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Padre Alberto Maggi: Regalo di natale x tutti da Rebus

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2012 10:40
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Gesù è venuto a presentare il Dio che non fa morire, che è venuto a trasmettere una vita di una qualità tale che si chiama eterna, non per la durata, ma per la qualità che è indistruttibile.

E Gesù le rispose:” Tuo fratello resusciterà”(Gv. 11,23). Marta rimane male, Marta si sarebbe aspettata che Gesù le avesse detto:” io resusciterò tuo fratello”. Gesù dice:” Tuo fratello resusciterà”.

La resurrezione di Lazzaro non è dovuta a una nuova azione di Gesù - vedremo che Gesù su Lazzaro non compie nessun gesto, ma è l’effetto della permanenza della vita in questo individuo.


Marta risponde in maniera seccata, malamente, maleducata a Gesù. Dice:” So che resusciterà nell’ultimo giorno”.(Gv. 11,24). Marta di nuovo si rifà a quello che sa. Se voi, a una persona che è nel dolore per la morte di una persona cara, andate a dire: “consolati che resusciterà”, non solo non la confortate, ma la gettate nella disperazione.

Sapere che la persona che mi è morta, resusciterà alla fine dei tempi, per quella volta sarò morto e stecchito pure io. A me manca adesso! Ĕ adesso che io mi sento dilaniato e soffro per la morte della persona cara. Non diciamo alle persone “Consolati, resusciterà”. Capirai che consolazione! Ed è la risposta che Marta da a Gesù.

L’evangelista vuol portare un cambio radicale nel modo di concepire la morte e la vita. “Gesù le disse:” Io sono – ed è importante, “Io sono” è il nome di Dio, Gesù conferma la sua condizione divina – la resurrezione e la vita;”- la sua presenza comporta la resurrezione perché lui è la vita. In Gesù c’è la pienezza della vita di Dio e Gesù questa pienezza della vita di Dio, la comunica a tutti quanti lo seguono e lo accolgono. Gesù dichiara:” Io sono, qui, presente in ora la resurrezione perché sono la vita”.

Ecco la prima delle affermazioni “ chi crede – credere nel vangelo significa dare adesione – in me, anche se muore, vivrà;(Gv. 11,25)”. Gesù si rivolge alla comunità, che sta piangendo uno dei suoi componenti che è morto.”Se questo che voi piangete morto ha dato adesione a me - e Lazzaro abbiamo visto è il discepolo perfetto - anche se adesso muore vivrà”. Continua a vivere.


La prima importante dichiarazione che Gesù dà alla comunità di vivi è: “ la persona che voi piangete, se ha dato adesione a me,continua a vivere”. Dare adesione a Gesù significa dare adesione alla vita, significa rispondere alle esigenze che ci porta. Chi ha dato adesione a Gesù, alla vita, sappiamo, ce lo assicura Gesù, che continua a vivere.

Ma la seconda e più importante affermazione perché riguarda noi che siamo vivi,” chiunque vive e crede in me, non muore”.(Gv. 11,26). Non muore più, uguale a vive. Gesù si rivolge alla comunità, a voi, a noi che siamo vivi e che gli diamo adesione, non faremo esperienza della morte. Gesù garantisce che chi gli dà adesione non farà esperienza della morte.

Marta sperava in una resurrezione lontana, Gesù invece si identifica con la resurrezione che è immediata. Noi che siamo vivi e che abbiamo dato adesione a Gesù non faremo l‘esperienza della morte. Gesù più volte lo ha detto nel vangelo “chi osserva la mia parola non vedrà mai la morte”.


Il messaggio cristiano è che Gesù non resuscita i morti, ma comunica ai vivi una vita che è capace di superare la morte. Pertanto i cristiani non credono che resusciteranno, ma credono che sono già resuscitati.

Se leggiamo le lettere di Paolo troveremo l’espressione, nella lettera agli Efesini” Con lui ci ha anche resuscitati”. Ci saremmo aspettati ci resusciterà. No. Con lui ci ha anche resuscitati. Nella lettera ai Colossesi: “ Se dunque siete resuscitati in Cristo”.

La credenza dei primi cristiani è che per aver dato adesione a Gesù, avevano già subito una vita, di una qualità tale, che quando verrà il momento della morte la supererà.

In un vangelo apocrifo, il vangelo di Filippo c’è questa espressione interessantissima. L’autore scrive:“Chi dice prima si muore e poi si risorge, sbaglia”. Se non si risuscita prima mentre si è ancora in vita, morendo non si risuscita più.

Ĕ chiaro che viene l’obiezione. Come possiamo dire che non moriamo, quando vediamo che la gente muore? Perché nei vangeli e nel Nuovo Testamento, si parla di morte seconda e a questa che si riferisce Gesù.

Cosa significa la morte seconda? Mi aiuto con un grafico. C’è un inizio della nostra esistenza, c’è una crescita nella vita fisica e raggiungiamo la pienezza. La vita ha un inizio, una vita piena e, dispiace a tutti quanti, dopo questo momento di pienezza irrimediabilmente, comincia il declino fisico.

Noi possiamo fare tutte le ginnastiche, mettere le creme che vogliamo. Arriva il declino fino alla dissoluzione totale di questa vita fisica, questo è per tutti. Un inizio c’è una crescita, si arriva a un momento di pienezza e poi comincia il declino.

Cosa significa declino? Le cellule del nostro organismo cominciano a morire, a non rigenerarsi, si deteriorano finché arriva - speriamo il più lontano possibile – il momento della dissoluzione .

Noi non siamo solo di ciccia, c’è una vita interiore che è quella della persona e questa lo stesso fa questa parabola. Cresce e quando arriva al momento della pienezza non si ferma e comincia a declinare, ma c’è come un divorzio, continua a crescere.

Quella è la prima morte, alla quale tutti inevitabilmente andiamo incontro. Questa è la vita che continua, è quella che nel Nuovo Testamento si chiama morte seconda. C’è il rischio, c’è la possibilità che quando arriva il momento della morte fisica non ci sia niente di questo, non ci sia una vita interiore. Ĕ la seconda morte.

Qual è il messaggio di Gesù? Non è venuto a liberarci dalla morte biologica, fisica. Questa è irrimediabile, ma come scrive Paolo in una delle sue lettere: ”Mentre l’uomo esteriore va declinando, l’uomo interiore si rafforza”.

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Arriva un momento della nostra esistenza, chiaro non abbiamo più il corpo dei vent’anni, ma non è paragonabile la ricchezza interiore che abbiamo dentro con quella che c’era a vent’anni. Questo è quello che rimane. Questa è la morte a cui il credente non andrà incontro.

Gesù non resuscita i morti, ma è venuto a comunicare ai vivi, una vita di una qualità tale, capace di superare la morte.

Gesù chiede a Marta se crede in questo: “Credi tu questo? Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo” – prima sapeva, adesso “crede” , c’è un passaggio, una crescita nella comunità – “che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”.(Gv. 11,27).


Prima Marta credeva che Gesù fosse un profeta straordinario, chiede a Dio. Adesso capisce che Gesù è Dio sono un’unica cosa. “Sei il figlio di Dio che deve venire nel mondo”.

“Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: “Il maestro è qui e ti chiama”.(Gv. 11,28). Perché Marta va a chiamare Maria di nascosto? Abbiamo visto che è una comunità che gode della simpatia delle autorità religiose. Perché? Fintanto che Gesù è ritenuto un profeta non c’è nessun problema, ma quando la comunità arriva a credere che Gesù e Dio sono la stessa cosa si scatena la persecuzione.

Quando Gesù di fronte al Sommo Sacerdote riconoscerà di essere il figlio di Dio, il Sommo Sacerdote si straccia le vesti e dice: “Bestemmia”. Quando la comunità riconoscerà che in Gesù si manifesta la pienezza di Dio, incomincia la persecuzione.

Qui l’evangelista l’anticipa. Fintanto che la comunità credeva Gesù profeta non c’è alcun problema,quando comincia a comprenderlo come figlio di Dio, comincia la persecuzione.

“Quella udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui”.( Gv. 11, 29). L’arrivo di Gesù toglie Maria dall’immobilità , dalla paralisi in cui giaceva. Ecco siamo alle battute finali, c’è un crescendo e l’evangelista arricchisce ogni termine.

Gesù non era entrato nel villaggio. Gesù non era entrato e non entra. Il villaggio, il luogo della tradizione, il luogo della morte non può vedere la presenza di Gesù. Per vedere Gesù bisogna uscire dalla tradizione e dal luogo dei morti.

Il vangelo di Luca quando le donne arrivano al sepolcro trovano gli angeli che dicono: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo”. Questo bisognerebbe scriverlo in ogni cimitero . Se crediamo che la persona è viva, la cosa più inutile è il cimitero.

“Gesù non era ancora entrato nel villaggio, ma si trovava ancora nel luogo”- il termine luogo nel vangelo di Giovanni è usato per indicare il tempio. Quando Caifa decide di ammazzare Gesù dice: “Perché non vengano i Romani e ci distruggono il luogo (il tempio). L’evangelista vuol dire che la presenza di Gesù è l’unico santuario dal quale si irradia la vita e la gloria di Dio.

Non c’è più un edificio in muratura, ma c’è una persona vivente. “..nel luogo dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a confortarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: “Va al sepolcro per piangere là”. ( Gv. 11,30-31).


Ora per ben tre volte ci sarà la ripetizione del verbo piangere - e il numero tre sta ad indicare la completezza - e adesso vedremo il significato di questo verbo. L’unica cosa che sanno fare i Giudei è pensare alla morte, è pensare a piangere. Credono sì alla resurrezione nell’ultimo giorno, alla fine dei tempi, ma quella non è una consolazione.

