Giuristi Federiciani ...lasciate libero ogni pensiero o voi che entrate...

Nord Africa

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    giusperito
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    00 01/02/2011 11:20
    Boldrin
    I fatti son ben noti, nemmeno provo a riassumerli anche perché sono in continua evoluzione.

    Alcune riflessioni mi vengono, però, spontanee. Le metto qui nella speranza che persone più informate di me possano contribuire fatti ed analisi che le approfondiscano, modifichino, migliorino o contraddicano.

    1) La stampa occidentale, specialmente quella di orientamento diciamo così "liberal-conservatore", vede in queste rivolte la nascita della democrazia islamica. Leggiamo di "rivoluzione dei gelsomini" e si sprecano gli articoli che predicono partiti, elezioni, parlamenti e democrazie "occidentali" in Tunisia, Egitto e così via. Mi permetto di dubitare o, per lo meno, di invitare alla calma. Io, al momento, vedo delle rivolte parzialmente coordinate ma fondamentalmente spontanee. Sono rivolte di popolo povero e disperato contro regimi corrotti, violenti, oppressivi e financo affamatori (Algeria). Le rivolte sembrano partire spontaneamente e la loro comune radice sembra essere l'incontenibile rabbia di massa contro il regime. Non è ovvio che questo tipo di rivolte debbano finire con l'instaurazione di regimi democratici.

    2) In ogni paese è il comportamento dell'esercito e delle forze di polizia che decide il risultato finale. Ali Baba è stato deposto perché il suo esercito l'ha mandato a casa. Il regime algerino no, perché controlla l'esercito molto più saldamente, anzi è l'esercito. Con Mubarak non si capisce bene come sia la situazione ed il fatto che il capo di stato maggiore egiziano si trovasse, sembra proprio per caso, a Washington, finirà per essere il fattore decisivo. Ora torna a casa e vediamo cosa succede ... La questione da porsi, quindi, è: chi controlla, ideologicamente, l'esercito e, in particolare, le elites militari? Non è che siamo sempre in Portogallo in aprile ...

    3) Lo stile delle rivolte, i (tentati) suicidi (auto-immolazioni), i simboli che appaiono nei filmati, il ruolo di Al Jazeera, gli appelli dei leaders religiosi (come quello dell'Ayatollah Ahmad Khatami oggi durante la preghiera del Venerdì a Teheran) ... il fatto che in Egitto sono i fratellini musulmani che sembrano coordinare il tutto ... soprattutto, il fatto che queste sono rivolte di popolo povero, incazzato, ignorante, affamato, oppresso e che quel popolo lì, di solito, va nelle parrocchie della Vandea se vive in Francia e va nelle moschee se vive in Nord Africa, ecco tutto questo mi fa pensare (temere? Non so ...) che alla fine avremmo qualche regime fondamentalista in più e qualche dittatore comprato dal mondo occidentale in meno.

    4) Il che conduce all'ultima riflessione, la più rilevante. Quelli che stanno crollando, o che corrono il rischio di crollare, sono per il momento regimi "pro USA" o, addirittura, "pro Europa", come quello tunisino. Vedremo se le deboli proteste segnalate in Siria condurranno a qualcosa, ma ho come l'impressione che non succederà. Tutto tace in Libia mentre le strade si riempiono di gente in Yemen del Sud ... Ed allora mi viene da ripetere la domanda che da decenni pongo ai famosi "cinico-realisti" che gestiscono sia la politica estera USA sia quella europea. Costoro hanno sempre teorizzato la necessità ed utilità di tenere in piedi questi sons of bitches perché sono our sons of bitches e non se la prendono con Israele, almeno non attivamente.

    Molto bene: se per caso fra sei mesi al Cairo è al potere un governo controllato dai fratellini di Muhammad, continuerete a pensare che sia una buona idea tenere in piedi questi bastardi solo perché sono i nostri bastardi?

    Così facendo avete regalato Cuba a Castro, il Venezuela a Chavez, l'America Centrale alle bande di narcotrafficanti, la Bolivia a Evo, l'Iran agli ayatollah, il Pakistan vedremo presto a chi, l'Iraq alla guerra civile continua ... e, speriamo di no, il Nord Africa a degli altri ayatollah.

    Non sarebbe ora di scendere dallo scranno, fare mea culpa e ritirarsi in convento a meditare per qualche decennio?

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    VincenzoP@
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    00 01/02/2011 13:32
    Giusperito, leggo le tue analisi sempre con molta attenzione ed ho profanda stima per la tua intelligenza... detto questo la tua analisi in questo caso mi sembra troppo fantapolitica:
    non vedo infatti in questo caso la manina degli USA dietro vicende egiziane.
    La posizione ufficiale degli Stati uniti in merito è quella di una "ordinata transizione di poteri" che veda come capo il Nobel per la Pace acclamato dalla folla EL BARADEI;
    ciò mi sembra ragionevole ed auspicabile anche dal nostro punto di vista, e non lo assimilo al colpo di stato di un militare sovvenzionato dalla CIA che poi vada a fare il dittatore fantoccio!



