli scritti più pregevoli e degni di essere ricordati per il valore scientifico di cui pure è convenuto l'autore».

«Gli scritti raccolti nell'appendice esprimono con toni anche ironici e sarcastici una pungente critica al “sistema” delle cooperative».

Non ho capito se è un giudice o un critico letterario.
23/09/2011 14:40
 
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Re: Re: Re:
trixam, 23/09/2011 14.21:




Non voglio andare a parare da nessun parte, solo esprimere un po' di sconcerto.
Perché al di là della questione in sé, sequestrare un libro è sempre un gesto fascista.

Questo è l'articolo 2598 in tema di concorrenza sleale.

Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi [ 2563 ss., 2569 ss.] e dei diritti di brevetto [ 2584 ss.], compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

Caprotti ha semplicemente scritto un libro in cui ha raccontato la VERITÀ, tanto che le coop non hanno potuto smentirlo in alcun modo.
Questo giudice ha stabilito che raccontare la verità è concorrenza sleale, io ero rimasto al fatto che la trasparenza aiuta a rendere il mercato più efficiente.

Per me la concorrenza sleale è data dal fatto che su un quarto del nostro territorio nazionale la libertà di iniziativa economica è stata di fatto abrogata dall'intreccio tra coop e politica, dal più piccolo dei comuni ai massimi livelli. Un intreccio di cui il caso Penati ci sta mostrando tutto il marcio.

C'è un caso che riguarda la Esselunga che è emblematico. Nel 2002 Caprotti ha comprato un terreno vicino a Pisa per aprire un nuovo centro, il terreno aveva destinazione d'uso commerciale.
Dalla sera alla mattina il comune cambia la destinazione d'uso del terreno per impedirgli di aprire.
Caprotti si rivolge alla magistratura amministrativa, Tar e Consiglio di stato gli danno ragione, il comune si rifiuta di ottemperare alle sentenze, viene nominato il commissario ad acta.
Oggi dopo quasi dieci anni, Esselunga non è ancora riuscita ad aprire il centro.
Il comune continua a mettere bastoni tra le ruote.

Raccontare tutto questo è concorrenza sleale.

In Italia ci sono alcune cose che non vanno toccate, le coop sono tra queste.

Riporto alcuni passaggi della sentenza.

«La prefazione del libro, che ragionevolmente non resterà fra gli scritti più pregevoli e degni di essere ricordati per il valore scientifico di cui pure è convenuto l'autore».

«Gli scritti raccolti nell'appendice esprimono con toni anche ironici e sarcastici una pungente critica al “sistema” delle cooperative».

Non ho capito se è un giudice o un critico letterario.


chiaramente per risponderti dovrei leggere il libro e la sentenza, quindi nel merito non mi sento di entrare.

Potenzialmente, e ribadisco potenzialmente, potrebbe rientrare nella fattispecie in neretto.

Sul secondo episodio è sicuramente sconcentarte se è come dici, anche se ti sei fermato alla nomina del commissario ad acta(che dovrebbe chiudere il procedimento di ottemperanza). sai anche quali sono stati gli step successivi?
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29/09/2011 21:18
 
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Re: Re: Re: Re:
new mojo, 23/09/2011 14.40:


chiaramente per risponderti dovrei leggere il libro e la sentenza, quindi nel merito non mi sento di entrare.

Potenzialmente, e ribadisco potenzialmente, potrebbe rientrare nella fattispecie in neretto.

Sul secondo episodio è sicuramente sconcentarte se è come dici, anche se ti sei fermato alla nomina del commissario ad acta(che dovrebbe chiudere il procedimento di ottemperanza). sai anche quali sono stati gli step successivi?




Invero si tratterebbe di concorrenza denigratoria ex. 2598, co. I, n. 2 c.c..
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29/09/2011 21:33
 
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Le cause pendenti sono 5 o 6. Gli illeciti contestati da Coop sono generalmente, ed in via subordinata tra loro: diffamazione; concorrenza sleale denigratoria (2598 n. 2); 2043 c.c.

Ad oggi Coop ha partorito un topolino. Le prime due sentenze escludono la diffamazione e si limitano a liquidare danni di ammontare davvero irrisorio rispetto alle esorbitanti domande (e alle spese legali...).

Altra brevissima annotazione. Quando si discute di diffamazione piuttosto che di denigrazione ex 2598 l'exceptio veritatis non esclude la responsabilità. Il giudice gode di ampia discrezionalità nel valutare le modalità di diffusione del messaggio etc.etc. etc.

Esempio: l'impresa A riporta un provvedimento giudiziario ottenuto nei confronti dell'impresa B non menzionandone la natura solo cautelare. Potrebbe esserci illecito concorrenziale...

Esempio 2: l'impresa A diffonde un messaggio nel quale attribuisce all'imprenditore B "modi da mafioso". Preso atto che il termine non è utilizzato in senso letterale, il giudice dovrà valutare la continenza etc. etc. etc.

In buona sostanza, anche se quel libro contenesse informazioni e dati veritieri, nulla escluderebbe la condanna degli autori e dell'editore in ragione di modalità espositive e altri profili tali da integrare gli illeciti di cui supra...

Ad ogni modo, ribadisco, un enorme buco nell'acqua.

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29/09/2011 21:37
 
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Dimenticavo. Un provvedimento di quel tipo è abbastanza comune in questo genere di controversie (anche se mi rendo conto che inibire la diffusione di un libro è un pò diverso dall'inibire la diffusione di magliette contraffatte...)

Tuttavia mi dispiace molto per le persone che non potranno leggere quel libro...
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