Credo sia ormai diventato un argomento di conversazione frequente, almeno per me: cosa avrò contro queste meravigliose palestre dello spirito? La pigrizia mi ha trattenuto dallo scriverne, ma qualche giorno fa mi sono imbattuto nel testo della prova di italiano degli ultimi esami di maturità.
Diciamolo, chiaro e forte: uno schifo. E uno schifo deliberato, ricercato. Perché ci vuole talento nell’andare a pescare la disarmante banalità da vecchia zitella del primo testo tra gli scritti del più grande poeta italiano del Novecento. Ci vuole malafede nel presentare quattro brani sulla disoccupazione giovanile pieni di dati e analisi, e concludere con la parabola sognante di Steve Jobs, mito assolutorio di una California lontana, e di mercati del lavoro con regole sconosciute – nell’assenza degli esiziali dibattiti sull’Articolo 18. Ci vuole, ovviamente, un Ministero occupato militarmente da individui di una ideologia tutta italiana per partorire la traccia di ambito storico-politico, dove riemerge trionfante il totalitario Rousseau, si estrapola un Tommaso allo scopo di produrre un aquinate benecomunista, e si affida a De Rita la conclusione di un percorso in cui il povero Einaudi avrebbe dovuto vergognarsi di aver scritto delle odi “in lode del profitto”. Ci vuole, infine, un sessantennio di ministri inevitabilmente di area cattolica (unica eccezione, la cosa non sorprenda: un post-comunista) per portare a un tema di carattere tecnico-scientifico dove si incoraggiano dichiarazioni pseudo-luddiste o comunque sufficientemente ruiniane. Il candidato non vorrà contraddire contemporaneamente Hans Jonas, Leonardo Sciascia, Margherita Hack e Primo Levi! E mi taccio sul tirare in ballo la Arendt come se fosse “una che ha raccontato la storia dei nazisti”: la superficialità, in fondo, ci può pure stare, considerando che quest’anno non ci sono neanche vere e proprie sviste come negli anni precedenti.
Ma la prova della maturità è, in fondo, solo una punta del terribile iceberg (il Liceo italiano) che ogni anno affonda il nostro disastrato Titanic-paese. Di seguito, un piccolo elenco delle cose che mi fanno, personalmente, più schifo che spavento.
1. L’egalitarismo del più forte. Todos caballeros, specialmente al Sud: voti altissimi e paura fottuta di bocciare. Todos caballeros, tanto se non è la scuola a selezionare sarà l’università. Poi non è neanche l’università (nelle università italiane il 110 è più la regola dell’eccezione), e allora a far la differenza è più spesso la famiglia di provenienza. Ottimo risultato.
2. L’odio verso il più bravo. Eccellere è sconsigliato. Se sei più bravo ti fermi e aspetti gli altri. Se ad essere bravi siete in tanti, poco male: c’è comunque qualcuno che riuscirà a far sì che i programmi ministeriali (che dovrebbero rappresentare il minimo indispensabile, poi c’è mania di protagonismo pure lì) siano l’unico contenuto della vostra esperienza scolastica. Dimenticavo: se non fate copiare, siete dei figli di puttana. Né più, né meno.
3. L’ipocrisia. Copiano tutti. Anche alla maturità, anche di fronte alla commissione esterna. I professori che fanno copiare sono quasi tutti, ma poi hanno anche la faccia tosta di protestare per ogni riforma in difesa di alti princìpi. Ovunque si provi a misurare la qualità del loro lavoro, più scarsi sono più boicottano le forme di valutazione: siano test standardizzati (e vai con gli aiuti a barare), siano commissioni esterne alla maturità. E questa, come le altre, è esperienza diffusa nei racconti dei più, non del mio caso particolare.
4. L’ideologia. Non c’è niente da fare, ma che il compromesso tra falce, martello, croce e aspersorio abbia costruito questo paese lo si vede nelle aule scolastiche ogni giorno. Nella scelta dei libri di testo, nel crocifisso sui muri, nel boicottaggio sistematico di tutti gli autori degli ultimi 150 anni che abbiano criticato la statolatria imperante: si studia Dewey in filosofia, ma non Hayek. Si racconta la prima globalizzazione coi toni un po’ schifati con cui si parla dell’ultima. Tu scrivi nel tema sui giovani e la crisi che c’è un problema di insiders vs. outsiders, i primi sarebbero i lavoratori più anziani, e ti viene suggerito di stare attento, che poi con la commissione esterna non possiamo mica difenderti su queste cose. Ok, questa è successa davvero e me l’hanno raccontata.
5. Gl insegnanti di religione. Il solo fatto che esistano, che vengano scelti dalla Curia e pagati dallo Stato, fa resuscitare anticlericalismi di stampo risorgimentale. Parassitismo allo stato puro.
6. Benedetto Croce. E la sua maledetta eredità. La matematica è scientifica ed è astratta, quindi è inferiore alle lettere. Le quali lettere (tutte le materie umanistiche) vanno studiate non per problemi, non per temi, ma nel loro svolgersi storico. Ogni fatto, ogni spunto, ogni idea, va contestualizzata. “Il contesto” è il mantra di ogni bravo docente di lettere armato del manuale di Luperini, con la sua retorica da hegeliano di sinistra.
7. La pappagallite. O altrimenti, il risultato del nozionismo puro applicato allo studente. Che viene obbligato a ricordare date, nomi, biografie di autori, dettagli insignificanti, e ripeterli in estenuanti interrogazioni, individuali o di gruppo. Estenuanti non perché difficili, sia chiaro: l’importante, beninteso, è l’impegno. Se non hai capito di che si parla o perché se ne parla, ovviamente, fa nulla. Anzi, meglio così, che nessuno rompa i coglioni. Progettualità: zero. Orizzontalità: zero. L’idea che sia meglio affrontare un problema e discuterlo, al costo che lo studente dica le sue cazzate, non è contemplata. Meglio che se le tenga per sé, e impari piuttosto a infarcirle di retorica e citazioni dotte, altrimenti poi mancano gli stagisti – e i lettori – per LaRepubblica.
8. La cultura signorile della Casta. Il Liceo era pensato per formare le èlites. Ma le èlites italiane, parassitarie, hanno inventato una definzione di se stesse del tutto peculiare. Manca, infatti, l’idea che qualcuno possa ricevere una formazione adeguata per farne parte pur rimanendo al di fuori del recinto – protetto dalle intemperie dell’incertezza e del mercato – del pubblico o del privato regolamentato e difeso, quello delle professioni. Le aziende sono nemiche, le si lascino fuori dalla scuola e dall’università. Che devono rimanere libere: libere da queste fastidiose intrusioni del mondo reale.
Ne ho dette otto. Quasi nessuna di queste è riformabile, nel senso giacobino con cui si intendono i cambiamenti in questo Paese, ossia per via legislativa. Per cui mi guarderò bene dal proporre, in queste ultime righe, la Soluzione Definitiva. Sarebbe già tanto se iniziassimo a concordare sul male che la cultura da Liceo ha fatto a questo paese, e se iniziassimo a pensare cosa invece merita di essere salvato. Prima che arrivi, miracoloso e provvidenziale, un bel colpo di spugna della Storia in un futuro più o meno prossimo.
Luca Mazzone
Post Scriptum: E oltre alle otto che ci sono ne ho dimenticata una: il mito della révolte. L’occupazione, puntuale e regolare, a metà o fine novembre. Occupazione impunita, ché gli occupanti riescono pure a passare l’anno e a non dover cambiare scuola. E fatta dagli stessi che poi predicano legalità, rispetto e antimafia.