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17/01/2010 13:04 | |
PARTE I
Leggo con sgomento questo articolo, apparso su questa grande e continua dispensa di immondizia culturale e non (IlGiornale), in cui si pone l'accento sui diversi modelli di sviluppo; nello specifico, quello haitiano sarebbe l'antitesi del modello occidentale-capitalista, grazie al quale siamo belli e forti e beviamo la coca-cola.
Vorrei solo specificare alcuni brevi passaggi della storia di questo paese:
"La storia post coloniale è stata molto tormentata, vissuta sotto l'occhio e l'interventismo del potente vicino, gli Stati Uniti. L'isola fu occupata dagli Usa dal 1915 al 1934. Partiti i marines, fu guidata da un'elite militare, e dal 1957 al 1986 dalla dittatura della famiglia Duvalier economicamente sostenuta dagli Usa. In seguito alla rivolta popolare di quell'anno, Washington organizzò la fuga del tiranno «Baby Doc» e della sua famiglia. Gli scontri durarono per anni. Nel 1990 le elezioni presidenziali furono vinte dall'ex sacerdote Jean-Bertrand Aristide, spodestato l'anno dopo da un golpe militare, poi tornato al potere grazie al sostegno degli Stati Uniti. Nel 2000 il suo secondo mandato fu segnato da accuse di corruzione e un nuovo golpe nel 2004 vide l'inizio di una rivolta popolare che ha causato disordini e violenza. Le elezioni presidenziali del 2006, fra molte accuse di brogli, hanno visto emergere Réné Préval."
Haiti, forse, è l'esempio più lampante delle logiche imperialiste e capitaliste.
ps. alla fine del pezzo si leggerà "noi occidentali". Haiti è in Occidente.
Ecco l'articolo incriminato.
di Nicola Porro
Il senso della natura che si ribella a se stessa, la ragione di una violenza che cancella ogni forma, non si può certo spiegare con le categorie della razionalità. 100 o addirittura 500mila morti ad Haiti ci svelano impotenti di fronte alla natura non più di quanto la singola e prematura scomparsa di un affetto. I numeri perdono il senso del loro racconto, e la forza del disastro si regge sul se, sulla sua eventualità, più che sul quanto e sulla sua dimensione. Una morte bianca come un terremoto, ci sprofondano nel buco nero di una natura maligna, che non controlliamo quanto vorremmo e presumiamo di fare.
Eppure quei numeri ci dicono anche che i diversi modelli di sviluppo sociale che gli uomini adottano hanno un peso nel contrastare la forza della natura. Il dramma di una regione in cui l’aspettativa di vita è di 50 anni contro i quasi 80 dei Paesi sviluppati si riflette nelle immagini tragiche del terremoto dell’altro giorno. Un bambino su due (la percentuale è ancora peggiore e si attesta al 57 per cento) muore in fasce; solo metà della popolazione sa scrivere o ha accesso all’acqua potabile: il Paese è tra i più poveri al mondo e tra i meno attrezzati a resistere a qualsiasi calamità. Negli ultimi dieci anni ci sono stati, solo per disastri naturali censiti, 10mila morti.
La televisione deforma una realtà che sembra quella delle nostre tragedie ma che ne è distante anni luce. È una povertà che ci siamo lasciati alle spalle in un secolo di rivoluzione industriale prima e capitalistica poi.
Eppure Haiti, come l’Abruzzo, resta una terra che, banalmente, trema e inghiotte il suo contenuto superficiale. Un contenuto preziosissimo dal nostro punto di vista, ma tutto sommato marginale nell’economia (la scienza delle risorse scarse) dell’universo. Haiti sembra raccontare così la naturale e plastica condizione della nostra vulnerabilità. E però le cose non sono così semplici. L’uomo nei secoli, ed oggi specialmente, si è costruito una presunzione straordinaria: quella di essere dominus di ciò che lo circonda. Quasi a far scomparire la morte, l’uomo si è cullato nel terribile orgoglio di ritenersi unico somministratore del fin di vita. È l’uomo, in questa folle corsa al primato, che a suo piacimento può distruggere se stesso ed eventualmente la natura; e non viceversa. Le catastrofi sono dunque, a causa di questa presunzione, incomprensibili, inaccettabili alla stessa guisa di come, nel mondo occidentale ed evoluto, sono inaccettabili le «morti premature». Come se ci fosse una «maturità» per la morte.
È vero, il dramma che si sta consumando in queste ore ci ricorda dell’impotenza dell’uomo. Ma nello stesso tempo della sua forza. È questa la feroce contraddizione a cui ci riporta il dramma di Haiti. Noi occidentali abbiamo la presunzione di aver domato definitivamente la natura. E in ciò sbagliamo. Ma noi occidentali abbiamo anche la consapevolezza di aver migliorato la nostra condizione, di aver costruito il nostro destino, di aver fatto un passo avanti. E su questo abbiamo ragione.
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17/01/2010 15:11 | |
"François Duvalier (Port-au-Prince, 14 aprile 1907 – Port-au-Prince, 21 aprile 1971) è stato un politico haitiano. Noto con il nome di Papa Doc, fu presidente di Haiti dal 1957 e successivamente dittatore dal 1964 fino alla sua morte."
Gli Stati Uniti sono contro le dittature. Quello che tu stai scrivendo è palesemente falso.
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