NAZIM HIKMET nasce a Salonicco, territorio turco fino al 1912, da una famiglia aristocratica. A 18 anni, interrompe gli studi per passare in Anatolia dove si combatteva la guerra di liberazione guidata dal nazionalista Mustafà Kemal (il futuro Ataturk) ...
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lì scoprii il mio popolo e le sue lotte. Lottava con i suoi cavalli magri, con le sue armi preistoriche, in mezzo alla sua fame e alle sue cimici, contro l'esercito greco sostenuto dagli inglesi e dai francesi. Ero tutto stupito...”, N.Hikmet, Lettera da Stoccolma).
In seguito scopre i testi di Marx e la rivoluzione sovietica, abbandona il partito kemalista, e decide di trasferirsi a Mosca...
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fui mille volte più stupito, sentii un'ammirazione mille volte più forte perchè avevo scoperto una carestia cento volte più terribile, e delle cimici cento volte più feroci, e una lotta contro tutto un mondo cento volte più potente, e una immensa speranza”, N.Hikmet, Lettera da Stoccolma).
Quando, clandestinamente, rientra in Turchia, la sua posizione politica non piace affatto al governo, anticomunista, tanto che, dopo varie altre condanne e detenzioni (con accuse di propaganda comunista e di complotto contro il governo), viene processato e condannato a 28 anni di carcere. Ne sconta 12. Rimane per qualche mese a Istanbul, strettamente controllato dalla polizia. Decide allora di espatriare di nuovo in Unione Sovietica, anche se la moglie amatissima, Munnevèr, che aspetta il suo bambino, non avrebbe potuto seguirlo. Muore di lì a poco.
...rimase così, col viso scoperto e col suo abito migliore, secondo la costumanza russa, fino a che non fu calato nella fossa. Il suo unico figlio Mehmet arrivò da Varsavia per vederlo, insieme alla madre Munnevèr. Mehmet, nei suoi dodici anni di vita, aveva visto pochissimo questo padre favoloso. Quando lo vide, disteso nella bara, ebbe una grande scossa e si sentì male. Tirò il braccio della madre e si lamentò che gli girava la testa e che stava per vomitare. La madre lo afferrò per la spalla e gli disse che non poteva né vomitare né cadere né andarsene; e nemmeno fare smorfie.
Quasi quarant'anni prima, Hikmet aveva montato la guardia accanto al volto scoperto di Lenin dentro la bara disadorna, immobile e turbatissimo come Mehmet. Lenin era stato per lui il padre grande e favoloso, assai più reale del pascià dal quale era nato.
Hikmet era un un uomo bello e amabile, che si muoveva con grazia e vivacità, e parlava con gli altri nel modopiù estroso e diretto. Era un grande poeta e un combattente assai voloroso, e piaceva alle donne. Ma questo eccesso di doti aveva come correttivo un ingualcibile candore, una capacità di fiducia, di meraviglia e di rispetto verso l'umanità e verso le cose.
Era appassionatamente legato alla sua terra turca, non meno per sua scelta che per destino. La mescolanza di culture e di esperienze ne avevano fatto un essere ricco ed originale, levigato dalle discipline ma sdegnoso di servire. Non si piegava ai compromessi, nemmeno a quelli che in generale, con sottile opportunismo definiamo necessari. Questo prigioniero minacciato per anni di impiccagione, questo poeta che non ha mai trovato editore nel suo paese, ha vissuto come un uomo libero, padrone sempre di se stesso e della sua condizione consapevolmente affrontata.
Joyce Lussu
[Modificato da kykketta 30/03/2006 17.50]