Una replica a un'intervista di Biagio De Giovanni al Corriere del Mezzogiorno del 6 maggio

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2
(pollastro)
00venerdì 4 maggio 2012 00:35
Dal professore Prisco, che mi prega di postare, in anticipazione per i lettori del forum

Caro direttore, confesso che - sommerso come sono dai libri che mi arrivano in continuazione sulla scrivania, ma anche da presenti difficoltà personali di vita - mi era sfuggita l’ultima fatica di Biagio De Giovanni, Sentieri interrotti. Lettere sul Novecento, pubblicata qualche mese fa dalla sempre attentissima Dante&Descartes di Raimondo Di Majo. Grazie a te del richiamo di attenzione, con l’intervista all’autore e la pubblicazione di uno stralcio del volume, giacché questo mi permetterà di rimediare.
Seguendo da tempo il filosofo, non mi stupisce la sua esplicita presa di distanza dal marxismo, che davo anzi da tempo per scontata. Il suo percorso è, in tale esito, anche quello di un altro padre nobile della sinistra italiana, come fu Lucio Colletti. Devo anzi dire che di entrambi mi commuove l’entusiasmo da giovani ricercatori nel rimettersi in gioco, quando invece avrebbero ancora potuto lucrare onori e riconoscimenti, capitalizzando e amministrando pigramente meditazioni e pagine giovanili o della maturità. Quest’ansia di sempre nuova e aperta analisi critica, alla fine, è un segno di inquietudine e di onestà intellettuale che li onora.
Condivido (io che mi sono sempre mosso ai margini dei grandi sistemi di pensiero, amandone piuttosto le fratture, le linee di tensione, le aperture alla vita, che con la sua mobilità fa giustizia di granitiche coerenze esibite e ne disvela invece le debolezze) il fastidio per le grandi sintesi organiche di riflessione. Capisco anche l’addio a Gramsci, che del resto - a dare retta a una recente ricostruzione storica, peraltro oggetto di dibattito - confessò in carcere alla cognata Tatiana analoghe tentazioni di congedo dal mondo ideale comunista, avendone misurato - secondo tale ridisegno - il fallimento. Interpreto anch’io la globalizzazione come una gigantesca fase, tra l’altro, di riequilibrio geopolitico ed economico, in cui i Paesi detti in acronimo Brics, giunti ad un maggiore benessere, presentano il conto al mondo finora sviluppato, cioè agli sventati Stati Uniti d’America e all’estenuata Europa, entrambi colpevoli di avere vissuto oltre le loro possibilità e di avere provato finché era possibile a rinviare il redde rationem e a rovesciare sugli altri i loro guai.
Della epocale crisi economica e di orientamento generale che ci avvolge deve tuttavia pur prendersi atto anche dalle nostre parti e provare ad uscirne, altro che “rifiuto delle drammatizzazioni della Storia”, come scrivi, attribuendo questa conclusione all’attuale fase cogitativa di De Giovanni. C’è gente che si ammazza, come capitò del resto dopo il ’29 e mi si consentirà di notare che la dichiarazione del Presidente Monti, secondo la quale - quanto a statistiche dei suicidi - stiamo comunque meglio della Grecia, non gli fa certo onore.
Mi sembra insomma l’ora di rimettere in discussione il vicolo cieco in cui siamo finiti. Il socialismo reale è «un Dio che è fallito», come sosteneva Arthur Koestler, ma il capitalismo finanziario non sta certo in migliore salute. Senza quindi stare troppo a filosofare sulla storia e con la dovuta umiltà, dopo avere preso nota di errori e fallimenti, penso che dovremmo comunque ripensare alla vanità e alla dis-umanità di un modello di sviluppo che si basa sul continuo aumento della produzione e del consumo e che forse sia venuto il momento di costruire un’organizzazione inedita di socialità e di solidarietà tra le persone, e - rispetto ai pubblici poteri - di sussidiarietà cooperativa e di mutuo aiuto, nonché prospettive - se non di “decrescita” - quantomeno di rallentamento controllato dello sviluppo, se valutato in termini puramente ragionieristici. Oltre alle merci e al loro valore economico, vivaddio, nell’esistenza umana c’è ben di più.
Personalmente chiamo questo obiettivo (al netto di uno statalismo e di un giacobinismo che non mi hanno mai sedotto) come un bisogno di rinnovato socialismo, ma certo non vorrei impiccarmi ad un’etichetta: preferisco stare alla cosa.
trixam
00venerdì 4 maggio 2012 16:49
Ho letto l'intervista e la replica del professor Prisco.
Mi fa piacere che De giovanni nell'anno del signore 2012 ci abbia notificato il suo distacco definitivo dal marxismo, lo dico senza ironia perché c'è chi è morto credendoci ancora. Il novecento è stato il secolo delle superstizioni e tra queste il marxismo è stato di gran lunga la più diffusa.
Mi sembra molto sensata anche la sua annotazione finale sui Brics che beneficiano della globalizzazione, è bello vedere che anche nel piccolo mondo antico filosofico alla fine ci siano dati della realtà, la banca mondiale ha certificato che nell'ultimo decennio per la prima volta da mezzo secolo la povertà nel mondo è diminuita, qualcuno lo faccia sapere ai talebani no global.
Non concordo con l'idea del professor Prisco sul riassetto globale, almeno non nel breve periodo. Certo in futuro i brics conteranno molto ma sarà un processo molto più lento di quello che si pensa e ritenere che la crisi possa essere risolta con il loro intervento è roba per i lettori di Federico Rampini: la cina ha frenato e comincia ad avere problemi con il suo sistema finanziario ombra, il brasile mostra affanno, l'India è messa peggio di tutti.
Mentre l'economia americana è sostanzialmente uscita dalla crisi, tranne per il settore immobiliare dove il riequilibrio durerà ancora 6 o 7 anni, nonostante un presidente che nei temi economici ha brillato per confusione.

Prima di dire una cosa sul capitalismo finanziario, però vorrei parlare un attimo di Gramsci. Io sono un liberista fautore della riscoperta degli studi gramasciani che non a caso negli ultimi 20 anni hanno avuto un nuovo impulso all'estero. Leggere Gramsci è fondamentale per due ragioni: per capire una larga parte della impostazione culturale e sociale italiana che Gramsci ha fotografato meglio di ogni altro, penso ad esempio alle splendide pagine sul ruolo degli intellettuali in Italia che sono oggi più che mai di una attualità pazzesca; la seconda è perché Gramsci ha anticipato, dal suo punto di vista naturalmente, gran parte degli elementi del pensiero
contemporaneo. Ovvio che in lui non può esserci il tema della rappresentanza come dice De giovanni, ma tutto il resto è il prodotto di una grande mente, una delle migliori che in Italia abbiamo avuto nel novecento e non a caso al processo davanti al tribunale speciale il procuratore disse: "bisogna impedire a quel cervello di pensare". Che poi Gramsci non fosse più comunista, mi pare ovvio, almeno per quello che era diventato il comunismo del suo tempo: lo stalinismo.
Gramsci fu il primo a capire chi era Stalin e ad opporglisi, il dittatore georgiano che gli uomini li capiva al volò intuì e ordinò a Togliatti di depennare il nome di Gramsci da una lista di prigionieri antifascisti che Mussolini aveva accettato di liberare in seguito ad una mediazione vaticana.
Sempre togliatti poi censurerà alcuni passaggi dei quaderni nel dopoguerra sgraditi al principe di mosca, tanto che l'edizione critica si ebbe solo negli anni settanta dopo la morte del migliore.

L'ultima cosa sulla conclusione del professor prisco sul capitalismo finanziario mi sembra abbastanza fuori dalla realtà concreta, segno di poca meditazione sulla crisi attuale descritta per stereotipi. Che ruolo ha il capitalismo finanziario nella crisi italiana, vale a dire la crisi di un paese che affida il 54% della propria ricchezza all'intermediazione di Bondi, Cicchitto, Gasparri, Fassina, Vendola, Di Pietro e via di questo passo? Il nesso mi sfugge. L'incapacità dei giornalisti, opinionisti e della classe dirigente in genere di analizzare razionalmente quello che sta succedendo, in italia e nel mondo, è la premessa ovvia della nostra incapacità di reagire a
questa situzione.
Da un osservatore napoletano lo giustifico con il fatto che Napoli culturalmente, pur essendo stata un crocevia di influenze filosofiche, è stata dominata dall'idealismo hegeliano e crociano, di cui la federico II mi sembra ancora pervasa, che pretende di subordinare il reale al razionale.
Poi è naturale che si finisca a ricette latouchiane e decresciste che sono quanto di più reazionario il pensiero contemporaneo abbia prodotto. L'ideologia della decrescita è quella della rendita moderna, perciò in italia, un paese che ama molto le rendite, ciarlatani come Latouche o Bauman o altri figuri del genere spopolano e sono considerati dei guru.
(pollastro)
00venerdì 4 maggio 2012 20:17
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Caro Trixam, mi permette innanzitutto un'annotazione sul suo stile polemico? Capisco che a poco più di vent'anni si ritenga di avere noi soli capito come vanno le cose del mondo e che tutti quelli che ci hanno preceduto sono dei grandi coglioni, ma - per dirne una - userei più rispetto per "chi è morto credendo alle superstizioni". E questo proprio perché "ci è morto". Posso permettermi di consigliarle, quando deciderà di alzare gli occhi dai manuali di economia liberista molto up to date, la lettura di un capolavoro assoluto? E' I morti, di James Joyce, l'ultimo racconto dei Dubliners. Lo legga e poi mi dirà (senza ironia, mi piacerebbe conoscere la sua opinione).
Che i Brics rallentino lo si può anche capire, ma - mi creda - piacerebbe anche a me che l'Italia di oggi rallentasse al loro ritmo. Che Gramsci vada letto (criticamente, ma letto) e che l'orizzonte che intendesse abbandonare fosse quello dello stalinismo sono totalmente d'accordo. Che l'Italia sia ferocemente corporativa, pure. Solo che i suicidi o quelli che vanno fuori di testa per non riuscire a pagare le tasse o per cose simili non sono semplicemente un dato statistico, mi creda, anche se sui manuali dei suoi guru saranno il tema di una trascurabile nota a pie' di pagina. Quanto a me, sarò in quanto docente alla Federico II un hegeliano in ritardo (giuro però che questa non me l'aveva detta nessuno, mentre che lo sia De Giovanni lo penso anch'io), ma sono davvero convinto che lo sviluppo debba (se non frenare e l'ho scritto) venire regolato e non lasciato a se stesso, altrimenti diventa autofagico. E non nel senso che distrugge solo le vecchie forme economiche (questo sarebbe semmai un merito), ma - con esse - le persone, le loro vite... Il capitalismo finanziario è una macchina in discesa coi freni rotti e prima o poi sbatterà contro un muro. Certo, non tutti i suoi occupanti moriranno, ma auguro con sincità a lei di non finire allora al cimitero, prematuramente. La mia un'utopia reazionaria? Forse. E la sua, allora? Pochissimi molto ricchi e il resto con le pezze al culo e che si arrangino, se non sono bravi ad avere successo; è questo il modello che vuole? No, grazie, mi tengo Latouche
(pollastro)
00venerdì 4 maggio 2012 20:21
Ops, era "sincerità"*: un errore mio di riproduzione frettolosa di quanto scritto dal professore, chiedo scusa
(pollastro)
00venerdì 4 maggio 2012 20:49
Dal professore Prisco che mi prega di postare (dopodiché, per piacere, per stasera smettetela, perché devo uscire)

