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Pareri pro veritate in difesa del senatore Berlusconi

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2013 11:40
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04/09/2013 22:03
 
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Un articolo del professore Villone
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Ho, talune volte, dissentito dal professore Villone, sul piano della forma di governo: più pessimista di lui, ritengo che dal "parlamentarismo presidenzialista" italiano (categoria strana e nuova per noi, non per la Francia della V Repubblica) non si tornerà facilmente indietro, perché le nostre Camere e il nostro Esecutivo (non solo come singoli componenti, ma proprio come meccanismi), non sono in grado di recuperare la loro profonda crisi.
Per onestà, devo osservare che è stato notato come, in tempi e in sistemi di forti (comunque più che da noi) leadership personali, sia il Presidente (presidenziale) Obama, sia il Presidente (parlamentare) Cameron abbiano rivalutato il ruolo del Parlamento, a proposito della decisione dell'intervento in Siria.
Posto poi qui sotto un articolo di oggi del professore Villone con il quale, al contrario che sulla forma fo governo, sono completamente d'accordo, sul caso Berlusconi.
In sostanza, se c'è un modo di "chiamare in gioco" la Corte Costituzionale, questo non è, sul piano tecnico-giuridico, quello indicato da Violante (giudizio incidentale di legittimità costituzionale sollevabile dalla Giunta delle elezioni del Senato, in quanto un organo politico non può essere "giudice terzo", come invece richiede la giurisprudenza costituzionale perché sia integrata la nozione di giudice a quo), ma il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a tutela di prerogative costituzionali lese. Tale conflitto potrebbe essere sollevato da Berlusconi (contro la sua decadenza, se dichiarata, supposta illegittima); da altri parlamentari (contro la eventuale non decadenza di Berlusconi, perché da parlamentare si ha un interesse giuridicamente tutelato a non avere nella Camera cui si appartiene - in ipotesi il Senato - colleghi non legittimati a starci) e infine (anche se questo Villone non lo dice) dal Procuratore generale della Cassazione (contro la mancata esecuzione di una sentenza passata in giudicato, se Berlusconi fosse "salvato").
Tanto premesso, qui sotto - di seguito - l'articolo del professore Villone

Berlusconi decade? Faccia ricorso
di Massimo Villone
Il Manifesto, mercoledì 4 settembre 2013