Seguendo la discepola, escono anche loro dal villaggio, si incontrano con Gesù. “Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!“ (Gv. 11, 32). Maria si rivolge a Gesù quasi esattamente come Marta , solo che Marta ha detto: “Non sarebbe morto mio fratello”. Invece Maria mette l’accento su ”mio fratello non sarebbe morto”. Mette in primo luogo il ricordo di Lazzaro.

La ripetizione del rimprovero a Gesù, sottolinea che questo è il sentimento forte della comunità. Ĕ una comunità che chiede a Gesù: “Ma tu dove eri nel momento del bisogno”.

“Gesù allora quando la vide piangere – e qui notate non c’era bisogno della sottolineatura del verbo piangere – e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei,” – Maria piange, piangono i Giudei e il verbo piangere viene ripetuto tre volte – “ con lei,” – e qui c’è un verbo che non è facile tradurre, io lo traduco all’anconetana –“sbuffò”.

Il verbo greco indica un atto energico, indignato, con il quale si vuol reprimere o il sentimento proprio o l’azione altrui. Potremmo dire fremette, ma fremette non dà l’idea. Gesù sbuffò. Gesù sbuffa perché non tollera che venga fatto il cordoglio funebre, disperato per Lazzaro. Esattamente come ha fatto nell’altra resurrezione, alla casa della figlia di Jairo, dalla quale cacciò via tutti quanti.

Gesù sbuffa perché non tollera che la sua comunità, Maria e Marta, siano senza speranza come i Giudei che credono nella resurrezione alla fine dei tempi. “e turbato disse: “Dove l’avete posto?” Gesù dice :”Dove voi l’avete collocato”. “Gli dissero: “Signore vieni a vedere”. (Gv. 11,33-34).

All’inizio del vangelo quando i primi discepoli gli avevano chiesto: “Gesù dove abiti”. Gesù ha detto:”Venite e vedete”. Era il luogo della vita. In bocca ai Giudei è il luogo della morte.




Seconda parte.


Gesù incomincia a prendere le distanze e ci avviciniamo al cuore del racconto. Vedrete che l’interpretazione ce la dà lo stesso evangelista, dandoci delle chiavi di lettura, delle indicazioni che ci fanno comprendere il significato di questa lunga narrazione.

Ĕ uno dei pochi casi, nel vangelo, in cui un singolo episodio occupa tanto spazio. Abbiamo visto che per ben tre volte l’evangelista ha detto che Maria e i Giudei piangono. Adopera
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un verbo che traduciamo con piangere, che significa il lamento funebre, che indica la disperazione. Perché è vero, credevano che ci sarebbe stata la resurrezione alla fine dei tempi, ma questo non era occasione di consolazione ma di disperazione.

Sia Maria che i Giudei piangono, fanno il lamento funebre che indica la disperazione per qualcosa che è irrimediabile. Continuiamo la nostra lettura e siamo al versetto 35.

“Gesù cominciò – e qui l’evangelista sta attento all’uso esatto dei termini e non si sbaglia e non adopera il verbo piangere, come purtroppo qualche traduttore fa, ma adopera un altro verbo che significa letteralmente lacrimare.

Qual è la differenza? Mentre Maria e i Giudei piangono ed esprimono la disperazione per qualcosa che non è più, Gesù non piange, non esprime la disperazione, però lacrima ed esprime il dolore.

Ĕ molto importante questa distinzione tra i due verbi, che indica l’esatto comportamento che si deve avere nei confronti della morte. Quando muore la persona cara non ci sarà la disperazione come per chi sa che tutto è finito e non c’è nessuna speranza. Naturalmente c’è il dolore, perché fisicamente, concretamente, quella persona che accarezzavamo, che coccolavamo non esiste più. Continua la vita, ma in una maniera differente.

Questo è importante, perché Gesù non è un alieno che di fronte alla morte canta: Alleluia, alleluia! come in certi gruppuscoli si suole fare. Di fronte alla morte non c’è disperazione, ma senz’altro c’è il dolore. Atteggiamenti alleluiatici di fronte alla morte degli individui sono fuori posto. Non c’è la disperazione, ma c’è il dolore. Un dolore sereno che naturalmente permane.

Se prendiamo questa lettura - e al termine sarete voi che dovrete decidere che scelta fare – dal punto di vista storico, cioè letterale, ci si chiede: “Ma perché Gesù piange, o lacrima”. Perché Gesù perde il tempo a lacrimare quando sa già che resusciterà Lazzaro.

Vedete è una incongruenza. Se Gesù veramente rianima il cadavere, ma perché piange, perché perde tempo a piangere! Perché Gesù non è venuto a rianimare un cadavere, ma a liberare la comunità dall’idea della morte – che adesso vedremo – e le lacrime di Gesù mostrano il suo dolore e il suo affetto per questo discepolo amato.

“Dissero allora i Giudei: “Vedi come gli voleva bene!”Non capiscono. Per loro l’azione è al passato, non capiscono che l’azione di Gesù di amore, di affetto per il discepolo non viene interrotta dalla morte,ma continua dopo la morte. “Ma” - e qui l’evangelista ci dà già un anticipo di quello che Gesù starà per fare – “alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse!”.(Gv. 11,37).

Nella guarigione del cieco Gesù aveva ripetuto le stesse azioni del creatore. Il creatore, secondo il libro della Genesi, impastò del fango e fece l’uomo. Nella guarigione del cieco nato, Gesù con la saliva e della terra fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco nato.

L’evangelista vuol dire che ora Gesù completa la creazione, facendo rendere conto alla comunità qual è la vera creazione. La vera creazione non termina, come quella di prima, nella morte, ma in una vita che è capace di superare la morte.

“Intanto Gesù ancora fremendo “– o per gli anconetani ancora “sbuffando” –“si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra”.(Gv. 11,38). Sono delle indicazioni superflue. Per noi sapere com’era questo sepolcro, non ci aiuta più di tanto per comprendere la resurrezione, ma non per l’evangelista.

L’evangelista dice che era una grotta . Perché adopera il termine grotta? Il termine grotta, letteralmente spelonca, è lo stesso che nel libro della Genesi, si adopera per la grotta, per la caverna, dove vennero seppelliti i tre grandi padri del popolo di Israele, Abramo, Isacco , Giacobbe e con le loro mogli.

Si rifà alla tradizione di Israele. L’evangelista dicendo che il sepolcro era una grotta, significa che Lazzaro è stato seppellito alla maniera giudaica. La maniera giudaica era che il morto si riuniva con i suoi padri. La comunità non ha compreso la novità di Gesù e lo ha seppelliti alla maniera giudaica “e contro vi era posta una pietra”.

Per ben tre volte nella narrazione compare il termine pietra. Ricordo che il numero tre significa completo. Mettere contro una pietra, significa la fine di tutto.


L’espressione che adoperiamo nel nostro linguaggio”metterci una pietra sopra“ deriva da questi usi funerari. Quando metti la pietra sopra è finito, non c’è più nessuna speranza. Per loro è vero, c’è questa speranza di resurrezione alla fine dei tempi.


Qui adesso abbiamo tre ordini che l’evangelista ci presenta all’imperativo, sono ordini che non si possono discutere da parte di Gesù. E il primo è : “Disse Gesù: “Togliete la pietra!”- Siete voi che dovete togliere la pietra messa sopra che rappresenta la fine definitiva – “Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore già manda cattivo odore,poiché è di quattro giorni”: (Gv. 11,39).

Il quarto giorno significava che ormai la putrefazione era avanzata, quindi puzza. La fede che prima Marta aveva espressa, aveva detto: “Sì io credo”, adesso vacilla di fronte alla realtà. Un conto è credere, un conto è trovarsi di fronte alla realtà. La realtà sembra contraddire quello a cui si crede.

Puzza già, è già di quattro giorni. E adesso il versetto 40, è la chiave per comprendere l’episodio. Dopo di questo alcuni vedranno certe cose altri no.”Le disse Gesù: ”Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. (Gv. 11,40).

Nel colloquio che Gesù ha avuto con Marta - ma mica gli ha detto, perché Gesù dice “non ti ho detto” e quindi qualcosa che Gesù già le aveva detto - ma Gesù a Marta non ha parlato di gloria di Dio, ma ha parlato di vita.

L’evangelista unisce questi due termini. La gloria di Dio si manifesta in una vita che è stata capace di superare la morte. Ma tutto questo dipende dalla fede di Marta, se Marta crede vede, se non crede non vede niente.

La resurrezione di Lazzaro può essere vista soltanto con gli occhi della fede da quelli che credono, quelli che non credono non vedono niente. Ed è importante quello che Gesù dice: “Se credi, vedrai”.

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A Gesù avevano chiesto: “Quale segno tu ci fai perché vediamo e crediamo”. Alla religione si chiede un segno da vedere per poter credere. Ebbene Gesù inverte la formulazione, occorre credere per poter vedere. Il segno non conduce l’uomo alla fede, ma al contrario è la fede che produce il segno.

La gente gli diceva “mostraci un segno che noi vediamo e crediamo”. Gesù dice: “ no, credete e diventerete voi un segno che si può vedere”. Da adesso in poi la resurrezione di Lazzaro viene condizionata dalla fede della sorella “se credi vedi, non credi, non vedi niente”.

“Tolsero dunque la pietra”. – di fronte al rimprovero di Gesù la comunità decide di togliere la pietra messa sopra eliminando la frontiera tra i morti e i vivi e si apre alla vita. “Gesù allora alzò gli occhi al cielo e disse: “Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato”. (Gv. 11,41).

Ricordate, Marta aveva chiesto a Gesù di chiedere al Padre. Gesù non chiede, ma lo ringrazia. Il verbo ringraziare, che è lo stesso da cui deriva poi il termine eucaristia, in questo vangelo appare soltanto tre volte. E voi sapete, secondo la tecnica letteraria dell’epoca, sono avvenimenti collegati. Due volte nell’episodio della condivisione dei pani e la terza nella resurrezione di Lazzaro.


