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Elezioni americane

Ultimo Aggiornamento: 08/11/2012 19:43
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GARY JOHNSON, IL LIBERTARIAN PARTY CHE GUARDA ALLA PRESIDENZA AMERICANA

Published by leonardofaccoeditore on 20 luglio 2012 | 11 Responses

DI STEFANO MAGNI

Chi sono i candidati alla presidenza degli Stati Uniti? Barack Obama e Mitt Romney, pensano tutti. Errore. C’è un terzo candidato sempre meno trascurabile: Gary Johnson, del Partito Libertario, l’unica forza politica che mira a ridurre lo Stato ai minimi termini. Due volte governatore del New Mexico, ex candidato alle primarie repubblicane e ora alla testa del terzo partito d’America, Johnson è un caso più unico che raro di candidato minoritario che, invece di sparire, attrae maggiore attenzione man mano che procede la campagna elettorale. Completamente ignorato dai media, sotto-finanziato ed escluso dai sondaggi, ora iniziano a parlarne anche riviste politiche prestigiose come la National Review (che lo massacra) e Politico (che lo considera un candidato degno di nota). I libertari americani iniziano a prenderne atto. Finora il loro unico punto di riferimento era stato Ron Paul, all’interno del Partito Repubblicano, pronto a sfidare sino in fondo il candidato ufficiale della destra, Mitt Romney.

Che cosa ha determinato questo cambiamento di percezione? La pubblicazione di un primo sondaggio, effettuato da Jz Analytics/Washington Times, in cui il nome di Gary Johnson appare al fianco di quello degli altri due candidati. Emerge che il 43,6% voterebbe Obama, il 38% Romney e il 5,3% il terzo incomodo libertario (gli altri sono indecisi o non rispondono). Il dato è molto rilevante, considerando che, nello stesso rilevamento, togliendo il nome di Johnson, si hanno questi risultati: il 44,9% voterebbe Obama e il 42,1% Romney, riducendo fortemente il margine fra i due. In pratica, a livello nazionale, è Johnson fa la differenza a scapito del candidato repubblicano. A livello locale, invece, nel New Mexico l’ex governatore sta portando via consensi a Obama. Nel sondaggio più recente, di Public Policy Polling, il margine fra il presidente democratico e il suo sfidante repubblicano si è ridotto da 15 a 5 punti dall’inizio dell’anno ad oggi. Analizzando il flusso delle preferenze, risulta che una parte dell’elettorato di sinistra sia confluita nel voto libertario, che mantiene un dignitoso 13%.

Come mai il libertarismo erode consensi sia a sinistra che a destra? Gary Johnson promette di non imbarcare gli Stati Uniti in altri conflitti all’estero e di tagliare del 43% il budget della difesa. E questo piace alla sinistra progressista, anche quella delusa da una politica troppo muscolare (rispetto alle promesse) di Barack Obama. Nel programma libertario c’è un impegno preciso a porre fine alla guerra alla droga, costosa e inutile nei risultati. E anche qui, è l’elettore di sinistra ad esserne attratto. Ma nell’agenda del terzo partito c’è anche un drastico taglio, di 1.400 miliardi di dollari pubblici. E quest’ultimo punto, certamente, può attrarre tutti quei conservatori che vogliono ridurre il peso del governo federale e non credono che Mitt Romney lo voglia fare seriamente.

La strategia “terzista” di Johnson, tuttora non è quella favorita dai libertari. La politica finora preferita è quella di Ron Paul: cercare di conquistare spazio all’interno del Partito Repubblicano, più permeabile alle idee del libertarismo rispetto a quello Democratico. Ron Paul ha partecipato fino all’ultimo voto alle elezioni primarie dei repubblicani ed ora mira a continuare la sua battaglia fino alla convention di Tampa, dove verrà ufficialmente investito il candidato alla presidenza. Finora, Paul ha resistito alla tentazione di fondare un terzo partito. Anche se molto difficilmente i suoi elettori voteranno Romney, per alcuni, semplici, motivi: il candidato repubblicano è identificato come un esponente del “crony capitalism”, il capitalismo colluso col governo, da quando si è detto d’accordo con il piano di aiuti statali alle banche nel 2008 (non lo ha votato, perché non era al Congresso, ma dichiara di approvarlo); nello stato di cui era governatore, il Massachusetts, ha alzato le tasse; sempre nel suo stato ha varato una riforma statalista della sanità analoga a quella lanciata da Obama su scala nazionale; ha sempre sostenuto la guerra alla droga; si è più volte detto favorevole a severe restrizioni alla libertà di portare armi. Tutti questi sono peccati mortali per ogni libertario che si rispetti. Perché sono inaccettabili ingerenze dello stato nelle scelte di vita (personale ed economica) dei cittadini. Di qui la scelta di Ron Paul di non dare un suo sostegno aperto a Mitt Romney. Tuttavia Paul resta (finora) nello stesso Partito Repubblicano. Di qui nasce la seconda possibilità: spostare il voto su una terza forza. Ed è questo il motivo della crescita di attenzione per Gary Johnson.

Comunque vada, quelle del 2012 sono le prime elezioni presidenziali in cui il voto libertario ha un grande peso specifico. L’unico “terzo candidato” che si ricordi nella storia recente era Ross Perot: proponeva più Internet e democrazia partecipativa, come Beppe Grillo da noi, e prese il 19% dei voti nelle presidenziali del 1992. Esattamente venti anni dopo, una parte sempre più consistente e visibile di americani dimostra di non sapere che farsene delle promesse di uno Stato “più onesto” e “più democratico”. Vuole semplicemente: meno Stato. E’ questa la domanda che è alla base del più moderato Tea Party, del più radicale movimento di Ron Paul e ora anche del “terzista” Johnson: lo Stato ha già fatto abbastanza disastri, ora è meglio che si faccia da parte.
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