Scusi Trixam, ma mi era sfuggita ancora una cosa: "Che ruolo ha il capitalismo finanziario nella crisi italiana...il nesso mi sfugge"? Sfugge a me che a lei sfugga il piccolo particolare (ma forse ha studiato da un'edizione non ancora aggiornata dei manuali liberisti)che l'Italia è certo arrivata a questo punto per la manomorta politica sull'economia di tutti i suoi ultimi governi, di destra e di sinistra, dalla fine degli anni Ottanta a questa parte (e credo che fin qui siamo d'accordo; quelli di oggi non c'entrano, poveri angeli: coglioni a non sapere raddrizzare la barca, d'accordo, ma non responsabili nella stessa misura dei predecessori; sono stati solo quelli sgamati col cerino acceso tra le dita...). Però che l'Europa risponda essenzialmente alla Germania e che entrambe rispondano ad organismi finanziari irresponsabili, tipo BCe, Bei, e gestori di fondi sovrani e compagnia non bella me lo concederà, o no? E che Draghi, Monti, Bondi (questo di oggi, non quello di Berlusconi, ovviamente) e compagnia anche qui non bella eseguano pedissequamente diktat partoriti altrove e utili ad altri contesti me lo concederà anche questo no? No, temo di no: lei è dalla parte del chirurgo che annuncia ai parenti che "l'operazione è perfettamente riuscita". Che poi il malato sia morto è una conseguenza del tutto irrilevante, che non inficia affatto la perfetta tecnica degli operatori, giusto?
trixam
00sabato 5 maggio 2012 18:13
Professore, mi dispiace se il mio tono può averla infastidita. non era mia intenzione. Ho passato troppo tempo sui campi di rugby e a volte posso sembrare un po' brusco. Detto questo, Joyce non è tra i miei scrittori preferiti.
Il resto delle sue due risposte, lo dico gentilmente, sono una trafila di banalità e luoghi comuni. Che cosa significa capitalismo finanziario? Che cosa significa che lo sviluppo va regolato? Se lei comincia a darmi delle definizioni delle formule che usa con una certa flessibilità, allora possiamo cominciare a discutere seriamente.
Altrimenti, finiamo al tremontismo e a quella deriva italica antiscentifica che ha preso piede negli ultimi quindici anni di pontificare sulle cose in maniera astratta dalla realtà.
L'altro slogan sui ricchi che diventano più ricchi ecc, fa parte di questa categoria. Ripeto che la Banca Mondiale ha certificato che negli ultimi dieci anni la povertà è diminuita, dato non isolato visto che sotto la presidenza dell'iperliberista Reagan(immagino che per lei sia il demonio) i poveri negli Usa passarono dai 23 milioni del 1980 ai 12 milioni del 1989. Ripeto che l'ideologia di latouche è reazionaria e ridicola e solo nel nostro paese viene presa sul serio, mentre nei paesi seri le sue teorie sono oggetto di scherno e di risate. La ragione di questo successo è che in quelle teorie gli esponenti della classe medio alta di questo paese, che si sentono minacciati dai cambiamenti di un mondo che non capiscono, vedono un argine da innalzare contro i barbari alle porte dimenticando che le linee maginot creano illusioni e producono sconfitte amarissime.

Per quanto rigura i suicidi, nessuno più di me è sensibile a questo argomento. Ma gli imprenditori si uccidono non per il capitalismo finanziario, ma perché non riescono a pagare le tasse allo stato. Mentre per quanto riguarda i lavoratori che perdono il lavoro si uccidono perché non vedono speranze in questo paese che non fa
nulla per proteggerli. Negli stati uniti liberisti esiste il sussidio di disoccupazione universale, perché in italia no? Glielo dico io, perché altrimenti le cricche sindacali perderebbero il loro potere monopolistico di intermediazione sociale, così i giovani che lavorano con le partite iva finte e non hanno rappresentanti si vedono taglieggiare il reddito per gli aumenti dei contributi dal 27% al 33% per finanziare una assicurazione sociale che servirà a pagare sussidi a cui non avranno diritto quando i loro contratti saranno scaduti e loro licenziati. Questi sono i poveri dello statalismo paternalista.

Per finire sulla germania, la mia risposta è no, non glielo concedo. Quello che ha scritto non ha senso.
La germania non ha colpa del fatto che la nostra produttività da venti anni è più bassa del Burkina Faso, non ha colpe se i nostri quindicenni ai test pisa-osce non sanno distinguere una equazione di secondo grado da una pera e si piazzano dietro i turchi a distanze siderali dai loro colleghi finlandesi e coreani, non ha colpa
del fatto che il nostro paese è incapace di formare un capitale umano ad alto valore aggiunto in grado di innovare e produrre ricchezza, non ha colpe del fatto che lo stato per decenni ha mandato in pensione gente a 40 anni con 19 anni sei mesi ed un giorno di servizio(immagino che questi rientrino alla voce rallentiamo lo sviluppo). Non ha colpe se non siamo riusciti a fare quelle riforme che i tedeschi hanno fatto tra il 2002 e 2007. Insomma all'inizio del 2000 dicevano che erano i
cinesi, alla fine siamo tornati al vecchio nemico tedesco e mi tocca difenderli questi crucchi, io caro professore che sono nipote di un partigiano comunista.
Noi pretendiamo che i tedeschi saldino il conto dei nostri bagordi e delle nostre sbronze ideologiche e ci meravigliamo pure che quelli non vogliano farlo!

Quanto al problema della democrazia e delle decisioni prese altrove, non attacca. Noi italiani siamo curiosi, quando ci conviene facciamo gli internazionalisti, gli europeisti ecc, quando non ci conviene facciano i nazionalisti e ci mettiamo la coccarda tricolore al petto. Ci manca la marsigliese e facciamo i francesi.
Questa deve essere la fantasia al potere 2.0.
Ma anche qui, è colpa del capitalismo finanziario se abbiamo una classe politica composta in gran parte da banditi eletta da un corpo elettorale dove quasi un elettore su due vede dipendere il proprio reddito dallo stato e dalle sue elargizioni e che è disposta a votare i banditi di cui sopra?
Non è stata la bce a commissariarci, ci siamo commissariati da soli.