Questo ci fa capire l’eucaristia che fra poco, per chi vorrà, celebreremo. Ĕ la condivisione dei pani, cioè il farsi pane per gli altri, quello che permette alle persone di avere una vita capace di superare la morte.

L’evangelista collega strettamente l’eucaristia e la resurrezione. Il dono generoso di quello che si è e di quello che si ha, espresso nella condivisione dei pani, comunica una vita capace di superare la morte.
Ecco perché Gesù in questo episodio aveva detto: “Chi mangia questo pane, vive in eterno”. “Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. (Gv. 11,42). Gesù era stato accusato dalle autorità di farsi uguale a Dio, adesso Gesù dimostra che lui e il Padre sono una cosa sola.

E siamo arrivati al momento culminante della narrazione. “E detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv. 11,43). Perché c’è bisogno di gridare da parte di Gesù? Gesù aveva detto : “Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la mia voce e ne usciranno”. Ĕ la voce del Dio della vita, che chiama, coloro che sono sprofondati nella morte, alla vita.

Naturalmente, penso che lo capiamo, non è che questi stavano lì ad aspettare questa voce del Signore. Sono già resuscitati, tutti quanti, è che la comunità non se n’è resa conto. La resurrezione esisteva prima di Gesù. Gesù ce ne ha fatto prendere coscienza. Non è che questi stavano ad aspettare questa voce.

Qui notate la descrizione, Gesù chiama: “ Lazzaro vieni fuori”. Non viene mica fuori Lazzaro. C’è scritto “Il morto uscì”. Avrebbe dovuto scrivere correttamente “Lazzaro uscì”. Lazzaro è ormai con il Padre, Lazzaro è già resuscitato, Lazzaro è già nella pienezza dell’amore di Dio.

Quello che deve uscire non è Lazzaro, è il morto. “Il morto uscì” - i primi commentatori di questo vangelo, vedendo questa descrizione strana dicevano miracolo nel miracolo perché uscì – “con i piedi e le mani legate da bende – immaginate questo morto che zompetta; come faceva questo morto, che era legato come un salame, a uscire dal sepolcro, non si sa. – “e il volto coperto da un sudario”. ( Gv. 11,43).

Questa maniera di seppellire i morti, non era quella in uso tra i Giudei. Il cadavere veniva lavato con aceto, profumato e poi veniva posto un lenzuolo sopra. Questo modo di dire “i piedi e le mani legate da bende”, non si legavano i piedi e le mani. Perché l’evangelista adopera questa espressione? Perché Lazzaro è legato come un prigioniero, prigioniero della morte.

Sono tanti i salmi che descrivano la morte come una prigionia. Per esempio dice: “ mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci dello sheol, - lo sheol è il regno dei morti – mi avvolgevano i lacci della morte ecc.. La morte veniva considerata essere legati mani e piedi.

Per il sudario il riferimento è al profeta Isaia che nel capitolo 25 afferma: “Egli, il Signore strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia, cioè il sudario, di tutti i popoli, eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio, asciugherà le lacrime di ogni volto.”

Colui che esce, quindi non è Lazzaro. Lazzaro sta già nella gloria del Padre. Ĕ la comunità che deve cambiare mentalità e liberarsi di un Lazzaro morto e legato con le funi della morte

Abbiamo detto ci sono tre imperativi, il secondo e il terzo: “ E Gesù disse loro: “Scioglietelo” – sciogliendo il morto è la comunità che si scioglie dalla paura della morte. Lazzaro è già con il Padre, è il morto che deve essere sciolto

Poi clamoroso, è la chiave di lettura di tutto l’episodio – noi adesso proviamo ad immaginarci di essere, realmente, di fronte alla tomba della persona cara che ci è morta ultimamente. Per un avvenimento straordinario questa persona resuscita e cosa faremmo? Lo accoglieremo, lo festeggeremo, qualcuno un po’ schizzinoso gli dà una lavata.

Invece l’ultimo imperativo di Gesù che è la chiave di lettura di tutto questo brano “e lasciatelo andare”. (Gv. 11,44). Che strano, non fatelo venire o accogliamolo, “lasciatelo andare”. E questa è una contraddizione. Ci sono le sorelle disperate che piangono il morto, il morto resuscita, invece di dire: accogliamolo, andiamo incontro, “lasciatelo andare!”

Questo verbo andare, è stato usato da Gesù per indicare il suo cammino verso il Padre, “Dove io vado, voi non potete venire”. Gesù dice: “Lasciate andare Lazzaro verso la pienezza del Padre”. Gesù non restituisce, come ci si sarebbe aspettato, Lazzaro ai suoi, ma lo lascia libero di andare.

Ĕ chiaro, non è che Lazzaro debba ancora andare dal Padre, c’è già. Ĕ la comunità che deve lasciarlo andare senza trattenerlo come un morto. Fintanto che noi piangiamo disperati, per la morte di una persona cara, la teniamo legata, immobilizzata, nelle funi della morte.
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La persona cara naturalmente, non è quella che piangiamo, quella è già nella gloria, nella pienezza della vita di Dio. Ma siamo noi che dobbiamo scioglierci e slegarlo e farlo andare via.

Con questo episodio si chiede un cambio di mentalità alla comunità cristiana per passare dalla concezione giudaica della morte a quella cristiana. Ed ecco, abbiamo concluso, il finale “ Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, - chi? Maria o Gesù? L’evangelista è ambiguo, è azione di Gesù ma è azione di Maria - credettero in lui”. (Gv. 11,45).

Gesù ha mostrato che Lazzaro è vivo, ma è stata la comunità, rappresentata da Maria che ha sciolto il morto e lo ha lasciato andare, perché ha compreso che la qualità di vita comunicata da Gesù supera l’esistenza della morte.

La morte non solo non distrugge l’individuo, ma lo potenzia. La morte è una ricreazione, una resurrezione, una nuova creazione nella quale la persona viene ricreata completamente da Dio. Questo converte la comunità, in una testimonianza visibile di una vita capace di superare la morte e attira anche i Giudei.

Abbiamo detto all’inizio, ho voluto fare questo brano anche come ricordo, come omaggio alla mamma di Riccardo. Dicevo all’inizio di questa esperienza dolorosa, - conoscevo la mamma di Riccardo ormai da più di venti anni, un grande affetto da parte mia, - penso che ho vissuto la morte della madre di Riccardo, come la può aver vissuta un fratello.


Nel dolore, tanto, abbiamo sperimentato la certezza, la verità del messaggio di Gesù. Ripeto in un bagno di dolore tanto grande emergevano più che mai vere le parole di Gesù. Quello che noi vi diciamo, non è un insegnamento teorico, è esperienza di vita. E l’occasione di questa morte ce lo ha dimostrato. Ci ha dimostrato che è vero quello che Gesù dice “cercate il regno e il resto vi viene dato in abbondanza”.


Credo che possiamo affermare senza superbia, che noi ci diamo senza risparmio in questa attività, ma quando ne abbiamo bisogno, abbiamo una risposta mille volte superiore a quello che possiamo dare. Il Signore tutto trasforma in bene, anche un avvenimento doloroso e poi, vera più che mai, la frase di Gesù:”A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.

L’atteggiamento nei confronti di una morte devastante non si improvvisa. O uno ha dei serbatoi di ricchezza dentro, che in quel momento affiorano, “a chi ha sarà dato”, oppure in quel momento uno è incapace di qualunque reazione.

Ecco, il Signore tutto trasforma in bene. “A chi ha sarà dato” “cercate il regno e il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Nell’esperienza dolorosa della morte della mamma di Riccardo, avevamo una serenità crescente, contagiante. Tanto è vero che quando ho celebrato la messa nel suo paese, eravamo un po’ imbarazzati perché eravamo così contenti. Dico: non è che la gente interpreterà male questo atteggiamento. Eravamo pieni di contentezza pure nel dolore.

L’episodio che abbiamo trattato non è di facile comprensione. Quando venti anni fa per la prima volta mi accinsi a studiarlo, mi ci sono voluti cinque anni per capirlo,a livello intellettuale sì, perché il testo è chiaro, ma prima che ti entri dentro ti devi scrostare tutte le tradizioni che ti trovi dentro e ci ho messo cinque anni.


Sono anconetano, sono testardo, mi c’è voluto. Dico questo se qualcuno si trova sconcentrato di fronte a questo episodio, a questa interpretazione. L’importante è accogliere questa proposta

Abbiamo quindici minuti per i vostri interventi, per le vostre domande, per quanto riguarda il tema della morte e della resurrezione.

Domanda.

Naturalmente i dubbi sono tanti. Al versetto 25 “anche se muore vivrà” un verbo al presente e un verbo al futuro. Come seconda domanda “chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Dimmi cosa non morrà. Morrà tutto, qualcosaltro, la vita fisica finisce, l’anima muore, il soffio divino non c’è più.. cosa rimane. L’altra domanda, Lazzaro riappare però, è morto,è nella tomba..


Risposta.

Cominciamo dall’ultima che è la più imbarazzante. Prendiamo Gv. 12,1-3 ”Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò in Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva resuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena. Marta serviva e Lazzaro - letteralmente - era con lui (seduto con lui). Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo,assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù” – e Giuda che protesta.

Abbiamo una cena che è la sostituzione del banchetto funebre. In Israele, una settimana dopo il decesso, si faceva un banchetto funebre, dove si lasciava un posto simbolico riservato al morto. La comunità cristiana si riunisce per la celebrazione dell’eucaristia.

Ogni volta che nel vangelo c’è il termine cena è sempre in relazione all’eucaristia. La comunità celebra l’eucaristia e qui abbiamo tutta una serie di personaggi, ognuno dei quali compie una azione. Vediamo questi personaggi.

