J.Rebus, 05/07/2010 13.49:
beh insomma.... l'asserzione andrebbe dimostrata...
Beh diciamo che manca lo spazio per dare tutti i dati che lo dimostrerebbero. Nell'eta feudale la ricchezza apparteneva allo 0.5% della popolazione, mentre il restante 99.5% moriva di fame, con un età media di 30 anni. Duecento anni di capitalismo hanno prodotto il più elevato aumento del potere di acquisto della storia.
Marx diceva che il capitalismo privava il lavoratore della capacità di consumare, a smentire la tesi del falso profeta di treviri basta il semplice dato che il potere d'acquisto dei lavoratori inglesi negli ultimi duecento anni è aumentato del 978%.
Il capitalismo ha prodotto una ricchezza quale mai l'umanità avrebbe immaginato con dati di cui beneficiamo nella nostra vita: la vita media nell'occidente capitalista è di 82 anni per le gli uomini e 84 per le donne, i capitali hanno permesso alla ricerca scientifica di fare quei passi da gigante che hanno estirpato malattie che nel passato erano autentiche calamità, i trasporti che ci permettono di attraversare il mondo in sessanta ore(cosa sarebbe la nostra vita senza quel simbolo capitalista che è la Rayan Air?), le tecnologie che rendono la nostra vita confortevole. Il capitalismo ha emancipato l'umanità che ne ha beneficiato.Mi sembra poi superfluo confrontarlo con i graziosi sistemi alternativi che ci sono stati proposti nel novecento, di cui ci sono ancora sostenitori inconsapevoli, in stile soldati giapponesi nella jungla.
La rivoluzione americana, è un simbolo di capitalismo.
Alla fine tutto nacque da quello che George Bancroft chiamava il capriccio, il non voler pagare una tassa ingiusta e la volontà di affermare la libertà del commercio.
Le colonie americane avevano sviluppato una struttura capitalistica già da un secolo e mezzo(sono esemplari gli studi di Zean sull'economia della virginia nel seicento che raccontano meglio di ogni altro la nascita dell'ordine spontaneo capitalistico). L'evoluzione capitalista, accompagnata dalla nascita di scuole e univeristà moderne, permise alle colonie di avere una classe dirigente quale mai una nazione aveva visto fino a quel momento: Franklin, Madison, John Adams, Monroe, Hamilton, uomini che in poco tempo seppero organizzare un esercito in grado di sconfiggere l'impero britanico, darsi una costituzione rivoluzionaria, costruire uno stato efficiente e gettare le basi di quella che sarebbe diventata la più grande potenza della storia.
Prendiamo Jefferson, parlava il latino, il greco, il francese, l'italiano; era filosofo, scrittore, scultore, pittore, scienziato, naturalista, pedagogo.
Usò i guadagni delle sue terre per fondare l'università della virginia, di cui progettò la sede, redasse il piano di studi, e la diresse facendone uno dei più grandi centri culturali d'america e del mondo, nella convinzione che una nazione che vuole crescere deve sviluppare una sua cultura.
Naturalmente il seme della democrazia americana veniva da lontano, dai primi villagi, le comunità dei pellegrini che si riunivano nelle chiese dove c'era la scuola che tutti erano obbligati a frequentare, perchè imparare a leggere era un dovere civile e religioso, dato che tutti dovevano saper leggere la bibbia.
Una cosa che ai nostri anticlericali sembra incredibile, ma la democrazia americana nacque nelle chiese. In chiesa si teneva l'assemblea cittadina, dove tutti(tranne gli schiavi ovviamente) avevano diritto di parola e di esprimere la loro opinione sull'andamento della cosa pubblica. Prima che sulla carta, i principi della dichiarazione di indipendenza e della costituzione del 1791, nacquero nella vita morale degli americani. Gli uomini che andarono a morire a Saratoga e Yorktown, si sentivano già cittadini di un paese che ancora non era nato, ma che sentivano destinato dalla storia a nascere. Un paese che agli antichi sembrava impossibile(il contrario della repubblica di platone), basato sulla libertà, l'uguaglianza, i diritti dell'uomo. Qualcuno storcerà il naso, dicendo che l'america non è un paese dove c'è uguaglianza perché c'è la sanità privata e altre cose che agli occhi di persone cresciute nell'alveo della democrazia totalitaria europea sembrano incredibili, ma inviterei questo qualcuno a leggere Tocqueville, un francese, che andato prevenuto in america, ne tornò entusiasta. Nel libro c'è un capitolo, il quinto del libro secondo se non ricordo male, che si chiama proprio "un paese di eguali", e spiega meglio di ogni altro perché oggi, a un secolo e mezzo dall'atto di emancipazione, quaranta anni dopo la cessazione della segregazione e otto dopo le torri gemelle, il presidente degli stati uniti, Barak HUSSEIN Obama, nero, sia il figlio di un immigrato musulmano arrivato in america con una borsa di studio(se il padre di Obama fosse arrivato in italia starebbe ancora a litigare con la burocrazia per avere il permesso di soggiorno).