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Costituzione quattro stagioni: rigidità plasmabile?

Ultimo Aggiornamento: 26/05/2013 23:53
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13/05/2013 20:41
 
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Cara Frida, mi riferisco alle tante inchieste nate da veri e propri "teoremi" che stanno nella testa di molti pm malati di protagonismo e che non trovano quell' adeguato filtro che avrebbe portato all'archiviazione. Se si celebra un processo "inutile" (mi si passi la parola), perchè l'imputato dovrebbe sobbarcarsi le spese molto onerose della difesa? Se già il "processo è pena" perchè bisogna aggiungerci la beffa del costo della difesa? Allora queste spese dovrebbero essere a carico dello Stato (anche se sono più ricco di Berlusconi). Mi rendo conto che forse le mie valutazioni possono essere esagerate (quante cause finiscono con l'assoluzione per incapacità del pm?) ma il criterio dell'esborso da parte dello Stato delle spese per la difesa potrebbe formare elemento (uno dei tanti, da individuare...) di valutazione dell'efficienza del singolo magistrato. E quindi per la sua carriera.






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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Utente Junior
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14/05/2013 21:51
 
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Ho partecipato all'incontro e devo dire che è stato molto interessante mettere a confronto ideologie diverse.
Devo dire che mi son ritrovata nelle parole del Prof Guzzetta. Troppo spesso vediamo denigrare la nostra bella Italia in programmi tv e prime pagine anche straniere, ma è anche vero che d'altra parte vi sono stati programmi televisivi che hanno osannato la nostra Costituzione, definendola "la piu bella al mondo"( Benigni)
Dicendola con il Prof, la nostra Costituzione non è una sacra reliquia da venerare, ma una carta che dovrebbe riflettere i principi che governano il nostro Paese, dovrebbe essere lo specchio di una realtà sociale. Ma non lo è. E' evidente.
Mi capita spesso di pensare come si viveva all'epoca di mia nonna, epoca fascista. Dai suoi racconti traspariva sempre un certo ordine, una quiete di vivere che ora sembra impossibile raggiungere. Si lavorava e si facevano tanti figli " perchè lo Stato dava mille lire per ogni figlio!".
Ora, io son sempre stata una fervente oppositrice delle dittature, dei regimi totalitari o comunque dei "one man centered Goverments". Però com'è possibile che dopo tanti Repubblicani morti per noi, dopo la lotta di tante donne per il voto, dopo periodi di guerra, periodi di fame e anche periodi di benessere ci si ritrova di nuovo a dover vivere situazioni tristi?
C'è qualcosa che non và nel sistema elettorale, sicuramente (a mio avviso). Ma sono anche certa del fatto che c'è troppo interesse! I politici dovrebbero essere disinteressati, dovrebbe essere quasi un "volontariato", una missione, quella che loro fanno! O per lo meno avere meno privilegi, uno stipendio normale..mah, siamo alle solite! Basta guardare Le Iene per sfogarsi un po' su queste discussioni. Ma rimpiango anche i tempi in cui c'era speranza, perchè sembra mancare anche quella.. [SM=g2719694]
[Modificato da TeGi 14/05/2013 21:55]
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15/05/2013 00:09
 
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E' stato davvero interessante ascoltare.

Il punto focale del discorso mi è sembrato uno: la nostra Costituzione nasce come minimo comun denominatore tra persone che la pensavano proprio all'opposto tra di loro.
Era un periodo storico particolare, ed occorreva trovare dei compromessi e far dialogare persone che erano dalle parti opposte della barricata: all'esterno c'era il braccio di ferro tra America e Urss...ed il rischio (per alcuni) era che l'Italia divenisse satellite dei Paesi comunisti, o (per gli altri) che divenisse satellite degli USA;

All'interno il rischio costante di una guerra civile.

In questo contesto, è nata la Costituzione...scritta da socialisti, comunisti, liberali, monarchici, democristiani...si andava dal liberismo più sfrenato al socialismo più duro.