Marta serve, poi c’è pure Maria, che unge, c’è,Giuda che protesta, Gesù che è l’ospite e quindi è colui che parla, l’unico che non fa assolutamente niente è Lazzaro. Questo è strano. C’è questa cena e ognuno dei personaggi presenti in questa cena compie una azione o si fa fare un’azione.

L’unico che non fa niente è Lazzaro che viene descritto, il termine che adopera l’evangelista è “era sdraiato con lui”. Come fa a stare sdraiato con Gesù? Questa è una indicazione importantissima, preziosa anche per l’eucaristia che fra poco celebreremo.

Nella celebrazione eucaristica, e di questo si tratta, la persona che ha superato la soglia della morte è presente, e non si prega per lui, ma con lui si ringrazia per il dono della vita. Non si celebra la messa per i defunti, ma si celebra con i defunti, per ringraziare loro della presenza della vita.

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17/12/2011 10:31
 
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L’evangelista presenta la cena eucaristica, dove la presenza di Gesù comporta la presenza di Lazzaro. Siccome Lazzaro è nella pienezza di vita, Gesù è pienezza di vita, la presenza di Gesù comporta quella di Lazzaro e anche quella di tutti i nostri cari.

Tra poco quando celebreremo l’eucaristia, la chiesa sarà affollatissima perché non ci saremo soltanto noi, ma ci crediamo. ci sono tutte le nostre persone care, per le quali non preghiamo, ma con le quali ringraziamo il Signore per la vita di una pienezza.

E mi chiedi, giustamente, ma che tipo di vita. Noi abbiamo difficoltà perché almeno nei nostri catechismi siamo cresciuti con l’idea, vi ricordate, l’anima? L’anima è un concetto inesistente nel mondo ebraico. L’anima è un concetto della filosofia greca che poi si infiltrò nel cristianesimo.

C’è uno dei primi padri della chiesa Giustino, che dice: “Quando incontri qualcuno, come fai per sapere se è cristiano o pagano? Chiedigli: “Tu cosa credi, nell’immortalità dell’anima o nella resurrezione dei morti? Se ti risponde immortalità dell’anima, non è cristiano.

Quindi l’anima non era un concetto ebraico, non era un concetto cristiano e non c’è l’idea di una immortalità dell’anima. Qual era l’idea greca filosofica dell’immortalità dell’anima? L’anima stava nei cieli, si incarnava mal volentieri in un corpo che vedeva come una prigione, non vedeva l’ora di tornare nei cieli. Questo anche a discredito della vita fisica.

Questo è assente nel messaggio di Gesù. Nel mondo ebraico c’è l’individuo che è composto da una parte biologica, dalla ciccia tanto per intenderci, ma noi non siamo soltanto questa parte, c’è la persona, l’individuo.

Io certo, mi esprimi con queste braccia, ma se malauguratamente non dovessi aver le braccia, sarò menomato fisicamente, ma Alberto non è menomato. Nel concetto ebraico c’è l’individuo che è composto da una parte biologica e questa termina, ma l’individuo continua la sua esistenza. E questo continua a vivere.

Domanda. Rispetto alla pienezza della vita, che è un concetto di pienezza, la vita terrena perché è importante. Voglio dire perché è così importante la vita sulla terra? Se poi la pienezza la si acquisisce..

Risposta. La pienezza. Nel mondo ebraico la vita eterna era il premio futuro per il buon comportamento tenuto nel presente. Gesù al contrario ci dice che questa pienezza di vita non c’è da aspettarla nel futuro ma si può vivere già nel presente. Quando si vive donandosi per gli altri,amando gli altri, e naturalmente ricevendo, questa è la pienezza di vita.

Adesso lo dico in maniera scherzosa, ma non aspettatevi quando sarà il momento della morte che cambi qualcosa. Non cambierà mica niente, continueremo la nostra esistenza.

Un giorno, eravamo in giardino con Riccardo e dicevo: “Riccardo non è che siamo morti e non ce ne siamo accorti”. Tra di noi , qui in comunità, grazie al cielo, ci si vuole tanto bene, siamo circondati da tanto affetto! Dico: “Vuoi vedere che siamo morti e non ce ne siamo accorti?”

Con la morte non cambia assolutamente niente. Non c’è da aspettarsi una pienezza di vita nell’aldilà, si può già sperimentare nel presente. Ĕ chiaro nel limitatissimo arco della nostra esistenza non riusciamo a tirare fuori tutte quelle energie d’amore che abbiamo. Quand’è che si tirano fuori queste energie d’amore? Quando ci troviamo in una situazione di emergenza.

Prendete un familiare ammalato e dobbiamo assisterlo. Tiriamo fuori da dentro di noi, delle capacità di resistenza, di forza, che non conoscevamo. Le avevamo dentro, c’è voluta l’occasione per tirarle fuori. La morte sarà il momento in cui tutte queste energie si riveleranno.

Nel breve arco della nostra esistenza non riusciamo a sviluppare tutta la nostra capacità d’amore, con la morte tutto questo si libera. Ma la pienezza di vita noi siamo chiamati a viverla già su questa terra.

La valle di lacrime lasciamola per quelli che ci vogliono sguazzare. Questo non toglie che non ci siano difficoltà, sofferenze, momenti tristi in questa esistenza. Avete visto che Gesù lacrima, Gesù non è un alieno, ma c’è una capacità nuova per vivere e superare.

Domanda. Io volevo soltanto dire: “Sì, questo discorso mi convince, ma se pensiamo a quelli che vivono la realtà della guerra, della fame, della disperazione, potrebbero dire la stessa cosa?”

Risposta. Si, noi, tutti quanti, abbiamo una grandissima responsabilità e conoscere il messaggio di Gesù implica, non soltanto una relazione spirituale, ma anche un atteggiamento politico, sociale e sociologico. L’accoglienza del messaggio di Gesù non ti porta soltanto a un rapporto particolare richiamo la vita spirituale, ma si vede, si deve vedere, deve emergere anche in una scelta politica.

Quando, in questi ultimi tempi tragici, abbiamo visto gente giustificare la guerra e dichiararsi cristiani, capisci che lì c’è una schizofrenia completa. Noi siamo seguaci, non dimentichiamolo mai, di uno che è stato condannato a morte - è stata una azione preventiva, perché altrimenti sarebbe stato più pericoloso in seguito – in nome di Dio.

Le massime autorità religiose, civili, lo hanno condannato a morte. I cristiani sono i seguaci di un condannato a morte. Allora bisogna stare sempre dalla parte di chi è condannato e mai di chi condanna. Sempre dalla parte di chi viene ucciso e mai di chi uccide, anche se chi uccide e tutti quelli che uccidono, per garantirsi la protezione, pretendono di farlo in nome di Dio


Quando si sente un criminale come Bush dire che Dio è con lui, capisci che il Dio i Bush è un po’ differente dal Dio in cui noi crediamo. Forse si chiamava Mammona, la traduzione inglese non deve essergli arrivato, il dio di Bush.

Tutti i potenti pretendono legittimare la loro violenza in nome di Dio. Basta ricordare il famoso cinturone dei nazisti, Dio è con noi. Noi siamo dalla parte di un Dio che è stato crocifisso. Sempre dalla parte di chi è stato condannato e mai di chi condanna. Anche se chi condanna pensa di avere tutte le carte in regola.
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17/12/2011 10:31
 
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Più carte in regola del sommo sacerdote non ce le aveva, condannare Gesù in nome di Dio, come bestemmiatore. La storia ha dimostrato forse qualcosa al contrario.


Domanda. Vorrei sapere che fine fanno il Paradiso, e soprattutto il Purgatorio. E un’altra cosa ,io rimango io, non voglio perdermi come una goccia in mezzo al mare. Voglio rimanere e riconoscere le altre goccioline insieme a me.


Risposta. Intanto cominciamo da questo. Con la morte non cambia niente, noi rimaniamo noi con le nostre qualità. Non se se vi possa interessare, ma io amo tanto i gatti e le piante. Io posso vivere dovunque, ma devo avere un gatto e una pianta. Nel così detto aldilà se non ho gatti e piante ,io non ci sto.

Guardate, io l’ho detto scherzando, ma è vero. Tutto quello che nella nostra esistenza è stato oggetto di amore sarà il bagaglio con cui entriamo in una esistenza definitiva. Noi non cambiamo, ma continuiamo la crescita.

La domanda che hai fatto all’ultimo momento, avrai la risposta. Giustamente dice una volta era così facile tutto quanto. Era tutto così giusto. I buoni, pochi in Paradiso; quelli così così, in Purgatorio; i cattivi all’Inferno.

Bene, quando il Concilio Vaticano ha rinnovato il suo insegnamento in base ai vangeli, il primo a cadere è stato il Limbo. Ĕ stato chiuso d’ufficio e tutti quei bambini con la valigetta se ne sono andati tutti in Paradiso. Restava l’Inferno.

E,tante volte noi consigliamo la nuova traduzione del testo del Nuovo Testamento della C.E. I., dove finalmente nell’ultima revisione, quella del 1997 , è scomparso, salvo una sola volta e non si capisce, il termine Inferno.

Nei vangeli non si parla di Inferno, C’era quel termine che dicevamo prima, ricordate, l’ebraico sheol, il greco ha tradotto Ade, il latino ha tradotto con Inferi. Sono la stessa realtà, significa il regno dei morti. In ebraico c’è questo termine, in greco hanno messo il nome della divinità del regno dei morti, in latino il nome della divinità romana del regno dei morti.

Quando si diceva che Gesù morì e fu sepolto e discese agli Inferi, non era andato all’Inferno è andato a comunicare la sua vita a quelli che erano morti prima di lui. L’inferno nasce quindi da questa idea di confusione. Nei vangeli non si parla di Inferno.