Insomma, come dice Shakespeare nel Giulio Cesare: "la colpa, caro Bruto, non è nelle stelle, ma in noi stessi, se siamo schiavi".
--letizia22--
00sabato 5 maggio 2012 18:19
questa discussione e' stupenda, complimenti ad entrambi! molto molto interessante!
(pollastro)
00sabato 5 maggio 2012 19:45
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mi scuso davvero io, la mia ironia nei suoi confronti era un po' pesante. Detto questo, anche per il piacere di Letizia, replico brevemente, ma la prego: legga Joyce. Non tutto, magari, ma almeno il testo che ho indicato e che un vero capolavoro (è un racconto, saranno solo una cinquantina di pagine), credo che poi mi ringrazierà. Grazie anche per la citazione dal Giulio Cesare, che è bella e di cui condivido il senso. Se non pensa ad un'avance, vorrei conoscerla di persona: sono convinto che guardandosi negli occhi ci si comprende meglio. Dopodiché, il succo di quello che ho da dirle è che - non avendo la sua preparazione in economia e lo dico con serietà di apprezzamento - tendo peraltro e in generale a pensare che le logiche economiche vadano governate e che il loro governo debba proporsi come risultato ultimo il maggior benessere possibile per il maggiore numero di persone. Sono totalmente d'accordo con lei sul giudizio a proposito della Germania e sulla sua passata severità, che oggi permette a quel Paese certe performances e si figuri poi se proprio io (che qui prèdico - ahimé perlopiù inutilmente - agli studenti di essere curiosi e aperti, mentre troppo spesso non conoscono invece l'ortografia, immagini il resto) non condivida anche quello che dice sulla loro impreparazione (scolastica, prima che universitaria) e quindi sula loro inferiorità nei parametri internazionalmente applicati. Tuttavia (e glielo dice uno che ha sempre studiato e lavorato tanto, glielo assicuro), al netto di atteggiamenti psicologici "assistenzialistici" e della condanna doverosa di tanti abusi cui tutti - chi più chi, meno - ci siamo lasciati andare, non capisco ad esempio perché la banca che avevo in precedenza mi abbia mandato in difficoltà perché io (come poi si è appurato) non sapevo fare certe verifiche su Internet e quindi sono andato in rosso in assoluta buona fede; oggi ho una banca in cui (eppure non sono Agnelli) parlo col direttore anche dei nostri figli, se abbiamo tempo, e a volte ci prendiamo il caffé. Proseguo: preferisco il solito negozio, anche se non sotto casa, all'ipermercato; quando vado in libreria (praticamente almeno una volta alla settimana) dialogo col mio amico commesso dei nuovi libri e anche se non ne avevo l'intenzione poi esco sempre con qualcosa di nuovo (sottotesto: le relazioni umane servono anche a vendere, se si è furbi, non sono un optional) e non con una ragazza annoiata (magari precaria, lo so; non è colpa sua, ma nemmeno mia) che non distingue - quando le chiedo un libro - Mann (Thomas) da Moccia (Federico): è capitato, ma sarà stata anche lei una laureata all'università del Trota, ecc... Sarò stupido, ma vorrei che nel PIL di un Paese venisse computato anche il grado di soddisfazione della gente nello stare al mondo. Per rimanere al mio mestiere: quando parlo - di persona o scrivendo in Internet - con uno studente bravo o una studentessa brillante, oppure mi scrivo con una persona come lei, non sto a chiedermi se stia perdendo tempo e se quello che sto facendo sia produttivo o no, ma dò per scontato che almenpo per me (spero anche per l'interlocutore) questo lo sia. Intendevo solo questo per "decrescita": crescere non vuol dire solo arricchire il portafogli, ma anche (ma prima) la testa e l'animo. Del resto, proprio quello che dice a proposito dei nostri studenti-capre (non tutti, non l'ho scritto, eh!) mi conferma che su questo terreno forse possiamo comprenderci.
Buona domenica a lei, a Letizia e a chi si appassiona a discussioni così pallose (non per noi tre, evidentemente) [SM=g2725292]
(pollastro)
00sabato 5 maggio 2012 19:52
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

P.S. Non sono liberista, ovvio, ma un liberal-socialista, se ha presente la categoria (che penso non stimi). Quanto a Reagan: non era il demonio, ma certo non ci sarei andato a cena, né lo avrei fatto con Berlusconi (mi creda: le olgettine - anche se per compiacerlo avessero voluto essere "gentili" con me - mi avrebbero annoiato, mentre una ragazza bruttina, ma intelligente potrebbe senz'altro sedurmi)
(pollastro)
00sabato 5 maggio 2012 20:10
Dal professore Prisco, che mi prega di postare (Professore, e mo' basta, per stasera!)

P.S. 2: Sono un moderato, non un giacobino e preferisco in generale l'evoluzione costituzionale britannica a quella francese. Ma - a proposito di Francia - se fossi dei loro oggi voterei per Hollande. Sono peraltro certo che questo, di me, lei lo sapeva già
(pollastro)
00sabato 5 maggio 2012 21:56
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Amico Trixam, nentre noi discutevamo accademicamente, la gente - anche a Napoli - continuava ad ammazzarsi perché debitrice pubblica e notificataria di cartelle di esazione da parte di Equitalia, come ho appena letto su Internet. Mi dispiace davvero molto che la realtà esemplifichi dunque così duramente i miei dubbi sul suo approccio al problema di cui stiamo discutendo.
Il sillogismo che segue le parrà demagogico, ma - per piacere - innanzitutto lo legga:
1. Lo Stato italiano, gravemente indebitato, costituisce una struttura esattrice dei suoi crediti (i debiti verso le imprese no, quelli non li paga), che si chiama Equitalia.
2. Equitalia - anche perché il suo personale incamera in proprio una notevole aggio sulla riscossione, insomma è cointeressato - notifica cartelle esattoriali.
3. Qualcuno degli esecutati(più fragile psicologicamenre di altri) si ammazza. L'ultimo, a Napoli, ha lasciato scritto: "La mia dignità vale più della vita"; ed erano 15.000 Euro.
Il sillogismo non è affatto perfetto, lo so: troppo "carico" e però rende l'idea di quanto penso. Per piacere, non metta in mezzo il "Chi è causa del suo mal pianga se stesso" e il peana sui Tedeschi virtuosi, nonché l'assunto (suo, ma anche di Monti, da dichiarazioni testuali) che "Ci siamo commissariati da soli e non lo ha fatto la Bce.
Ci siamo amministrati pessimamente, come Paese siamo stati sventatissime cicale e altri invece prudentissime formiche. E' vero. Ma mi spiega che cosa se ne fa un virtuoso formicaio di prodighe cicale che - in una percentuale ormai preoccupante - si ammazzano? Non conoscerò bene le leggi economiche di cui invece lei è esperto, non ho bisogno di ripeterlielo. Le dico solo che - se sono queste . non mi piacciono affatto. E Lo dice uno che paga i debiti.
Mi può per piacere dare il suo punto di vista? Sarò io cretino e l'economia sarà anche "una scienza triste", come la chiamavano i classici della disciplina, dato che ha a che fare con risorse scarse e quindi con decisioni difficili, ma lei può essere indifferente al fatto che una conseguenziarietà logica che conti solo sui numeri e non sul fatto che dietro i nuneri ci sono esseri umani è il gelo assoluto? E comunque: lo saprà anche lei che le rivoluzioni che si sono storicamente date sono nate tutte da malcontento fiscale. Guardi che se continuiamo così ho l'impressione che (forse) metteremo i conti a posto, ma che (sicuramente) qualche autorità di governo o qualche burocrate del Ministero del Tesoro se la vedrà brutta, proprio sul piano personale. Sta già succedendo. Non mi dica che per lei questo non conta, la prego. Come si dice: "Per quanto la stimo, non dica così"
ObbligazioneNaturale
00sabato 5 maggio 2012 22:01
La traduzione di Pessoa e' stata un tocco di classe. :)
ObbligazioneNaturale
00sabato 5 maggio 2012 22:17
Re:
(pollastro), 05/05/2012 21.56:

Sarò io cretino e l'economia sarà anche "una scienza triste", come la chiamavano i classici della disciplina, dato che ha a che fare con risorse scarse e quindi con decisioni difficili, ma lei può essere indifferente al fatto che una conseguenziarietà logica che conti solo sui numeri e non sul fatto che dietro i nuneri ci sono esseri umani è il gelo assoluto? E comunque: lo saprà anche lei che le rivoluzioni che si sono storicamente date sono nate tutte da malcontento fiscale. Guardi che se continuiamo così ho l'impressione che (forse) metteremo i conti a posto, ma che (sicuramente) qualche autorità di governo o qualche burocrate del Ministero del Tesoro se la vedrà brutta, proprio sul piano personale. Sta già succedendo. Non mi dica che per lei questo non conta, la prego. Come si dice: "Per quanto la stimo, non dica così"




Professore, lei parte dal presupposto che non vi siano margini di riduzione della spesa pubblica infruttuosa, ma di questi pulsanti da premere e leve da azionare ve n'e' un'abbondanza.
Pensiamo solo agli stipendi, assegni ai suoi studenti l'incarico di verificare online le retribuzioni dei vari quadri manageriali nell'amministrazione pubblica, tutti dati pubblici.
Io ho come l'impressione che siano le formiche e non le cicale quelle che stiano morendo.

--letizia22--
00domenica 6 maggio 2012 01:37
la definizione hegeliana della fed.II direi che e' praticamente perfetta. Per quanto riguarda gli imprenditori che si stanno togliendo la vita, anch'io penso che sia palese che non si tratti delle famose "cicale", che invece continuano ad alimentarsi di denaro pubblico indistrubati.Condivido il punto sui sindacati, che durante il governo Berlusconi soprattuto bonanni e angeletti hanno raggiunto livelli di nefandezza altissimi.Non vogliamo piu' essere schiavi di queste corporazioni che fanno del lavoro merce di scambio, e vanno ancora in giro a difendere l'art 18.Purtroppo gli interventi necessari come quello di diminuire la spesa pubblica,rivoluzionare il sistema politico,potenziare le autorita' indipendenti, etc etc, sono tutti provvedimenti che anche con Monti non trovano sbocco.Sottolineare l'elemento umano e' una cosa che fa onore, ma bisogna anche guardare le cose per la miseria che sono.
(pollastro)
00domenica 6 maggio 2012 10:13
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mi è sfuggita la traduzione di Pessoa, dov'è? Quanto alla riduzione di spesa pubblica infruttuosa, credo che margini ci siano, ma vi sia al tempo stesso anche necessità di maggiori investimenti, dove è necessario (ad esempio nella formazione, scuola e università, unendo questo ad una molto maggiore severità di valutazione, mentre oggi c'è in genere lassismo nei rapporti con gli studenti e - specialmente nel passato recente - nel reclutamento dei professori). La spending review, cioè, non implica solo tagli. Il mio riferimento a formiche e cicale, poi, era in realtà tecnico: se la formica produttrice non si preoccupa della cicala consumatrice a chi mai venderà? Dopo la seconda guerra mondiale fu lanciato un piano Marshall a favore dei Paesi distrutti: questa fu la radice, fra l'altro, del nostro miracolo economico. A mio parere occorre essere severissimi contro la spesa pubblica improduttiva, ma al tempo stesso promuovere spesa pubblica selettiva, ad esempio scorporando dal calcolo del debito pubblico le spese per investimenti di lunga scadenza. Siamo cioè tecnicamente in recessione e io sto a Keynes, non a Friedman e alla scuola di Chicago, se Trixam mi scusa per la mia (ovvia, nel mio modo di pensare) preferenza politico-economica. Il sostegno alla stabilità della moneta - se è l'obiettivo prevalente e pressocché unico - è una follia, anche se al tempo stesso bisogna controllare l'inflazione (ma oggi questo non è il problema principale). Aggiungo che il problema italiano è essenzialmente quello di un debito pubblico abnorme. Mi chiedo allora che cosa si aspetti a vendere (o comunque a mettere a reddito) caserme dismesse, altri edifici e beni pubblici che non è essenziale siano statali, regionali, provinciali, comunali, per rientrare in buona mura dal deficit
Giubo
00domenica 6 maggio 2012 11:00
ma io credo che il marxismo sia ormai stato ampiamente superato con la caduta del Muro di Berlino. Lo aveva detto anche Occhetto alla Bolognina, auspicando un rinnovamento dello schieramento progressista. Avrebbe potuto fare di più se non si fosse fatto da parte troppo presto e soprattutto se avesse lasciato le redini a persone più affidabili dei D'Alema e dei Veltroni
ObbligazioneNaturale
00domenica 6 maggio 2012 13:19
Re:
(pollastro), 06/05/2012 10.13:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare


Professore, lei oppone valide eccezioni, la rispondo per punto visto di carne sul fuoco ne ha messa parecchia.



