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Non siamo liberi

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2014 14:51
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13/08/2014 15:19
 
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di Luca Solari
Cosa ne pensate?

www.huffingtonpost.it/luca-solari/non-siamo-liberi_b_5655331.html?utm_hp_r...

Sulla sfondo dell'aspra battaglia politica che riguarda la riforma elettorale e la riforma del Senato sta il vero nodo dell'incapacità dell'Italia di riprendere a crescere: la paralisi della società come conseguenza dell'ipertrofia legislativa e della delega costante alla politica.

Purtroppo, anche forze politiche che per un certo lasso storico si erano fate fautrici di una riduzione del peso del centro decisionale e legislativo come la Lega si sono rapidamente adattate all'italica idea che ad ogni problema debba corrispondere una legge o un decreto ed in ogni caso un'azione dell'esecutivo. Anzi, hanno cercato di costruire a livello locale uno Stato ancora più oppressivo e invasivo. Ancor più non mi rinfranca constatare che l'idea di regolare la società a partire dalla sua rappresentanza politica sia fatta propria anche dal Movimento 5 Stelle. Anzi, mi spavento quando leggo tra le righe l'ambizione utopica a far decidere tutto dalla maggioranza con una sorta di continuo referendum. Ho accarezzato per lo spazio di un istante la speranza che il rinnovamento dei nomi potesse portare ad una ritirata della politica dai palcoscenici, ma sono drammaticamente smentito dalla moltiplicazione olografica dei nuovi, onorevoli, ministri, portavoce e Presidente del Consiglio.

Ma ora sono stufo, profondamente stufo di un carosello di media, approfondimenti, interviste e auspici che concorrono a portarci dentro il profondo del baratro senza mai dire chiaramente che l'origine di tutto sta in quello contro il quale Bruno Leoni e von Hayek con preveggenza ci avevano indicato: la statolatria, la crescita ipertrofica e incontrollata di uno spaventoso Krakken dai mille tentacoli. Questa crescita si accompagna all'ipertrofia della macchina pubblica e burocratica che si associa invariabilmente ad ogni nuova regola, ad ogni articolo, comma, financo riga di una produzione sconfinata. Lo Stato è ovunque, ci spia in ogni momento della nostra vita e la subordina ad una schiera di zelanti burocrati, tronfi del loro potere, spesso privo di alcun ancoraggio ad un minimo di competenza.

Dove è la libertà in questo paese? In cosa possiamo dirci liberi? Non nell'educazione che è rigidamente normata da programmi ministeriali la cui valenza pedagogica ed educativa nel mondo attuale è ai più incomprensibile. E dove non arrivano i programmi, arriva l'ineluttabilità dei diritti acquisiti che fanno sì che se ci servono insegnanti di inglese e forse domani di cinese, ma abbiamo assunto quelli di francese, il nostro progetto educativo sarà quello di farli comunque lavorare. E guai a dirlo che già mi aspetto spataffiate inconcludenti condite di invettive contro la modernità, rimpianti della classicità andata, elegie della diversità delle lingue ecc. Non siamo liberi nel lavoro che è normato in ogni sua caratteristica, certo in parte dandoci garanzie, ma a quale prezzo? Al prezzo dell'occupazione e della speranza dei nostri figli. Al prezzo di una rigidità spaventosa dei modelli di organizzazione del lavoro. Al prezzo del fatto che certi lavori diventano la nostra tomba perché da lì non ti schiodi più, anche se ti fa schifo, perché chi lo rischia un posto sicuro? Non siamo liberi come consumatori perché taglieggiati da uno Stato che impone un'IVA al 22% e dalla lobby del commercio che opera peggio dei peggiori trust per impedire la vera concorrenza, con il pietismo sventolato dei valori e della piccola impresa. Non siamo liberi come cittadini perché subordinati a delle politiche fiscali peggiori del peggiore incubo non di Kafka ma addirittura di Lovecraft. Politiche fiscali che anticipano sugli anticipi di quello che dobbiamo e oltrepassano il muro del suono dell'assurdo con anticipi superiori al 100% di quanto ipoteticamente dovuto. E alimentano l'ipertrofia e la discrezionalità di un esercito di esattori, cupe figure più simili a monatti, ma che dentro sé si sentono schiere di angeli della legalità. E ci dicono che è bello pagare le tasse, ma che soprattutto se lo dicono loro noi dobbiamo stare zitti. Non siamo liberi davanti alla legge, perché la legge è incerta, amministrata con discrezionalità da moderni tribuni pervasi dal sacro fuoco della legalità. Non siamo liberi di procreare o non procreare e nemmeno di amare e scegliere chi vogliamo. Anche qui dobbiamo aspettare il giudizio di un legislatore che non rappresenta altro che se stesso. Ma dove sta scritto che debba essere un drappello di ignoranti, scelti da altri ignoranti, non sempre peggio di loro, a dover discettare delle mie scelte di vita?