    …ma il Capitano Bellodi, emiliano di Parma, per tradizione familiare repubblicano, e per convinzione, faceva quello che in antico si diceva il mestiere delle armi, e in un corpo di polizia, con la fede di un uomo che ha partecipato a una rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere la legge: e questa legge che assicurava libertà e giustizia, la legge della Repubblica, serviva e faceva rispettare. E se ancora portava la divisa, per fortuite circostanze indossata, se non aveva lasciato il servizio per affrontare la professione di avvocato cui era destinato, era perché il mestiere di servire la legge della Repubblica, e di farla rispettare, diventava ogni giorno più difficile.
    Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta

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    Paperino!
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    Utente Gold
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    00 01/02/2011 14:34
    Re:
    VincenzoP@, 01/02/2011 13.32:

    Giusperito, leggo le tue analisi sempre con molta attenzione ed ho profanda stima per la tua intelligenza... detto questo la tua analisi in questo caso mi sembra troppo fantapolitica:
    non vedo infatti in questo caso la manina degli USA dietro vicende egiziane.
    La posizione ufficiale degli Stati uniti in merito è quella di una "ordinata transizione di poteri" che veda come capo il Nobel per la Pace acclamato dalla folla EL BARADEI;
    ciò mi sembra ragionevole ed auspicabile anche dal nostro punto di vista, e non lo assimilo al colpo di stato di un militare sovvenzionato dalla CIA che poi vada a fare il dittatore fantoccio!



    Non credo che tu l'abbia letto con molta attenzione.
    Gius non sta dicendo che gli Usa stanno fomentando la rivolta per mettere un loro uomo a capo dell'Egitto, ma l'esatto opposto: che la rivolta potrebbe finire col mettere a capo dell'Egitto uomini CONTRO gli USA e contro l'europa.
    E questo perché alla guida di questi Paesi ci sono tiranni oppressori, pezzi di m. e gran farabutti, che hanno l'unico pregio di esser ben visti dall'Occidente.

    Il risultato: rivolte, disordini, caos....e dubbi su chi ci ritroveremo al confine tra poco...


  • --letizia22--
    00 01/02/2011 14:40
    gli usa sono divisi perche' da un lato sostengono la rivolta egiziana,dall'altro lato sanno che la situazione egiziana preoccupa non poco israele.
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    angel in the sky
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    00 01/02/2011 15:26
    Considerando che:

    - El Baradei è sostenuto dagli islamici
    - le rivolte avvengono in paesi dove c'è una finta democrazia, con un autocrate a capo (Egitto, Tunisia,ecc)
    - ricordiamo che successe in Iran quando gli Usa abbandonarono lo Scià

    penso che sarebbe meglio l'ennesimo autocrate che gli islamici al potere.

    Infatti gli islamici sapete come risolvono la disoccupazione e la fame? Con la guerra.

    E in prima fila come nemici ci sono Israele e l'Europa.

    Quindi, Obama svegliati!! [SM=x43673] Ricorda l'errore che commise Carter abbandonando lo Scià! [SM=x43806]

    @Giusperito : i casi di Castro, Chavez, ecc sono differenti da Egitto, Tunisia, Libano



    Martin Niemoller :
    Quando i nazisti vennero per i comunisti, | Io restai in silenzio; | Non ero comunista. || Quando rinchiusero i socialdemocratici, | Rimasi in silenzio; | Non ero un socialdemocratico. || Quando vennero per i sindacalisti, | Io non feci sentire la mia voce; | Non ero un sindacalista. || Quando vennero per gli ebrei, | Rimasi in silenzio; | Non ero un ebreo. || Quando vennero per me,
    Non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.



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    VincenzoP@
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    00 01/02/2011 16:02
    Faccio ammenda se ho letto male... ma vi giro una domanda: voi realmente preferite Mubarak ad ELBARADEI? E preferite lo intendo non nell'ottica occidentale del termine, ovvero se ci è più gradito per il nostro tornaconto personale e commerciale, io intendo se voi foste egiziani, chi vorreste al potere?



    …ma il Capitano Bellodi, emiliano di Parma, per tradizione familiare repubblicano, e per convinzione, faceva quello che in antico si diceva il mestiere delle armi, e in un corpo di polizia, con la fede di un uomo che ha partecipato a una rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere la legge: e questa legge che assicurava libertà e giustizia, la legge della Repubblica, serviva e faceva rispettare. E se ancora portava la divisa, per fortuite circostanze indossata, se non aveva lasciato il servizio per affrontare la professione di avvocato cui era destinato, era perché il mestiere di servire la legge della Repubblica, e di farla rispettare, diventava ogni giorno più difficile.
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    angel in the sky
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    00 01/02/2011 16:12
    Re:
    VincenzoP@, 01/02/2011 16.02:

    Faccio ammenda se ho letto male... ma vi giro una domanda: voi realmente preferite Mubarak ad ELBARADEI? E preferite lo intendo non nell'ottica occidentale del termine, ovvero se ci è più gradito per il nostro tornaconto personale e commerciale, io intendo se voi foste egiziani, chi vorreste al potere?




    entrambi mi farebbero trovare senza lavoro e in povertà.

    Forse in una fase economica di crescita - dico forse- troverei lavoro con Mubarak.

    El Baradei e gli islamici mi porterebbero, dopo la fame, ad una guerra.

