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De Magistris e il diritto all'insolevenza...

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2012 21:37
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24/11/2012 21:31
 
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... mentre procede all'assunzione di centinaia di nuovi dipendenti!

Da Il Mattino.

Il sindaco: «Non pago i vecchi debiti»
Appello per il diritto all'insolvenza



di Luigi Roano


NAPOLI - «Appello per il diritto all’insolvenza». Primo firmatario il sindaco Luigi de Magistris, secondo il costituzionalista e assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli. Non significa non pagare i creditori ma opporsi alla politica finanziaria che tende a far pagare il debito pubblico ai cittadini attraverso l’aumento delle tasse. Una sfida, sindaco e assessore chiedono un «audit» per esaminare i conti, rifiutano l’idea di dover pagare un disavanzo generato da altri e si appellano alla Costituzione e a sentenze che in materia sono tante. Intanto la questione del debito, dei mancati trasferimenti da parte dello Stato e con il conseguente aumento della pressione tributaria sono testimoniate anche dalla relazione dei Revisori dei conti, che oltre a confermare il disavanzo da 874 milioni sottolineano questo aspetto.

Nel 2011 - per esempio, causa spending review e tagli dello Stato - l’autonomia finanziaria del Comune è schizzata all’87 per cento. Vale a dire che lo Stato contribuisce solo per il 13 per cento alla formazione di queste entrate. Così la pressione tributaria pro capite passa da 540,44 euro per ciascun napoletano alla bellezza di 1026,57 ovvero il doppio.

Dati da brivido: «Il giudizio tranchant dei revisori è su chi ci ha lasciato 850 milioni di disavanzo e un miliardo e mezzo di debiti». Ieri comunque giornata molto impegnativa su questo fronte perché la giunta a approvato l’assestamento di bilancio (ci sono 45 milioni di debiti fuori bilancio) e soprattutto la delibera di proposta al Consiglio per rientrare nel piano di riequilibrio proposto dal governo, il famigerato decreto salva-Comuni. Come dire che Palazzo San Giacomo è pronto a cogliere l’occasione di introitare i 200 milioni di anticipazione di cassa che potrebbero arrivare da Palazzo Chigi.

Torniamo all’appello, nel quale si fa esplicito riferimento a come si è superata la crisi in Argentina: «L’accumulazione del debito pubblico - si legge - penalizza fortemente i cittadini che si trovano a colmare il disavanzo attraverso il prelievo fiscale, la contrazione dei livelli occupazionali e l’annullamento del welfare municipale. Con questo appello si vuole riconoscere il diritto degli enti locali all’insolvenza quale diritto, per le generazioni future, a non ereditare un disavanzo pubblico sproporzionato».

Quindi si entra nel merito della questione. «Non ci riteniamo responsabili dei debiti pubblici contratti da esecutivi precedenti, in condizioni che di fatto sfuggivano al loro controllo. Su modello di quanto indicato dal Comitato per l’annullamento del debito nel Terzo Mondo, la richiesta di un audit dei prestiti pubblici deve andare di pari passo con una moratoria unilaterale del pagamento del debito, senza accumulazione di interessi per ritardi. L’audit, ha come obiettivo quello di identificare i fattori che caratterizzano il debito come illegittimo, e quelli che giustificano o impongono il rimborso, anche parziale, ad alcune categorie di creditori».

Quindi la questione dei comuni: «Per quanto riguarda i debiti contratti dagli enti locali, per far fronte all’ordinaria amministrazione, in particolare, alla spesa sociale, l’imposizione di un’eccessiva tassazione e la progressiva riduzione dei trasferimenti annullano di fatto i principi di sussidiarietà che avevano ispirato la riforma del titolo V della Costituzione, oltre agli stessi valori di coesione e giustizia sociale che sono alla base del Trattato di Lisbona». Sui rischi del non pagare questa la soluzione proposta: «Nel caso di insolvenza, le possibili soluzioni sono quelle della ristrutturazione del debito o l’estinzione dell’obbligazione per causa non imputabile al debitore, articolo 1256 del codice civile».

