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Crisi economica e ristrutturazione del debito nell'U.E.

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2010 14:46
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Utente Junior
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18/11/2010 12:12
 
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di András Szigetvari

Josef Pröll è davvero un ottimo attore. Martedì il ministro delle finanze austriaco si è cimentato nel monologo del duro creditore che rimprovera i suoi debitori. La Grecia non riesce a rispettare il piano stabilito con l'Ue e il Fondo Monetario Internazionale e non si attiene alle misure di risparmio, indebitandosi più di quanto dovrebbe.

Per questo Pröll ha minacciato di non pagare la seconda tranche di aiuti alla Grecia. Normalmente in questi casi i creditori fanno così, che siano stati o banche. Minacciano e alzano la voce, ma nella maggior parte dei casi alla fine prolungano le scadenze: meglio un creditore spaventato che uno morto.

Solo che ormai l'indebitamento dell'Eurozona non è affatto “normale”, e Pröll lo sa bene. Secondo gli ultimi calcoli, la Grecia si è indebitata per quasi il 130 per cento del suo Pil. Entro il 2015 la repubblica ellenica dovrà ripagare 140 miliardi di debiti, ai quali vanno aggiunti almeno altri 90 miliardi di interessi. Il tutto con un'economia sempre più debole. Non c'è bisogno di essere un profeta per capire che le cose non andranno bene.

Non è l'unico caso di bancarotta in Europa: anche l'Irlanda è sulla soglia dell'abisso. Nel 2016 l'indebitamento del paese, a causa degli aiuti alle banche, arriverà al 150 per cento del Pil. I mercati finanziari valutano le azioni irlandesi alla pari di quelle pakistane e venezuelane. Gli economisti irlandesi già fanno i conti con la bancarotta, che arrivi o meno il salvagente europeo.

Con queste premesse la politica non può fare altro che prendere tempo; da questo punto di vista la performance di Pröll non è poi così insensata.

Ma nel frattempo l'eurozona dovrebbe prepararsi alla nuova ondata di crisi. I creditori dovrebbero essere obbligati a sostenere i costi in caso di bancarotta. Sembra scontato, ma sarebbe una novità rispetto alla prassi seguita finora. All'inizio erano le banche a rischiare il fallimento. I contribuenti le hanno salvate dal tracollo. Poi è stata la volta degli stati. Sempre i contribuenti – di altri stati – sono accorsi in aiuto.

Se non ora, quando?
Ora questo deve finire. Nella cornice del G20 si è già cercato di abbozzare un modello sovranazionale per la liquidazione delle banche. Servirebbe la stessa cosa per gli stati. Nell'economia di mercato ci sono procedure standard per cancellare parte del debito. Chi ha investito male il proprio denaro deve poterlo perdere.

Curiosamente, la proposta tedesca di una regolamentazione giuridica della bancarotta statale è stata attaccata duramente proprio dagli irlandesi. l'Irlanda sarebbe il paese più avvantaggiato da un modello del genere. Eppure solo la discussione ha fatto salire il tasso degli interessi irlandesi e spinto ancora di più il paese nell'incertezza. Ma quando, se non adesso, bisogna affrontare la questione? La crisi del debito durerà ancora a lungo. Chi può dire che tra due anni il mercato non reagirà ancora con simili attacchi di panico? Peccato che ora Berlino abbia fatto un passo indietro, dichiarando che solo in un lontano futuro i creditori saranno coinvolti nei casi di insolvenza statale.

È troppo poco. Il teatrino non può durare in eterno. Prima o poi la politica dovrà iniziare a spiegare che anche noi, in quanto creditori della Grecia, non rivedremo mai tutto il nostro denaro. Certo non è affatto piacevole, ma non è niente rispetto a quello che dovranno ancora passare i greci e gli irlandesi. (traduzione di Nicola Vincenzoni)
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