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Servizio del Corriere della Sera sul mercato delle tesi.

Ultimo Aggiornamento: 06/03/2011 20:56
06/03/2011 13:16
 
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Appendice. ― Note per una riorganizzazione didattica della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II (estratto ― dicembre 2008)

Le note che seguono sono un documento di lavoro, che contiene osservazioni e proposte di riorganizzazione della facoltà nate dall’esperienza professionale e didattica del loro autore.
Esse devono intendersi come contributo ad uno sperabile, urgente dibattito in argomento, offerto al Preside in occasione della sua assunzione dell’ufficio e sono da lui liberamente divulgabili, se creda (o naturalmente archiviabili e cestinabili, se giudicate assurde).
Si pongono come aperte al contraddittorio e all’integrazione, non vogliono in alcun modo suonare come critica preconcetta allo stato di cose esistente e ai colleghi che con molta dedizione lavorano in facoltà, ma certo identificano profili del funzionamento della struttura che ad avviso del loro estensore sono problematici e perciò degni di una riflessione innovativa.

A) Il primo punto da mettere a fuoco è l’istituzione di un momento di iniziale “accoglienza” in facoltà delle matricole, a cura del preside e dei docenti. Questo beninteso già si fa con gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, nell’imminenza della maturità, però è evidente che così non si intercettano tutti gli effettivi iscritti successivi. Penso invece ad una “settimana dell’accoglienza”, propedeutica ai corsi specifici ed a frequenza obbligatoria (bisognerebbe perciò organizzare controlli, ad esempio prendere le firme di presenza sotto la vigilanza dei docenti, affinché non vi siano imbrogli), durante la quale illustrare il senso del passaggio dalla scuola all’università, anche con l’intervento di psicologi; segnalo al riguardo la disponibilità dell’équipe diretta dal collega Paolo Valerio presso il nuovo Policlinico, che ha già compiuto un’esperienza in termini nella facoltà di Agraria.
Nel corso di essa andrebbe richiamata l’attenzione sul fatto che quella dello studente universitario è una stagione della vita in cui si dovrebbe svolgere la costruzione responsabile e critica, via via sempre più autonoma ed adulta, della propria personalità, quindi proporsi obiettivi razionali, studiare non “a pappardella”, imparare a scegliere se del caso fra più opzioni di esami e di programmi, a seconda delle diverse esigenze, abituarsi a parlare in pubblico senza eccessiva timidezza, ecc… Nell’occasione si presenterebbero anche il servizio di counseling psicologico dell’università, le possibilità per lo studio a distanza (e-lerning), nonché i servizi per gli studenti portatori di disabilità.

B) Durante la medesima prima settimana introduttiva, o anche - se necessario - per un’ulteriore seconda settimana (questa fase potrebbe essere anticipata rispetto al calendario ufficiale e comunque dovrebbe poi trovare una divulgazione sintetica sul sito della facoltà), i docenti dovrebbero illustrare - a largo spettro e molto didascalicamente - i contenuti delle diverse aree disciplinari e impostare i primi problemi di nomenclatura, spiegare cioè all’ingrosso (la problematizzazione verrà dopo) i contenuti di concetti come diritto soggettivo, interesse legittimo, diritto sostanziale, processo, costituzione, legge, ecc…, di cui: i nostri studenti sono totalmente ignari [anche quelli che ritengono di sapere, per via del diritto (mal) studiato a scuola (in genere, anzi, questi sono i peggiori, proprio perché presumono di essere già informati)]. Si tratterebbe insomma dell’equivalente di un’introduzione - da leggere preventivamente - di una guida turistica per un viaggio che si intraprenda.
Non ho l’età per aver frequentato il corso propedeutico di Introduzione alle Scienze giuridiche, che mi dicono venisse impartito egualmente a frequenza obbligatoria e prevedesse un colloquio finale - senza voto, ma con direttive personalizzate di orientamento allo studente - riuscendo così molto utile. Ho però letto all’epoca le pagine iniziali del manuale di Diritto Privato Romano del Guarino, che fungevano da strumento surrogatorio di tale corso. Rilette oggi, mi sembrano in realtà molto difficili; servono piuttosto ad adulti (anche per la ricca bibliografia), non a ragazzi. L’esigenza tuttavia persiste analoga, anzi è oggi più intensa, perché i nostri studenti provengono da esperienze scolastiche che affluiscono all’università da mille rivoli e sono per lo più scadenti.