    Preferisco Mubarak o uno come lui


    Martin Niemoller :
    Quando i nazisti vennero per i comunisti, | Io restai in silenzio; | Non ero comunista. || Quando rinchiusero i socialdemocratici, | Rimasi in silenzio; | Non ero un socialdemocratico. || Quando vennero per i sindacalisti, | Io non feci sentire la mia voce; | Non ero un sindacalista. || Quando vennero per gli ebrei, | Rimasi in silenzio; | Non ero un ebreo. || Quando vennero per me,
    Non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.



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    Utente Gold
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    00 01/02/2011 16:56
    Personalmente penso che gli egiziani dovrebbero condurre questa rivolta senza farsi guidare dal fondamentalista di turno, ed anzi mettendo da parte persino l'islamismo per relegarlo a fattore privato, e non motore di risoluzione di problemi nazionali e internazionali. In sintesi, abbattere Mubarak senza consegnarsi a El Baradei, ma eleggere un leader che metta al primo posto l'economia del paese e le classi deboli.
    Ma mi rendo conto che sto parlando per utopie.

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    VincenzoP@
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    Utente Junior
    00 01/02/2011 17:28
    Premetto di non conoscere a fondo (mi sono limitato ad una biografia di wikipedia) la figura politica di Elbaradei, ma non mi sembra un Hamahdinejad. Del resto ha vinto anche il nobel per la pace ed ha un curriculum di rispetto in seno all'ONU, non vi pare di esagerare facendone un fondamentalista?



    …ma il Capitano Bellodi, emiliano di Parma, per tradizione familiare repubblicano, e per convinzione, faceva quello che in antico si diceva il mestiere delle armi, e in un corpo di polizia, con la fede di un uomo che ha partecipato a una rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere la legge: e questa legge che assicurava libertà e giustizia, la legge della Repubblica, serviva e faceva rispettare. E se ancora portava la divisa, per fortuite circostanze indossata, se non aveva lasciato il servizio per affrontare la professione di avvocato cui era destinato, era perché il mestiere di servire la legge della Repubblica, e di farla rispettare, diventava ogni giorno più difficile.
    Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta

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    Paperino!
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    Utente Gold
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    00 01/02/2011 17:48
    Re:
    VincenzoP@, 01/02/2011 17.28:

    Premetto di non conoscere a fondo (mi sono limitato ad una biografia di wikipedia) la figura politica di Elbaradei, ma non mi sembra un Hamahdinejad. Del resto ha vinto anche il nobel per la pace ed ha un curriculum di rispetto in seno all'ONU, non vi pare di esagerare facendone un fondamentalista?




    Mi son basato sui commenti letti qui, non sono informato sulla figura di El Baradei. Mi auguro sia meglio di quanto si dica..
    Il Nobel alla pace purtroppo dimostra molto poco, l'hanno dato a un leader che girava col fucile come Arafat, l'hanno dato ad un Obama appena insediato e prima che si ricoprisse di chissà quale merito...
    E' un premiuccio che ogni tanto rifilano a qualcuno, se lo davano a me o a te ci facevano più bella figura...
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    trixam
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    00 01/02/2011 21:02
    Purtoppo i giornali in Italia buttano sempre la politica estera in chiave manichea e piegandola alle esigenze di parte.
    Così la sinistra vede la rivoluzione democratica fatta grazie a facebook ecc e critica il governo che non la sostiene, la destra teme che la rivolta sia guidata dagli islamisti e rimprovera il governo di non sostenere una posizione pro-mubarak.
    Nel mezzo non si capisce bene da che parte sta Obama e si naviga a vista. Un quadro desolante.
    Mai che un giornalista italiano che deve scrivere un pezzo su un paese che spesso, lo so per averlo visto di persona, non saprebbe trovare sulla cartina si documenti, magari sfogliando una storia di quel paese.
    La storia politica recente dell'egitto è interessante.
    Dal 1882 il paese è stato un protettorato britannico. Gli inglesi come al solito vi portarono scuole, ospedali, strade e buona amministrazione. Elementi che fecero dell'egitto un paese moderno e all'avanguardia nella regione. Gli egiziani guardarono con fastidio le rivolte del Sudan ispirate dall'islamismo del Mahdi, l'uomo che si autoproclamava successore di Maometto contro il quale il primo ministro Gladstone mandò il leggendario generale Gordon che cadde a Kharthoum. Gli egiziani combatterono con gli inglesi contro gli islamisti fino al loro annientamento nel 1898 ad opera di Lord Kitchener nel famosa battaglia di Omdurman.
    Il cairo era un grande centro commerciale e culturale con la sua università dove andavano a formarsi i giovani di tutti i paesi del medioriente.
    Il sistema durò fino alla fine della seconda guerra mondiale che ebbe alcuni dei suoi momenti più devastanti in Egitto e dalla quale il paese uscì annientato. Il vento anticoloniale post guerra si diffuse e contagiò le elite che gli stessi inglesi avevano formato, andandosi a fondere, come avvenne ovunque in africa ed asia, con il nazionalismo. Questi sentimenti si impadronirono soprattutto dell'esercito che nel 1953 depose la Monarchia e prese il potere guidato dalla figura carismatica del colonnello Nasser.
    Nasser divenne un mito per il medioriente, il rifondatore di una del revanscismo panarabo che trovò il suo collante nel nuovo grande nemico: Israele. Il suo momento di gloria lo ebbe con la crisi di suez del 1956 quando perse la guerra, ma vinse la pace umiliando la Francia e soprattutto la gran bretagna che aveva come primo ministro quel sir Anthony Eden che aveva fatto infuriare mussolini e che perse la faccia e fu costretto a dimettersi.
    La sua fine venne nel 1967 quando si autoingannò sulla propria forza e sfidò Israele che gli inflisse una sconfitta memorabile da cui il colonnello non si riprese mai più.
    Nasser era laico, aveva tendenze socialiste, era alleato dell'unione sovietica, con lui si cristallizzò il regime in cui la ricchezza spettava a pochi e il popolo veniva mobilitato con il nazionalismo.
    Nasser però combattè sempre le tendenze islamiste che a partire dagli anni cinquanta cominciarono a fare proseliti.
    Al cairo cominciò la sua opera quel Sayyid Qutb che in occidente è quasi sconosciuto, ma le cui opere in medioriente sono studiatissime, soprattutto dagli estremisti e fondamentalisti. Qutb fu sostanzialmente il fondatore della teocrazia islamica più dura e pura, quella che afferma che l'Islam diventa vera religione solo se si impossessa del potere politico e impone la Sharia.
    Nasser, tanto per fargli capire chi comandava, lo fece impiccare, ma le sue idee rimasero nel sottofondo. Khomeini ad esempio studiò a lungo la lezione di Qutb e la applicò alla lettera.
    Dopo Nasser venne Sadat, il più grande leader arabo di questo secolo.
    Nonostante fosse un generale, Sadat aveva la mentalità del politico, era intelligente e flessibile. Si preoccupava sinceramente delle condizioni del popolo ed era ancora più duro di Nasser contro gli estremisti. Capì che doveva chiudere la pagina del confronto con israele e lo fece da politico, prima dichiarò guerra allo stato ebraico nel 1973 dichiarando vittoria dopo un giorno di combattimenti, cosa che il suo popolo crede ancora, nonostante il fatto che alla fine della guerra l'esercito israeliano fosse ad un tiro di scioppo dal cairo in seguito alla grande controffensiva di Sharon, ed avesse accerchiato l'intera terza armata egiziana che non fu distrutta solo grazie all'intervento di kissinger.
    Forte della vittoria immaginaria, sadat sedé al tavolo del negoziato e firmò lo storico trattato di pace col quale per la prima volta un paese arabo riconosceva israele. Quella firma gli costò la vita.

