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Crisi economica e ristrutturazione del debito nell'U.E.

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2010 14:46
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17/11/2010 21:20
 
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Re:
_Noodles_, 17/11/2010 16.03:

Si fa largo l'ipotesi, sempre più pressante, che gli apparati dirigenti irlandesi debbano chiedere aiuti dall'U.E.
Premesso che non vi sono norme dei trattati che prevedano una ristrutturazione "legale", diciamo automatica, del debito, il pericolo è che una eventuale bancarotta irlandese potrebbe coinvolgere anche Portogallo, Spagna e naturalmente Italia (nonostante possiamo ancora vantare un buon tasso di risparmio per famiglie), la quale ha un debito altissimo, una evasione fiscale altissima - la più alta d'Europa, dati Istat relativi al primo trimestre 2010- e una spesa pubblica indisciplinata e scarsamente produttiva.
Fino ad ora le risposte di Trichet, il quale non ha alcuna intenzione di accollarsi autonomamente il debito irlandese (infatti questo, se verrà ristrutturato, sarà coperto con soldi del FMI/BCE), sono state quasi esclusivamente rivolte ad auspicare una diminuzione dei conti pubblici e una contestuale compressione di quello che un tempo era il modello europeo, in particolare di marca scandinava, che ha rappresentato sicuramente un modello positivo di intervento statale produttivo ed efficace.
Ora? I divari tra più ricchi e più poveri crescono, le imprese delocalizzano a tutto spiano (certo, libere di farlo. Ci sono però degli aspetti etici preminenti e non sacrificabili sull'altare della produttività tout-court), le tutele nel mondo del lavoro vengono minate seriamente e naturalmente la disoccupazione aumenta.
A me preme, comunque, sottolineare come a fronte di una serie di cambiamenti epocali la classe dirigente italiana sia del tutto inadeguata a governare.
Trovo suicida che un governo, nello specifico l'ennesimo Berlusconi, cincischi e si barcameni per due anni drammatici in questioni del tutto prive di significato, invece di lavorare per disinnescare la bomba della crisi.
Nessuna riforma fiscale all'orizzonte, nessuna riforma strutturale del sistema economico italiano, nessun investimento (che, come chiunque abbia aperto un manuale di economia sa) doveroso in tecnologia e ricerca. Scarsi o nulli gli incentivi.
Del resto l'opposizione non è messa meglio, nella misura in cui il Partito Democratico ha poche e scarse idee su come uscire dalla crisi,
preso anch'esso da eterne lotte intestine tra correnti (il caso Pisapia è emblematico).
Naturalmente è ancora una volta l'Italia a perdere, con questa classe dirigente.







Io non ho mai aperto un libro di economia ma mi chiedo: che cosa avrebbe dovuto fare il governo? Varare un mega piano di spesa pubblica che avrebbe fatto schizzare il deficit al 15% e ci avrebbe messo con le pezze al sederino?
Obama ha varato nel febbraio 2009 un mega "stimolo" di 800 miliardi, risultati raggiunti dopo diciotto mesi: disoccupazione in aumento, inflazione in aumento, deficit fuori controllo, gli effetti del misterioso moltiplicatore keynesiano che hanno fatto la fine di Godot sempre atteso e mai arrivato. Risultato: elettori imbestialiti che sono corsi a votargli contro infliggendogli la più pesante sconfitta elettorale per un presidente in carica dal 1942.
Ora il presidente ha capito la lezione e sta per varare un mega piano di tagli fiscali, meglio tardi che mai.
In Inghilterra mister Cameron ha appena varato un taglio della spesa pubblica da 94 miliardi di sterline, non mi sono ancora ripreso dalla libidine.
Il modelle europeo del welfare non è che è la crisi cattiva che lo vuole eliminare, è andato in crisi da solo ben prima, tanto che in Svezia dopo sessanta anni di governi socialdemocratici da cinque sono passati a governi di centrodestra, recentemente riconfermato, con programmi di riduzione della spesa pubblica.

Mi rendo conto che poi questa fissa della delocalizzazione è un totem da sbandierare ad ogni momento.
Sempre negli states l'ex consigliere di Obama Larry Summers, aveva proposto di istituire una tassa sulle delocalizzazione delle grandi imprese che "portano il lavoro americano all'estero".
Si sono messi a studiare come fanno gli Yankee, hanno ragionato con i dati empirici e... sorpresa si sono accorti che per ogni posto di lavoro creato dalla aziende americane all'estero se ne crea quasi uno in america(relazione del consiglio economico della casa bianca).
A dimostrazione che se le delocalizzazioni sono fatte bene, sono una grossa opportunità. Il problema delle nostre delocalizzazioni è che sono fatte in maniera maldestra, anche perché spesso si tratta di aziende che sono in settori di diretta concorrenza con i paesi dei settori emergenti. Noi i jeans a 5 euro non li possiamo fare e i nostri amici olandesi o belgi non vogliono pagare di più i jeans per farli produrre in Italia. Tutto qui. L'etica non c'entra nulla.

Io poi vorrei capire che cosa sono le riforme strutturali dell'economia. Perché ad uno più malizioso di me potrebeb sembrare un bel modo per dire che lo stato sa tutto e quindi deve decidere il bene di tutti a colpi di bacchetta magica.

Sulla situazione irlandese è un pochino più complicata.
Accostare la crisi irlandese a quella graca è sbagliato.
La crisi greca era una crisi di solvibilità.
La grecia era insolvente e insolvente rimane dopo gli aiuti.
Infatti il deficit è tornato a salire. Abbiamo solo rimandato l'inevitabile. La miglior soluzione per la grecia sarebbe stato il default. Sfortunamente non era la miglior soluzione per le banche tedesche che erano le principali creditrici della grecia, così la merkel ha imposto la sua forza politica e i cittadini ue saldato il conto.
L'irlanda è in crisi di liquidità, anche perché ha giocato d'azzardo negli ultimi quindici anni. Ma è stato un azzardo che l'ha portata ad avere il più alto reddito procapite d'europa e ad avere la maggior capacità di attrazione di investimenti in europa, cosa che ha fatto si che grandi giganti come google la scegliessero come sede europea.
In Irlanda c'è un'economia, in grecia no.
Anche qui è tutta una partita politica. Francia e Germania vogliono approfittare di questa crisi per mettere sotto tutela il principale alleato britannico sulle questione economiche.

Resta sull sfondo una questione cruciale: quella dell'euro è una scommessa ampiamente fallita. Onore a chi all'epoca lo disse a chiare lettere, penso ad Antonio Martino.
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