C) Qualche osservazione sulla nostra didattica. Sulla qualità di essa e sul modo in cui i colleghi la effettuano non mi permetto giudizi. Riferisco peraltro un’impressione che ricevo nei miei corsi. Se mi avviene di parlare della nozione di contratto, di sentenza, ecc… (e dando per scontato che gli studenti le ricordino: è ahimé frequente che, interrogati, mi rispondano che l’esame di diritto privato o quello di diritto costituzionale li hanno dati troppo tempo prima per averne un’idea fresca e ancora particolareggiata…), chiedo sempre quanti abbiano appunto visto realmente un contratto, una sentenza, un regolamento di condominio, una cambiale, ecc… La risposta è scontata e sconfortante e ai miei tempi l’avrei data anch’io: nessuno di loro ha “toccato fisicamente” animali del genere. A me solo un padre avvocato civilista toglieva, a domanda, certe curiosità.
Non intendo qui perorare in poche e apodittiche righe la causa di un mutamento della nostra plurisecolare dogmatica e della conseguente metodologia didattica. Spero di avere appreso dal mio corso di diritto pubblico comparato almeno un minimo della consapevolezza che cerco di instillare ai miei studenti, quando li invito a confrontare le diverse tradizioni di studio e di costruzione del diritto senza confonderne i presupposti storici e i contesti culturali, senza dunque facili innamoramenti intellettuali esterofili, né nascondendosi le difficoltà dei trapianti istituzionali, esposti ad ovvie crisi di rigetto (anche se per la verità faccio loro leggere Scott Turow, Harvard, facoltà di Legge, per mostrare appunto somiglianze - poche - e differenze - molte - nell’educazione di un giurista di common law e di civil law).
Questo però non c’entra nulla con la necessità di un maggiore pragmatismo e con l’esigenza di invitare gli studenti a chiedersi costantemente (ma dobbiamo al riguardo aiutarli): A che cosa serve in concreto quello che sto studiando? Com’è veramente articolato e strutturato un certo atto giuridico di cui mi si parla al corso?
Oltre ad una didattica che mi sforzo di accompagnare ad esemplificazioni pratiche (anche con documenti ufficiali e schemi di atti privati e pubblici, appunto, o portando con me Gazzette Ufficiali, il Bollettino della Regione Campania, ecc…; non sarei tenuto a farlo, ma se è necessario…) e di integrare sempre con l’analisi della giurisprudenza (a volte, su temi controversi, faccio sostenere per le istituzioni di diritto pubblico - il cui programma è sui diritti fondamentali, per specificarlo nei confronti di quello di diritto costituzionale - un simulacro di contraddittorio processuale, dividendo gli studenti in due squadre e invitando ogni gruppo a trovare argomenti pro o contro una certa tesi), è molto fruttuoso in proposito il rapporto che intrattengo via e-mail con gli studenti.

D) All’inizio del corso rendo infatti pubblico il mio indirizzo elettronico privato, pregando i presenti di usarlo peró solo per chiarimenti indispensabili, per i quali è proprio necessario contattarmi infungibilmente (non quindi, ad esempio, in sostituzione dei bidelli, per conoscere le date di esame). Dialogo poi con un paio di blog studenteschi. Una volta rodata, l’esperienza è positiva: praticamente, oggi nessuno più mi cerca per mere informazioni logistiche o di segreteria, gli studenti hanno smesso di usare lo stile dei messaggini per comunicare con me, imparano a scrivere e-mails col “Lei” (non sono sempre rose e fiori, in realtà, con i pronomi di cortesia, ma occorre pazienza: noi scontiamo spesso, come scrivevo prima, pessime scuole…) e nel merito mi fanno domande insidiose.

E) Andrebbe inoltre potenziato al massimo il segmento delle lezioni a distanza. Massimo Villone ad esempio lo ha fatto, mettendo inoltre in rete anche un suo manuale di diritto costituzionale molto innovativo, da leggere previa inserzione di password, che si ottiene versando il prezzo all’editore/gestore del sito. Mi sono fatto illustrare la cosa e dalla prossima volta proverò a far videoregistrare le lezioni di diritto pubblico comparato, che quindi ognuno potrà vedere e ascoltare anche dal computer di casa, a qualunque ora.