L'obiettivo di chi ha scritto la Costituzione, è che nessuno potesse governare.
Questo perché gli uni temevano la vittoria dei comunisti...gli altri la vittoria dei capitalisti...e ciascuno è convenuto su disposizioni che frenassero il rischio di una sterzata assoluta in un senso o nell'altro....che avrebbe prodotto pesanti scenari internazionali, ed accentuato i rischi interni.
Chiunque vincesse, avrebbe avuto sempre necessità dell'altra parte per fare qualcosa.
Del compromesso.
Dell'accontentare tutti.

E come si fa a accontenare tutti? A dare a tutti?
Un governo si basa su scelte, e le scelte scontentano sempre qualcuno...
A meno che non si dia il via a una stagione di feroce indebitamento, così che l'attività del governo si traduca in un dare a tutti...in un si perpetuo, scaricando tutto il costo di queste operazioni a debito sulle future generazioni.
E quelle generazioni, colore che - finita la festa - si ritrovano coi conti da pagare, quelli siamo noi.


Niente da aggiungere a questa ricostruzione.
Chapeau. [SM=g2725291]
[Modificato da Paperino! 15/05/2013 00:11]
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15/05/2013 13:54
 
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Per i ragazzi che hanno partecipato: vi aggiorneremo via mail non appena avremo novità dalla Presidenza.
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15/05/2013 18:48
 
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Il professore Pisco si scusa mio tramite per essere dovuto andare via in anticipo, ieri. Il guaio è che lo cercano in molti e lui prova ad accontentare un po' tutti. Si è molto dispisciuto di questo, scusandosi direttamente coll'avv. De Falco e col professore Guzzetta. Ripete i complimenti a Raffaele Minieri e a tutti i ragazzi di "Giuristi Federiciani" presenti all'incontro, augurandovene l'organizzazione di altri, per altre materie e su altri problemi, magari con una formula che preveda una maggiore partecipazione "diretta", senza cioè solo ascoltare, degli studenti (del resto,il professore ha letto in anticipo la relazione di Giusperito, e mi ha detto che era ottima; qui discutete con ampiezza di cultura e maturità, quindi è normale che ci riusciate anche dal vivo).
Nel merito, il professore (che attende di vedere/ascoltare, come tutti, il previsto file audio-video), è fra quelli che trovano ottima e bella la nostra Costituzione, ma (come ripete spesso) ama persone e cose non negando i loro eventuali difetti, bensì nonostante questi. Paperino ha ragione, ritiene il professore: per le condizioni storiche in cui fu approvata, la nostra Carta Costituzionale è - lui lo dice spesso agli studenti - come un'automobile con freni forti e acceleratore debole. Oggi il contesto generale è cambiato, si potrebbe perciò anche pensare di modificare la potenza dell'acceleratore, ovviamente senza dimenticare i freni adeguati e altri accorgimenti. Più di tutto, però (e per continuare nella metafora) è importante l'equilibrio del pilota (che deve potere essere cambiato, se non va) e dei passeggeri, che non devono istigare chi guida all'imprudenza. Ora, Roma andrà (pur restando ovviamente Roma) più verso Parigi, o più verso Berlino? Si vedrà. Il professore preferisce - come ha detto ieri - il modello tedesco, perché più affine al nostro, ma intero (cioè: non solo sfiducia costruttiva, Cancellierato e rifrma del bicameralismo, ma legge sulla democrazia interna dei partiti e dei sindacati e partecipazione dei lavoratori agli indirizzi generali di sviluppo delle imprese). Nella situazione attuale, peraltro (e cioè restando debole il Governo), è prevedibile che continui una "tutela" su di esso del Presidente dela Repubblica, ecco perché si può discutere del fatto che sia già avvenuta una certa "francesizzazione" costituzionale italiana. L'importante però, ribadisce il professore, è che certe discussioni si facciano senza "guerre di religione", come lui le ha chiamate, cioè con prudenza, confrontandosi sul merito rispettosamente e volendo il meglio, non rifiutando a priori ogni apertura reciproca tra i sostenitori di opposte soluzioni. Privatamente, il professore mi dice sempre, ad esempio: "Non si vuole Berlusconi? Bene, ma allora occorre batterlo alle elezioni. Il leader del centrosinistra può anche essere una persona il cui cognome incomincia per B e finisce per i, ma - se non è più Bersani - occorrerà cercarne un altro, che non sia però B...occassin... i". Lui , insomma, non ama la "via giudizaria" al rinnovamento della politica e delle istituzioni, né esclude che la Carta Costituzionae, dopo sessant'anni, sia del tutto esente dalla necessità di interventi. Fa in proposito l'esempio delle signore, quando non sono più ragazze, anche se - da incompetente medico - è rimasto perplesso sulla confessione di Angelina Jolie e si chiede se, per evitare l'elevata probabilità, che non era però certezza assoluta, di un tumore al seno, fosse proprio necessario prendere una decisione così radicale. Mi ha detto, in proposito: "Metti che io tema un tumore alla prostata. Che faccio, per evitare un rischio elevato me lo taglio direttamente? Non era invece possibile un monitoraggio attento e continuo?". Naturalmente, però, sa che: a) non è un medico e b) non è una donna, né in particolare la persona interessata. Tornando alla Costitruzione, l'orizzonrte su cui proiettare discorsi ed eventuali cambiamenti ormai è l'Europa. Si tratta di governarci di più e meglio da soli, per chiedere però all'Europa di avere più coraggio sulla strada dell'unità istituzionale ed economica. Non possiamo - lui dice - suicidarci come popolo (già troppi disperati purtroppo lo fanno come singoli) per mantenere i conti in ordine
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Utente Master
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19/05/2013 19:00
 