Mi è sfuggita la traduzione di Pessoa, dov'è?


La citazione dal Giulo Cesare, l'originale sarebbe:

<<The fault, dear Brutus, is not in our stars,
But in ourselves, that we are underlings>>


Molti traduttori traducono quell'underlings con un generico "servi".
Pessoa che era anche uno squisito latinista, quel servi lo rendera' in portoghese con "schiavi" (servus, in latino, escravo in porto), incuriositi, anche gli italiani inizieranno ad essere piu' sensibili.
Lei citava Joyce, neanche a farlo apposta, uno dei migliori curatori della sua opera e' proprio il nostro Stefano Manferlotti.



Quanto alla riduzione di spesa pubblica infruttuosa, credo che margini ci siano, ma vi sia al tempo stesso anche necessità di maggiori investimenti, dove è necessario (ad esempio nella formazione, scuola e università, unendo questo ad una molto maggiore severità di valutazione, mentre oggi c'è in genere lassismo nei rapporti con gli studenti e - specialmente nel passato recente - nel reclutamento dei professori).


Su questo posso essere parzialmente d'accordo. Non ritengo pero' che sia una semplice questione di input-output, piu' giustamente, sono dell'opinione che occorra maggiore selettivita' - per carita' anche nella formazione del corpo studentesco - ma soprattutto l'introduzione di meccanismi che incentivino la produttivita' del docente, l'opposto di quanto accade oggi.
Il modello californiano, un sistema misto pubblico - privato dove la trasparenza tanto nell'assortimento degli studenti quanto nella composizione del corpo docente venga assicurata dalla concorrenza.



La spending review, cioè, non implica solo tagli. Il mio riferimento a formiche e cicale, poi, era in realtà tecnico: se la formica produttrice non si preoccupa della cicala consumatrice a chi mai venderà? Dopo la seconda guerra mondiale fu lanciato un piano Marshall a favore dei Paesi distrutti: questa fu la radice, fra l'altro, del nostro miracolo economico. A mio parere occorre essere severissimi contro la spesa pubblica improduttiva, ma al tempo stesso promuovere spesa pubblica selettiva, ad esempio scorporando dal calcolo del debito pubblico le spese per investimenti di lunga scadenza.


Professore, mi scusi per la becera volgarita', ma questo spending review e' l'ennesimo cumulo di stronzate partorito da certi gruppi di potere che pensano di poter evitare di risolvere il problema (to avoid addressing a key issue, direbbero gli amerrigani). Se io mi presentassi in sede d'esame avendo studiato solo le ultime 15 pagine del programma - essendo stato suo studente - non avrei molte possibilita' di farla franca. Con lo spending review si vorrebbero rifinire gli interni senza aver prima alzato le pareti. Non abbiamo bisogno di una lima, c'e' bisogno di un'accetta. [SM=g2725401]
Accorpare due ospedali per risparmiare 100mila euro/annui non ha senso se nello stesso sistema tolleri un migliaio di Befera che di quelle risorse ne consuma almeno un multiplo intero.

Non colgo il secondo punto, non si possono scorporare le spese per gli investimenti dal computo del debito, o si usano le tasse o si ricorre all'eterofinanziamento, non c'e' una terza strada.




Siamo cioè tecnicamente in recessione e io sto a Keynes, non a Friedman e alla scuola di Chicago, se Trixam mi scusa per la mia (ovvia, nel mio modo di pensare) preferenza politico-economica. Il sostegno alla stabilità della moneta - se è l'obiettivo prevalente e pressocché unico - è una follia, anche se al tempo stesso bisogna controllare l'inflazione (ma oggi questo non è il problema principale). Aggiungo che il problema italiano è essenzialmente quello di un debito pubblico abnorme. Mi chiedo allora che cosa si aspetti a vendere (o comunque a mettere a reddito) caserme dismesse, altri edifici e beni pubblici che non è essenziale siano statali, regionali, provinciali, comunali, per rientrare in buona mura dal deficit



Ho l'impressione che l'alto debito sia solo una delle cause, la vera colpevole e' la scarsa produttivita', se oggi permettessimo alla BCE di riempire l'eurozona di liquidita' (parzialmente gia' accade con l'LTRO) il problema sarebbe solo rimandato. Del Keynesianismo, Friedman critica questo, quel conto (ammesso che la curva di Phillips esista) qualcuno lo dovra' pur pagare, e con il passare degli anni diventa sempre piu' salato.
Che si tratti di scarsa vitalita' economica della penisola e' palese, se l'Italia crescesse a ritmi del 5/6% annuo il nostro debito sarebbe sostenibile e per quantita' e per tassi d'interesse, lo deduciamo dalla stessa equazione del vincolo di bilancio.
Cio' che nessuno sembra voler capire e ' che non c'e' alcun bisogno di vestire i grigi panni del contabile (sia i Bocconiani sia i romani che hanno diretto questo paese nel corso degli ultimi 30 anni hanno fallito miseramente da questo punto di vista) ma di una ristrutturazione (creativa) dell'intero assetto produttivo. Io sono scettico, dubito che l'attuale classe dirigente possa assieme alle (autonominate) elites intellettuali produrre alcunche' di valido.

Buona domenica.
(pollastro)
00domenica 6 maggio 2012 13:53
Caro ObbligazioneNaturale, grazie innanzitutto della precisazione su come Pessoa traduce - in modo molto illuminante - il Giulio Cesare; amo il ppeta portoghese e stimo Manferlotti. Detto questo e ferma restando la necessità di una maggiore e migliore produttività italiana (nel settore della formazione anche quella dei docenti, concordo; resta il fatto che migliorare l'input/outpout della formazione - sia sul versante dei formatori, sia su quello dei formati - è la questione essenziale, è semplicemente cruciale), un aumento del 5% annuo della produttività italiana mi sembra oggi impossibile. Che dobbiamo assolutamente migliorare è un fatto; che si possa farlo a quel ritmo, non essendo la Cina, mi sembra un'ilusione.
Buona domenica
giusperito
00lunedì 7 maggio 2012 18:37
Non mi piace Latouche e lo dico come premessa chiara e forte.
Non capisco quali vantaggi ci siano nella decrescita se non supposti miti di migliore convivenza. Mi viene da pensare allora che i contadini del Medioevo erano più felici di noi (tesi sostenuta da Massimo Fini). Non posso condividere un'idea del genere, perché è contraria ad ogni evidenza. E' contraria soprattutto a ciò che stiamo facendo in questo momento, cioè usare un servizio ed un bene voluttuario. Se dovessimo vivere nella decrescita probabilmente dovremmo fare a meno di internet e dei pc. Si può vivere con 100 cose (tesi modernamente stupida) e quindi il pc mi sa che dobbiamo evitarlo, così come tanti bei libri di lettura; tra l'altro gli stessi su cui vengono pubblicate queste belle teorie.
Non vedo che relazione ci sia tra la diminuzione dei consumi e la bontà degli uomini. Condivido il discorso del prof. nel momento in cui parla di dignità e di altri coefficienti su cui "calcolare" la felicità degli individui (interessante l'esperimento di Cameron ed anche le teorie di Sen) oltre il vil denaro. Tuttavia non vedo quale relazione obbligata ed inversa ci sia tra felicità e denaro. La dignità, l'affetto e le altre virtù della civiltà si legano anche e soprattutto alla capacità dell'uomo di uscire dallo stato di necessità. Senza false ipocrisie dobbiamo ammettere che l'istinto dell'uomo è quello di ricercare la condizione di vita migliore possibile. In realtà il vero obiettivo sarebbe quello di garantirla a tutti. Non vedo come la decrescita possa permetterci di vivere meglio. Togliere il superfluo è una scelta arbitraria. Togliere ad un bambino "esplorando il corpo umano" (celebre cartone animato anni '80) potrebbe essere formativo? Sono cresciuto leggendo Topolino e Sandokan chi decide se erano di troppo? Amo il ciclismo ed investo del tempo nel seguirlo, chi decide che sia un consumo eccessivo? e soprattutto quale parametro determina l'eccessivo?
Non so quanto c'entri il capitalismo con questa presunta cattiveria degli uomini. Credo sia un dato fondamentale dell'essere umano. Non dico l'uomo sia cattivo, ma storicamente è un'evidenza che gli uomini abbiano puntato a massimizzare le loro utilità. Società costruite secondo paradigmi diversi da quelli capitalistici hanno segnato la stessa tendenza di fondo all'accumulo di utilità. In alcuni casi è avvenuto in un'ottica di socializzazione solo perché era necessario per rendere possibile l'accumulo stesso. Ora il capitalismo finanziario o diciamo quello moderno si inserisce sulle basi della stessa natura umana delle prime società di stanziali (la disputa delle caratteristiche neuroeconomiche dei nomadi e dei coltivatori sono interessantissime). La mia idea è che il vero problema dell'attuale sistema è che non è veramente liberale. In realtà lo Stato ed istituzioni superiori riducono le libertà dei singoli al fine di determinare la strada che riproduce interessi di parte. Viene citato Hayek senza ricordare le sue parole sullo Stato sociale, perché dobbiamo dirci che tutto questo neoliberismo davvero non si vede. Lo Stato negli anni ha assunto un ruolo sempre più preponderante nella vita dei singoli e nell'economia sostituendo le regole del gioco e falsando il mercato. Chi ha dettato la linea è stato un gruppo di politici alleato ad un gruppo di mega imprenditori che hanno individuato i loro interessi nell'alterazione delle dinamiche liberali. Friedman sosteneva che fossero i grandi affaristi i veri nemici del mercato. E' questo il punto. Lo Stato si è prestato ad intervenire nell'economia così come gli veniva indicato da gruppi di interesse intesi in senso lato e quindi comprensivi anche di sindacati e di notai\farmacisti. Ora il vero punto della questione è quanta libertà sia residuata nel mercato. Davvero non vedo quante riforme di stampo neoliberista siano state portate avanti in Italia o in Europa. Semplicemente si è voluto adottare alcuni capisaldi del pensiero liberista e fingere che si sia adottato il liberismo come Vangelo. E' servito ai politici per coprire le loro incapacità e le loro nefandezze. Mi risulta strano dover parlare di cattivi privati quando la vera crisi non è più quella del mercato immobiliare americano, ma quella del debito sovrano, cioè del debito fatto dagli Stati per pagare il canto della cicala. I politici precedenti hanno sperperato in sussidi e in assistenza il denaro della nostra generazione e davvero mi domando come sia possibile attribuire tale colpa al neoliberismo visto che è la negazione stessa del neoliberismo. Ci troviamo Stati pieni di debiti e senza capacità di crescita economica ed invochiamo, caso italiano, le liberalizzazioni, le dismissioni del patrimonio statale e la riduzione delle tasse.. beh se invochiamo questi provvedimenti evidentemente non erano stati fatti, quindi dov'era il cattivo neoliberismo?