F) Una nota dolentissima è quella della tesi. Gli studenti oggi: a) non fanno per lo più da noi prove scritte intercorso, quindi non imparano durante i corsi stessi a redigere una relazione, una scheda di un testo, un banale riassunto chiaro, un test a risposta guidata, una ricerca dottrinale e giurisprudenziale; b) scrivono perciò solo - alla fine degli studi - appunto la tesi); c) in genere, la maggior parte di loro a questo punto la copia o la compra (nel corso di istituzioni di diritto pubblico, calendarizzato al IV anno, assegno ai frequentatori ricerche individuali o di gruppo, da presentare alla fine con relazione scritta; è incredibile, a questo livello dei loro studi, come all’inizio la cosa li trovi in realtà molto spaesati). Le tesi originali - salvo poche e per fortuna esistenti eccezioni - si riconoscono paradossalmente non per una (del resto sospettabile, perché incongrua) eccellenza, ma - al contrario - perché sgrammaticate e/o internamente contraddittorie e/o ingenue. Come sappiamo, esistono fiorenti agenzie o artigiani della tesi in grado di riciclare materiali in pochissimo tempo; personalmente, poi, m’imbatto ormai in manifestini pubblicitarî che nemmeno si nascondono più dietro l’ipocrisia delle “ricerche bibliografiche”, ma promettono direttamente la “redazione della tesi” e, come noto, vi sono siti Internet che con pochi euro le fanno scaricare.
Controllare la genuinità di quanto leggiamo, per la moltiplicazione esponenziale delle fonti, è praticamente impossibile, di fronte ad uno studente furbo.
(…) Mi chiedo se ci si renda sufficientemente conto che allo stato alimentiamo - nemmeno troppo inconsapevolmente, ammettiamolo - anche un mercato clandestino e illegale di falsi, cioè appunto di tesi non originali, come se fossero CD musicali taroccati, che prendiamo per buoni.
Di fronte a tale fenomeno e alle sue dimensioni, la mia proposta radicale è di mantenere la tesi classica solo per pochi studenti eccellenti che la scelgano, così preparandosi un percorso post-laurea elitario e di farla seguire da una commissione interdisciplinare di tre relatori, pubblicandone poi i risultati sulla rivista elettronica alla quale accenno in seguito.
Per gli altri - ma a questo punto sempre con gli attuali pochi punti di “guadagno” delle discussioni “a modello differenziato”- si manterrebbe un mero elaborato compilativo, del quale si è tutti consapevoli che è un semplice riassunto da uno, due, tre (quando va bene) libri e/o articoli. Strada innovativa sarebbe infine quella di introdurre in via sperimentale la discussione interdisciplinare di un caso giurisprudenziale, assegnato quindici giorni prima della seduta di laurea tra quelli più recenti (questo impedirebbe o ridurrebbe il rischio di “copie” e “riciclaggi”).

G) Per evitare di sorprendere gli studenti, una tale ultima “riforma” dovrebbe iniziare in realtà dagli esami di profitto: alla fine di ogni anno, chi crede potrebbe appunto sottoporsi, su base volontaria, alla discussione di un caso interdisciplinare, davanti ad una commissione composta dai colleghi che hanno tenuto i corsi dell’anno stesso. Essa dovrebbe assegnare il compito adeguandolo ovviamente ai diversi livelli di maturazione e valutarlo rispetto a tale parametro e alla difficoltà della questione.
È chiaro che questa modalità di esame e di tesi, a regime, sarebbe funzionale all’individuazione di (pochi, nell’ipotesi che immagino si realizzerebbe) percorsi studenteschi di eccellenza.