C’è la possibilità della morte seconda. Chi non risponde volontariamente agli innumerevoli stimoli alla vita, che la vita, l’esistenza ti presenta, quando arriva la morte biologica lì non c’è niente. C’è un corpo svuotato, è la morte definitiva.

Quello che una volta si dava come immagine dell’Inferno, oggi posiamo chiamare morte definitiva. Da parte di Gesù c’è una proposta di pienezza di vita. Chi l’accoglie entra nella pienezza di vita, chi sistematicamente la rifiuta entra nella pienezza della morte.

Ma c’è una frase di Paolo: “Dio ha racchiuso tutti nella disobbedienza per mostrare a tutti misericordia”. La chiesa da sempre canonizza le persone, ma non danna nessuno. Non possiamo sapere di nessuno che non sia entrato in questa vita.

C’è il termine Paradiso. Gesù tutte le volte che ha dovuto parlare di questa realtà, non ha mai adoperato la parola Paradiso. La parola Paradiso viene dal persiano e significa giardino ed era in un mito. Un mito primitivo di questo giardino di delizie.


Gesù parla sempre di una vita che è capace di superare la morte. L’unica volta che Gesù usa il termine Paradiso è nel vangelo di Luca. Ĕ in croce e sta per morire, c’è un bandito presso di lui e non poteva fargli una lezione di catechismo. Dice: “Oggi tu sarai con me in Paradiso”. Gli dice quello che poteva capire.

Quindi c’è una proposta di pienezza di vita e chi l’accoglie entra nella vita piena, il rifiuto è la pienezza della morte.

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Un grandissimo augurio a tutto il forum di buon natale.
Spero che questo natale e tutta la vostra vita sia all'insegna di gesù.
In un mondo pieno di modelli discutibili prendiamo esempio da gesù!

Buona natale!


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22/12/2011 16:44
 
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Re:
J.Rebus, 22/12/2011 15.59:

Un grandissimo augurio a tutto il forum di buon natale.
Spero che questo natale e tutta la vostra vita sia all'insegna di gesù.
In un mondo pieno di modelli discutibili prendiamo esempio da gesù!

Buona natale!






buon natale anche a te
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che belle parole
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22/12/2011 17:11
 
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Re: Re:
sanimma, 22/12/2011 16.44:




buon natale anche a te
[SM=g2725292]
che belle parole




Grazie,spero leggerai! [SM=g2725292]

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La malattia e la morte!!!!!


CONFRONTO TRA CREDENTI E NON
L’ALDILÀ
La morte di una persona cara è una tragedia che segna per sempre l’esistenza. Questa tragedia diventa persino più tremenda a causa delle errate idee religiose che accompagnano la morte.
Non solo per lo stupidario di frasi consolatorie che anziché alleviare il dolore non fanno che renderlo ancora più acuto (“Il Signore l’ha chiamato… l’ha preso…. Era già maturo per il paradiso… i fiori più belli li vuole il Signore… è un angioletto in paradiso… i più buoni il Signore li vuole con sé”) ma per tutto quel che circonda la morte.
Nonostante il cammino fatto dal rinnovamento biblico e da quello liturgico si è ancora eredi del Dies irae [1] . Purtroppo molti cristiani non sono stati neanche sfiorati dall’insegnamento di Gesù su una vita capace di superare la morte e vivono ancora gli avvenimenti concernenti la morte con una mentalità che risente più dell’influsso delle credenze ebraiche e della filosofia greca che della novità portata da Gesù.
La tematica della malattia e della morte viene affrontata dagli evangelisti, in particolare da Giovanni con la narrazione della malattia, morte e risurrezione di Lazzaro.
RISURREZIONE?
Quelle che vengono chiamate «risurrezioni» sono - a rigor di termini - «rianimazioni» di cadaveri, un ritorno alla vita biologica, non solo con i limiti di questa vita ma, soprattutto, con la prospettiva drammatica di dover nuovamente morire.
In un romanzo del nobel Saramago [2] , la sorella di Lazzaro chiede a Gesù che non risusciti suo fratello, perché “nessuno nella vita ha commesso tanti peccati da meritare di dover morire due volte”.
La risurrezione è solo di Gesù perché è l'unico che «risuscitato dai morti non muore più» (Rm 6,9). Quanti consideriamo risuscitati poi sono nuovamente morti. Per risurrezione s'intende l'appartenenza a un mondo nuovo con la trasformazione degli elementi fisici in spirituali.
Nei vangeli si narrano solo tre risurrezioni. Due di anonimi: la figlia di Giairo in casa sua (Mt 9,18-26; Mc 5,21-43; Lc 8,40-56) e il figlio della vedova di Nain durante il funerale (Lc 7,11-17). L'unico con nome è Lazzaro (Gv 11), il morto che è stato risuscitato dal suo sepolcro. Nel vangelo di Matteo viene narrata anche una risurrezione imbarazzante:
«Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti» (Mt 27,50-53).
Non c'è commentatore che non si trovi a disagio di fronte a questa strana descrizione con morti che risorgono ma prima di uscire dalla tomba aspettano la resurrezione di Cristo... E tutti ammettono che si tratta di una maniera simbolica per indicare che Gesù estende la sua risurrezione anche a quanti sono morti prima di lui.
Anche gli ordini impartiti da Gesù ai genitori della figlia di Giairo creano imbarazzo. La morte della figlia è un fatto risaputo. L'evangelista parla di «trambusto e gente che piangeva e urlava» (Mc 5,39). Risuscitata la ragazza Gesù si raccomanda «con insistenza che nessuno venisse a saperlo» (Mc 5,43). Come è possibile nascondere un avvenimento del genere? Tutta la gente aveva saputo che la fanciulla era morta. Come nascondere la resurrezione?
Queste «risurrezioni» sono un fatto «vero» o «storico»?
Intendono indicare una verità di fede o un episodio della vita di Gesù?
Sorge pure il problema sul perché Gesù non risusciti più nessuna persona e come mai i credenti non siano mai stati capaci di risuscitare i morti nonostante l’esplicito mandato di Gesù “risuscitate i morti” (Mt 10,8).
Nel sec. IV, Giovanni Crisostomo, grande Padre della Chiesa, mentre stava spiegando proprio l’episodio della risurrezione della figlia di Giairo, venne interrotto da un padre al quale era appena morta la figliola, e Crisostomo gli rispose: «Cristo non ha risuscitato la tua figliola?» La risusciterà con una gloria più grande. Questa fanciulla, dopo essere stata risuscitata, più tardi morì di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà rimarrà peri sempre immortale» (XXXI,3).
La narrazione della risurrezione di Lazzaro non è la rianimazione di un cadavere già putrefatto, ma l’evangelista presenta il profondo cambiamento avvenuto nella comunità cristiana nei confronti della morte e della risurrezione.
Marta, sorella di Lazzaro, si rivolge a Gesù chiedendole un intervento che prolunghi ancora un poco la vita del fratello.
Marta crede nel Dio che risuscita i morti.
Gesù parla di un Dio che non fa morire e che è venuto a trasmettere una qualità di vita indistruttibile: Gesù le disse «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11,23).
Gesù non risponde a Marta come lei si aspettava «Io risusciterò tuo fratello», ma Tuo fratello risusciterà. La risurrezione del fratello non è dovuta a una nuova azione di Gesù, ma è effetto della persistenza della vita definitiva comunicata dallo spirito.
La risposta di Gesù non soddisfa Marta che replica: «So che risusciterà nell'ultimo giorno».
Marta si rifà a quel che sa. La conoscenza di Marta è sempre legata e condizionata dal passato. Marta risponde rifacendosi alla credenza farisaica e popolare riguardo la morte. Ma sapere che il morto «risusciterà nell'ultimo giorno» non solo non causa consolazione ma disperazione... per quel tempo anche Marta sarà già morta e risuscitata...
Che cosa sapeva Marta?
Nella lingua ebraica non esiste l’espressione vita eterna [3] .
Secondo la Bibbia la morte era la fine di tutto: tutti, buoni e cattivi, dopo morti si scende nel regno dei morti.
Quando l'influsso della filosofia greca iniziò a farsi sentire pure in Israele, e cominciarono a divulgarsi le dottrine sull'immortalità dell'anima, verso il 200 a.C. un predicatore [4] , contestò vivacemente queste idee:
“La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere” (Qo 3,19 21);
E ancora:
“Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l'empio, per il puro e l'impuro, il buono e per il malvagio. Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti” (Qo 9,2 3).
Visione pessimista che tocca il suo culmine quando proclama che è “meglio un cane vivo che un leone morto. I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto ormai è finito” (9,4 6);
“Tutto ciò che devi fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà più nulla giù nello sheol, dove stai per andare” (Qo 9,10).

