Altra intervista ad Europa 7
Viaggio negli studi fantasma dell’emittente a cui la Consulta ha dato ragione ma che Rete4 ha «oscurato»
Era già tutto pronto dal ’99 quando fu vinta la concessione a trasmettere sul territorio nazionale. Ma da allora i riflettori sono rimasti spenti
Il proprietario Di Stefano fa da guida negli studi romani: ora ci sono trenta dipendenti ma siamo pronti ad assumere anche chi resta a terra se Fede va sul satellite
L’acquisto degli spazi in cemento a Tor Cervara appartenuti negli anni Sessanta alla Voxon
Una tecnologia ultramoderna flessibile per ogni esigenza e studiata per facilitare il lavoro
«Questo sappiamo fare, la televisione è il nostro mestiere. Ma da quattro anni e mezzo non ci permettono di esistere». Francesco Di Stefano apre le porte del suo «mestiere» su un enorme studio televisivo: uno spazio che sembra una pista da ballo ipertecnologica. Al centro un palco esagonale, una scena circondata da gradinate ad emiciclo. È lo studio più grande dei cinque di Europa7. La tv che c’è ma non si vede. Duemila metri quadrati attrezzati nell’edificio della Voxson produzione tv, che domina nella periferia est della capitale.
Alziamo gli occhi su una fittissima rete di acciaio nero, passerelle sulle quali si cammina agevolmente, pensate per facilitare gli «elettrici» che posizionano i proiettori; mega areatori come camini capovolti soffiano aria condizionata. «Tutto il sistema di climatizzazione è computerizzato. Vengono anche i giapponesi a vederlo, è un jumbo all’avanguardia, gli altri hanno un pulmino », spiega orgoglioso il titolare. Europa7, una tv mai accesa. Tutto pronto per partire dal 1999 quando vinse la gara per la concessione a trasmettere sul territorio nazionale. Ma tutto è fermo.
«Da allora noi che abbiamo vinto non abbiamo mai acceso, Rete4 ha perso e avrebbe dovuto spegnere, invece trasmette». Questa la semplice equazione che tormenta Di Stefano da anni. Per mantenere il marchio compare in affitto in un circuito di emittenti locali, accanto ai loghi di TvrVoxson nel Lazio, TeleEtna, o Azzurra- Tv nel Triveneto.
Insieme ai consumatori dell’Adusbef ha fatto ricorso e la sentenza della Corte Costituzionale, la 466 del 2002, gli ha dato ragione: ha stabilito il termine «non prorogabile » del 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi «irradiati dalle emittenti eccedenti» devono «essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo». Rete4 e Telepiù nero.
La sentenza poneva fine alle precedenti proroghe, ai tanti salvataggi di Rete4 la cui responsabilità si perde nelle alchimie della politica in un «fifty-fifty», commenta Di Stefano. L’imprenditore ha una collezione di sentenze della Corte, la Bibbia è quella del 1994 che sanciva i principi per il pluralismo, garantiti solo dalla presenza di più voci possibili nelle frequenze. Sono un bene pubblico, ma finché Rete4 ne occupa 1470 nessun altro può usarle. Già nel ‘94 il gruppo Fininvest aveva una rete di troppo, sforava il 20% delle reti nazionali in mano a uno solo proprietario. È sempre lo stesso, il premier che ha firmato ad occhi chiusi il decreto alla vigilia di Natale per salvare la sua rete e la sua pubblicità.
Cinque anni fa, il 7 gennaio del ‘99, Francesco Di Stefano ha rilevato la Voxson. Uno di quegli enormi edifici in cemento anni ‘60, un gigante dormiente ma pronto a svegliarsi lungo la Via di Tor Cervara. «Ho attrezzato gli studi proprio per partecipare alla gara», spiega l’imprenditore. Gentile e curato, Di Stefano porta avanti la sua battaglia «di principio sul pluralismo» con ostinazione abruzzese, «ma ci sentiamo soli», lamenta. È «quel signore che ci vuole espropriare di Rete4», tuonava Fedele Confalonieri giovedì nei corridoi di Montecitorio. Lui, il presidente Mediaset, ha speso «60milioni di euro per il digitale. Mica bruscolini. E c’è chi vorrebbe le nostre frequenze senza sborsare una lira?». Sarebbe «un regalo di Stato», per Confalonieri.