H) Per tutti gli studenti dovremmo comunque incentivare l’obiettivo che essi diano gli esami di profitto al più nella sessione di esami successiva a quella in cui hanno seguito il corso (o avrebbero potuto farlo).
Occorre infatti sradicare decisamente - sia detto tra parentesi - il fenomeno degli studenti fuori corso pressoché “a vita”, o comunque “lungodegenti”. Ci si potrebbe proporre al riguardo di individuare un percorso-tipo, pari agli anni di frequenza statutariamente previsti + n (due o tre, al più). Chi lo sforasse potrebbe vedersi penalizzato nel voto finale di laurea o nell’inasprimento delle tasse, a meno di non provare lui che impedimenti legittimi (personali o familiari) gli hanno impedito di tenere il passo. Per gli studenti lavoratori, o comunque per chi sceglie deliberatamente un percorso più rilassato, anche in conseguenza di eventi successivi all’iscrizione, dovrebbero comunque essere previsti corsi di recupero - magari nella fascia oraria più tarda della giornata - e una disciplina particolare di interventi di sostegno, oggetto di una sorta di contratto caso per caso, ma in base a ipotesi predeterminate, tra l’interessato e l’istituzione
Tornando al filo principale del discorso, avrei un’idea per favorire frequenza ed esami. Nulla in realtà di rivoluzionario; ricordo ad esempio che, già quando ero studente, quelli più bravi tra noi davano appunto nella prima sessione utile - quasi paradigmaticamente quella “romanistica” - un esame “importante” ed istituzionale e due “complementari” collegati.
Proporrei dunque “pacchetti” di esami, da sostenere in una sessione romanistica; una privatistica; una pubblicistica…ecc. In ciascuna di esse gli studenti darebbero tre o quattro esami tra loro collegati (coordinando i programmi tra i colleghi, che non dovrebbero rendere lo sforzo impossibile) e avrebbero un numero corrispondente o - se si vuol “spingere” la cosa - più che corrispondente di voti e crediti (insomma, avrebbero un bonus). Studiando bene accorpamenti di materie e programmi ed incentivi, si potrebbe provare. Per gli studenti, il guadagno sarebbe quello tipico di ogni full immersion - studiare più profili collegati che si sfaccettano in esami contigui implica uno sforzo che produce però alla fine maggiore chiarezza e un valore aggiunto rispetto alla pura somma delle singole unità didattiche - da sottolineare e premiare perciò con un guadagno più che proporzionale in crediti, rispetto a chi desse i singoli esami “spacchettati” e cioè uti singuli. Si avrebbe in sostanza, per gli studenti che scelgono il pacchetto, una somma di unità didattiche diverse, ma culturalmente omogenee, che recherebbe in se stessa un surplus. Vi sarebbe forse un po’ più di fatica, per loro, ma guadagnerebbero in ordine mentale e, ad ogni “colpo”, in numero di esami superati (tre/ quattro alla volta!). Alla fine risparmierebbero tempo. Ribadisco che occorrerebbe, alla riuscita del progetto, l’essenziale adesione non formale ad esso da parte dei colleghi, spirito di cooperazione tra loro, duttilità nel comporre il “treno” degli esami con “vagoni di programmi” omogenei: i ragazzi e le ragazze non possono certo stramazzare sotto troppi libri!.
I) Negli Stati Uniti, com’è noto, riviste di facoltà giuridiche prestigiose sono curate dai migliori studenti, che hanno al riguardo loro comitati di redazione. La competizione per divenirne (sulla base dei curricula) redattori o addirittura capi della redazione è elevata e non è raro che l’élite tecnica e politica del Paese sortisca da simili esperienze giovanili. Gli studi legali più prestigiosi o agenzie governative e imprese o ancora strutture no profit “pescano” infatti da tali riviste.
Potremmo pensare ad una rivista analoga diffusa attraverso Internet, il che fa risparmiare costi (anche se non li azzera del tutto, ma si potrebbe farsi sponsorizzare in questo da case editrici o librerie giuridiche, i cui testi noi adottiamo: in fin dei conti, ci devono qualcosa!) e amplia moltissimo la circolazione, così identificando e premiando i nostri migliori studenti in età di tesi o di dottorato, guidati da un comitato di docenti, ed offrendo loro una vetrina.

L) Un potente fattore di identificazione e di promozione dell’immagine della facoltà sarebbe la creazione di un’associazione di ex allievi, con una sede, riunioni periodiche, un bollettino telematico costantemente aggiornato.

M) Sono consapevole del rapporto di non perfetta identificazione e sovrapposizione tra facoltà e Scuola delle Professioni Legali, che peraltro non è oggi tale, nei fatti, davanti all’opinione pubblica cittadina.
Per quanto sta peraltro alla facoltà proporre, suggerirei che la didattica della seconda sia ancora meno tradizionale e teorica rispetto a quella impartita dalla facoltà stessa (e che, come ho scritto sopra, andrebbe essa stessa superata, quanto ad eccessi di dogmatismo), collocandovi molte più esercitazioni pratiche in aula e in tribunale, stages, ma anche corsi innovativi, del tipo Diritto e Letteratura (diffusissimo in U.S.A.: gli studenti sono perlopiù poco colti e scrivono male; per scrivere meglio ed essere più critici dovrebbero in primo luogo leggere di più), o Retorica e Processi argomentativi (formiamo magistrati e avvocati senza metterli a confronto con le grandi tradizioni oratorie e argomentative, il che mi sembra una sciocchezza), o Analisi delle procedure di bilancio (dobbiamo formare anche amministratori pubblici e privati migliori? Allora è necessario farlo. Nei concorsi a pubblico impiego, anche con una base di competenze giuridiche, è ormai peraltro diffusa la prova, scritta o solo orale, di scienza dell’amministrazione, o di gestione del personale). (…).
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