SHEÒL
Secondo la Bibbia i morti finiscono nello sheol [5] .
Al tempo della Bibbia la terra era considerata una piattaforma che si reggeva su delle colonne che avevano la loro base nella caverna sotterranea o regno dei morti, lo sheol.
Al di sopra della terra c’era la volta celeste composta di ben sette cieli, ripartizione cosmologica che si trova nella Lettera di Paolo ai Filippesi: “Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10).
Al di sopra del settimo cielo c’era la dimora di Dio. Secondo i rabbini tra un cielo e l’altro c’era una distanza di ben cinquecento anni di cammino. Paolo afferma di aver raggiunto il terzo cielo [6] .
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Lo Sheol è Il mondo sotterraneo dove finiscono tutti i morti, dimenticati da Dio (Sal 6,5). I morti ridotti a larve, ad ombre [7] , si nutrono di polvere: “i morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno” (Is 26,14).
Il termine ebraico sheol è stato tradotto con il greco Ade, il regno sotto terra, che, secondo la mitologia greca, alla ripartizione del mondo tra i tre figli di Cronos, Zeus, Poseidone e Ade, era toccato al terzo figlio, lo spietato Ade [8] .
In latino sheol e ade vengono resi con Inferi [9] , nome col quale i romani designavano le divinità e gli abitanti dell'oltretomba per estensione all’oltretomba stesso, la parte inferiore, più profonda della terra [10] .
La discesa agli inferi del Cristo [11] compare per la prima volta in una professione di fede verso la metà del secolo V, nella cosiddetta quarta formula di Sirmio del 359, opera del siro Marco di Aretusa. Nel Credo il riferimento a Gesù che “discese agli inferi” si deve alla Prima Lettera di Pietro: “E nello spirito andò a portare l’annuncio anche agli spiriti in prigione” (1 Pt 3,19). L’autore intende affermare che Gesù ha comunicato anche a quanti sono morti prima di lui la vita capace di superare la morte.
Il mondo dei morti nel Nuovo Testamento viene indicato anche con altri termini:
- chasma (Baratro/Voragine) “Tra noi e voi c’è un grande abisso [chasma]”Lc 16,26;
- abyssos (Abisso) [12] “Lo supplicavano che non intimasse loro di andare nell’abisso [abysson]” Lc 8,31;
- geenna “Chi gli dice pazzo sarò sottoposto alla geenna di fuoco” Mt 5,22.29.30: 10,28; 18,9; 23,15 33; Mc 9,43.45.47; Lc 12,5). La Geenna [13] è un burrone a sud di Gerusalemme, dove c'erano altari (tofet) nei quale venivano sacrificati i bambini in onore del dio Molok (Lv 18,21): “Hanno costruito l’altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnon, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie” (Ger 7,31).
Il re Giosia cercò di stroncare questo culto [14] , ma fu solo quando la valle venne trasformata in immondezzaio di Gerusalemme, che si smise di praticare questi sacrifici umani. Col tempo questa valle divenne simbolo di punizione per i malvagi dopo morte, come è scritto nel Talmud:
“Il Santo, che benedetto sia, condanna i malvagi nella Geenna per 12 mesi. Prima li affligge col prurito, quindi col fuoco ed infine con la neve. Dopo 12 mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti” (Sanh.29b; Tos. Sanh.13,4 5).
Nell'ebraismo non esisteva e non esiste un’idea di una pena eterna da scontare dopo la morte. Dopo 12 mesi c'è l'annientamento della persona (anche oggi gli ebrei pregano per undici mesi per il defunto, dopodiché o è nella vita eterna e non ha bisogno di preghiere, oppure è morto per sempre e le preghiere sono inutili).
Gesù prenderà l’immagine della geenna come metafora per indicare la distruzione totale della persona che non accoglie il dono di una vita più forte della morte.
Al rifiuto della vita per sempre corrisponde la morte per sempre. E' questo il significato del monito che corre lungo tutto il vangelo da parte di Gesù di cambiare atteggiamento altrimenti la fine è nella Geenna, cioè nell'immondezzaio.

PARADISO
Il termine paradiso deriva dal medio iranico pardez, che significa: giardino, parco. Traduce l'ebraico gan (giardino). Nella Bibbia dei LXX il termine traduce prevalentemente giardino.
Nei vangeli, il termine paradiso si trova una sola volta, in Lc 23,42, quando Gesù rivolgendosi al malfattore appeso con lui alla croce l'assicura di entrare con lui nella vita definitiva (“In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”).
Mai nei vangeli Gesù parla di paradiso per indicare la realtà che spetta all'uomo oltre la morte. Gesù parla sempre e unicamente di una vita capace di superare la morte e che per questo si chiama eterna.
Nel resto del NT il termine paradiso appare solo due volte: in 2 Cor 12,4 dove Paolo afferma che “fu rapito in paradiso e udì parole indicibili” e nel Libro dell’Apocalisse: “Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Ap 2,7).

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RISURREZIONE nell’Antico Testamento
Nel mondo della Bibbia, non esistendo un al di là, la retribuzione per il bene e il male compiuto avveniva su questa terra.
Il bene era compensato con una lunga vita, abbondanza di figli, prosperità.
Il male veniva punito con vita breve, sterilità e miseria, e la colpa dei padri era punita nei figli fino alla quarta generazione, secondo la teologia del libro del Deuteronomio:
“Io “Yahvé tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano” (Dt 5,9).
Il profeta Ezechiele contesta questa visione della vita ed afferma che Dio retribuisce sempre e subito le azioni del¬l'uomo e che ognuno è responsabile del suo agire:
“Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità” (Ez 18,20).
Quindi ad ognuno il suo.
Teologia, questa del profeta Ezechiele, semplice ed accettabile, ma contraddetta dalla realtà che non si presenta così. Per questo nella polemica interviene un autore, che è rimasto sconosciuto, il quale scrive il Libro di Giobbe proprio per contestare questa idea teologica dove si afferma che il buono è premiato ed il malvagio punito, e presenta un uomo pio e buono al quale capitano tutte le disgrazie di questo mondo (compresa quella degli amici che lo vanno a consolare ed offrire i loro buoni consigli: “Ne ho udite già molte di simili cose! Siete tutti consolatori molesti… Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole!”, Gb 16,2.4) per dimostrare che non è vero che i buoni vengono premiati.

La novità di Daniele
A tirar fuori dal vicolo cieco in cui queste dispute teologiche avevano condotto, sarà un anonimo autore del II secolo, il quale per dare coraggio ai martiri della persecuzione religiosa del terribile Antioco Epifane introduce un nuovo, rivoluzionario elemento, quello di un ritorno alla vita dei morti per il giudizio finale limitato ai giusti del popolo giudaico:
“Molti di quanti dormono nella polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua” (Dn 12,1 2).
E' la prima volta che nella Bibbia compare il termine normalmente tradotto con “vita eterna”. Alla vita eterna, cioè per sempre, l'autore contrappone una “ignominia perpetua”, vale a dire una disfatta definitiva, irreversibile, il fallimento definitivo. L'espressione “ignominia o sconfitta perpetua” [15] si trova nel salmo 78,66, senza alcun senso di sopravvivenza eterna [16] .
Fuori della Bibbia ebraica, l'idea di resurrezione si trova nel Secondo Libro dei Maccabei (160 a.C.?). Nel racconto dell'atroce martirio della madre e dei suoi sette figli, viene espressa una fede per la resurrezione ad una “vita nuova ed eterna” (2 Mac 7,9) per i martiri, vita però che viene esclusa per i persecutori: “per te la risurrezione non sarà per la vita” (2 Mac 7,14): la morte sarà eterna, cioè definitiva.
Quel che da queste ipotesi teologiche si ricava è che la fede nella resurrezione dei morti è una conseguenza della fede nel Dio Creatore: la resurrezione viene intesa come una nuova creazione dell'uomo intero.
Queste nuove teorie però non verranno accettate, anzi verranno condannate come eretiche e rifiutate dalla gerarchia allora al potere, il gruppo dei Sadducei in quanto non contenuta nei primi cinque libri della Bibbia [17] , ma se ne approprieranno i Farisei.
Laici pii impegnati ad osservare fedelmente la Legge in tutti i suoi dettagli, i farisei elaborano per primi in maniera sistematica, la dottrina della resurrezione dei giusti. Il premio o la punizione per l'uomo vengono posticipati a dopo la morte per cui il giusto ritornerà alla vita e il malvagio rimarrà nello Sheol.
L'idea di risurrezione dei giusti proposta dai Farisei, viene limitata a Israele. Ne sono esclusi i pagani, i bifolchi e quanti vengono seppelliti fuori della Terra Santa. Poi, riflettendo ulteriormente, questo gruppo religioso affermerà che risorgono pure i pagani, ma per essere presentati di fronte al tribunale del giudizio: chi avrà osservato la Legge di Dio verrà ammesso nel giardino dell'eden (il paradiso).

GESÙ E LA RISURREZIONE
All’obiezione di Marta basata sul suo sapere, quello della tradizione religiosa giudaica, Gesù replica con una dichiarazione che segna il passaggio dal vecchio concetto di vita-morte-risurrezione al nuovo inaugurato dal Signore: Gesù le disse «Io Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l’uomo possiede, sopprimendo o ritardando indefinitamente la morte. Non è un medico o un taumaturgo. Gesù viene a comunicare la pienezza della vita che egli stesso possiede, la vita divina, indistruttibile. Per questo Gesù inizia la sua risposta con ‘Egô eìmi, il Nome divino.
Gesù è la risurrezione perché è la vita (Gv 14,6). Questa qualità di vita quando si incontra con la morte, la supera. Alla comunità che è di fronte alla distruzione fisica di Lazzaro, Gesù l’assicura che costui vive perché gli ha dato adesione (crede).
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Marta sperava in una risurrezione lontana. Gesù invece si identifica con la risurrezione che non è relegata in un lontano futuro, poiché egli, che è la vita, è presente.
Poi Gesù, rivolto alla comunità dei viventi afferma: Chiunque vive e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo?
All'individuo che ha la vita definitiva Gesù lo assicura che non fa esperienza della morte. A quanti i danno adesione Gesù comunica il suo stesso spirito, la sua stessa vita che essendo divina non è minacciata dalla morte.
Per Gesù la morte non esiste. Marta ha questa fede?
Gesù ha colto l'idea farisaica della risurrezione (ma cambiandone sostanzialmente il contenuto) per parlare agli ebrei, che potevano capire questa categoria teologica (cf. Mc 8,31; 9,31;10,34.).
Ai pagani, Gesù non parlerà mai di risurrezione, ma di una vita capace di superare la morte fisica: “chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo la conserverà” (Mc 8,35),
La vita eterna che Gesù offre, si chiama così non per la sua durata indefinita, ma per la qualità: la sua durata senza fine è conseguenza della qualità, e Gesù ne parla al presente. Non parla di una vita del futuro, come di un premio da conseguire dopo la morte se ci si è comportati bene nella vita, ma di una qualità di vita che è a disposizione subito per quanti accettano lui ed il suo messaggio e con lui e come lui collaborano alla trasformazione di questo mondo. Gesù dichiara: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54) [18] .
La vita proposta da Gesù è di una qualità tale che quando si incontrerà colla morte la oltrepasserà: “se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte” (Gv 8,51). Gesù assicura che chi vive come lui è vissuto, cioè facendo sempre del bene, non farà l'esperienza del morire.
La permanenza della vita attraverso la morte è quel che si chiama risurrezione.
Pertanto, secondo gli evangelisti, la vita eterna non è un premio nel futuro ma una condizione del presente. Gesù ne parla sempre al presente «Chi crede ha la vita eterna...» (Gv 3,15.16.36).
Gesù non risuscita i morti ma comunica ai viventi una vita capace di superare la soglia della morte, per questo Paolo può dire che i credenti sono già risuscitati:
«Con lui ci ha anche risuscitati [= conrisuscitati] e ci ha fatti sedere [= consedere] nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6);
«Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi...» (Col 2,12-13);
«Se dunque siete risorti con Cristo...» (Col 3,1).
Questa realtà era talmente viva nella comunità cristiana che nei vangeli apocrifi si legge:
“Chi dice: prima si muore e poi si risorge, erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più” (Vang. Filippo 90).
“I morti non sono vivi e i vivi non morranno”(Vang. Tommaso, 11).