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Il mio intervento.
Il problema principale che ci si pone allorché si affronta la valutazione di qualsiasi forma di governo è come siano ripartiti i poteri tra i vari organi dello Stato. Si tratta di sviluppare un’analisi che non rimanga sul piano formale dei dati normativi e, dove vi sono, testuali, in quanto è necessaria un’attenzione particolare sul reale assetto dei poteri così come vengono a strutturarsi non solo sulla base degli elementi propri del diritto più propriamente costituzionale, ma così come si sviluppano in riferimento all’insieme delle leggi lato sensu pubbliche, delle consuetudini, delle prassi e delle situazioni di fatto. Infatti <<la storia di una costituzione politica non può mai essere soltanto storia delle forme giuridiche, ma deve essere ad un tempo storia del potere, quindi della classe di governo e, naturalmente, dei rapporti di questa (e dei singoli suoi esponenti) con i governati)>>1.
Il mio intervento sarà volto, quindi, più all'analisi di quale reale tenuta ha la nostra Costituzione di fronte alla contingenza e al sentire diffuso piuttosto che all'analisi di quale sia l'attuale reale forma di governo e quale, invece, sarebbe da preferire.
Allo stato attuale sembra che tutti sentano l'esigenza di incensare costantemente la bellezza e la perfezione della nostra Costituzione salvo, poi, proporre la necessità di riformarne una parte consistente. Molto consenso paiono avere il superamento del bicameralismo perfetto, la creazione di un Senato espressione delle esigenze regionali, la necessità di superare il parlamentarismo a favore di altre forme di governo e la riduzione del numero dei parlamentari, argomentata tra l'altro con ragioni economiche, come se il numero dei nostri parlamentari fosse da legare al semplice costo e non anche e soprattutto alla forma di governo. Queste impostazioni trasformano la Costituzione in un feticcio da disprezzare o da osannare all'occorrenza, dimenticando che in realtà si tratta del più importante strumento di garanzia della libertà di un popolo.
Siamo in una stagione difficile, ma si tratta di una stagione più lunga dei cinque anni trascorsi dall'inizio della crisi economica che ha semplicemente sollevato l'attenzione su problematiche già presenti nei fatti e nella sensibilità di molti. La caduta dell'ultimo governo Berlusconi e l'esito delle elezioni di febbraio sono solo i detonatori di un lettura costituzionale sempre al limite e a volte, nel mio modesto giudizio, oltre il limite della volontà del Costituente.
Se è vero, come è vero, che la Costituzione è per sua natura costretta ad evolversi e ad adeguarsi ai cambiamenti della realtà, è anche vero che esiste un limite piuttosto netto tra interpretazioni evolutive o adeguatrici ed illegittime forzature necessitate dalla contingenza.
Il nodo centrale è capire quanto della rigidità della Costituzione sia giusto immolare sull'altare dei cambiamenti e delle necessità e quanto invece non possa adeguarsi ad ogni stagione politica, imponendo, quindi, un limite alla contingenza o costringendo il legislatore a farsi carico delle incombenze di riforma.
L'attendismo e l'incapacità di trovare una soluzione, e non sarà mio compito ora individuare quale preferisca, sono delle vere e proprie scelte che mettono in pericolo la coerenza dell'intero sistema. Non volendo recuperare esperienze eccessivamente risalenti – in questi giorni il richiamo al governo Pella è stato un tema ricorrente – mi concentrerò sugli ultimi vent'anni.
In questo quadro è illuminante notare come il passaggio dalla c.d. Prima Repubblica alla c.d. Seconda Repubblica sia avvenuto a Costituzione invariata; piuttosto particolare teorizzare una tale transizione senza modifiche costituzionali. Tuttavia nei fatti la legge elettorale maggioritaria – unitamente al particolare sentimento popolare di disprezzo verso i partiti coinvolti nello scandalo di Tangentopoli - ha avuto una capacità di trasformazione dell'intero assetto dei poteri tale da mettere in angolo il dettato costituzionale e dando l'avvio, quindi, ad una nuova stagione.
L'anniversario della morte del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro è un'utile occasione per ricordare le aspre critiche ricevute per non aver ceduto al “sostanzialismo elettoralistico che molti ritenevano innescato dalla legge elettorale maggioritaria”2. Il Presidente Scalfaro sostenne con forza l'idea che la legge elettorale non potesse trasformare l'impostazione costituzionale di un rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo a favore di un'investitura popolare del governo e del suo leader.
