00 31/01/2011 15:25
Punto primo, ecco qualcosa che non è una notizia, ma è più di una notizia: la crisi si sta avvitando e, con una imminente iniziativa di Napolitano, tenderà nei prossimi giorni a diventare istituzionale. Vuol dire che, prendendo atto di un corto circuito incendiario tra il potere esecutivo, la presidenza contestata di uno dei rami del legislativo, e l’ordine giudiziario, il Quirinale cercherà attivamente di spegnere l’incendio. Dunque o si vota, lavacro popolare di sovranità, o si fa un governo diverso, magari integrato da una diversa presidenza della Camera, ché sono questi i due unici sbocchi teoricamente e praticamente possibili. A meno che Berlusconi cambi linea, passando dalla resistenza alla resa contrattata, o Bossi lo molli come ha esplicitamente detto di non voler fare, un governo diverso è impossibile, e il voto risulterebbe obbligato. Si voterebbe certo con Berlusconi candidato e capo della coalizione, ma se non ci fosse la maggioranza in Senato, ecco che un governo di larga coalizione o un governo Tremonti diventerebbe possibile (la Lega secondo i sondaggi va forte).

Punto secondo, e qui si tratta di decisioni strategiche utili a nutrire la prospettiva politica appena descritta: non c’è solo il federalismo fiscale, come emergenza di programma e di riforma ormai sul limite del varo o di un nuovo rinvio, c’è anche questa storia curiosa della patrimoniale, proposta sul Corriere da vecchie stelle della Prima Repubblica (il socialista Amato e il cattolico Capaldo, in forme diverse), sonoramente bocciata ieri nel Foglio dal presidente del Consiglio, e maliziosamente ignorata dal superministro dell’Economia e astro crescente nella costellazione politica.

Vedremo come si debba giudicare la prevedibile iniziativa istituzionale straordinaria che il presidente Napolitano è, secondo osservatori informati, in procinto di prendere. Ma sulla storia della patrimoniale, sia nella versione amatiana della tassa su un terzo degli italiani più ricchi, sia nella versione capaldiana dell’ipoteca a pagamento dilazionato sul patrimonio immobiliare privato, un giudizio ce lo siamo fatto.

A parte considerazioni di politica economica sul conflitto tra riforme e liberalizzazioni per la crescita e imposta di stato sul patrimonio, intese come vie alternative per la riduzione virtuosa del debito pubblico, considerazioni che si riassumono negli interventi di Forte, Martino, Giavazzi, Alesina e altri ospitati nel Foglio, c’è una secca osservazione politica da non trascurare. Amato, Capaldo, e poi un Luigi Abete per l’imprenditoria terzopolista e un Veltroni, e da ultimo un chiaro editoriale del settimanale economico del Corriere, il Mondo, partono tutti da un assunto, che è più o meno esplicitamente questo: il debito sovrano nella attuale fase critica della finanza internazionale si può ridurre, salvando la ghirba del paese, solo in una congiuntura politica diversa, solo in un contesto di unità nazionale all’insegna del TTB, Tutti Tranne Berlusconi.

Il Corriere, che ha tra i suoi patron un influente e autorevole cattolico solidarista come il banchiere Giovanni Bazoli, ha ospitato volentieri la campagna per la patrimoniale e mandato in avanscoperta il direttore del suo settimanale ma ancora non si è direttamente sbilanciato, perché esprime anche la cultura economica liberale e una parte dell’establishment capitalistico ostile a una patrimoniale, favorevole alla prospettiva riformista e liberalizzatrice (compresa la vendita del patrimonio pubblico). Ma la questione posta da questa campagna è quella di trovare un modo di chiudere sulla lunga prospettiva, con una revanche del potere di decisione dello stato sull’economia, il ciclo berlusconiano apertosi nella prima metà degli anni Novanta. L’anno del centocinquantenario dell’Unità italiana deve essere celebrato da una grande svolta istituzionale e politica fondata su una maggioranza larga, su una diversa integrazione della Lega in un diverso sistema, sulla selezione nel Pdl, via Tremonti, di un personale politico postberlusconiano, e sull’associazione di terzo polo e opposizione di sinistra a un grande sforzo solidarista nazionale basato sull’allarme debito e sull’esproprio impositivo della ricchezza privata. Quella ricchezza e libertà imprenditoriale oltre le regole e le convenzioni della politica pubblica, di cui l’imprenditore fattosi politico è stato per quasi vent’anni il minaccioso simbolo. I giochi non sono ancora fatti, ma vanno scoprendosi gradualmente con bluff e rilanci degni di un colossale poker.


Giuliano Ferrara, Il foglio