Politici e giuristi si affaticano per evitare il voto in Senato. Ha aperto le danze il «lodo Violante». Che la legge Severino-Monti sia incostituzionale è difficile pensarlo, e forse poco interessa. L’obiettivo è bloccare la decadenza. La questione di legittimità è sollevata da un giudice durante un giudizio.
La Corte Costituzionale non ritiene che debba trattarsi di giudici togati e di aule di giustizia in senso stretto, ma di soggetti assimilabili a un giudice, nell’esercizio di una funzione assimilabile a quella giurisdizionale. Chi aderisce al lodo Violante sembra voler richiamare quelle pronunce della Corte (113/1993; 117/2006; 259/2009) per cui la funzione svolta dalla Giunta per le elezioni è sostanzialmente giurisdizionale. Problema risolto? No.
La Corte ritiene oggi necessarî per l’ammissibilità della questione entrambi i requisiti (6/2008; 164/2008). Diciamo pure che la funzione della Giunta è assimilabile a quella giurisdizionale (requisito oggettivo). Ma potremmo mai assimilare la Giunta a un giudice? Certamente no.
Il giudice è terzo e imparziale, indifferente rispetto all’esito della controversia. Come può essere giudice un organo collegiale che, riflettendo la proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, comprende parti politiche portatrici di posizioni diverse, non formate all’interno dell’organo stesso in un libero confronto sottratto a ogni influenza, ma precostituite in sedi esterne, di gruppo o di partito? Come può essere giudice quando ne fa parte chi collega al voto una possibile crisi di governo? Dove finiscono terzietà, imparzialità, indifferenza rispetto all’esito? Inoltre, per la Corte deve trattarsi di un giudice che abbia poteri decisori sulla questione. Nel caso, tali poteri non spettano alla Giunta, ma all’Aula, che ancor meno è assimilabile a un giudice.
La Corte potrebbe ritenere ammissibile una questione di legittimità sollevata dalla Giunta solo invertendo una giurisprudenza oggi consolidata. Potrebbe farlo, ma sarebbe un pessimo segnale per la stessa Corte. Il lodo Violante va respinto.
E se si tracciasse un’altra via per giungere in Corte senza torsioni strumentali, costruendo un lodo alternativo più accettabile?
Consideriamo il conflitto tra poteri dello Stato, tra i quali sono gli organi costituzionali. Per Camera e Senato la titolarità al conflitto si estende anche a organi interni, quale ad esempio una commissione d’inchiesta. Deve essere incisa una competenza che trovi fondamento nella Costituzione. La domanda è: un parlamentare può essere potere dello Stato e proporre conflitto davanti alla Corte avverso la Camera di appartenenza per l’atto della stessa che lo privi della sua carica?
Nel 1995 il ministro della giustizia Mancuso fu colpito in Senato da una sfiducia individuale. Fu sostituito, con l’interim al Presidente del Consiglio Dini. L’ex-ministro presentò ricorso per conflitto tra poteri avverso il Senato, il Presidente del Consiglio e il Capo dello stato. Se la legittimazione al conflitto dell’organo governo - nella sua collegialità e impersonato dal premier - fosse stata assorbente rispetto al singolo ministro, il ricorso per la parte relativa al premier avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Invece, la Corte lo ammise, pur rigettandolo nel merito (ord. 470/1985; sent. 7/1996). Gli argomenti furono essenzialmente due: la titolarità di funzioni direttamente attribuite in Costituzione al ministro della giustizia; il diniego di tutela per l’ex-ministro nel caso che la titolarità al conflitto fosse stata ristretta al potere-governo e per esso al suo Presidente, che non avrebbe ovviamente sollevato conflitto contro se stesso. Questo si poteva evitare solo costruendo la figura del ministro come potere autonomo all’interno del potere-governo.
Ora, ciascun parlamentare ha attribuzioni proprie, conferite dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari: il diritto di voto, di parola, di iniziativa legislativa, di presentare mozioni, interrogazioni, interpellanze. La decadenza incide su quelle attribuzioni. Se un ex-ministro può essere potere autonomo all’interno del potere-governo e proporre conflitto per l’atto che ha prodotto la sua estromissione, perché mai si dovrebbe negare all’ex-senatore analogo conflitto per la decadenza dichiarata dal Senato?
Questa soluzione consentirebbe a Berlusconi, dopo la decadenza, di rivolgersi subito e direttamente alla Corte, che potrebbe nel giudizio anche sollevare davanti a se stessa in via incidentale la questione di costituzionalità della legge Severino-Monti. Con pieno riconoscimento del diritto di difesa, senza forzature, e senza un’intollerabile specialità per chi si vorrebbe più eguale degli altri. Se poi dev’essere crisi comunque, sia.
Dalla tesi esposta, due utili corollarî. Il primo. Il conflitto può sorgere anche per il diniego di un atto, o l’inerzia, e nel caso di mera turbativa all’esercizio delle attribuzioni (conflitto di menomazione o interferenza). Se la legge impone - come io penso - la decadenza, il diniego o l’omissione determina una illegittima composizione dell’Assemblea. La partecipazione ai lavori di un organo collegiale da parte di chi non ha titolo incide negativamente sull’esercizio delle funzioni da parte dei componenti che hanno titolo. Non è in gioco la validità degli atti, che nel caso potrebbe essere assicurata dalla prova di resistenza. Ma rileva la turbativa sulle attribuzioni dei componenti. Ciascun parlamentare avente legittimo titolo a partecipare potrebbe quindi proporre conflitto tra poteri davanti alla Corte per il diniego o l’omessa decisione di decadenza, causa di una illegittima composizione e della conseguente turbativa sulle proprie attribuzioni.
Il secondo. Sarebbe superfluo riformare - come è stato più volte proposto – l’art. 66 Cost., attribuendo il giudizio ivi previsto alla Corte costituzionale. Per la via qui suggerita vi si arriverebbe ugualmente, a Costituzione invariata.
Capiamo bene le spinte, anche autorevoli, a non decidere. Ma non vogliamo poi sentire, o magari leggere su un giornale straniero, che Senato e partiti con un briciolo di dignità avrebbero dovuto assumersi le proprie responsabilità e votare. Un rinvio al fine che sia domani la magistratura - e non oggi la politica - a risolvere il problema con l’interdizione dai pubblici ufficî aggiungerebbe battute all’assurdo copione della persecuzione giudiziaria, e ancor più ci allontanerebbe dall’essere un Paese normale. Che ognuno faccia, qui e ora, quel che deve.
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