Nell’appello sindaco e costituzionalista precisano: «Da un punto di vista giuridico è possibile rivendicare, da parte degli enti locali, il diritto delle generazioni future e quindi il diritto all’insolvenza, soprattutto nei casi in cui i piani di rientro comportino compressione o negazione dei diritti e dei servizi pubblici». Infine la richiesta all’esecutivo: «Per queste ragioni, a fronte di un Governo che ci ha finora ingannato chiediamo il riesame del fiscal compact attraverso la revisione dell’articolo 81 della Costituzione e della spending review, evitando che il pareggio di bilancio e la riduzione del disavanzo pubblico producano effetti recessivi, e soprattutto la distruzione dello Stato sociale».

La sostanza della questione è che concretamente per attuare questo programma bisognerà sforare il patto di stabilità. Serviranno delibere «costituzionalmente creative» come ripetono da Palazzo San Giacomo alle quali già si sta lavorando. Sulla scorta di sentenze della Corte dei conti e della Corte costituzionale. Nelle quali per esempio si stabilisce chi pagare esulando dal cronologico: «Esiste la necessità di una risposta senza indugio a situazioni che possono pregiudicare beni della vita particolarmente qualificati, la vita stessa, la salute, la sicurezza della persona ed il Comune deve agire conseguentemente a tutela di tali interessi».





Sabato 24 Novembre 2012






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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24/11/2012 21:33
 
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Da Il Corriere del Mezzogiorno.

Il comune di napoli «È incapace di riscuotere»

«Nelle casse ci sono 27 milioni, bastano
per pagare solo gli stipendi di novembre»

Il revisore dei conti, Battaglia: «Questo municipio è a un punto di non ritorno. C'è un disavanzo di 850 milioni
a cui vanno aggiunti 1,4 miliardi delle partecipate»

di MARCO DEMARCO

NAPOLI — «Nelle casse del Comune di Napoli ci sono solo 27 milioni, quanto basta per pagare gli stipendi di novembre e nulla più. Nel frattempo sono stati già utilizzati 339 milioni di anticipazioni del Banco di Napoli; è stata già impegnata l’intera terza rata dei trasferimenti statali; e il gettito Imu del prossimo dicembre è stato già destinato a coprire i mutui in scadenza a fine anno».
Gianluca Battaglia, insieme con Gabriela Napoli, ha curato la relazione dei Revisori al Rendiconto della gestione per l’esercizio 2011 del Comune di Napoli.
Allora, dottor Battaglia, cosa ci dicono questi dati?
«Che a Napoli siamo a un punto di non ritorno, perché la spesa corrente è certa e le entrate sono incerte; perché il costo del personale è altissimo e tende a essere sempre più alto; perché l’amministrazione paga ormai a distanza di cinque anni dalle forniture, e ciò costituisce un duro colpo all’economia complessiva della città; e perché al disavanzo di oltre 850 milioni del Comune bisogna aggiungere il debito di un miliardo e 400 milioni accumulato dalle aziende partecipate, le quali, se questi soldi non li troveranno, e sarà difficile trovarli, dovranno essere sostenute dallo stesso Comune».

Un quadro nero. C’è dell’altro?
«Aggiunga che ci sono società partecipate che non hanno ancora presentato i loro bilanci e che manca ancora un bilancio consolidato di tutte le aziende partecipate, cioè un quadro di insieme dei costi e dei ricavi. Non solo. Tenga presente che quando Bassolino andò al governo della città, nel ’93, ci andò dopo un dissesto, dunque a conti azzerati. Ciò vuol dire che in diciannove anni siamo quasi al punto di partenza».

Nella sua relazione a proposito delle partecipate, lei parla di «scostamento» di circa 60 milioni di euro tra gli impegni di spesa nel bilancio del Comune e i crediti vantati dalle partecipate. È fisiologico tutto ciò?
«Per nulla». Che fine hanno fatto questi soldi? «Non so che dirle. Non ci sono giustificazioni. So però che è una incongruenza contabile». E come la definirebbe lei una contabilità di questo tipo? «Una contabilità non lineare».