E ogni giorno più in catene, invece che dimenarci e rifiutare questo giogo, chiediamo ogni volta al legislatore di risolvere qualsiasi problema con una nuova legge che altro non è che o una nuova catena o una riduzione della maglia di una di quelle esistenti. Ed ha un'origine chiarissima nell'assetto del Paese che non ha bisogno di riforma elettorale o Senato non elettivo, ma di una vasta e diffusa opera di disboscamento e di arretramento del legislatore che sta soffocando la società. L'origine è nel vizio fondativo di una Costituzione che ci rende sudditi. Infatti, a ben vedere, la nostra Costituzione, per alcuni la più bella del mondo, non fa alcun accenno alla libertà dell'individuo rispetto allo Stato, anzi ci dice che dobbiamo subordinarci al popolo nell'articolo 1, quello stesso popolo che felicemente ha ad esempio sostenuto Mussolini nell'andare in guerra e all'articolo 2 ci dice che i nostri diritti sono riconosciuti, quindi resi tali da un ente terzo da noi, la Repubblica e soprattutto che abbiamo doveri inderogabili. La Costituzione è l'origine dei nostri mali come ogni parto di ideologie ibride, più un aborto concettuale che un modello. Non è un caso che sia l'esempio estremo di subordinazione della persona ad uno Stato ubiquo e derivi da ideologie tra le più illiberali che la storia dell'uomo abbia partorito.

E mentre l'Italia affonda nella mancanza di libertà ci affidiamo al comandante Schettino di turno, Prodi, Berlusconi, oggi Renzi. Gli chiediamo di risolvere ogni problema e ci facciamo sempre più sudditi. Se la nave affonda, proveremo un altro comandante e incolperemo quello precedente. E lui ci risponderà che voleva fare, ma non ha potuto. La colpa è della legge elettorale, la colpa è delle Camere, lui aveva le idee giuste, lui sapeva cosa fare. Ha fatto il meglio che poteva, proprio come Schettino che ha fatto coricare la nave sugli scogli. Ci sono stati dei morti, è vero, ma potevano essere di più ci verrà detto, come oggi ci si dice che ci sono dei poveri e dei disoccupati, ma potevano essere di più. Ma quando ci sveglieremo? Ma quando si capirà che non c'è futuro se non si rifonda il paese sul mattone della libertà dell'individuo e si smantella un apparato burocratico spaventoso. Un vero nuovo brucerebbe i programmi ministeriali delle scuole e lascerebbe agli insegnanti e alle famiglie di decidere cosa serve. Un vero nuovo annullerebbe la normativa sul lavoro. Un vero nuovo cancellerebbe le sovvenzioni pubbliche ad editoria, industria, sindacati. A tutti, nessuno escluso. Un vero nuovo considererebbe di assegnare allo stato e alla legislazione lo spazio più limitato possibile. Ma il nuovo non c'è, ci son solo nuovi, zelanti servitori della statolatria e dietro di loro, altri che vorrebbero pure dirci che dobbiamo e crescere. Io, non scherzo, ho paura degli uni e degli altri e sto considerando seriamente di scapparmene.
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