p.s. con la recessione in atto, già stiamo decrescendo. Devo dire che anche demograficamente i suicidi aiutano a decrescere. C'è chi controlla la natalità e chi incide sulla mortalità, ormai sono opzioni.
JuanManuelFangio
00martedì 8 maggio 2012 22:19
Egregio Professore, non sono un liberista – né puro né alle vongole, come alcuni su questo forum – eppure le idee di Latouche proprio non mi persuadono. Non riesco proprio a comprendere, infatti, come una diminuzione della ricchezza possa influire positivamente sulla qualità di vita della popolazione. Credo fermamente – e i discorsi sui “poveri ma belli” mi suonano come immani castronerie – che nei paesi più ricchi si viva meglio.
Il vecchio adagio popolare recita: “la salute è la prima cosa”. Soffermiamoci su questo concetto per un momento. Mediamente, nei paesi più ricchi la qualità delle prestazioni sanitarie è superiore rispetto a quelle erogate nei paesi più poveri. Un brasiliano appartenente alla middle-class riceverà un livello di cure inferiore rispetto ad un suo omologo in Danimarca. Ritornando al discorso della felicità, credo che dinanzi ad un’operazione chirurgica il brasiliano rinuncerebbe volentieri alla praia do bahia in cambio della buona riuscita dell’intervento, magari in un ospedale pubblico danese con vista Mare del nord. Quel genio incompreso di Massimo Fini sostiene che nel medioevo le persone erano più felici rispetto ad ora (lui nel medioevo ci vive, forse per questo lo sa) ma – mi chiedo – il castellano con un molare cariato, quanta felicità provava a dover soffrire senza uno straccio d’anestesia? Personalmente, con tutti i problemi che abbiamo, mi sento più fortunato del castellano, quando vado dal dentista e so che non mi dovrà operare con una tenaglia. È innegabile che il progresso scientifico ha contribuito a migliorare le condizioni economiche di una nazione e una nazione con elevato grado di ricchezza contribuisce allo sviluppo della scienza meglio di una nazione povera.
Archiviate, per quanto mi riguarda, le idee sulla “decrescita felice”, vorrei dire due cose relative a quanto affermato da alcuni utenti prima di me.
Egregio Professore, a differenza di quanto sostenuto da alcuni, il neo-liberismo qui c’entra eccome.
È stato detto che l’attuale crisi dipende dai debiti sovrani e non dal mercato. Che visione miope, oltre che faziosa! I nostri cari liberisti alle vongole dimenticano che lo scoppiare della crisi debitoria degli stati è stata la diretta conseguenza dei vari salvataggi delle banche. Solo per l’Italia questo discorso non è valido (e sono validi, di conseguenza, tutti i discorsi sull’assenza di mercato, eccesso di partitocrazia ecc.). Tutti i paesi europei in un modo o in un altro hanno dovuto usare il denaro dei contribuenti per evitare il fallimento degli istituti bancari.
Egregio Professore, come Lei sicuramente saprà, esiste una favoletta che circolava fino a non molto tempo fa negli ambienti liberisti nota come too big to fail.
Questa favola, degna del migliore “e vissero felici e contenti”, ci racconta che gli istituti bancari moderni, essendo in realtà degli immensi conglomerati finanziari, hanno in essere una serie di meccanismi (uno per tutti il miracoloso close-out netting) e un tale intreccio di transazioni, per cui è – udite udite – praticamente impossibile che essi possano fallire. La favola si è poi evoluta nel momento in cui la possibilità di un fallimento si è fatta concreta, per cui l’espressione too big to fail è stata interpretata come la necessità di salvare un istituto creditizio per il famoso rischio sistemico che può derivare da un default.
I soldi per i salvataggi ovviamente li ha messi lo stato (solo il T.A.R.P. è costato più di 700 miliardi di dollari al tesoro americano).
Di solito uno stato effettua spesa pubblica in deficit per rilanciare la domanda privata stagnante. Detto in modo frettoloso, all’eccesso di indebitamento al tempo t dovrebbe corrispondere una maggiore domanda, che a sua volta stimola il reddito, che a sua volta fa incrementare il gettito fiscale, che a sua volta ripaga nel periodo t+1 la spesa in deficit. Dal 2008 in poi, gli stati hanno incrementato il loro debito solo per rimpinguare il capitale delle banche, senza effetti positivi né di breve né di lungo periodo sul reddito.

Neanche la difesa della Germania attecchisce.
Egregio Professore, condivido pienamente la sua critica ai diktat teutonici.
È vero che la Germania ha un’economia fortissima, fondata su un sistema industriale solido, efficiente e moderno. È vero anche che i politici tedeschi hanno persuaso i propri elettori sul passaggio alla moneta unica, promettendo che la rinuncia alla sovranità monetaria fosse data in cambio di un Euro altrettanto forte in modo da scongiurare derive inflazionistiche. La Germania non può pagare i conti delle cicale? Verissimo. C’è da dire, però, che non tutti i tessuti economici sono uguali. Moneta forte e rigore di bilancio andranno bene per una nazione come la Germania ma non è detto che la stessa ricetta sia universale e debba valere per tutti.
Ad oggi, il rigorismo tedesco ha mortificato ulteriormente le prospettive di crescita economica dell’eurozona. La moneta unica è troppo forte e non fa ripartire le esportazioni, il cieco rispetto dei vincoli di bilancio costringe gli stati ad aumentare la tassazione, che fa deprimere sempre di più l’economia. Proprio riguardo quest’ultimo aspetto, vorrei porre in evidenza quanto il profumo di frutti di mare ottenebri le menti dei nostri cari liberisti. Mentre da un lato si scagliano contro il leviatano fiscale, dall’altro lato magnificano il rigorismo tedesco, dimentichi che l’aumento delle imposte è finalizzato ad attuare quella follia chiamata pareggio di bilancio.
Alla lunga, siccome la Germania è un paese che vive prevalentemente di esportazioni, il perseguire ostinatamente politiche restrittive si rivelerà controproducente. Se le nazioni dell’eurozona – che fanno parte della fascia di paesi ricchi, e quindi sono i primi a dover importare le sue costosissime automobili – non crescono e si impoveriscono sempre di più, mi spiega la Merkel a chi le vende le sue merci?
Questo esempio facile per dire che una moneta eccessivamente forte, unita a grossi squilibri nella bilancia commerciale, può creare grossi problemi di crescita anche in una nazione con un tessuto produttivo sano e politiche economiche assennate. Pensi, egregio Professore, che questa cosa l’hanno capita perfino i cinesi.
Quando si parla della crescita economica statunitense si dimentica – o si finge di dimenticare – che finalmente la Cina ha ceduto alle pressioni di far rivalutare il renminbi, la cui posticcia svalutazione è costata quasi un punto percentuale di P.I.L. americano. Lo hanno capito non perché Obama è giovane, bello ed abbronzato ma perché, ripeto, uno squilibrio della bilancia commerciale a tuo vantaggio aggrava alla lunga la posizione dei tuoi importatori, che alla fine si vedranno costretti a comprare da te meno merci.
Faccio un ultimo intervento sull’inflazione, collegandomi a quanto affermato da Obbligazionenaturale sul famoso conto che si pagherebbe alla fine.
Sono un keynesiano duro e puro e l’idea che la crescita possa sostenersi esclusivamente tramite l’aumento dell’offerta di moneta non mi appartiene. Sono un fautore dell’intervento dello stato nell’economia attraverso un pacchetto di stimoli che rilanci la domanda privata. Una politica monetaria accomodante, grazie a bassi tassi d’interesse e moneta svalutata, è solo uno strumento per evitare che la crisi si avviti su sé stessa. Non è certo l’unica cura utile in tempi di bassa crescita. Del resto, credo sia sempre valida la vecchia idea di Keynes sulla scarsa elasticità della curva dell’investimento privato rispetto alle variazioni del saggio d’interesse.
So che il rischio di un quantitative easing è di gettare benzina sulla fiamma dell’inflazione ma, almeno nella fase attuale, non ritengo che essa sia un pericolo imminente. Innanzitutto v’è da definire di quale inflazione stiamo parlando. Quella attuale è dovuta principalmente al prezzo del greggio e, quindi, non ha legami con la base monetaria. L’inflazione soggiacente o sottostante, quella che dipende dall’aumento dell’offerta di moneta, è ben lontana dall’essere un pericolo. Le teorie a cui si fa riferimento (Friedman, Lucas ecc.) postulano l’esistenza di un legame tra politiche espansive ed aumento dell’inflazione partendo dall’assunto che il reddito tenda naturalmente ad un equilibrio determinato dalla curva dell’output di lungo periodo, con una situazione del mercato del lavoro anch’esso in equilibrio e non modificabile.
Nella situazione attuale siamo ben lontani da una situazione di non-accelerating inflation rate of unemployment o di reddito di equilibrio di lungo periodo, per cui non vedo problemi, almeno nel breve periodo, relativi ad un aumento dell’inflazione.