A prescindere dal giudizio sul merito e sull'opportunità di tali scelte, mi pare abbastanza in controtendenza la possibilità, però, concessa di inserire il nome del leader della coalizione all'interno del simbolo del partito in modo da dargli una legittimazione popolare tale da rendere il Presidente della Repubblica un semplice notaio delle scelte popolari, svuotando di significato le consultazioni e rendendo, di fatto, ancora più problematica la possibilità di individuare un nuovo governo in caso di eventuali c.d. Ribaltoni, termine che uso privo dell'accezione negativa attribuitagli. Ad oggi è un fatto che alcune forze politiche ritengano che il consenso popolare sia legittimazione piena ed esclusiva dell'azione di governo3, dimenticando, tra l'altro, come si conclude l'art. 1 della Costituzione. Inoltre è bene ricordare sia che nessun meccanismo elettorale può garantire la razionalità della scelta4 sia che non può essere sottovalutato il ruolo del controllo della cultura nell'ampliamento del consenso.
L'ultimo anno e l'attuale governo, ancor di più, legittimano l'idea che si sia aperta un'altra nuova stagione. Pur rifiutando l'idea che si possa parlare di una Terza Repubblica, come da alcune parti pur si è detto, e pur non volendo condividere al pari della gran parte dei costituzionalisti, come mi sembra di capire, che siamo di fronte ad una sorta di semipresidenzialismo, ritengo che, però, sia condivisibile l'espressione del prof. Prisco di governo parlamentare a direzione presidenziale5.
A tal proposito le parole del Presidente Napolitano possono, a mio modesto parere, apparire come una sorta di excusatio non petita allorché abbia sentito l'esigenza di ribadire che il governo Letta fosse pienamente parlamentare.
Siamo di fronte, quindi, ad uno scenario che in 20 anni ci ha regalato, a mio umile parere, forme di governo piuttosto divergenti, ma tutte considerate ugualmente compatibili con la Costituzione o comunque da accettare con pragmatismo.
L'attuale crisi economica ha legittimato, poi, pratiche che fino a poco tempo fa non avremmo considerato legittime o quanto meno scarsamente opportune. La stessa rielezione di Napolitano, pienamente compatibile con il dettato costituzionale, pena l'illogicità stessa del semestre bianco, è sicuramente un'occasione per ricordare l'opposizione che poco più di sette anni fa presentò il Presidente Ciampi ad un'eventuale sua riconferma, anche allora trasversalmente invocata. Non è in discussione, quindi, la legittimità costituzionale, ma l'opportunità e il rispetto sostanziale dello spirito della Costituzione. Analogo discorso si potrebbe fare in riferimento all'inedita Commissione di saggi che il Presidente Napolitano ha individuato come valvola di sfogo allo stallo della situazione politica immediatamente successiva alle elezioni.
Se in questi casi pare che la Costituzione si presti a questi adattamenti dettati dalla contingenza e dalla particolarità della situazione internazionale, potenzialmente al di fuori delle possibilità costituzionali appare, a mio modesto avviso, l'insieme della legislazione elettorale unita all'opacità del sistema dei partiti e all'uso, sempre maggiore, delle questioni di fiducia.
Infatti l'attuale legge elettorale a liste bloccate è da più parti giustamente criticata, perché rimette ai partiti, più precisamente alla direzione dei partiti, la scelta dei componenti delle liste elettorali. Gli stessi membri della direzione dei partiti, poi, andranno a costituire, in caso di vittoria, la compagine governativa che, quindi, si confronterà con un Parlamento scelto preventivamente sulla base di criteri che allo stato attuale fanno pensare più alla fedeltà che al merito. Di conseguenza l'assenza di regole chiare sulla democrazia interna dei partiti mal si concilia con l'attuale sistema elettorale, perché fa saltare l'alterità tra Governo e Parlamento e crea le condizioni per un sostanziale ricatto del Governo verso i parlamentari che si obbligano alla fedeltà onde evitare epurazioni per le successive tornate elettorali. Sulla base di questo ricatto l'uso sempre maggiore della questione di fiducia diventa un vero e proprio aggiramento del dettato costituzionale, creando il paradosso di una Costituzione che delinea un assetto parlamentare a fronte di una situazione di fatto che conferisce al Parlamento una funzione meramente notarile.