«Mediaset il regalo di Stato l’ha avuto dal ‘94», replica «quel signore» di Europa7, ovvero gli impianti e rami di azienda di emittenti - ci sono solo quelle di serie C che coprono il 20% del territorio, mentre abbiamo una concessione nazionale. Mi dispiace, ma questa soddisfazione a Confalonieri non gliela do». E per la stessa Corte nell’attuale sistema delle tv analogiche c’è una generale «mera occupazione di fatto delle frequenze», al «di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo». Cosa che, come ha rilevato anche il Garante Antitrust, Tesauro, il digitale non risolve, anzi mantiene il duopolio Rai-Mediaset. Recentemente il ministero delle Comunicazioni ha assegnato le frequenze in chiaro riconsegnate da Tele+3 a Telemontecarlo, a ReteA e la Mtv di oggi.
sotto le splendide rovine romane di «Alba Fucens» è «noto per la solidarietà fra la gente». Venticinque anni di esperienza dagli anni ‘70 nelle radio libere e tv locali: Tvr Voxson e Italia7, una «syndication» di 11 emittenti che copriva «l’80% del territorio nazionale, con un 2,5% di audience». Era il circuito Europa7. Dal ‘95 al ‘99 «con il “Seven show”, la prima striscia satirica, abbiamo lanciato tutti i comici di Zelig», racconta. Marianna, la segretaria «tuttofare» porta l’elenco: i Fichi d’India, il Mago Forrest, Bertolino, Max Pisu; e poi Ferrara e Picone, Max Giusti, Gabriele Cirilli, fino a Teo Mammuccari, Vinta la gara, il danno e la beffa: «Ho dovuto dismettere il circuito, avendo avuto la concessione sociali, un po’ assurdo...».
Dal ‘99 Europa7 è pronta: duemila metri quadrati e un un sistema tecnologico che fa impallidire il mitico studio 5 di Cinecittà. Tutto è studiato per facilitare il lavoro, funzionale e flessibile per ogni esigenza scenografica. Tecnologia intelligente a misura d’uomo, insomma, pensata dal titolare insieme a Gerry Bocci, direttore degli studi di produzione. I servizi sono a due passi dagli studi, «comodo, no? Un concetto “ergonomico”. A Cinecittà star e comparse devono uscire fuori». Trenta camerini che sembrano salotti con doccia e bidet in quelli delle star, «sala prova balletto», sala prova «musica», è scritto sulle porte, «sala stampa» con Adsl, sartoria, parrucchieri e attrezzeria. Tecnigrafi per le scenografie. Stanze organizzate e tirate a lucido. Ma deserte. Un bar accogliente è attivo all’ingresso. Al primo piano gli uffici rivestiti in legno, Alessandra, Sabina, Vania, Viviana, segretarie all’erta. Mario «il genio del computer» controlla l’impianto da sottomarino.
Come sopravvivete? «Raramente affittiamo gli studi, magari alla Rai. Mediaset non ci fa venire nessuno». Nello studio di 1600 metri quadrati alcuni macchinisti smontano le gigantografie dei divi dei 50 anni Rai, Delia Scala e Lelio Luttazzi scorrono via capovolti. Qui è stato celebrato «Il compleanno tv» e girato «La Bella e la Bestia» con Sabrina Ferilli. Di Stefano ha «due pallini, la tv e la finanza, non speculativa, che mi permette di reggere». Chiuse le sedi di Milano e una romana, ora sono rimasti trenta dipendenti, ma è pronto «ad assumerne 700», compreso chi rimarrebbe a terra se Fede volasse satellite. Una «library» di oltre 3500 ore di programmazione «sempre aggiornata con film, cartoni animati». La battaglia continua, contro «la bufala del digitale». E nell’audizione alla Camera Di Stefano ha avvertito tutti, sotto il silenzio di Paolo Romani, deputato forzista che conosce bene l’amico imprenditore tv: «Con la somma dei canali digitali Mediaset potrà comprare anche La7, Mtv, Telepiù bianco; e grazie al Sic Publitalia (concessionaria Mediaset, ndr.) potrà raccogliere pubblicità per Sky, per le emittenti locali, per “Il Giornale” e per il «Corriere», se Paolo Berlusconi deciderà di comprarlo». Berlusconi asso pigliatutto, insomma. L’Adusbef ha diffidato la Rai dall’acquisto di frequenze, a settembre 2002, con l’accusa di agire per «favorire gli interessi di Mediaset e non propri». E i ripetitori che la Dmt (società di ex manager del Biscione) istallerà, secondo Di Stefano, creeranno un problema di interferenze con quelli analogici. Il patron di Europa7 non cede, di ricorsi al Tar del Lazio ne ha una catena, con tanto di richiesta di risarcimento danni. Quanti sono? «Secondo alcune banche solo per quattro anni e mezzo di non avvio sono 3 miliardi di euro». L’interruttore del sogno resta acceso: «Voglio fare una tv libera che dà voce a tutti, dai comici censurati come Sabina Guzzanti agli altri, con un occhio all’audience. Ma senza voci diverse come si fa il pluralismo? Possibile che non lo capiscano?».
Natalia Lombardo
da "l'Unità" del 10 gennaio 2004 - pagina 12