ANIMA?
Secondo Gesù è la persona intera che continua a vivere, non una componente di questa (l’anima).
Nei vangeli non si parla mai di anima, in quanto è un concetto sconosciuto nell'ebraismo. Questo dell'anima è un’idea che il cristianesimo ha preso poi a prestito dalla filosofia greca, ma che è assente nell'ebraismo.
Il termine greco psyké (ebr. nepheš) [19] , non significa altro che la vita della persona e denota l’individuo umano in quanto vivo e cosciente. La psyché indica la forza vitale dell'individuo, la vita autentica che continua anche dopo la morte, a differenza della vita meramente fisica che è transitoria e con la morte conclude il suo ciclo biologico (per psyché: Mt 2,20; 6,25; cf 10,39; 20,28).
La psyké non è qualcosa che l’uomo ha, bensì qualcosa che egli è, perché non esiste, secondo il pensiero ebraico, una realtà nell'uomo contrapposta al corpo [20] . Quindi il termine anima va inteso nel senso di persona, come comunemente si esprime parlando: una parrocchia di duemila “anime”, un'anima in pena...
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La fede nella continuità di tutta la persona oltrepassata la soglia della morte, è tanto forte e radicata nelle prime comunità cristiane che verrà sempre ostacolata qualunque ipotesi di sopravvivenza dell'anima.
I primi cristiani contrappongono alla fede ellenistica dell' immortalità dell'anima, la fede cristiana della risurrezione della carne.
La teoria platonico ellenistica dell'immortalità dell'anima è considerata dai Padri della Chiesa una dottrina empia e sacrilega che doveva più di ogni altra essere combattuta ed abolita.
La fede nella risurrezione della carne era così specifica che divenne la parola d'ordine del Cristianesimo. Chi credeva invece all'immortalità dell'anima mostrava di essere estraneo al cristianesimo. Così si legge in Giustino: “Se doveste incontrarvi con coloro che si fanno chiamare cristiani... e che affermano che non vi è alcuna risurrezione dei morti, ma che le loro anime saranno accolte in cielo già al momento della morte, non considerateli cristiani” (Dial. 80,4). “L'anima non può dirsi immortale” aggiunge ancora Giustino (ib. 5,1).
Sempre riguardo il concetto di resurrezione/immortalità dell'anima è illuminante il pensiero di Teofilo (II sec.) secondo il quale “l'uomo per sua natura non è né mortale né immortale, ma è creato con la possibilità di dirigersi nei due sensi” (Ad Autol. II, 27).

MORTE COME TRASFORMAZIONE
Pertanto, nel messaggio di Gesù, per risurrezione non s’intende la sopravvivenza di un'anima, ma la persona stessa che continua la sua esistenza in una diversa dimensione in una continua crescita e trasformazione di se stessa verso la piena realizzazione, come recita il prefazio per la messa dei defunti: “La vita non viene tolta, ma trasformata”.
E’ la vita stessa che continua, non un’essenza spirituale dell’individuo. La vita, trasformata e arricchita dal patrimonio di bene reca con sé, come scrive l’autore dell’Apocalisse: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13).
L’autore afferma che la morte fisica non ha l’ultima parola sulla vita del credente. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche l’ingresso in uno stato di attesa, ma un passaggio a una dimensione di pienezza.
Il riposo al quale allude l’autore non indica la cessazione delle attività, ma la condizione divina, come il Creatore che “compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno” (Gen 2,2). Solo chi crea e comunica vita entra nella dimensione di riposo, mentre “chiunque adora la bestia e ila sua immagine e prende il marchio del suo nome, non ha riposo né giorno né notte” (Ap 14,11).
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La vita non viene trasformata dopo la morte, ma ha già iniziato nel corso dell’esistenza dell’individuo la sua trasformazione. Arriva un punto della vita nel quale l'armonica crescita della persona nella sua componente biologica e quella spirituale o morale subisce una metamorfosi. Mentre la maturità di pensiero si consolida, il corpo inizia il suo lento inesorabile cedimento fino allo disfacimento definitivo.
Se fino a una data età l’individuo era cresciuto in maniera armonica e graduale, e allo sviluppo del corpo si accompagnava anche lo sviluppo dell'intelletto, della morale, della spiritualità, di quello che rende una persona tale, arriva un momento dell’esistenza in cui la parte biologica, raggiunto il suo apice inizia un graduale declino, mentre la parte detta spirituale continua la sua crescita verso il massimo della sua potenza.
Mentre la parte spirituale dell’individuo continuerà a svilupparsi, la componente biologica proseguirà il suo inevitabile declino. San Paolo esprime stupendamente questo concetto: “Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro [uomo] interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16).
All'inevitabile disfacimento della parte biologica, corrisponde la pienezza della maturità, alla morte delle cellule la vita indistruttibile.
Quindi morte non più come distruzione ma trasformazione o realizzazione della persona accolta a far parte della pienezza di quel Dio che ha per essi preparato “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (1 Cor 2,9)

Morte biologica e morte definitiva: “La morte seconda”
Nell’Apocalisse, Cristo si presenta come il vincitore della morte: “Colui che fu morto e tornò in vita” Ap 2,8; “Rimani fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita… Il vincitore non ha nulla da temere dalla seconda morte” (Ap 2,10.11)
“Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte…” (Ap 20,6; 21,8).
“Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore” (Ap 14,13).
La morte seconda era un’espressione tipica del giudaismo targumico per indicare l’esclusione dalla risurrezione. Oltre la morte fisica, che non interrompe la vita del credente, c’è il pericolo di una morte “definitiva”, totale, che spegne ogni speranza di futuro.
La prima morte è quella alla quale tutti sono soggetti, è quella biologica. La seconda è la constatazione del fallimento di vita, della mancata risposta agli stimoli vitali in tutta la sua esistenza.
Nella nuova creazione che Dio ha inaugurato con Gesù non c’è più posto per la Morte. Dopo che il satana e i suoi complici sono stati gettati nel lago di fuoco, la morte viene distrutta. La morte viene svuotata della sua drammaticità ed è considerata un passaggio necessario per entrare nella gloria definitiva.
La Morte e l’Ade finiscono nel nulla (lo stagno di fuoco). Affermare che la Morte è stata gettata in se stessa (la “morte seconda”) sembra un non senso, invece è molto eloquente perché serve a indicare che anche la Morte scompare dall’orizzonte umano [21] .

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Gesù e la morte seconda
Nel vangelo di Matteo Gesù annunzia ai suoi discepoli le persecuzioni alle quali essi andranno incontro a causa della fedeltà al messaggio: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo [sôma], ma non hanno potere di uccidere la vita [psychèn]; temete piuttosto chi ha il potere di distruggere la vita e il corpo nella Geenna (Mt 10,28).
Se l'opposizione ai valori della società ingiusta può provocare la persecuzione e la perdita della vita fisica (il corpo), l'adesione ai valori del sistema, rappresentato da mamona (Mt 6,24), conduce alla totale distruzione della propria esistenza (la vita) che, come un rifiuto qualsiasi, viene gettato nell’immondezzaio di Gerusalemme (Geenna) per essere distrutto completamente.
Gesù assicura i discepoli perseguitati che nonostante le apparenze, i persecutori non vinceranno mai, perché tra costoro e i perseguitati, il Padre si pone dalla parte di questi ultimi: se mamona è il dio che distrugge, il Padre è il Dio che vivifica.
L’impossibilità di parlare di una realtà che non è possibile sperimentare in pienezza durante l’esistenza, fa sì che gli evangelisti per indicare la realtà della morte adoperino delle immagini, prese dal ciclo vitale della natura, quali il germogliare del chicco di grano e il dormire.
Chicco di grano
“Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Attraverso l’immagine del chicco che marcendo produce frutto abbondante Gesù dichiara che la morte non è che la condizione perché si liberi tutta l’energia vitale che l’uomo contiene. La vita che è in lui racchiusa attende di manifestarsi in una forma nuova incomparabile con la precedente.
L’uomo possiede molte più potenzialità di quante normalmente appaiono. Ogni tanto nella vita dell’individuo queste capacità fanno capolino nei momenti di emergenza, quando di fronte a situazioni impreviste che costringono l’uomo a donarsi, si scoprono energie finora sconosciute, resistenze inaspettate e capacità d’amore inesplorate. Nel breve arco della sua esistenza terrena l’uomo non ha possibilità di sviluppare tutte le sue potenzialità. Con la morte tutte queste capacità ed energie saranno completamente liberate e sviluppate e permetteranno la definitiva crescita della persona.
Dormire
“La ragazza non è morta, ma dorme” (Mt 9,24).
“Il nostro amico Lazzaro si è addormentato… Lazzaro è morto” (Gv 11,11.14).
Il termine cimitero deriva dalla parola greca che significa dormitorio. Per i primi cristiani la morte era un addormentarsi. Il dormire non fa parte della morte ma del ciclo vitale. Dormire è quell’azione che consente all’individuo di rinfrancarsi dalla stanchezza per poi riprendere con maggiore vigore la sua vita. La morte è un momento del ciclo vitale che consente all’individuo di riprendere con più forza e energia la sua esistenza.


