Questo non è un paese per giovani.
Il Corriere della Sera di oggi, 17 maggio 2012, titola che la classe dirigente italiana impegnata nella politica, nell'economia e nella pubblica amministrazione, con la sua età media di 59 anni, è la più vecchia dell’Unione Europea.
I dati sono stati forniti dalla Coldiretti ed il suo delegato nazionale ha ironizzato affermando che molto probabilmente la maggioranza della classe dirigente attuale andrà in pensione prima che la crisi sia superata, anche se si tiene conto della riforma del Ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Il “primato” di anzianità spetterebbe alle banche i cui amministratori delegati e presidenti hanno un’età media di 67 anni, pari – si legge – addirittura a quella dei Vescovi in carica.
Le cose non cambiano in parlamento, dove l’età media dei senatori è di 57 anni e quella dei deputati di 54 anni; subendo poi un’impennata tra i ministri del governo Monti, dove l’età media sale a 64 anni. Un solo (1) parlamentare ha meno di 30 anni e gli under 40 sono appena 47 sul totale di 630. Ma il dato più preoccupante (e il meno scontato aggiungo io) è il mondo della formazione con i professori universitari italiani che hanno una media di 63 anni, i più anziani del mondo industrializzato. Un quarto dei professori che ha più di 60 anni contro poco più del 10 per cento in Francia e Spagna e l'8 per cento in Gran Bretagna. Sono solo 3 su 16 mila circa i professori ordinari con meno di 35 anni e appena 78 quelli under 40, pari ad un peso dello 0,5 per cento.
Fonte :
www.corriere.it/politica/12_maggio_17/italia-paese-istituzioni-piu-vecchie_5abc9626-9ff4-11e1-bef4-97346b368e...
Considerazioni personali.
Una gerontocrazia sempre meno giustificabile nel mondo contemporaneo, dove le informazioni e le nozioni accademiche tendono sempre di più a correre lungo i binari di internet e delle nuove tecnologie digitali, che assicurerebbero, se fossero utilizzate pienamente, maggiore efficienza in termini sia di organizzazione che di didattica.
Una gerontocrazia accademica, salvo poche brillanti eccezioni, autoreferenziale e oramai distante dal contatto con la realtà, che troppo spesso ha additato i giovani come “bamboccioni” che non si laureano in tempo, ma che non rammentano la notevole diversità della mole dei programmi attuali con quelli di 40 anni fa. Troppo facile.
Nelle civiltà antiche e nelle società tribali era previsto il “rito di iniziazione” che sanciva l’ingresso dei giovani nel mondo adulto con il passaggio del testimone da parte degli anziani, nelle società moderne invece noto un “rito di incubazione” dei giovani con gli anziani sempre meno disposti a lasciare il testimone.
Un paese come il nostro che prescinde totalmente dai giovani che, nel bene e nel male, rappresentano il massimo della forza fisica e intellettuale che esprime una società ad ogni cambio di generazione, che prospettive può avere? Un vero paradosso.
A ricordarci del paradosso italico chi poteva farlo meglio se non il nostro Presidente della Repubblica, che lo scorso primo maggio ha lanciato l’appello : “lavoro per i giovani”.
Giorgio Napolitano ha 87 anni.