La sintesi, egregio Professore, è che in taluni le convinzioni maturate su determinati libri di dottrina liberista non sono dissimili da certe “superstizioni” tanto criticate.
giusperito
00martedì 8 maggio 2012 23:16
Alcune domande:
1) Quale economista neoliberista ha mai sostenuto che lo Stato dovesse intervenire sul mercato per salvare le banche? Cortesemente un link ad una fonte.
2) Quale economista neoliberista ha sostenuto "too big to fail"? E soprattutto (torno alla domanda 1) come il too big to fail possa essere interpretato in senso di intervento statale?
3) Boldrin ha sostenuto che le banche dovessero fallire e che tutto sia dipeso dalla greenspan put. Indipendentemente dall'analisi delle cause della crisi, ovviamente anche opinabile, forse Boldrin non è un neoliberista? Come mai lui sostiene che le banche dovessero fallire?
4) Gli interessi dei banchieri come sono compatibili con il pensiero neoliberista di Friedman?

Mi sembra che sia necessario rispondere a queste domande prima di poter portare avanti l'idea che il neoliberismo sia l'artefice dell'indebitamento statale.
JuanManuelFangio
00martedì 8 maggio 2012 23:50
Re:
giusperito, 08/05/2012 23.16:

Alcune domande:
1) Quale economista neoliberista ha mai sostenuto che lo Stato dovesse intervenire sul mercato per salvare le banche? Cortesemente un link ad una fonte.
2) Quale economista neoliberista ha sostenuto "too big to fail"? E soprattutto (torno alla domanda 1) come il too big to fail possa essere interpretato in senso di intervento statale?
3) Boldrin ha sostenuto che le banche dovessero fallire e che tutto sia dipeso dalla greenspan put. Indipendentemente dall'analisi delle cause della crisi, ovviamente anche opinabile, forse Boldrin non è un neoliberista? Come mai lui sostiene che le banche dovessero fallire?
4) Gli interessi dei banchieri come sono compatibili con il pensiero neoliberista di Friedman?

Mi sembra che sia necessario rispondere a queste domande prima di poter portare avanti l'idea che il neoliberismo sia l'artefice dell'indebitamento statale.



Il neo-liberismo è artefice dell'indebitamento statale nel momento in cui gli stati hanno dovuto mettere dei soldi per tenere in piedi il sistema bancario, il quale si è autodistrutto grazie alle politiche di deregulation iniziate negli anni '80.

Complimenti a Boldrin, i guai del mancato salvataggio di Lehman li stiamo scontando ancora ora.


giusperito
00mercoledì 9 maggio 2012 10:21
Re: Re:
JuanManuelFangio, 08/05/2012 23.50:



Il neo-liberismo è artefice dell'indebitamento statale nel momento in cui gli stati hanno dovuto mettere dei soldi per tenere in piedi il sistema bancario, il quale si è autodistrutto grazie alle politiche di deregulation iniziate negli anni '80.

Complimenti a Boldrin, i guai del mancato salvataggio di Lehman li stiamo scontando ancora ora.





Va bene abbiamo capito il tenore argomentativo. E' responsabile perché tu lo ritieni responsabile, benché nessun neoliberista abbia detto che lo Stato dovesse salvare le banche.
A rigor di logica mi sfugge anche questo discorso:
se lo Stato non salva le banche produce effetti catastrofici (lo dici in riferimento a Lehman). Tuttavia se lo Stato le salva scoppia la crisi del debito sovrano che è valido per tutti tranne per l'Italia (e la Spagna? e la Francia?). In realtà le banche e gli Stati falliscono da sempre anche prima degli anni '80.

Comunque non hai risposto alle mie domande. Su Boldrin poi ha risposto pere su mele.
Boldrin è un economista neoliberista e sostiene che gli Stati non dovevano indebitarsi per salvare le banche e che è stato l'intervento statale garantista delle esposizioni a spingere le banche ad indebitarsi e a fare debito too big. Ora a prescindere dalle diverse opzioni ricostruttive, come è possibile che i neoliberisti dicano le cose che tu sostieni abbiano detto (ancora non ho visto da quale fonte trai)?

Volendo fare questo gioco potrei dire che i keynesiani sostengono le politiche di indebitamento alla Tremonti o alla Craxi visto che lo stato dovrebbe pagare per scavare buche e poi per ricoprirle.

Scrivere post lunghissimi senza argomentare o mentendo (sapendo di mentire?) è superstizione o cattiva fede?


p.s. tornando ad una vecchia questione (quella dove facevi il lattaio), la manifestazione delle vedove bianche all'agenzia delle entrate e il connesso tasso di suicidi ti ha fatto pensare (non dico dubitare, perché gli illuminati non dubitano) che forse le tasse le pagano solo quelli che possono permetterselo (tolti ovviamente i furbi di professioni e di piacere)? Gli altri si suicidano. Ah giusto i suicidi sono COMUNQUE evasori fiscali.
giusperito
00mercoledì 9 maggio 2012 11:11
Chi ha memoria storica coglie nel lessico del neopresidente francese, François Hollande, l'eco della langue de bois («lingua di legno») del socialismo dirigista e burocratico che, in Urss, chiamava democrazia il totalitarismo e libertà la tirannia, stravolgendo il senso delle parole. Il socialismo reale è morto, ucciso da carenze ed errori che la «lingua di legno» non riusciva più a compensare. I fatti sono cocciuti, aveva detto Lenin, ma i suoi successori non gli avevano dato retta. Così, i fatti si sono presi la loro rivincita e hanno smentito la «lingua di legno».

Per la Merkel, rigore vuol dire tenere i conti dello Stato in ordine e l'economia sociale di mercato è la versione contemporanea di quella bismarckiana. Una versione, oggi pacifica, del nazionalismo e delle ambizioni egemoniche europee della Germania che, in passato, si erano tradotti in militarismo e avevano generato tre guerre (che i francesi non hanno dimenticato). Nella Germania d'oggi, lo Stato è il direttore e, al tempo stesso, uno degli attori di una società fondamentalmente organicista, dove ogni tassello si incastra nell'altro; i sindacati non sono antagonisti, ma collaborano col mondo della produzione alla stabilità sociale e allo sviluppo economico, le banche operano in sintonia con i sindacati e il mondo della produzione, la popolazione tiene disciplinatamente il passo. Un caso unico.

È il sogno anche del professor Monti, ai cui progetti di crescita si oppongono, con la sua stangata fiscale, la vecchia cultura politica collettivistica e corporativa, il carattere antagonistico della società, i residui passivi del sistema welfarista novecentesco che Mario Draghi ha efficacemente riassunto nella «fine del modello sociale europeo». Se i nostri intellettuali non fossero tanto incolti quanto politicamente vecchi avrebbero avvertito, nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro fra il ministro Fornero e il segretario della Cgil, Camusso, il riflesso della contraddizione fra una Costituzione, che definisce (ancora) il lavoro «un diritto», e la domanda di modernizzazione, che lo assimila a una merce esposta alla domanda e all'offerta e all'esigenza di produttività; contraddizione che è anche l'ostacolo che incontrerà il governo tecnico sulla strada della crescita.

Per Hollande, «basta col rigore» vuol dire rilancio dello statalismo e del dirigismo. Come possa, poi, parlare di crescita, annunciando contemporaneamente di voler tassare oltre misura la ricchezza, invece di combattere l'indigenza, e non nascondendo la propria ostilità per il mercato, è un mistero spiegabile solo o con la «lingua di legno» o con l'illusione di stimolare la domanda con una dose massiccia di keynesismo (spesa pubblica e tasse elevate), mentre il problema è ridurre la spesa e le tasse per stimolare l'offerta. Ha vinto perché ha incarnato, col suo «nazionalsocialismo», la diffidenza dei francesi per la Germania e la loro ostilità per la «dipendenza» di Sarkozy dalla Merkel, oltre che per una certa vocazione étatiste - che viene non solo dall'assolutismo dell'Antico regime, ma dalla stessa Rivoluzione del 1789, dopo la sua degenerazione giacobina - alla quale non è mai stata estranea neppure la destra.

