Tra annunci, smentite, proteste,università paralizzate e tante tante polemiche l'iter della riforma Gelmini è stato fino a oggi tormentato. Ma si avvicina quello che è un primo traguardo fortemente voluto dal ministro.
L'approvazione definitiva
La riforma dell'università, già approvata dal Senato, passerà all'esame della Camera dei deputati tra martedì 23 e mercoledì 24 novembre. L'approvazione definitiva della riforma dell'Università avverrà solo dopo l'ok alla legge di stabilità. Metà dicembre, più o meno. Ma la strada sembra segnata: la riforma Gelmini diventerà legge a breve. La maggioranza sembra unita: anche i finiani daranno il via libera, votando insieme a Lega e Pdl.
Ma cosa cambia davvero? Scopriamolo riassumendo le tappe più significative degli ultimi anni e le novità contenute nella riforma.
Il lungo iter della riforma
La riforma è stata annunciata per la prima volta dalla Gelmini due anni esatti fa, a fine 2008. Il ddl risale all'ottobre 2009 e si è iniziato a discuterne in senato a marzo di quest'anno. La discussione è stata lunga a causa degli 800 emendamenti presentati da tutte le forze politiche.
Docenti in pensione a 70 anni
Con la riforma viene abolita la possibilità che il docente universitario si avvalga dei due anni di trattenimento in servizio. Il docente ordinario dovrà andare tassativamente in pensione a 70 anni, mentre il professore associato dovrà andare tassativamente in pensione a 68. Più spazio dunque ai giovani, e viene favorito il turn over.
Lotta contro gli sprechi
L'obiettivo sin dal principio più "nobile" di questa riforma è la necessaria lotta contro gli sprechi di soldi e risorse. Atenei piccoli si preparano a fusioni con altri atenei e non ci potranno essere più di 12 facoltà per ateneo. Università, facoltà e dipartimenti accademici poco efficienti e con problemi di bilancio vanno incontro al commissariamento.
Le università che continueranno a utilizzare più del 90% dei finanziamenti statali per le spese fisse (personale e ammortamenti) non potranno bandire concorsi per nuove assunzioni. I rettori potranno restare in carica per un massimo di 8 anni: si vuole impedire che ci siano rettori a capo di università per più di 20 anni, come accade ancora oggi in alcune realtà.
Ricercatori addio?
Cambia, e di tanto, anche la figura dei ricercatori: è prevista la fine delle collocazioni lavorative a tempo determinato: la nuova figura prevede la possibilità di accedere all'insegnamento attraverso due contratti triennali: se nel corso del secondo triennio il ricercatore vince il concorso da docente associato rimarrà in seno all'università; in caso contrario non potrà più continuare l'attività accademica.
L'accesso alla docenza non prevede però deroghe o sanatorie per i circa 20mila attuali ricercatori a tempo determinato. L'iter che saranno chiamati a seguire è lo stesso di quelli che approdano oggi negli atenei. I ricercatori protestano da mesi sostenendo che l'unico risultato sarà l'aumento del precariato.
Più difficile diventare professore
Chiunque voglia diventare docente ordinario o associato dovrà conseguire l'abilitazione scientifica nazionale, una sorta di concorso unico a cadenza annuale. L'agenzia statale per la valutazione dell'attività di ricerca terrà sotto stretto controllo la produzione scientifica dei docenti, che dovranno presentare relaizoni sul loro operato. Per i "fannulloni" niente scatto di stipendio.
I concorsi dovrebbero essere meno pilotati dai cosiddetti "baroni". Le selezioni saranno fatte da una commissione formata da quattro professori ordinari estratti a sorte e, rispetto a oggi, saranno valutate maggiormente la produzione da parte dei candidati di pubblicazioni, le esperienze internazionali, e la didattica svolta.