    Dopo di lui Mubarak, che era un generale dell'aviazione, e fu scelto solo perchè gli alti ufficiali dell'esercito erano troppo divisi e lo vedevano come il più debole e manovrabile.
    Mubarak provò ad opporsi ai militari nei primi anni, ma poi accolse tutte le loro richieste fino ad oggi. L'egitto è qualcosa di simile alla spagna di filippo II, una gigantesca caserma.
    L'esercito non è solo una istituzione, ma anche una gigantesca SPA che controlla il 45% dell'economia egiziana con le clientele annesse a cui vanno aggiunti gli aiuti militari americani che arrivano a due miliardi di dollari. L'esercito è il vero arbitro della partita, ma non ha ancora scelto e si mantiene aperte tutte le opzioni: non ha ancora rovesciato Mubarak, cosa che poi lo porterebbe ad essere prigioniero della piazza; ma non spara sulla folla per non inimicarsi il popolo.
    Per gli USA la situazione è un rebus. In un primo momento avevano puntato sui generali dicendo che la volontà del popolo andava rispettata, un modo gentile per dire a Mubarak di sloggiare.
    Poi dopo la frenata dei militari, hanno fatto marcia indietro verso la transizione ordinata, che significa guadagnare tempo fino alle elezioni presidenziale di settembre che dovrebbero essere libere.
    L'incubo è quello di un nuovo 1979. Israele e i falchi hanno paura che si ripeta la storia, perché tutte le rivoluzioni cominciano con i Kerenky e finiscono con i Lenin, per cui non c'è da fidari di el Baradei. Tuttavia non si può sottovalutare che in Egitto un khomeini non c'è, né la grande guida spirituale egiziana Al azhar ha preso posizione.
    Io non credo che siano le condizioni per nuovo Iran, ma non possiamo permetterci di correre il rischio. L'idea di un egitto instabile è inaccettabile, perchè significherebbe semplicemente una cosa: guerra.
    Per questo credo che la soluzione migliore sia un governo di unità nazionale guidato dai militari, ma aperto anche a figure dell'attuale opposizione, che vari un programma di riforme.
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    giusperito
    Post: 3.151
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    00 01/02/2011 23:15
    Il problema vero è che l'instabilità si sta diffondendo in tutta la regione e purtroppo al momento il pericolo di un'affermazione fondamentalista è forte. Diversamente dall'Iran si vedono poche donne in strada a protestare e la crisi economica potrebbe avvicinare le masse ai benefattori islamici. Non dobbiamo sottovalutare la strategia dei movimenti fondamentalisti che sedimentano il loro consenso nelle scuole e nelle associazioni caritatevoli.
    Speriamo nella democrazia, ma sarebbe il caso di inglobare nell'orbita europea la Turchia prima che sia troppo tardi. Non sarò io la Cassandra di turno, ma non sono così convinto che i fratelli musulmani resteranno a guardare e, soprattutto, è la grande occasione dell'Iran per diventare il centro propulsore dell'Arabia di Qubt
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    angel in the sky
    Post: 4.376
    Post: 3.510
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    00 01/02/2011 23:34
    Re:
    giusperito, 01/02/2011 23.15:

    Il problema vero è che l'instabilità si sta diffondendo in tutta la regione e purtroppo al momento il pericolo di un'affermazione fondamentalista è forte. Diversamente dall'Iran si vedono poche donne in strada a protestare e la crisi economica potrebbe avvicinare le masse ai benefattori islamici. Non dobbiamo sottovalutare la strategia dei movimenti fondamentalisti che sedimentano il loro consenso nelle scuole e nelle associazioni caritatevoli.
    Speriamo nella democrazia, ma sarebbe il caso di inglobare nell'orbita europea la Turchia prima che sia troppo tardi. Non sarò io la Cassandra di turno, ma non sono così convinto che i fratelli musulmani resteranno a guardare e, soprattutto, è la grande occasione dell'Iran per diventare il centro propulsore dell'Arabia di Qubt




    concordo con te, ma dissento sulla Turchia.

    Ormai stanno tassando a più non posso l'alcool pur di diventare sempre più islamici. Erdogan non è democratico.


    [Modificato da angel in the sky 01/02/2011 23:35]
    Martin Niemoller :
    Quando i nazisti vennero per i comunisti, | Io restai in silenzio; | Non ero comunista. || Quando rinchiusero i socialdemocratici, | Rimasi in silenzio; | Non ero un socialdemocratico. || Quando vennero per i sindacalisti, | Io non feci sentire la mia voce; | Non ero un sindacalista. || Quando vennero per gli ebrei, | Rimasi in silenzio; | Non ero un ebreo. || Quando vennero per me,
    Non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.



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    trixam
    Post: 1.039
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    00 01/02/2011 23:46
    Re:
    giusperito, 01/02/2011 23.15:

    Il problema vero è che l'instabilità si sta diffondendo in tutta la regione e purtroppo al momento il pericolo di un'affermazione fondamentalista è forte. Diversamente dall'Iran si vedono poche donne in strada a protestare e la crisi economica potrebbe avvicinare le masse ai benefattori islamici. Non dobbiamo sottovalutare la strategia dei movimenti fondamentalisti che sedimentano il loro consenso nelle scuole e nelle associazioni caritatevoli.
    Speriamo nella democrazia, ma sarebbe il caso di inglobare nell'orbita europea la Turchia prima che sia troppo tardi. Non sarò io la Cassandra di turno, ma non sono così convinto che i fratelli musulmani resteranno a guardare e, soprattutto, è la grande occasione dell'Iran per diventare il centro propulsore dell'Arabia di Qubt




    Gius io non ho mai sottovalutato questi pericoli.
    Tuttavia va tenuto presente che l'egitto è il centro dell'islam sunnita, mentre gli iraniani sono sciiti che come tutte le minoranze sono più radicali. Gli iraniani poi, non dobbiamo mai dimenticarcelo, non sono arabi e gli arabi non ci tengono a farsi guidare dai persiani.
    I fratelli musulmani sono un grosso problema, che sostanzialmente rende impossibile una transizione normale. Io credo che siano meno forti di quanto abbiamo pensato negli anni scorsi, Mubarak li ha caricati parecchio per avere l'appoggio dell'occidente.
    Comunque il problema è che non possiamo correre il rischio.
    Se crolla l'egitto, la giordania rischia, Israele perderebbe gli unici due interlocutori veri nel mondo arabo.
    Saremmo a quella ipotesi che nei piani dello stato maggiore israeliano viene definita effetto Gamma, il ritorno alla situazione politica del 1948. Con il Libano che è nel caos più totale, Israele non potrebbe stare a guardare, dovendo redisegnare tutto il suo impianto difensivo. Sarebbe la guerra. Per questo uno scenario di un governo militare con esponenti civili, mi sembra la soluzione più ragionevole nel breve periodo.
    [Modificato da trixam 01/02/2011 23:48]
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    Paperino!
    Post: 28.117
    Post: 19.017
    Utente Gold
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    00 02/02/2011 00:43
    Tra l'altro la guerra stavolta ce l'avremmo proprio sotto casa, altro che Kuwait...
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    VincenzoP@
    Post: 141
    Post: 141
    Utente Junior
    00 02/02/2011 08:22
    Complimenti per l'analisi, impossibile dissentire: davvero NON possiamo correre il rischio.



    …ma il Capitano Bellodi, emiliano di Parma, per tradizione familiare repubblicano, e per convinzione, faceva quello che in antico si diceva il mestiere delle armi, e in un corpo di polizia, con la fede di un uomo che ha partecipato a una rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere la legge: e questa legge che assicurava libertà e giustizia, la legge della Repubblica, serviva e faceva rispettare. E se ancora portava la divisa, per fortuite circostanze indossata, se non aveva lasciato il servizio per affrontare la professione di avvocato cui era destinato, era perché il mestiere di servire la legge della Repubblica, e di farla rispettare, diventava ogni giorno più difficile.
    Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta

  • Massimo Volume
    00 02/02/2011 08:49
    L'analisi è di Boldrin...


    ps. l'analisi dovrebbe differenziarsi se parliamo di Egitto, Tunisia, Algeria etc


    Lucio Caracciolo


    L'Egitto è un'occasione che perderemo. L'occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo - spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall'Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre.