Spero di sbagliarmi, ma la Francia - se Hollande non imita Mitterrand, che era partito con un programma quasi comunista e aveva virato verso una soluzione moderata - è condannata alla recessione.Ventuno economisti di area liberale, e non appartenenti ad alcun partito, avevano indirizzato ai francesi un appello. Vale la pena, anche per noi, citarne alcuni passi. «Il socialismo non ha mai funzionato nella sua forma estrema, il comunismo. Come dimostrano molti anni di storia europea, non funziona nemmeno nella sua forma più moderata di socialdemocrazia. Se la storia europea ci può insegnare qualcosa, è che la prosperità è intrinsecamente correlata alla libertà economica. Come possiamo allora, nel XXI secolo, dopo decenni e secoli di riflessioni e di esperienze, credere ancora a ricette economiche emerse più da magie incantatorie che dalla scienza? (...) Non abbiamo più alcuna scusa per lasciarci affascinare dall'idea che uno Stato produrrà crescita semplicemente spendendo di più, quando tutte le risorse per questa dispendiosa compiacenza provengono da maggiori tasse su di noi e da maggiori prestiti fatti in nostro nome. La crescita non può essere decretata; è il risultato di decisioni non prevedibili e di azioni di un numero imprecisato di individui tutti capaci di sforzi e di immaginazione. La crescita può esserci soltanto se gli impulsi di un numero imprecisato di individui non sono paralizzati da regolamenti, tasse o dalla dipendenza dallo Stato (...). È tragico che qualcuno possa ancora pensare che una vita umana possa migliorare saccheggiando quella di un altro».

Piero Ostellino
ObbligazioneNaturale
00mercoledì 9 maggio 2012 15:00
Re:
JuanManuelFangio, 08/05/2012 22.19:



È stato detto che l’attuale crisi dipende dai debiti sovrani e non dal mercato.
Che visione miope, oltre che faziosa! I nostri cari liberisti alle vongole dimenticano che lo scoppiare della crisi debitoria degli stati è stata la diretta conseguenza dei vari salvataggi delle banche.


Gia', anche in Portogallo e in Grecia e' stato tutto un avvicendarsi di bailouts, chissa' cosa dovevano avere nei bilanci bancari al punto da sfiorare la semi-insolvenza, aaah si', titoli sovrani.
E con questo abbiamo liquidato la P, una I ed una G della parola PIIGS, basterebbe ad apporre il bollino di cazzata su certe argomentazioni (vongole, io e te, non abbiamo mai avuto il piacere di mangiarne).



Tutti i paesi europei in un modo o in un altro hanno dovuto usare il denaro dei contribuenti per evitare il fallimento degli istituti bancari.


Vedi sopra.



Egregio Professore, come Lei sicuramente saprà, esiste una favoletta che circolava fino a non molto tempo fa negli ambienti liberisti nota come too big to fail.
Questa favola, degna del migliore “e vissero felici e contenti”, ci racconta che gli istituti bancari moderni, essendo in realtà degli immensi conglomerati finanziari, hanno in essere una serie di meccanismi (uno per tutti il miracoloso close-out netting) e un tale intreccio di transazioni, per cui è – udite udite – praticamente impossibile che essi possano fallire.


Non erano i liberisti, gli iper-liberisti (sai che non mi piacciono certe etichette) il cui referente politico piu' illustre e' un simpatico vecchietto che professa l'anti TBTF religion, sui giornali scrivevano (e scrivono tutt'ora) della necessita' di scorporare le banche. L'amico tuo invece e' anni che ammorba dalle colonne del NYT.
Il close-out netting e' una normalissma clausola di compensazione, ti prego, non andare oltre, e' doloroso leggere certe cose.



La favola si è poi evoluta nel momento in cui la possibilità di un fallimento si è fatta concreta, per cui l’espressione too big to fail è stata interpretata come la necessità di salvare un istituto creditizio per il famoso rischio sistemico che può derivare da un default.
I soldi per i salvataggi ovviamente li ha messi lo stato (solo il T.A.R.P. è costato più di 700 miliardi di dollari al tesoro americano).


Che molte banche sono state costrette ad accettare con un vincolo di due anni ed un tasso d'interesse del 5%? [SM=g2725401]



Di solito uno stato effettua spesa pubblica in deficit per rilanciare la domanda privata stagnante. Detto in modo frettoloso, all’eccesso di indebitamento al tempo t dovrebbe corrispondere una maggiore domanda, che a sua volta stimola il reddito, che a sua volta fa incrementare il gettito fiscale, che a sua volta ripaga nel periodo t+1 la spesa in deficit. Dal 2008 in poi, gli stati hanno incrementato il loro debito solo per rimpinguare il capitale delle banche, senza effetti positivi né di breve né di lungo periodo sul reddito.


Gli stati, quali? L'Irlanda, il Regno Unito, gli Stati Uniti? Ed in Italia, che banche sono state ricapitalizzate? Quelle della lega?
Le banche le ricapitalizzano gli azionisti, fondanzioni in primis, questo lo sai bene. Tu al massimo paghi una tassa ombra, l'inflazione, ma ti definisci keynesiano... deinde.




Neanche la difesa della Germania attecchisce.
Egregio Professore, condivido pienamente la sua critica ai diktat teutonici.
È vero che la Germania ha un’economia fortissima, fondata su un sistema industriale solido, efficiente e moderno. È vero anche che i politici tedeschi hanno persuaso i propri elettori sul passaggio alla moneta unica, promettendo che la rinuncia alla sovranità monetaria fosse data in cambio di un Euro altrettanto forte in modo da scongiurare derive inflazionistiche. La Germania non può pagare i conti delle cicale? Verissimo. C’è da dire, però, che non tutti i tessuti economici sono uguali. Moneta forte e rigore di bilancio andranno bene per una nazione come la Germania ma non è detto che la stessa ricetta sia universale e debba valere per tutti.
Ad oggi, il rigorismo tedesco ha mortificato ulteriormente le prospettive di crescita economica dell’eurozona. La moneta unica è troppo forte e non fa ripartire le esportazioni, il cieco rispetto dei vincoli di bilancio costringe gli stati ad aumentare la tassazione, che fa deprimere sempre di più l’economia. Proprio riguardo quest’ultimo aspetto, vorrei porre in evidenza quanto il profumo di frutti di mare ottenebri le menti dei nostri cari liberisti. Mentre da un lato si scagliano contro il leviatano fiscale, dall’altro lato magnificano il rigorismo tedesco, dimentichi che l’aumento delle imposte è finalizzato ad attuare quella follia chiamata pareggio di bilancio.


Quindi i Tedeschi sono cattivi, crescono, producono ricerca, esportano e noi, i cugini poveri che avendo contratto dei debiti si rifuggiano nella brillante soluzione di accendere un'ipoteca sulla casa, saremmo i virtuosi e calienti latini, il tuo e' un non sequitur, una mortificazione della logica aristotelica innalzata a fiera della stupidita' (ricorda, frutti di mare non ne abbiam mai mangiati x2), tutti stronzi in Europa, finanche Draghi, almeno Draghi Keynes lo avra' studiato, oppure no, tu che dici?



Alla lunga, siccome la Germania è un paese che vive prevalentemente di esportazioni, il perseguire ostinatamente politiche restrittive si rivelerà controproducente. Se le nazioni dell’eurozona – che fanno parte della fascia di paesi ricchi, e quindi sono i primi a dover importare le sue costosissime automobili – non crescono e si impoveriscono sempre di più, mi spiega la Merkel a chi le vende le sue merci?
Questo esempio facile per dire che una moneta eccessivamente forte, unita a grossi squilibri nella bilancia commerciale, può creare grossi problemi di crescita anche in una nazione con un tessuto produttivo sano e politiche economiche assennate.


Questo e' un esempio per sostenere come in una moneta forte ci debba pur sempre essere qualche freeloader, nemmeno nutri il dubbio che lo scompenso sia dovuto alle enormi differenze di produttivita' tra i vari paesi dell'Eurozona, no, tu (generico) rivendichi con veemenza il tuo ruolo free lunch.


Quando si parla della crescita economica statunitense si dimentica – o si finge di dimenticare – che finalmente la Cina ha ceduto alle pressioni di far rivalutare il renminbi, la cui posticcia svalutazione è costata quasi un punto percentuale di P.I.L. americano.


Ahem, ti smentisci da solo, il renminbi e' stato rivalutato in funzione di quanto operato da Bernanke attraverso i vari ZIRP e QE/QE2/QE2.5, gli USA hanno esportato inflazione al solo scopo di nullificare il vantaggio competitivo cinese (costo del lavoro). I Cinesi che hano ben altri grilli per la testa (ever heard of Bo Xilai?) sono stati costretti ad adeguarsi, parlando di greggio, la Cina inizia a negoziare le forniture in yuan, l'abbandono progressivo del cambio fisso era necessario.



Lo hanno capito non perché Obama è giovane, bello ed abbronzato ma perché, ripeto, uno squilibrio della bilancia commerciale a tuo vantaggio aggrava alla lunga la posizione dei tuoi importatori, che alla fine si vedranno costretti a comprare da te meno merci.
Faccio un ultimo intervento sull’inflazione, collegandomi a quanto affermato da Obbligazionenaturale sul famoso conto che si pagherebbe alla fine.


Vedi sopra.



So che il rischio di un quantitative easing è di gettare benzina sulla fiamma dell’inflazione ma, almeno nella fase attuale, non ritengo che essa sia un pericolo imminente. Innanzitutto v’è da definire di quale inflazione stiamo parlando. Quella attuale è dovuta principalmente al prezzo del greggio e, quindi, non ha legami con la base monetaria. L’inflazione soggiacente o sottostante, quella che dipende dall’aumento dell’offerta di moneta, è ben lontana dall’essere un pericolo.