Nell'esperienza del governo Monti, per esempio, è stato rimarcato ancor di più il superamento nei fatti del bicameralismo a causa del costante ricorso a decreti legge e legislativi. La questione di fiducia unita allo scarso tempo concesso alla seconda Camera per analizzare le proposte di legge ha avuto come immediata conseguenza l'assenza di modifiche anche a leggi di grandissima complessità ed importanza. La necessità ha, quindi, eliminato le procedure, spostando non solo il ruolo propositivo, ma anche quello decisorio dal Parlamento al Governo, rendendo, quindi, il primo un mero notaio di decisioni prese altrove.
Il vero problema ruota, quindi, intorno al principio di affidamento con cui si stabilisce che si debbano affidare un certo numero di decisioni all'iniziativa ed al criterio di persone singole o di assemblee depositarie della fiducia della maggioranza e, quindi, rappresentative della volontà collettiva.
E' necessario chiedersi fino a che punto possa essere spinto in là l'affidamento dei poteri prima che la democrazia perda le sue caratteristiche, in particolare quella di autogoverno del popolo. In pratica è necessario aver presente che è ben possibile che si affermi un forma di democrazia che può essere definita autoritaria in tutti quei casi in cui vengono fatte concessioni troppo ampie al principio dell'affidamento.
In quest'analisi manca una quarta stagione che per un attimo si è presentata all'orizzonte e cioè l'idea di un modello assembleare in cui il Governo fosse rimasto in carica solo per gli affari correnti, lasciando al Parlamento il compito di prendere tutte le decisioni. Posto che condivido l'opinione della maggioranza dei costituzionalisti che sostengono che si trattasse di una strada non compatibile con la Costituzione, sono, però, convinto che laddove la contingenza l'avesse resa necessaria saremmo stati costretti ad accettarla come con un'altra ed ulteriore stagione della nostra Costituzione.
La democrazia e la libertà non esistono in quanto sanciti nella Costituzione, perché di fatto le Costituzioni non esistono se non sono l'espressione del comune e profondo sentire dei popoli che le adottano. Potremmo in qualsiasi momento scrivere una Costituzione stupenda, ancora più bella della nostra, ma dovremmo poi verificarne la tenuta nel momento del concreto dispiegarsi della vita politica e dell'insieme incalcolabile delle scelte imposte dalla realtà. A tal proposito è sempre un utile insegnamento la storia della Repubblica partenopea del 1799. La lucida analisi di Vincenzo Cuoco deve essere un importante punto di riferimento allorché ci ricorda il rapporto tra verità e potere.
Non è, dunque, la Costituzione in sé con la sua bellezza o con la sua più o meno ampia elencazione di diritti l'argine al potere, ma è il rispetto dell'assetto dei poteri stesso ad essere il vero argine delle scelte politiche. Solo non violando l'equilibrio, i checks and balances, possiamo immaginare un sistema realmente in grado di tutelare i diritti fondamentali, perché come ci insegna Popper l'obiettivo non è trovare il sistema di governo che ci garantisca degli ottimi governanti, ma il sistema che impedisca a dei pessimi governanti di fare troppi danni. Infatti esiste il pericolo di una deriva autoritaria celata dietro ogni esperienza di governo democratico e non dobbiamo, quindi, mai essere troppo convinti che una Costituzione bellissima sia sufficiente a salvarci.
In conclusione, quindi, non mi sembra che un sistema di governo sia migliore di un altro per pregi o difetti suoi propri, in quanto ogni popolo, ogni territorio ed ogni tempo ha bisogno delle sue forme naturali. L'unico elemento indispensabile è evitare che nell'elaborazione di qualsiasi sistema ci sia una sorta di schizofrenia tra i suoi componenti che, poi, si vada a tramutare, all'occorrenza o di fronte a situazioni eccezionali o particolari, in un sistema privo di contrappesi dove si disconosca la separazione dei poteri e dove alcuni poteri si sentano investiti di un ruolo salvifico incompatibile con la loro natura, ma ritenuto necessario da più o meno ampi gruppi di elettori.
Anche perché la democrazia porta con sé il germe della sua fine, in quanto è ben possibile che <<se viene meno la democrazia come esigenza dello spirito pubblico, essa, in quanto regime politico, si può perfino suicidare democraticamente>>.
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21/05/2013 13:15
 
