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Te deum dei calabresi - Vinicio Capossela

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2013 15:24
03/03/2013 13:00
 
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Vinicio Capossela, nel corso del suo concerto al teatro "Rendano" di Cosenza del 17 dicembre, ha proposto a sorpresa una bellissima versione di un vecchio canto giacobino risalente alla rivoluzione napoletana del 1799, il Te Deum dei calabresi.
Scritto in un dialetto calabrese stilizzato dal poeta e pittore Gian Lorenzo Cardona, nato a Bella in Lucania nel 1743, vissuto a Napoli dove fece parte del movimento giacobino, immediatamente dopo la strage dei protagonisti della Rivoluzione napoletana attuata dall'ammiraglio inglese Nelson, il brano fa diventare una classica preghiera della liturgia cattolica una "antipreghiera" contro il potere, i potenti, la Chiesa.

Riportiamo di seguito i commenti dello studioso Bruno Chinè sul testo del brano, e il video dell'esecuzione di Capossela :
"Il Cardona, segue apparentemente la tradizione. "

Granni Deu, a tia laudamu / Ed a ti ani cunfessamu / Tu crijasti da lu nenti / Celi, Stiddi e Firmamenti; /Terri, Mari, Pisci, Auceddi, /Omu forti e donni beddi; /E pe ta summa crimienzia / Tu ni dai la pruvidenzia

I cori angelici e gli uomini tutti innalzano a Dio le loro lodi. A questo punto i versi del Cardona assumono un aspetto dissacratorio e satirico verso un Dio potente che consente che il male trionfi, premia i malvagi e sacrifica i buoni. Nel lettore si presenta l’antica domanda che troviamo per la prima volta nel libro di Giobbe: perché Dio premia i cattivi e punisce i buoni? Ma il poeta non s’interroga, si serva della satira e dell’ironia per demolire la presenza d’un Dio buono e provvidente. Cita il Vecchio e il Nuovo Testamento per demolire l’apparato teologico e dogmatico cristiano. A differenza di Arrigo Boito che fa professione di fede in un Dio crudele Cardona sembra intenzionato a demolire la stessa esistenza di Dio. Ironizza sulla promessa di salute eterna per i poveri e perseguitati; irride sulla imperscrutabilità divina. La satira diventa sarcasmo ed invettiva quando dal Re celeste si passa a quello di Napoli e ai responsabili della dura repressione dei patrioti napoletani del 1799. Il Cardona individua una delle responsabili in Lady Hamilton, la bella cortigiana di facili costumi, animatrice di feste e banchetti, centro di ogni intrigo di Corte e amante del Conte Acton prima e dell’ammiraglio Nelson dopo.

Na Srufazza furasteri / veni scalza ed alla nura ; / ‘Nu Signori Cavalieri / Ciuccia ciuccia s’innamura, /La manteni cu li cocchi; / si fa futtari da tutti / Viva Deu di Sabautti.
Il Nelson si serve proprio di Lady Emma Liona Hamilton per convincere la regina Maria Carolina a non rispettare le condizioni di resa pattuite dal cardinale Fabrizio Ruffo con i capi repubblicani assediati. Cardona scrive la seconda parte del canto nel 1800. I suoi strali, anzi il suo disprezzo è rivolto ora alla Liona, ritenuta responsabile dei patti non mantenuti.

Ma ‘na scrufa ni spugghiai, / Si pascii di carni umana, Spugghiai banchi, chiesi e chiostri; nun trattai che furii e mostri,/ Spira tossicu e binnitta, / nì li scagghi ‘na saitta.

Ridicolizza le Scritture dove affermano che Dio al termine della creazione fece l’uomo a sua immagine somiglianza.

Tu che l’omini facisti / tali e quali com’ a tia / E che dopu ti pentisti / d’avi fattu sta ginia ; /Po’ criasti li Niruni, /Li tiranni a milioni / Ed a quisti ti assumigghii? / Che beddizzi! Che cunsigghi!

Dissacra il peccato originale, la redenzione per i soli battezzati e la giustizia di Dio che trasmette la colpa d’Adamo a tutto il genere umano.