    Il successo della rivoluzione avvierebbe la transizione a un Egitto “normale”, con un potere politico legittimato dal popolo.

    Dopo la scintilla tunisina, il segno che la nostra frontiera sud-orientale può cambiare. In meglio. Avvicinandosi ai nostri standard di libertà e democrazia. Cogliendo le opportunità di sviluppo perse per l'avidità delle élite postcoloniali, impegnate a coltivare le proprie rendite, indifferenti a una società giovane, esigente.

    L'Italia più di qualsiasi altra nazione europea dovrebbe appassionarsi al sommovimento in corso lungo la Quarta Sponda. Chi più di noi dovrebbe interessarsi alla ricostruzione del circuito mediterraneo, destinato a intercettare la quasi totalità dei flussi commerciali fra Asia ed Europa, di cui saremmo naturalmente il centro?

    A chi più che a noi conviene la graduale composizione della frattura tra le sponde Nord e Sud del “nostro mare”? O davvero pensiamo sia possibile erigere una barriera impenetrabile in mezzo al Mediterraneo?

    Qualcuno pensa ancora che lo sviluppo del Sud del mondo sia una minaccia e non una formidabile risorsa per il nostro stesso sviluppo – anzi, la condizione perché non si arresti?

    Eppure Roma tace. Il nostro governo ha trovato modo di non esprimersi fino a sabato. Meglio così, forse, visto che quando ha parlato - via Frattini - nessuno se n'è accorto. Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla “nipote”.
    Stiamo perdendo l'occasione di incidere in una svolta storica - stavolta l'aggettivo è pertinente - che riguarda molto da vicino la vita nostra, soprattutto dei nostri figli e nipoti.

    Se anche i militari riuscissero ad affogare nel sangue le aspettative della piazza, la rivoluzione egiziana ha ormai sancito che il paradigma delle dinastie parassitarie, incentivato dai governi occidentali, non garantisce più nessuno.

    Certamente non i popoli che opprime. Ma nemmeno noi europei. Quei regimi significano solo caos, repressione e miseria. L'ambiente ideale per i jihadisti. I quali, non dimentichiamolo mai, sono incistati nelle nostre metropoli. Se sbagliamo politica in Egitto, in Tunisia o in altri paesi del nostro Sud, il prezzo lo paghiamo in casa.

    Un sobrio accertamento dello stato delle cose dovrebbe indurre il nostro governo a mobilitare ogni risorsa a sostegno dei cambiamenti in atto sulla sponda africana del Mediterraneo.

    Se ciò non accade, non è solo colpa di Berlusconi o Frattini, ma della rimozione che l'Italia ha compiuto di se stessa. Della sua geografia e della sua storia.

    Nel centocinquantesimo anniversario dell'Unità è duro ammetterlo. Ma è un fatto: non sappiamo dove siamo né da dove veniamo.

    Così abbiamo dimenticato che per secoli l'Egitto è stato fecondato dalla nostra diaspora. Come l'intero bacino del Sud Mediterraneo, dove un secolo fa viveva quasi un milione di connazionali. Operai, artigiani, ma anche banchieri, architetti e burocrati pubblici. Nell'Egitto khedivale l'italiano era lingua franca, usata nell'amministrazione pubblica.

    Un tipografo di origine livornese, Pietro Michele Meratti, vi fondò nel 1828 il primo servizio di corrieri privati, la Posta Europea, poi assurto a monopolio pubblico. Le diciture delle prime serie di francobolli egiziani erano in italiano. Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del “liberty alessandrino” sono ancora visibili.

    La nostra egittologia ha una lunga tradizione. Come in genere le nostre missioni archeologiche orientali, fra le principali fonti d'intelligence quando i servizi segreti erano ancora qualcosa di serio.

    Di questo e delle nostre tradizioni levantine in genere cercheremmo vanamente una trattazione nei manuali scolastici. È storia rimossa. Eppure ancora oggi molto del residuo capitale di simpatia di cui godiamo nella regione si fonda su tali memorie.

    Basterebbe poco per ravvivarle. Nell'immediato, anche un gesto simbolico. A Torino abbiamo il più importante museo di antichità egizie dopo quello del Cairo, oggetto di sospetti vandalismi nelle prime fasi dei disordini. Sarebbe forse utile uno sforzo sostenuto dai poteri pubblici e da fondazioni private per dare concreto seguito alla profezia di Jean-François Champollion, il decifratore della Stele di Rosetta: “La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”.

    Finanziare e sostenere la messa in sicurezza del Museo del Cairo e dei suoi reperti significa non solo salvare un giacimento culturale di valore universale, ma un atto di rispetto per la pietra angolare dell'identità egiziana. Quell'identità che i nostri levantini contribuirono a resuscitare e che le piazze egiziane oggi vogliono riscattare.

    Eppure nell'immaginario collettivo (ossia televisivo) sembra che l'Egitto sia un qualsiasi pezzo d'Africa, un arcipelago di miserie e arretratezze. Più le piramidi e Sharm el-Sheikh. Ma da dove spuntano i giovani anglofoni che maneggiano twitter e Facebook - già ribattezzato Sawrabook, “libro della rivoluzione” - e rischiano la vita per la libertà?