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Un ottimo intervento gius, ne condivido ampie parti. Qualche riflessione qui e lì.
Mi è piaciuto molto il riferimento al nome dei leader sulla scheda elettorale che anche io ho sottolineato a volte perché fu un clamoroso errore politico del presidente ciampi(che era un presidente tecnico) in quella sciagurata campagna elettorale del 2001 che avviò lo scardinamento della democrazia parlamentare in italia o di quello che ne era rimasto.
Lo dico io che come sai ho poca stima della nostra costituzione che trovo sostanzialmente illiberale, ma della quale chiedo l'applicazione rigorosa finché è in vita.
Invece quello fu un avallo al classico adagio italico secondo il quale se una norma non ti piace la aggiri con una furbata, l'importante è che la furbata abbia consenso.
Mi è piaciuto anche il riferimento all'adesione alla costituzione che dovrebbe essere prima un documento morale che giuridico, anche se io avrei posto di più l'accento sul tema del rapporto necessario in una democrazia rappresentativa tra costituzione e sistema politico. La costituzione è in crisi perché è venuto a mancarle l'architrave che la sorreggeva: il sistema politico che l'aveva scritta. La costituzione disciplina una repubblica che non esiste più da venti anni, sostituita da un'altra che si basa su un sistema politico e su culture politiche totalmente diverse. Questo è anche il motivo per il quale la carta pur essendo articolata, molto prescrittiva, rigida, è stata aggirata con relativa facilità adattandole qualsiasi cosa. In italia c'è una situazione per la quale se il presidente della repubblica preso dalla sindrome di Caligola nominasse uno dei cavalli delle scuderie del quirinale presidente del consiglio si potrebbe tranquillamente adattare la situazione alla costituzione.