Quali sono, a suo giudizio, le aziende partecipate del Comune più esposte, più a rischio dal punto di vista dei bilanci?
«Bagnolifutura, Metronapoli e l’Asìa, che sono le più indebitate. Per quanto riguarda Bagnolifutura, le perdite hanno già eroso tutto il capitale. E Asìa ha anche 2.200 dipendenti la cui età media è di oltre 56 anni. Ma naviga in cattive acque anche la Mostra d’Oltremare, che da cinque anni è in perdita».

Veniamo agli oltre 850 milioni di euro di disavanzo del Comune. Cosa ci dice questa cifra?
«Che bisogna fare i conti con una drammatica incapacità di riscossione da parte del Comune per quanto riguarda tutte le poste di entrata corrente, vale a dire quelle tributarie, le infrazioni al codice della strada o i fitti attivi. In generale, si nota che a Napoli le riscossioni crollano una volta passati 16-18 mesi dalla notifica».

E questo cosa vuol dire?
«Semplicemente, che una volta provveduto alla notifica il Comune non si preoccupa più di nulla. Mancano controlli e strutture adeguati. Si fa affidamento unicamente alla buona volontà dei napoletani. E meno male che, contrariamente al luogo comune, il 70 per cento dei residenti paga quel che deve. Paga, di conseguenza, anche per quelli che non lo fanno».

È la Waterloo della lotta all’evasione?
«Direi che è la conseguenza dell’insuccesso di tutte le azioni poste in essere per contrastare l’evasione e l’elusione».

Sempre nella sua relazione lei ricorda che i revisori dei conti hanno più volte sollecitato l’amministrazione a bloccare la spesa corrente, limitandola ai soli servizi indispensabili. Vuol dire che il Comune doveva astenersi dal fare nuove assunzioni?
«Sì, a mio avviso non c’erano le condizioni per nuove assunzioni, perché da tempo la procura della Corte di conti ha avvertito il Comune che la spesa per il personale era fuori controllo, ed era già oltre cioè quel 50 per cento della spesa corrente che ne determina il limite. Attualmente è al 53,7 per cento e tende a crescere». All’inizio di quest’anno il Comune ha assunto 350 netturbini. Poteva farlo? «Direi di no. In ogni caso, sarebbe stato utile essere molto prudenti».

E tuttavia, proprio in queste ore il Comune sta assumendo centinaia di maestre. Nonostante l’altolà dell’ex city-manager.
«Già».

Tutto ciò la preoccupa?
«Mi lasci dire che Napoli è una città in cui i costi per il personale non sono più sostenibili. Abbiamo un dipendente comunale, calcolando anche quelli delle partecipate, ogni 45 abitanti, bambini e anziani compresi. Non credo si possa continuare a gonfiare questo capitolo di spesa».

Eppure lei conferma nella sua relazione che il Comune ha già sforato il patto di stabilità per oltre 55 milioni. Che conseguenze comporterà tutto ciò?
«Un taglio rilevante nei prossimi trasferimenti da parte dello Stato».

Quali possono essere le vie di uscita?
«Per quanto riguarda il personale, credo che bisognerebbe agire nel pieno rispetto della dignità dei lavoratori, ma prefigurando un esodo controllato. Poi ci si dovrebbe preoccupare della gestione del patrimonio».

Ma come? Il Comune sembra essere soddisfatto per il piano di dismissioni gestito dalla «Romeo», non è così?
«È così, ma quel piano prevede acquisti dilazionati nel tempo. Parliamo di decenni. Inoltre si tenga presente che il Comune è proprietario di 27.000 unità abitative, la cui manutenzione, ordinaria o straordinaria, al netto dei fitti riscossi, costa circa 13 milioni».

E allora?
«L’amministrazione potrebbe vendere le cosiddette aziende di valorizzazione, come Bagnolifutura, le Terme di Agnano e la Mostra d’Oltremare. E potrebbe vendere, ancora, parte del proprio patrimonio dopo averlo valorizzato e reso dunque appetibile per il mercato».

Concludendo, lei sostiene che c’è una sola alternativa alla dichiarazione di dissesto e cioè l’adesione al piano del governo. In effetti, ieri sera, la giunta comunale ha deliberato di aderire al piano Monti. Cosa ciò comporta?
«Entro il 30 novembre è convocato il consiglio comunale di Napoli. In quell’occasione dovrà accettare con un voto la proposta della giunta. A quel punto il Comune avrà sessanta giorni di tempo per comunicare alla Corte di conti come intende ripianare il bilancio. Dovrà cioè indicare cosa vuole dismettere e quando; quali tagli alla spesa vorrà effettuare; quali aliquote alzare per quanta riguarda la tassazione locale. Se il piano sarà ritenuto credibile, e ripeto credibile, arriverà il contributo stabilito dal governo».