    Per anni abbiamo vissuto di verità ricevute. Un eterno fermo immagine. Intanto, la società civile egiziana cresceva, si strutturava. Ci sono certo i Fratelli musulmani, un arcipelago dalle mille ambiguità, che Mubarak ci ha rivenduto con successo come banda di terroristi.

    Ma ci sono anche laici, cristiani, nazionalisti, socialisti, gente che semplicemente non ne può più della “repubblica ereditaria”. Quanto meno daremo ascolto e supporto alle loro istanze, tanto più il rischio di una deriva islamista diverrà concreto. È quanto sperano Suleiman e gli altri anziani ufficiali drogati da decenni di potere incontrastato.

    Per riproporre e rivenderci il muro contro muro.

    Obama e alcuni leader europei forse cominciano a capirlo. Fra cautele ed esitazioni invitano a voltare pagina. Non noi italiani. Continuiamo ad aggrapparci a un Egitto che non c'è più. L'Egitto che prova a nascere non lo dimenticherà.

    La sua sconfitta sarà la nostra. La sua vittoria, solo sua.
  • Massimo Volume
    00 02/02/2011 08:51


    Fabrizio Maronta


    La rivolta d'Egitto, piombata sull'establishment statunitense come un fulmine a ciel sereno, alimenta un dibattito sintetizzabile nel dilemma idealismo/realismo, vecchio quanto l'America stessa.

    Che in questo frangente esista un forte attrito tra il primo e il secondo è attestato dalle piroette verbali del presidente Obama e del segretario di Stato Clinton, passati nel volgere di pochi giorni dal convinto appoggio al barcollante regime di Mubarak al cauto auspicio di un'ordinata transizione democratica.

    Tuttavia, è lecito chiedersi fino a che punto i due corni del dilemma siano inconciliabili. Tra i fautori della realpolitik, scottati dal precedente iracheno, prevalgono due argomentazioni.

    La prima ha a che fare con l'applicabilità del principio democratico a società che mancano di una tradizione di tolleranza e rispetto delle minoranze. “Noi [l'America] vogliamo che l'Egitto sia come noi, ma noi non siamo l'Egitto”, scrive Roger Cohen sul Washington Post.

    L'altra argomentazione si rifa alla rivoluzione iraniana del 1979, preconizzando un temuto effetto domino che porti all'avvento di regimi islamisti ostili agli Stati Uniti (e a Israele) in Nordafrica e Medio Oriente.

    Non è affatto detto che libere elezioni replicherebbero l'“effetto Hamas” in una regione vasta ed eterogenea che va dal Marocco all'Arabia Saudita. Ma l'idea che il messaggio della galassia islamista (rappresentata in Egitto dai Fratelli musulmani) sia popolare presso le “masse islamiche” è forte negli ambienti intellettuali americani.

    Nel campo idealista prevale invece la convinzione che l'America non possa abdicare al suo ruolo di faro dei popoli, quanto meno se vuole sfuggire alle feroci accuse di incoerenza, trasformismo e bieco utilitarismo che verosimilmente le pioverebbero addosso in caso di abbandono del popolo egiziano al suo destino.

    Specialmente dopo la crociata irachena e il perdurante sforzo in Afghanistan, sostenuto all'insegna della democrazia come antidoto al radicalismo.

    Curiosamente, è proprio il campo idealista - di norma refrattario ai grigi compromessi della politica internazionale - a suggerire una possibile composizione dei due opposti.

    Marc Thiessen, dell'American Enterprise Institute, sostiene che in Egitto l'America non si giochi solo la propria coscienza, ma anche (soprattutto) la propria reputazione presso il mondo arabo.

    In quest'ottica, sostenere Mubarak sarebbe una scommessa persa in partenza: se egli soccombesse, gli egiziani rinfaccerebbero (a ragione) all'America di aver tentato di sabotare il loro risveglio nazionale; laddove, viceversa, sopravvivesse, Washington si sarebbe resa complice della repressione.

    Cavalcare il cambiamento, dunque, non sarebbe un'opzione, ma una necessità.

    Il senso di ineluttabilità storica che pervade questa posizione, al pari della sindrome da accerchiamento che traspare dall'altra, sono due facce della stessa medaglia: lo spaesamento di un paese colto alla sprovvista dall'apertura dell'ennesimo fronte di crisi.

    Mai come ora alla Casa Bianca questa sensazione appare evidente. L'amministrazione non fa mistero del suo incubo peggiore: una propagazione dell'onda rivoluzionaria ai paesi esportatori di petrolio, che rischierebbe di uccidere in culla la fragilissima ripresa economica.

    L'Egitto non esporta idrocarburi, ma controlla il Canale di Suez, da cui passa circa il 3% del traffico petrolifero mondiale.

    Tuttavia, è soprattutto alla Libia e, ancor più, all'Arabia Saudita che Washington guarda con apprensione: se i disordini egiziani hanno spinto in alto di 7 dollari al barile le quotazioni del petrolio (che ora viaggia ad oltre 90 dollari al barile), cosa accadrebbe in caso di rovesciamento della casa Saud?