Uh? Fammi capire, sei un keynesiano ma non hai mai sentito parlare di inverted backwardation, comunque il prezzo del greggio e' in caduta libera da 15 giorni, proprio in concomitanza all'annuncio della chiusura dell'LTRO. Ah, la correlazione statistica. [SM=g2725401]




Le teorie a cui si fa riferimento (Friedman, Lucas ecc.) postulano l’esistenza di un legame tra politiche espansive ed aumento dell’inflazione partendo dall’assunto che il reddito tenda naturalmente ad un equilibrio determinato dalla curva dell’output di lungo periodo, con una situazione del mercato del lavoro anch’esso in equilibrio e non modificabile.
Nella situazione attuale siamo ben lontani da una situazione di non-accelerating inflation rate of unemployment o di reddito di equilibrio di lungo periodo, per cui non vedo problemi, almeno nel breve periodo, relativi ad un aumento dell’inflazione.


Con me sfondi una porta aperta, non credo nella validita' della curva di Phillips.



La sintesi, egregio Professore, è che in taluni le convinzioni maturate su determinati libri di dottrina liberista non sono dissimili da certe “superstizioni” tanto criticate.


Quel libro avra' le incrostazioni. Rispondi alle domande di Gius e non offrirmi le vongole, non mi piacciono, si e' capito. [SM=x43799]

(pollastro)
00mercoledì 9 maggio 2012 15:25
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Ostellino è coerentemente liberale, io coerentemente socialista e generalmente non condivido praticamente mai quello che pensa e scrive. I talebani del liberismo che scrivono qui sono sicuramente tecnicamente bravi. A loro e al giornalista non oppongo nulla, visto che una fede non si discute: la si rispetta anche se non la si condivide e amen, così siamo contenti tutti.
Io però - senza avere la loro preparazione economica e non volendomi buttare in una discussione tecnica per la quale non ho strumenti, giacché non mi appassiona (voglio dire: se mi avesse appassionato, me li sarei col tempo procurati) - credo che sia stata elusa una mia domanda, alla quale i brillanti professorini che scrivono su questo forum vorrei che dessero invece una risposta (anche Trixam, se è possibile, visto che il diaogo era incominciato con lui). Si tratta di questo, premesso che - come avevo cercato di spiegare - avevo usato quella della "decrescita economica" non in senso latouchiano stretto, ma semplicemente come metafora. Quello che mi preoccupa è in realtà l'impersonalità dello sviluppo economico, che in versione macro e globalizzata non si cura delle persone e la sottovalutazione che i professorini di qui (ma anche i professoroni, vedi Monti) fanno delle conseguenze sociali delle politiche economiche. La gente reale tuttavia vota, o fa rivoluzioni, o si ammazza, o esporta capitali, ecc... e le reazioni psicologiche - individuali o collettive - non si spiegano coi teoremi di matematica. Giusperito, che non fa politica, o Monti, che è senatore a vita, se ne fregano, ma questo non vuol dire che - studiando il sottoscritto (anche) le condizioni di tenuta o di crisi delle democrazie - che non si possa giudicare questo atteggiamento mentale giusto, anziché miope. La domanda dunque è - posto che la democrazia si radica nel pluralismo - se non sia urgente una riorganizzazione delle pratiche economiche che privilegi la costruzione dal basso di pratiche sociali collettive attente al consumo intelligente (= non sprechi, né troppe griffes, ad esempio) e all'impiego cooperativo e virtuoso di risorse scarse (= acqua e fonti di energia tradizionale, ad esempio), nonché al risultato economico delle relazioni interpersonali. Rapporti dunque economici sì, ma preferibilmente personalizzati e "graduati" su variabili specifiiche, non freddamente astratti (avevo fatto l'esempio della mia attuale banca: "la mia banca è differente", come dice uno slogan fortunato). Non sono insomma un pauperista, né ho nostaglia di Medioevo, ma un socialista non giacobino e un consumatore senza fette di salame sugli occhi e non affetto da vis compulsiva all'acquisto sì
(pollastro)
00mercoledì 9 maggio 2012 15:39
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

ops... "ciò non vuol dire che non si possa giudicare questo atteggiamento mentale ingiusto e miope". Insomma: per me lo è, ingiusto e miope. La Germania è sicuramente tanto brava e virtuosa, è normale che sia una formichina che non voglia accollarsi debiti, corruzione e passate sconsideratezze varie delle cicale, ma - detto che bisogna risanare, sia chiaro - se contribuisce in modo determinante a fare fallire Grecia, Italia, Portogallo, Irlanda, ecc..., potrà anche avere una ricerca di prim'ordine e produrre ottimi beni di consumo, ma poi a chi li vende? Mai sentito parlare di piano Marshall e di prestiti per sostenere lo sviluppo, cari professorini liberisti? Nessun sospetto che, per darsi un mercato, occorra chi produce e vende, ma anche che ci siano compratori non ridotti alla sussistenza? Prevengo un'obiezione: sprechi, corporativismi, eccesso di presenza pubblica nell'economia, troppo pubblico impiego dequalificato. Infatti, non penso affatto a troppo Stato, ma a quello che serve a riequilibrare le tendenze spontanee del mercato sì. E' questa, in sostanza, la mia differenza con quelli di voi che sono iper-liberisti
ObbligazioneNaturale
00mercoledì 9 maggio 2012 15:42
Re:
(pollastro), 09/05/2012 15.25:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Ostellino è coerentemente liberale, io coerentemente socialista e generalmente non condivido praticamente mai quello che pensa e scrive. I talebani del liberismo che scrivono qui sono sicuramente tecnicamente bravi. A loro e al giornalista non oppongo nulla, visto che una fede non si discute: la si rispetta anche se non la si condivide e amen, così siamo contenti tutti.
Io però - senza avere la loro preparazione economica e non volendomi buttare in una discussione tecnica per la quale non ho strumenti, giacché non mi appassiona (voglio dire: se mi avesse appassionato, me li sarei col tempo procurati) - credo che sia stata elusa una mia domanda, alla quale i brillanti professorini che scrivono su questo forum vorrei che dessero invece una risposta (anche Trixam, se è possibile, visto che il diaogo era incominciato con lui). Si tratta di questo, premesso che - come avevo cercato di spiegare - avevo usato quella della "decrescita economica" non in senso latouchiano stretto, ma semplicemente come metafora. Quello che mi preoccupa è in realtà l'impersonalità dello sviluppo economico, che in versione macro e globalizzata non si cura delle persone e la sottovalutazione che i professorini di qui (ma anche i professoroni, vedi Monti) fanno delle conseguenze sociali delle politiche economiche. La gente reale tuttavia vota, o fa rivoluzioni, o si ammazza, o esporta capitali, ecc... e le reazioni psicologiche - individuali o collettive - non si spiegano coi teoremi di matematica. Giusperito, che non fa politica, o Monti, che è senatore a vita, se ne fregano, ma questo non vuol dire che - studiando il sottoscritto (anche) le condizioni di tenuta o di crisi delle democrazie - che non si possa giudicare questo atteggiamento mentale giusto, anziché miope. La domanda dunque è - posto che la democrazia si radica nel pluralismo - se non sia urgente una riorganizzazione delle pratiche economiche che privilegi la costruzione dal basso di pratiche sociali collettive attente al consumo intelligente (= non sprechi, né troppe griffes, ad esempio) e all'impiego cooperativo e virtuoso di risorse scarse (= acqua e fonti di energia tradizionale, ad esempio), nonché al risultato economico delle relazioni interpersonali. Rapporti dunque economici sì, ma preferibilmente personalizzati e "graduati" su variabili specifiiche, non freddamente astratti (avevo fatto l'esempio della mia attuale banca: "la mia banca è differente", come dice uno slogan fortunato). Non sono insomma un pauperista, né ho nostaglia di Medioevo, ma un socialista non giacobino e un consumatore senza fette di salame sugli occhi e non affetto da vis compulsiva all'acquisto sì


Si', e' necessario, ed e' quello che io definisco progresso scientifico, 15 anni fa nemmeno esistevano pannelli solari e tra un paio d'anni ci saranno cellulari fotovoltaici sul mercato.
D'altra parte mi auspico che questo suo "ritorno ad una dimensione piu' umana ed eco-compatibile del consumo" non venga interpretato da alcuni (i nostri politici ad esempio) come semplice imposizione gravante sui poveri. I ricchi il grattino per la ZTL e l'iva maggiorata sul bene voluttuario possono permetterseli.

Detto tra noi, il suo condivisibile approccio sara' duro da implementare, un'auto elettrica di buona fattura costa ben piu' di una Panda a benzina. [SM=g2725401]

Professore, io continuo a non capire quale sia la vexata quaestio. In Italia ci sono troppe tasse e troppi sprechi? Si', allora tagliamoli.
(pollastro)
00mercoledì 9 maggio 2012 18:48
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

______________

Detto tra noi, il suo condivisibile approccio sara' duro da implementare, un'auto elettrica di buona fattura costa ben piu' di una Panda a benzina

______________

Grazie dell'apprezzamento della posizione, se non è dettata solo (come sospetto) da cortesia: ci leggo un po' di ironia. Io ho un'utilitaria a benzina (un litro quasi due Euro): che cosa faccio? Il pieno e poi dico al distributore che passa Ostellino o qualcuno dei miei amici liberisti del forum a pagare? Ah, sto sentendo il GR3 e il ministro Fornero dichiara che "forse" il governo non ha tenuto sufficientemente conto delle conseguenze umane della crisi... Ma no?!
ObbligazioneNaturale
00mercoledì 9 maggio 2012 19:52
Professore non si preoccupi, non ero ironico. Noi paghiamo due euro ( mi ascolti e si faccia un impianto a GPL, poi mi ringraziera') perche' viviamo in un paese che non diversifica e che mantiene una pressione fiscale pari al 59% del prezzo complessivo di ogni litro di carburante.
Tutti d'accordo sul fatto che la Fornero sia insensibile (per non dire peggio), il suo interlocutore ha fatto l'operaio per giunta.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:32.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com