TOGLIETE LA PIETRA
Nella narrazione della risurrezione di Lazzaro, l’evangelista offre anche alcune indicazioni sul corretto atteggiamento nei confronti della morte, che non sarà né di disperazione come quelli per i quali la morte è la fine di tutto e neanche di esaltazione spirituale come si vede in certi gruppi carismatici.
Gesù, quando vede le sorelle di Lazzaro piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette.
Gesù non si «commosse» (tr. CEI) , ma «sbuffò [22] » (o «fremette»).
Gesù reprime il proprio sentimento. Non tollera che venga fatto il lamento funebre per Lazzaro, come nella casa di Giairo dove cacciò via tutti quanti (Mc 5,40). Ancor più non tollera che Maria e i suoi discepoli siano senza speranza come i Giudei che non hanno accolto il messaggio di Gesù e per i quali la morte era la fine di tutto. E' un atteggiamento di rimprovero quello di Gesù diretto principalmente verso Maria, figura centrale della comunità.
E turbato disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero «Signore, vieni a vedere!».
Gesù inizia a prendere le distanze: dove voi l'avete posto. Sono essi che l’hanno collocato in un sepolcro senza alcuna speranza.
Questa espressione «vieni e vedi» Giovanni l'ha usata all'inizio del suo vangelo nell'invito fatto da Filippo a Natanaele per condurlo da Gesù (Gv 1,46). Mentre lì indica la direzione verso la vita, qui, in bocca dei Giudei, la direzione verso la morte.
Gesù cominciò a lacrimare [23] ...
Mentre Maria e i Giudei si lamentano manifestando la loro disperazione, Gesù piange, esprimendo il suo dolore.
L'episodio della figlia di Giairo è simile. Gesù entrato nella casa vede “trambusto e gente che piangeva e urlava” (Mc 5,38), e li caccia via tutti.
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Dal punto di vista narrativo le lacrime di Gesù sono fuori luogo. Se Gesù sta per risuscitare Lazzaro, perché piange?
Le lacrime di Gesù mostrano il suo dolore e il suo affetto per il discepolo suo amico, come viene correttamente commentato dai presenti.
Dissero allora i Giudei «Vedi come gli voleva bene!».
Ma alcuni di loro dissero «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
Però mentre i Giudei interpretano l'affetto di Gesù al passato (amava) Gesù dimostra al discepolo l'amore sempre presente.
Nella guarigione del cieco Gesù aveva ripetuto i gesti del creatore (fango) (Gv 9,6). Ora completa l'azione creatrice facendo rendere conto alla comunità della vera creazione che culmina con una vita capace di superare la morte. Mentre la prima creazione si concludeva con la morte la seconda continua con la vita.
Intanto Gesù, ancora sbuffando/fremendo, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.
Gesù di nuovo «sbuffa» di fronte tanta ottusità. La precisazione che il sepolcro era una grotta ricorda il sepolcro dei patriarchi, la grotta di Macpela, dove furono seppelliti Abramo, Isacco e Giacobbe (Gen 49,29-32; 50,13). La grotta-sepolcro è legata alle origini del popolo, in opposizione al sepolcro nuovo di Gesù, nel quale nessuno era stato ancora posto (Gen 19,41).
La grotta-sepolcro rappresenta l’antico, il sepolcro d’Israele dove tutti erano posti. Lazzaro è stato seppellito alla maniera giudea “per riunirsi con i suoi padri” (Gen 15,15).
La pietra collocata separa definitivamente il mondo dei vivi da quello dei morti.
Disse Gesù «Togliete la pietra!».
Sono essi che devono togliere la «pietra» messa sopra = fine definitiva («Mettere una pietra sopra», sotterrare definitivamente qualcosa).
L'importanza della «pietra» è sottolineata dalla ripetizione ben tre volte del termine (vv. 38.39.41).
Gli rispose Marta, la sorella del morto «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni».
La fede perfetta espressa da Marta vacilla di fronte alla realtà: il morto è già in putrefazione e puzza, meglio lasciarlo dove sta.
Le disse Gesù «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».
Nel colloquio avuto, Gesù non ha parlato con Marta di gloria di Dio, ma di una vita indistruttibile.
Collegando i due termini gloria-vita, l'evangelista indica che nella vita indistruttibile si manifesta la gloria di Dio, si rende visibile l'azione di Dio. Ma Marta non può vedere fino a che non giunge a credere questo.
A Gesù avevano chiesto «Quale segno fai perché vediamo e crediamo» (Gv 6,30).
Gesù inverte la formulazione: occorre credere per poter vedere. Il segno non conduce l'uomo alla fede, ma al contrario la fede produce il segno.
La risurrezione di Lazzaro viene condizionata dalla fede della sorella: «se credi... vedrai».
La risurrezione di Lazzaro può essere «vista» solo da quanti avranno «creduto». Indicazione preziosa che quel che segue non è un avvenimento storico, ma teologico. Non riguarda la cronaca ma la fede.
Tolsero dunque la pietra.
Di fronte al rimprovero di Gesù la comunità decide di togliere la pietra messa sopra eliminando la frontiera tra morti e vivi, e si apre alla vita, comprendendo che quelli che sono morti sono vivi.
Gesù allora alzò gli occhi e disse «Padre, ti ringrazio [eycharistô] che mi hai ascoltato.
Marta aveva chiesto a Gesù di chiedere al Padre (v.22).
Gesù non «chiede», ma «ringrazia» il Padre.
Il verbo ringraziare [eycharisteô] da cui proviene eucaristia appare nel vangelo di Giovanni tre volte: due nell'episodio della condivisione dei pani (6,11.24) e il terzo nell'episodio di Lazzaro. I tre episodi sono in stretta relazione con l'eucarestia: il dono generoso di quel che si ha e si è espresso nella condivisione dei pani comunica una vita capace di superare la morte: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna” (Gv 6,51.54).
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Inoltre l'espressione di Gesù è una citazione del Salmo 118,28: “Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie...” che è il ringraziamento per la salvezza dalla morte: “Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore. Il Signore mi ha provato duramente ma non mi ha consegnato alla morte” (v.17-18).
Gesù è stato accusato di farsi uguale a Dio (Gv 5,18), di farsi Dio (Gv 10,33). Ora dimostra che lui e il Padre sono una cosa sola: Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».
E, detto questo, gridò a gran voce «Lazzaro, vieni fuori!».
Gesù aveva annunciato: “verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno” (Gv 5,28).
Gesù non compie alcuna azione su Lazzaro (alla figlia di Giàiro prese la mano (Mt 9,25), e al figlio della vedova di Nain toccò la bara, Lc 7,14).
Il morto uscì, con i piedi e le mani legate da bende, e il volto coperto da un sudario.
Gesù ha chiamato fuori della tomba Lazzaro, ma colui che esce è il morto. lazzaro non deve uscire, lui non è più nbella tomba, è già col Padre, nella pienezza della vita, chi deve uscire è il morto, la credenza che il defunto fosse nel sepolcro.
La maniera di seppellire i morti descritta dall’evangelista (legare mani e piedi) era sconosciuta tra i Giudei, pertanto la descrizione anche qui ha valore simbolico: Lazzaro è legato come un prigioniero, è prigioniero della morte [24] . Per il sudario il riferimento è a Isaia: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia [sudario] di tutti i popoli... eliminerà la morte per sempre: il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto...” (Is 25,7-8 ).
I riferimenti espliciti a questi salmi vogliono indicare che Gesù, come Dio, può liberare dai lacci della morte coloro che ama.
Gesù disse loro «Scioglietelo e lasciatelo andare».
Voi l'avete legato... immobilizzato impedendo ogni possibilità di movimento.
Sciogliendo il morto la comunità si scioglie dalla paura della morte. Lazzaro è già con il Padre: è il morto che deve essere sciolto.
La parola chiave dell’intera narrazione è “lasciatelo andare”. Il verbo “andare”» è usato da Gv per indicare il cammino di Gesù verso il Padre passando per la morte [25]
Gesù non restituisce, come ci si sarebbe aspettato, Lazzaro ai suoi, ma lo lascia andare, libero.
Non è che Lazzaro debba ancora andare al Padre: c'è già. Sono essi che devono lasciarlo andare senza trattenerlo come morto. Si chiede un cambio di mentalità alla comunità cristiana, per passare dalla concezione giudaica della morte a quella cristiana.

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Segnalo un video in cui c'è un'intervista a Maggi.






Martin Niemoller :
Quando i nazisti vennero per i comunisti, | Io restai in silenzio; | Non ero comunista. || Quando rinchiusero i socialdemocratici, | Rimasi in silenzio; | Non ero un socialdemocratico. || Quando vennero per i sindacalisti, | Io non feci sentire la mia voce; | Non ero un sindacalista. || Quando vennero per gli ebrei, | Rimasi in silenzio; | Non ero un ebreo. || Quando vennero per me,
Non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.



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