La riflessione che si può fare è che se la ragione dell rigidità è quella di proteggere la libertà del popolo dalle maggioranze contingenti, in assenza di un chiaro sistema politico costituzionale condiviso la rigidità diventa una garanzia molto formale e, come corollario, immaginare una costituzione "migliore" in assenza di un
quadro politico definito è pura utopia.
Inoltre avrei fatto un accenno al fatto che la rigidità non può nulla in assenza di una vigilanza costituzionale forte. In questi anni le polemiche sui pdr del tipo "firma, non firma" hanno fatto dimenticare che il ruolo di difendere la costituzione spetta alla corte costituzionale la quale a mio avviso lo ha svolto malissimo.
La corte è riuscita sia a difendere male la costituzione formale, sia a non svolgere nessun ruolo di impulso o accompagnamento nella formazione della costituzione "materiale", troppo intrisa della cultura burocratica italiana si è trasformata in un centro dottrinario e lobbistico poco utile al suo ruolo.
In una prospettiva di riforma bisognerebbe pensare ad una corte molto diversa dall'attuale.

[Modificato da trixam 21/05/2013 13:17]
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23/05/2013 00:37
 
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Per Silvia Beatrice F. : la tua mail è illeggibile e quindi non possiamo comunicare: se puoi, mettiti in contatto con noi. [SM=x43812]

Per tutti gli altri, che hanno partecipato all'incontro del 14 maggio e ci hanno lasciato l'email:

Vi è stata inviata una comunicazione via mail, controllate la vostra posta elettronica.

[SM=g2725339]
24/05/2013 21:47
 
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Foto del seminario:









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26/05/2013 23:53
 
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Una discussione su Facebook
Proporzionale puro, se non ora quando? di MASSIMO VILLONE, Il Manifesto, venerdì 24 maggio 2013

Tanto tuonò che piovve. Quagliariello ha consegnato alle camere il pensiero del governo sulle riforme. Ma non è andato oltre una uggiosa pioggerellina autunnale. Apre con la necessità di riformare le istituzioni, e assembla a tal fine i luoghi comuni che da più di vent’anni infestano il pensiero degli aspiranti padri della patria. In particolare, due.
Il primo è l’affermazione che si rivede solo la seconda parte, mentre non si tocca la prima parte della Costituzione.
In realtà, è già stata ampiamente - se pure indirettamente - picconata. Basta pensare alla riforma dell’articolo 81, con l'obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, che ha come effetto collaterale quello di comprimere le risorse disponibili per la realizzazione dei diritti «a prestazione» di cui alla prima parte. O si pensa, ad esempio, che un problema come quello degli esodati non sia costituzionalmente irrilevante?
Ancora, la riforma del Titolo V, Parte II, incide pesantemente sulla Parte Prima, dando copertura costituzionale a livelli elevati di diseguaglianze territoriali. E poi, come si può seriamente dire che la Parte Prima non si tocca, quando una percentuale alta e crescente della popolazione è già, o sta scivolando, sotto la soglia di povertà?
Il secondo luogo comune è che bisogna rafforzare governabilità e stabilità, con riforme della Costituzione, dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale. L’obiettivo di fondo è che nessuno disturbi il manovratore.
Diciamo subito che il governo è debole davvero. Ma per motivi che nulla hanno a che fare con il rapporto tra esecutivo e legislativo. Sono motivi strutturali, che vanno dal rapporto con l’Europa, al trasferimento alle regioni di poteri e risorse molto consistenti, all’istituzione di numerose autorità indipendenti, alle privatizzazioni e liberalizzazioni. Tutto ciò ha tolto all’Esecutivo materia e strumenti di governo, indebolendone la capacità di formulare e attuare un indirizzo politico. Bisogna correggere tutto questo? Sì, per quanto possibile. Ma cosa c’entra il rapporto con le Camere? Proprio nulla.
Eppure, il pensiero unico punta su questo. Con risultati talora persino divertenti. Ad esempio, che differenza c’è tra il porre la questione di fiducia per stroncare gli emendamenti e l’avere regolamenti parlamentari che in vario modo limitino in radice l’emendabilità della proposta del governo? Nessuna. Il risultato è esattamente lo stesso. Alla fine, rimane in campo solo l’Esecutivo. Perché una via dovrebbe considerarsi conforme ai canoni della democrazia e l’altra no?
Qui viene la madre di tutte le soluzioni: agire sulla legge elettorale, per avere maggioranze coese e allineate dietro l’uomo al comando, e lasciando i politicamente diversi fuori della porta delle istituzioni. Nessuno sembra voler davvero imparare da Grillo. Gli si può contestare la linea politica, o la gestione incostituzionale della democrazia interna. Ma Grillo certamente dimostra che non c’è premio di maggioranza o sistema costrittivo che possa fermare la novità che avanza, quando ciò che esiste non dà risposta. Quanti Grillo vogliamo creare? Non dimentichiamo la lezione della storia. La più grande prova che le istituzioni repubblicane hanno dato è la lotta al terrorismo. La forza delle istituzioni fu la loro rappresentatività. Sarebbe stato meglio se un premio di maggioranza avesse allora ridotto la forza del Pci, aprendo la strada a governi monocolore Dc?
Quagliariello parla di complessità, velocità di decisione, modernizzazione. Poniamo invece un assioma: in un sistema democratico l’unico rasoio di Occam è la rappresentatività. Quanto più il cambiamento è rapido e profondo, tanto più c’è bisogno di condivisione. E allora bisogna aprire il sistema politico alla novità, facilitare la strada per le new entries, ridurre al minimo ostacoli e paletti. Non ridurre forzosamente la complessità, piuttosto rifondare la politica per poterla governare: questa la risposta. Se mai c’è stato un momento giusto per tornare al proporzionale poco o nulla corretto, è questo. Ed è la strada migliore - con la misura di un consenso effettivo e non nei soli numeri parlamentari - per forgiare una nuova classe dirigente. Quella che abbiamo è arrivata, con ogni evidenza, al capolinea.
Su una cosa si può essere d'accordo con il ministro: bisogna guardarsi dal conservatorismo costituzionale e dall’accanimento modellistico. Giusto. Sempre che ci guardiamo anche dalla stupidità del pensiero unico.
* * *
Il principio di realtà e il semipresidenzialismo di fatto. Una replica a Massimo Villone

