Da Il Corriere del Mezzogiorno.
Il comune di napoli «È incapace di riscuotere»
«Nelle casse ci sono 27 milioni, bastano
per pagare solo gli stipendi di novembre»
Il revisore dei conti, Battaglia: «Questo municipio è a un punto di non ritorno. C'è un disavanzo di 850 milioni
a cui vanno aggiunti 1,4 miliardi delle partecipate»
di MARCO DEMARCO
NAPOLI — «Nelle casse del Comune di Napoli ci sono solo 27 milioni, quanto basta per pagare gli stipendi di novembre e nulla più. Nel frattempo sono stati già utilizzati 339 milioni di anticipazioni del Banco di Napoli; è stata già impegnata l’intera terza rata dei trasferimenti statali; e il gettito Imu del prossimo dicembre è stato già destinato a coprire i mutui in scadenza a fine anno».
Gianluca Battaglia, insieme con Gabriela Napoli, ha curato la relazione dei Revisori al Rendiconto della gestione per l’esercizio 2011 del Comune di Napoli.
Allora, dottor Battaglia, cosa ci dicono questi dati?
«Che a Napoli siamo a un punto di non ritorno, perché la spesa corrente è certa e le entrate sono incerte; perché il costo del personale è altissimo e tende a essere sempre più alto; perché l’amministrazione paga ormai a distanza di cinque anni dalle forniture, e ciò costituisce un duro colpo all’economia complessiva della città; e perché al disavanzo di oltre 850 milioni del Comune bisogna aggiungere il debito di un miliardo e 400 milioni accumulato dalle aziende partecipate, le quali, se questi soldi non li troveranno, e sarà difficile trovarli, dovranno essere sostenute dallo stesso Comune».
Un quadro nero. C’è dell’altro?
«Aggiunga che ci sono società partecipate che non hanno ancora presentato i loro bilanci e che manca ancora un bilancio consolidato di tutte le aziende partecipate, cioè un quadro di insieme dei costi e dei ricavi. Non solo. Tenga presente che quando Bassolino andò al governo della città, nel ’93, ci andò dopo un dissesto, dunque a conti azzerati. Ciò vuol dire che in diciannove anni siamo quasi al punto di partenza».
Nella sua relazione a proposito delle partecipate, lei parla di «scostamento» di circa 60 milioni di euro tra gli impegni di spesa nel bilancio del Comune e i crediti vantati dalle partecipate. È fisiologico tutto ciò?
«Per nulla». Che fine hanno fatto questi soldi? «Non so che dirle. Non ci sono giustificazioni. So però che è una incongruenza contabile». E come la definirebbe lei una contabilità di questo tipo? «Una contabilità non lineare».
Quali sono, a suo giudizio, le aziende partecipate del Comune più esposte, più a rischio dal punto di vista dei bilanci?
«Bagnolifutura, Metronapoli e l’Asìa, che sono le più indebitate. Per quanto riguarda Bagnolifutura, le perdite hanno già eroso tutto il capitale. E Asìa ha anche 2.200 dipendenti la cui età media è di oltre 56 anni. Ma naviga in cattive acque anche la Mostra d’Oltremare, che da cinque anni è in perdita».
Veniamo agli oltre 850 milioni di euro di disavanzo del Comune. Cosa ci dice questa cifra?
«Che bisogna fare i conti con una drammatica incapacità di riscossione da parte del Comune per quanto riguarda tutte le poste di entrata corrente, vale a dire quelle tributarie, le infrazioni al codice della strada o i fitti attivi. In generale, si nota che a Napoli le riscossioni crollano una volta passati 16-18 mesi dalla notifica».
E questo cosa vuol dire?
«Semplicemente, che una volta provveduto alla notifica il Comune non si preoccupa più di nulla. Mancano controlli e strutture adeguati. Si fa affidamento unicamente alla buona volontà dei napoletani. E meno male che, contrariamente al luogo comune, il 70 per cento dei residenti paga quel che deve. Paga, di conseguenza, anche per quelli che non lo fanno».
È la Waterloo della lotta all’evasione?
«Direi che è la conseguenza dell’insuccesso di tutte le azioni poste in essere per contrastare l’evasione e l’elusione».
Sempre nella sua relazione lei ricorda che i revisori dei conti hanno più volte sollecitato l’amministrazione a bloccare la spesa corrente, limitandola ai soli servizi indispensabili. Vuol dire che il Comune doveva astenersi dal fare nuove assunzioni?
«Sì, a mio avviso non c’erano le condizioni per nuove assunzioni, perché da tempo la procura della Corte di conti ha avvertito il Comune che la spesa per il personale era fuori controllo, ed era già oltre cioè quel 50 per cento della spesa corrente che ne determina il limite. Attualmente è al 53,7 per cento e tende a crescere». All’inizio di quest’anno il Comune ha assunto 350 netturbini. Poteva farlo? «Direi di no. In ogni caso, sarebbe stato utile essere molto prudenti».
E tuttavia, proprio in queste ore il Comune sta assumendo centinaia di maestre. Nonostante l’altolà dell’ex city-manager.
«Già».
Tutto ciò la preoccupa?
«Mi lasci dire che Napoli è una città in cui i costi per il personale non sono più sostenibili. Abbiamo un dipendente comunale, calcolando anche quelli delle partecipate, ogni 45 abitanti, bambini e anziani compresi. Non credo si possa continuare a gonfiare questo capitolo di spesa».
Eppure lei conferma nella sua relazione che il Comune ha già sforato il patto di stabilità per oltre 55 milioni. Che conseguenze comporterà tutto ciò?
«Un taglio rilevante nei prossimi trasferimenti da parte dello Stato».
Quali possono essere le vie di uscita?
«Per quanto riguarda il personale, credo che bisognerebbe agire nel pieno rispetto della dignità dei lavoratori, ma prefigurando un esodo controllato. Poi ci si dovrebbe preoccupare della gestione del patrimonio».
Ma come? Il Comune sembra essere soddisfatto per il piano di dismissioni gestito dalla «Romeo», non è così?
«È così, ma quel piano prevede acquisti dilazionati nel tempo. Parliamo di decenni. Inoltre si tenga presente che il Comune è proprietario di 27.000 unità abitative, la cui manutenzione, ordinaria o straordinaria, al netto dei fitti riscossi, costa circa 13 milioni».
E allora?
«L’amministrazione potrebbe vendere le cosiddette aziende di valorizzazione, come Bagnolifutura, le Terme di Agnano e la Mostra d’Oltremare. E potrebbe vendere, ancora, parte del proprio patrimonio dopo averlo valorizzato e reso dunque appetibile per il mercato».
Concludendo, lei sostiene che c’è una sola alternativa alla dichiarazione di dissesto e cioè l’adesione al piano del governo. In effetti, ieri sera, la giunta comunale ha deliberato di aderire al piano Monti. Cosa ciò comporta?
«Entro il 30 novembre è convocato il consiglio comunale di Napoli. In quell’occasione dovrà accettare con un voto la proposta della giunta. A quel punto il Comune avrà sessanta giorni di tempo per comunicare alla Corte di conti come intende ripianare il bilancio. Dovrà cioè indicare cosa vuole dismettere e quando; quali tagli alla spesa vorrà effettuare; quali aliquote alzare per quanta riguarda la tassazione locale. Se il piano sarà ritenuto credibile, e ripeto credibile, arriverà il contributo stabilito dal governo».
Redazione online 24 novembre 2012
Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.