Articolo di Michele Farina su Il Punto del Corriere della Sera
Aleksej Navalny è morto in un carcere russo, in una cella di isolamento dove era entrato per la ventisettesima volta dall’inizio della sua detenzione. Il portavoce del Cremlino ha detto che Vladimir Putin non conosce le cause della sua morte, anche se sa benissimo quelle per cui l’aveva fatto sparire. Cause coincidenti: Navalny era una spina nel fianco del potere, una spina del calibro di Nelson Mandela, che per ventisette anni era «scomparso» in una cella di isolamento prima di diventare presidente del Sudafrica libero. Non sarà questo il destino di un uomo ironico e coraggioso, che avrebbe potuto restarsene in esilio, in Europa, dove era giunto in fin di vita dopo un tentativo di avvelenamento. E invece aveva scelto di tornare a casa, in Russia, e non si può dire «nella tana del nemico», perché la Russia non appartiene allo zar ma al suo popolo, che libero non è ancora.
Aleksej Navalny è morto nella colonia penale artica di Kharp, a 2 mila chilometri da Mosca, dove era detenuto: lo ha reso noto il servizio penitenziario federale russo, precisando che è in corso un’indagine sulle cause della morte. Il più noto oppositore del presidente Putin aveva 47 anni.
Secondo l’agenzia russa Tass, e stando a quanto riferito dal servizio penitenziario, Navalny avrebbe avvertito un malore dopo una passeggiata «perdendo quasi subito conoscenza», ma nonostante siano state eseguite «tutte le misure di rianimazione necessarie», queste «non hanno dato risultati positivi»...
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