Redazione online 24 novembre 2012






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24/11/2012 21:37
 
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Sempre da Il Corriere del Mezzogiorno.

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De Magistris: «No al fanatismo
legalitario e all’ottuso formalismo»

Il primo cittadino: «Lo stiamo facendo senza l’aiuto di nessuno, governo compreso, costretti ad aderire ad un piano “ammazza comuni” per evitare il dissesto»

Ecco cosa scrive il sindaco Luigi de Magistris sul suo profilo Facebook circa la situazione finanziaria del Comune di Napoli e sull'uscita dalla condizione di dissesto in cui si trova.
«Questa amministrazione ha realizzato un’operazione verità relativa alle casse del Comune dopo anni di ‘oscurantismo finanziario’. Abbiamo scelto la strada della trasparenza ed abbiamo fotografato un quadro finanziario drammatico: 800 milioni di disavanzo e un miliardo e mezzo di debito. Una eredità pesante, pesantissima. Nonostante questo, secondo il “pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà”, stiamo lavorando ventre a terra per superare questa condizione, aggravata da una crisi senza precedenti che sta strozzando il paese e che sta determinando politiche di austerità e sospensione dello stato democratico (introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e adesione al fiscal compact, cancellazione del Contratto nazionale di lavoro e della democrazia in fabbrica, solo per fare qualche esempio). Stiamo cercando di superare tale dramma garantendo sempre i diritti dei cittadini e non toccando, ad esempio, le politiche sociali e i livelli occupazionali. Lo stiamo facendo senza l’aiuto di nessuno, governo compreso, costretti ad aderire ad un piano “ammazza comuni” per evitare il dissesto. Un piano rispetto al quale continuiamo a chiedere un cambio di rotta, così come chiediamo un cambio di rotta sul piano nazionale schierandoci a fianco degli studenti e dei lavoratori oggi in piazza contro il governo. Lo stiamo facendo evitando ricadute sui diritti primari dei cittadini, addirittura rispettando il patto di stabilità e, lunedì, approveremo in giunta il piano di razionalizzazione, efficientamento e contenimento della spesa delle società partecipate. Stiamo difendendo i diritti essenziali perché crediamo, da amministratori, che esista un solo ed unico riferimento: l’osservanza della Costituzione che indica nella scuola, nell’ambiente, nella sicurezza una frontiera democratica invalicabile. Stiamo facendo tutto questo, rispettando le leggi e la Costituzione. Per questo siamo stanchi di ascoltare le reprimende pilatesche di quanti si nascondono dietro il fanatismo legalitario e l’ottuso formalismo a danno dei diritti e della qualità di vita degli esseri umani in carne ed ossa e che, spesso da condizione manageriale, pontificano senza umanità dimenticando che la giustizia sociale è l’unico obiettivo di un buon amministratore. Siamo stanchi di ascoltare le false espressioni di sorpresa da parte di quanti avevano l’obbligo di evitare che si arrivasse a questo quadro finanziario, perché avrebbero dovuto agire oppure controllare. Siamo stanchi che, anche da Roma, l’unico segnale giunto sia quello ricattatorio: commissariare, di fatto, i comuni per scaricare su di loro le incapacità di rispondere alla crisi. Scaricare proprio su quei cittadini e quei sindaci che rappresentano l’unica vera forma democratica esistente, soprattutto su quelle amministrazioni che hanno ereditato e non provocato il dramma finanziario. Per questo, lo dico da sindaco che ha coscienza di indossare la fascia tricolore, mi schiero a difesa dei cittadini e degli studenti e dei lavoratori della mia città e del paese. Contro i governi dei finti tecnici che in realtà fanno politica, una politica dei poteri forti, delle autorità finanziarie sovranazionali, della sospensione delle garanzie democratiche.

Redazione online 24 novembre 2012






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