La justizia tui severa / Tutti l’omini ha futtutu. Ma ‘ntra tanti milioni / c’hai ridenti, tu pirduni / Quiddi picchi vattiati,/ Confessati…uh, che pietati

Ironizza sul popolo eletto che ha crocifisso Cristo e sull’alleanza del Trono con l’Altare per mantenere lo status quo.

Nui cridimu a tempi nostri / Che l’aletti su li mostri: / ‘Na scrufazza che ci accidi / Lazzaroni e Santafidi

Dopo avere demolito i pilastri della dottrina cristiana Cardona lancia l’affondo finale. Colpisce al cuore l’apparato dogmatico della fede cattolica, cioè il Credo, professione di fede dei cristiani.

Nui cridimu firmamenti / Che sit’unu e siti trii / Tutti trii onnipotenti, / Unu Deu non già tri Dii. / Diciarannu li marmotti, / Ch’è nu jocu a bussolotti; / Nui pirò strillami tutti; / Viva Deu di Sabautti.

Il poeta vive in un periodo di grandi rivolgimenti culturali e politici. L’alleanza del Trono con l’Altare blocca anche a Napoli ogni anelito di libertà. Il popolo ignorante e affamato sta con i Borbone anche per gli errori dei francesi e dei liberali napoletani durante la breve vita della Repubblica. Cardona sa bene che per preparare tempi nuovi occorre demolire la monarchia borbonica e quella papale. Questo è lo scopo del Te Deum scritto in dialetto per renderlo accessibile ad un popolo ancora quasi completamente analfabeta.» [SM=g2725291]
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03/03/2013 13:59
 
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"Te Deum" della Rivoluzione "Terribile e bellissimo". Sono le parole che Benedetto Croce uso' per il piu' sconvolgente inno giacobino emerso dalla rivoluzione napoletana del 1799. Si intitola "Il Te Deum de' calabresi" e sembra fosse cantato dai patrioti partenopei sulle note di una musica nientemeno che di Paisiello. A ripubblicarlo con rinnovate cure filologiche e un' ampia introduzione storica provvede ora un antropologo dell' universita' di Salerno, Domenico Scafoglio, che da anni scava nel mistero addensatosi intorno a questo singolare canto rivoluzionario. Appartenente a un genere consolidato delle letterature dialettali del Sud come la parodia degli inni religiosi (ci sono "Pater noster" siciliani contro i gesuiti e invocazioni calabresi al Padreterno contro i piemontesi), il "Te Deum" e' opera di un autore di cui non conosciamo bene l' identita' . Per Settembrini era un pittore e poeta calabrese, per Giustino Fortunato e per Croce un piccolo possidente lucano. Certo e' che pochi altri testi sono percorsi da un' analoga carica di disperato sarcasmo. Forse il "Te Deum" e' il piu' cupo fra i non numerosi inni giacobini in dialetto: ben piu' di "Passaport dj' aristocrat" del piemontese Edoardo Calvo, come di "Su patriottu sardu a sos feudatarios", la "Marsigliese sarda" di Francesco Ignazio Mannu. Il testo del "Te Deum de' Calabresi", scritto in uno stilizzato dialetto calabrese, nacque in due diversi momenti. La prima parte sembra sia stata composta nel 1787, quando cominciava a entrare in crisi il rapporto tra l' intelligencija partenopea e la corte borbonica, mentre la seconda fu probabilmente aggiunta tra il 1800 e il 1801. Qui l' antifrastica contraffazione dell' inno ecclesiastico assume un significato ben altrimenti tragico. La parodia della preghiera di ringraziamento a Dio, la piu' solenne prevista dalla liturgia cattolica, veniva infatti intonata all' indomani della carneficina che le armate del cardinale Ruffo avevano perpetrato proprio nel nome della Santa Fede.
Franco Brevini
Pagina 25
(13 settembre 1999) - Corriere della Sera
03/03/2013 14:01
 
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Re:
GiuristaCorsaro, 03/03/2013 13:59:

"Te Deum" della Rivoluzione "Terribile e bellissimo". Sono le parole che Benedetto Croce uso' per il piu' sconvolgente inno giacobino emerso dalla rivoluzione napoletana del 1799. Si intitola "Il Te Deum de' calabresi" e sembra fosse cantato dai patrioti partenopei sulle note di una musica nientemeno che di Paisiello. A ripubblicarlo con rinnovate cure filologiche e un' ampia introduzione storica provvede ora un antropologo dell' universita' di Salerno, Domenico Scafoglio, che da anni scava nel mistero addensatosi intorno a questo singolare canto rivoluzionario. Appartenente a un genere consolidato delle letterature dialettali del Sud come la parodia degli inni religiosi (ci sono "Pater noster" siciliani contro i gesuiti e invocazioni calabresi al Padreterno contro i piemontesi), il "Te Deum" e' opera di un autore di cui non conosciamo bene l' identita' . Per Settembrini era un pittore e poeta calabrese, per Giustino Fortunato e per Croce un piccolo possidente lucano. Certo e' che pochi altri testi sono percorsi da un' analoga carica di disperato sarcasmo. Forse il "Te Deum" e' il piu' cupo fra i non numerosi inni giacobini in dialetto: ben piu' di "Passaport dj' aristocrat" del piemontese Edoardo Calvo, come di "Su patriottu sardu a sos feudatarios", la "Marsigliese sarda" di Francesco Ignazio Mannu. Il testo del "Te Deum de' Calabresi", scritto in uno stilizzato dialetto calabrese, nacque in due diversi momenti. La prima parte sembra sia stata composta nel 1787, quando cominciava a entrare in crisi il rapporto tra l' intelligencija partenopea e la corte borbonica, mentre la seconda fu probabilmente aggiunta tra il 1800 e il 1801. Qui l' antifrastica contraffazione dell' inno ecclesiastico assume un significato ben altrimenti tragico. La parodia della preghiera di ringraziamento a Dio, la piu' solenne prevista dalla liturgia cattolica, veniva infatti intonata all' indomani della carneficina che le armate del cardinale Ruffo avevano perpetrato proprio nel nome della Santa Fede.
Franco Brevini
Pagina 25
(13 settembre 1999) - Corriere della Sera



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03/03/2013 14:05
 
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Osservazione personale e laica:

Troppo facile prendersela col Padreterno come alibi alla stupidità umana.
03/03/2013 14:20
 
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Re:
GiuristaCorsaro, 03/03/2013 14:05:

Osservazione personale e laica:

Troppo facile prendersela col Padreterno come alibi alla stupidità umana.




Io l'ho postata e sono molto credente, quoto ciò che dici, però credo bisogna calarla sempre nel contesto in cui viene scritta. Prima si decapitava, si impiccava nel nome di Dio. Purtroppo ciò ha causato un grosso rifiuto della religione cattolica, soprattutto da parte di chi voleva semplicemente essere libero e non sottostare al potere di tipo assolutistico. [SM=x43813]
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03/03/2013 14:32
 
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Re: Re:
Niña de Luna, 03/03/2013 14:20:




Io l'ho postata e sono molto credente, quoto ciò che dici, però credo bisogna calarla sempre nel contesto in cui viene scritta. Prima si decapitava, si impiccava nel nome di Dio. Purtroppo ciò ha causato un grosso rifiuto della religione cattolica, soprattutto da parte di chi voleva semplicemente essere libero e non sottostare al potere di tipo assolutistico. [SM=x43813]




Figurati, la mia osservazione era sganciata dal sarcasmo del testo del perzzo, che trovo bello e molto attuale anche.
Mi riferivo piuttosto ad un certo modo di fare italico incapace di cambiare le cose "storte", cercando un alibi sempre altrove.
03/03/2013 15:24
 
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Re: Re: Re:
GiuristaCorsaro, 03/03/2013 14:32:




Figurati, la mia osservazione era sganciata dal sarcasmo del testo del perzzo, che trovo bello e molto attuale anche.
Mi riferivo piuttosto ad un certo modo di fare italico incapace di cambiare le cose "storte", cercando un alibi sempre altrove.




Assolutamente d'accordo!! Quoto anche le virgole. [SM=g2725291]
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