Caro Massimo, ho letto il tuo articolo del 24 maggio sul Manifesto (Proporzionale puro: se non ora, quando?) e sono solo in parte d’accordo; occorre un propozionale puro, dici, perché “il rasoio di Occam” di un sistema democratico è la rappresentatività. Replico da proporzionalista e parlamentarista storico - come mi avete insegnato ad essere Gianni Ferrara, Michele Scudiero, tu, Enzo Atripaldi, Leopoldo Elia, fra gli altri - e che però deve prendere atto di una nuova fase in atto: tutti in Parlamento, sì, ma per fare poi che cosa? La rappresentatività è imprescindibile, ma un sistema democratico-rappresentativo muore, se dalla rappresentanza non si può trarre una governabilità, favorendo quindi (certo, sulla sua base) un Esecutivo omogeneo e stabile, perciò autorevole. Oggi il proporzionale puro fotograferebbe solo l’impazzimento. Che già c’è, giacché ormai il sistema costituzionale formale è fuori controllo: sono cambiate non le norme scritte sulla forma di governo (e del resto “a maglie larghe”), ma le convenzioni costituzionali Il problema non è Napolitano, la cui coscienza democratica è altissima, ma il possibile precedente che potrebbe costituire per altri. A mio avviso occorre allora dare regola a quello che ormai c’è, perché non si dia ulteriore corpo a un semipresidenzialismo di puro fatto, senza regole e controbilanciamenti adeguati. Il governo debolissimo di cui ben dici si gioverebbe di una tutela presidenziale sui macro-indirizzi politici, che ci chiede l’Europa (lo si voglia o no; ai miei studenti dico sempre che a me piace Nicole Kidman, ma ho sposato mia moglie, che per fortuna non mi sente dirlo; per dire: state attenti al principio di realtà, non ai sogni), ma beninteso formalizzata, mentre ora la si pratica lo stesso, però senza argini. Il semipresidenzialismo - se e solo se, ripeto, ben bilanciato - non è l’inferno della democrazia, né è (se così pensato) l’uomo solo al comando. Con questa formula fortunata (anche se non ne è citata da alcuno la paternità) battezzai per primo il progetto di riforma costituzionale dell’intera Parte Seconda della Costituzione, in un lontano seminario di Astrid (che poi fu un libro: “Costituzione, una riforma sbagliata”, Passigli editore), ma era prima dell’ “enlargment of functions” presidenziale e ben prima di Monti. E con il semipresidenzialismo controllato e temperato va bene un sistema elettorale per le Camere maggioritario a doppio turno: nel primo si salva la proporzionalità e però con ballottaggio a tre per ogni collegio si va anche verso la governabilità; un sistema democratico debolmente governato, ripeto, muore
SALVATORE PRISCO
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