    È uno scenario cui i governi occidentali, quello statunitense in primis, preferirebbero non pensare. Ma negare la realtà, com'è noto, non risolve i problemi.
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    maximilian1983
    Post: 962
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    Utente Senior
    00 02/02/2011 13:56
    Personalmente non credo che si debba essere contenti di quello che accadde. Credo che la democrazia, in certi paesi, si risolva sempre in una questione di metodo e non di sostanza. E' partendo dal metodo (chi vince governa) che si possono avere risultati disastrosi per la storia anche delle nostre vite (lo dico con un eccesso di egoismo, lo so, ma sono pragmatico...). Perchè l'Egitto e la Tunisia ed anche l'Algeria (la cui recentissima vicenda storica, che sembra rimossa dai media occidentali, ha avuto costi di sangue anche per noi italiani!) non sono l'Afghanistan e nemmeno la Siria (dove "non stranamente" niente succede contro Hassad, perchè lì il controllo islamico della vita quotidiana è fortissimo! ma anche di questo in Occidente non si fa menzione...). Non mi illudo che la democrazia in questi paesi possa diventare qualcosa in più di una questione di metodo. Il rischio (sempre nell'ottica pragmatico-egositica): appena in Egitto va al potere un governo ostile ad Israele, questo passa subito al contrattacco con guerra preventiva. Allora non sarà più nè questione di metodo nè di sostanza. Sarà la paura vera. E la guerra generalizzata in medioriente, saldandosi alla crisi economica devastante che già attraversiamo, potrebbe segnare l'inizio della fine di un'epoca. Sono molto pessimista.






    Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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    maximilian1983
    Post: 964
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    Utente Senior
    00 02/02/2011 14:20
    Da "La bussola quotidiana"

    Parsi: manca sull'Egitto una chiara politica Usa


    di Marco Respinti


    Vittorio Emanuele Parsi insegna Relazioni internazionali nonché Storia delle istituzioni militari e dei sistemi di sicurezza nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e nell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali istituita presso quell’ateneo dirige il master in Economia e Politiche Internazionali.


    A proposito dei regimi nordafricani, travolti in poche settimane dalla rivolta della “piazza”, non ha dubbi. «Si tratta di governi in crisi profonda, anzitutto di legittimità e di rappresentanza. Sono cioè regimi che hanno completamente smarrito la capacità inclusiva e quindi ora non sanno come rispondere alle realtà dei Paesi che governano. È anzitutto questo l’elemento che ha indebolito progressivamente la Tunisia e l’Egitto».


    Ora però l’Egitto è ai ferri corti…
    È stata la vittoria della “piazza” in Tunisia che ha innescato la rivolta lì. Grazie all’esempio tunisino, gli egiziani si sono resi per la prima volta conto che è possibile farcela e quindi sono scesi in piazza pure loro.


    Prevede un effetto contagio che possa allargare la rivolta ad altri Paesi della regione?
    Dubito. Nell’area che va dall’Africa Settentrionale costiera al Medioriente, i Paesi oggi più stabili sono da un lato il Marocco e dall’altro la Giordania. Questo perché i governi di quei Paesi sono stati capaci di anticipare, in certa misura, gli eventi più dirompenti iniziando ad affrontarne i nodi. In quei luoghi vi è per esempio maggiore pluralismo e sono pure state varate alcune riforme sociali e politiche necessarie prima che fosse troppo tardi. Tuto questo ha fatto sì che in quei luoghi le tensioni si stemperassero.
    Vi sono poi altri casi, per esempio quello della Siria e dell’Iran: Paesi assai diversi ma accomunati da una certa, diciamo, disinvoltura nell’utilizzo della repressione delle opposizioni e delle proteste che ha soffocato sul nascere ogni possibilità di cambiamento…


    Qualcuno paventa il pericolo islamista, temendo che la “piazza” egiziana che chiede oggi democrazia e libertà possa facilmente essere strumentalizzata e poi occupata dalle frange più estremiste…
    Certo, il rischio c’è, piuttosto concreto. È davvero inutile dire del contrario. Sul terreno il mondo islamista è quello meglio e più organizzato. Se desidera e se ne ha le condizioni pratiche può cercare di prendere il sopravvento. E le altre opposizioni non sono davvero in grado di opporre altrettanta organizzazione.


    E allora non sarebbe più opportuno sostenere Mubarak?
    Mubarak non si può sostenere perché non ce la fa più a stare in piedi… È inevitabile che la sua leadership crolli. Ciò non significa peraltro che assieme a lui scompaia pure il suo regime, ma questo è un altro discorso.


    Vede la possibilità che un regime egiziano di tipo “laico” senza Mubarak possa chiudersi in una sorta di neonazionalismo, magari pensato proprio per sottrarre terreno alla minaccia islamista?
    No, non lo credo. Può darsi che i militari possano irrigidirsi per qualche tempo, ma questo servirebbe solo a “tirare a campare”… Dopo di ché, è inevitabile cerchino un qualche accordo con le opposizioni.


    L’Egitto è un Paese cruciale per gli equilibri di quella sponda del Mediterraneo ed è un alleato storico degli Stati Uniti. Come giudica la politica estera americana in merito alla situazione egiziana?
    Quale politica estera americana? Gli Stati Uniti dell’Amministrazione guidata da Barack Obama sono sempre due passi indietro rispetto al corso degli eventi. Oggi manca una vera politica estera statunitense: in generale e quindi a maggior ragione per uno scenario caldo come quello di cui stiamo discutendo. Al massimo Washington è riuscita a combinare pasticci…







    Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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