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Tibet: nubi sul tetto del mondo

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2010 10:57
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13/01/2010 10:57
 
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Inaccessibilità, mistero, silenzio: benvenuti in Tibet, terra di templi arroccati, di monaci buddhisti vestiti color zafferano e mattone, di allevatori nomadi e agricoltori sedentari. Questo luogo dalle nevi eterne, dove anche respirare risulta faticoso, è noto a tutti come “il tetto del mondo” perché gran parte del suo territorio è occupato dall’altopiano dell’Himalaya, che raggiunge un’altitudine media superiore ai 4500 m. Al confine con il Nepal, svetta quello che poeticamente i tibetani chiamano Chomolangma, ovvero “lamadre dell'universo”, e che gli inglesi hanno ribattezzato con meno fantasia Everest, dal nome del fondatore dell'ufficio trigonometrico e geodetico dell'India. I suoi 8.848 m lo hanno reso allo stesso tempo la montagna più alta della terra e una pericolosa ossessione per migliaia di uomini, che si sono impegnati nella sua difficile scalata. Si calcola che oltre 200 alpinisti non abbiano fatto più ritorno al campo base da quel lontano 1953, anno in cui Sir Edmund Hillary e la guida sherpa Norkay Tensing riuscirono a raggiungere la sua vetta.
Sono forti i contrasti che caratterizzano il Tibet: aria tersa e nevi candide fanno da scenario a salite colme di rifiuti abbandonati dagli alpinisti in 55 anni di scalate, tanto che nella primavera scorsa l'Environmental Protection Bureau tibetano ha previsto la chiusura del versante nord dell’Everest per pulire quella che ormai è stata definita “la discarica più alta del mondo”. Anche il silenzio che fino a pochi anni fa regnava in questo vasto territorio è stato interrotto: dal 2006 rimbomba tra le montagne il rumore del “treno del cielo”, nome ufficiale Qinghai-Tibet, ma meglio conosciuto come Tibet Express. La ferrovia più alta del mondo raggiunge quota 5072 metri presso Tangula, ben 200 in più di quella peruviana di Machu Pichu. I vagoni prevedono maschere d’ossigeno, cabine pressurizzate e vetri schermati dalle radiazioni ultraviolette. Il biglietto di solo andata costa 300 yuan (circa 30 euro) in classe economica, 800 nella cuccetta più esclusiva. La Cinaha investito 5 miliardi di euro per la realizzazione del progetto. Ma sono molti i tibetani che non hanno apprezzato l’opera: per loro si tratta di un altro tassello del processo di omologazione culturale avviato dal governo cinese subito dopo la dura repressione del 1959, che costrinse il Dalai lama a rifugiarsi in India, dove ha sede il suo governo in esilio (nella città di Darjeeling). Da allora, la nuova regione autonoma del Tibet ha subito l’invasione demografica dell’etnia Han, che oggi supera la popolazione tibetana.

Un’antica leggenda parla di un regno nascosto sotto all'Himalaya, conosciuto col nome di Shamballah, che negli antichi testi tibetani Kanjur e Tanjur viene descritto come un centro d'energia cosmica. Ma oggi ad attirare l’attenzione non è più ciò che si trova sotto quelle immense montagne, ma sopra. Gli effetti del cambiamento climatico hanno colpito duramente l’altopiano, che ha funzionato come una sorta di lente del riscaldamento globale proprio a causa della sua altitudine. La temperatura in Tibet è cresciuta di 0.32 °C ogni dieci anni a partire dal 1961 fino al 2008: si tratta di un aumento fino a sei volte maggiore rispetto a quello di altre regioni cinesi. E l’impatto del Global Warming ha accelerato il ritiro dei ghiacciai, il cui scioglimento sta ingrossando i bacini dei laghi, creando preoccupazione per future violente inondazioni. Ma non basta: anche la fuliggine nera appare corresponsabile dello scioglimento dei ghiacci, secondo James Hansen, direttore del NASA’s Goddard Institute for Space Studies (GISS). Durante gli ultimi 20 anni, la sua concentrazione è aumentata di due o tre volte rispetto al 1975. Alcuni ghiacciai si stanno ritirando così in fretta che potrebbero scomparire entro la metà del secolo.

Per questo motivo, proprio dagli altopiani del Tibet è arrivato un richiamo alla Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima di Copenhagen del 2009. Si tratta di un documento redatto da venti maestri buddisti, “A Buddhist Response to the Climate Emergency”, di cui è primo firmatario il Dalai Lama. La storia? Il pianeta sta subendo le conseguenze ecologiche del nostro karma collettivo. Che tradotto in parole meno pacate significa: l’attività umana sta scatenando un disastro ambientale su scala planetaria.





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