Ma va là!

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connormaclaud
00mercoledì 10 luglio 2013 19:34
La Difesa italiana è ormai abituata ai tagli, visto che la morsa delle ristrutturazioni dal 1975 ad oggi non si è mai allentata. È un processo permanente, vera e propria colonna sonora che da quarant’anni accompagna le attività del dicastero. Oggi, con la legge 31 dicembre 2012, n. 244, un nuovo strumento di riforma è disponibile. Spiace però vedere come, anche in quest’occasione, si sia voluta forzare attraverso uno strumento meramente contabile, una soluzione che per la Difesa ha un impatto esistenziale, senza averla prima fatto maturare attraverso almeno un tentativo di dibattito politico-strategico.

Certo, ci sono state delle audizioni nel corso delle quali gli stessi Capi di Stato Maggiore hanno ammesso che, entro certi limiti, si può ancora risparmiare, comprimere e ridurre. Ma l’occasione di un dibattito vero tra le forze politiche nazionali, ancora una volta sembra essere stata sciupata.

Chiarimento politico
Prima di mettere nuovamente mano alla forbice, però, le cose da chiarire a livello politico sarebbero state ancora tante, a partire dalla definizione esatta dello strumento militare del quale il paese si deve dotare, e con quali obiettivi. È un discorso che andrebbe affrontato sistematicamente, una volta per tutte e non solo episodicamente, per discutere il rinnovo per le missioni internazionali o criticare la partecipazione italiana al programma F-35.

Ma, soprattutto, anche in questi casi le discussioni dovrebbero essere non già di tipo ideologico, o populistico-elettorale, bensì di carattere politico-strategico, tecnico-operativo, militare e politico-industriale, costituzionale. Anche il rapporto tra il vero significato dell’Art. 11 della nostra Costituzione e l’impiego delle Forze armate andrebbe precisato una volta per tutte, al fine di evitare gli ostacoli e le perdite di tempo che ricorrentemente pregiudicano il sereno andamento dei rari dibattiti.


Prima di mettere mano ai tagli, ad esempio, sarebbe stato interessante valutare politicamente la posizione e la forza della Nato, che - è inutile girarci attorno - oggi è erosa dalla lenta deriva statunitense. Oppure, la riluttanza dell’Unione europea ad organizzarsi credibilmente in termini di sicurezza e difesa, aggravata dalla sempre più evidente tendenza britannica a defilarsi da ogni impegno comunitario.

Anche la sicurezza delle fonti energetiche meriterebbe un pensiero, mentre in proposito assistiamo a un continuo palleggio di responsabilità tra l’Unione e la Nato. Non parliamo dei fumosi concetti su cui si impernia la cosiddetta “responsabilità di proteggere”, che rischia di rimanere una foglia di fico a disposizione di chiunque ne voglia approfittarne. Tutti potenzialmente eccellenti argomenti di dibattito politico, che eviterebbero all’Italia di andare sempre a rimorchio di altri.

Le idee non mancano
L’Istituto affari internazionali ha offerto e continua ad offrire il suo contributo: ricordiamo solo le recenti conferenze sulle missioni internazionali, sull’articolo 11, le attività a favore degli Uffici parlamentari, il progetto di ricerca Defense Matters e tanti altri. Ma la vera occasione da non perdere per le forze politiche si sta avvicinando rapidamente: nel prossimo dicembre si riunirà a Bruxelles il Consiglio europeo, per la prima volta anche in formato “Ministri della Difesa”.

È d’obbligo arrivarci preparati, dopo un dibattito interno che tolga ogni dubbio e faccia cadere ogni velo. Qualcosa pare si stia muovendo. A maggio, il ministro della difesa Mario Mauro aveva illustrato in Parlamento le sue linee guida, riconoscendo ampiamente questa esigenza. Non molto dopo il presidente della Commissione difesa del Senato, Nicola La Torre, sottolineava la particolare rilevanza dell’appuntamento di dicembre sia in relazione alla definizione di un efficace sistema di difesa europeo, sia in considerazione dei processi di riforma che coinvolgono lo strumento militare nazionale.

È dei giorni scorsi la presa di posizione del Consiglio supremo di difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, sul rapporto governo-parlamento in termini di armamenti. L’auspicio è ora che le due commissioni, esteri e difesa, possano procedere all’elaborazione di una posizione nazionale condivisa dal governo, che la dovrà sostenere a Bruxelles.

Piede giusto
Questa volta l’Italia è obbligata a partire con il piede giusto. Una nuova legge-quadro di riforma c’è e, nel bene e nel male, è necessario che Stati maggiori, ministero, governo e forze politiche collaborino lealmente per poter disporre in tempi brevi dei decreti legislativi necessari per l’attuazione. E, soprattutto, il lavoro va fatto con reciproca solidarietà e senza tradire lo spirito che ha informato la stesura della legge.

Siamo in emergenza, e purtroppo questa nuova operazione di riforma dovrà essere ancora una volta condotta invertendo il metodo classico della pianificazione strategica, che dovrà comunque essere messa “a monte”, ma solo dopo. Ciò significa che dalle risorse finanziarie prevedibilmente disponibili discendono a cascata i volumi organici, le strutture e i mezzi, e, di conseguenza, quello che si usa definire il “livello di ambizione sostenibile”. Prima operazione, quindi, deve essere quella di ridurre ancora volumi e strutture. In questo processo, Spending review e riforma del settore vanno letti assieme, in quanto l’una anticipa l’altra.

Il discorso sui decreti sarebbe ancora lungo, ma in questa sede non può e non deve diventare analitico. Bisognerebbe, ad esempio, introdurre il concetto di manutenzione unificata - laddove compatibile - dei mezzi omogenei; recepire o meno, ma ufficialmente, i concetti di Smart Defense, Smart Procurement e Pooling and Sharing, affrontando le conseguenti rilocazioni anche nel settore industriale.

Anche qui, qualche indicazione in sede di decreto può essere data, visto che nel settore il termine “specializzazione” equivale, più o meno, a quello di “rivoluzione”. I principali programmi in corso sono già stati pensati per soddisfare questi concetti, ma devono continuamente attraversare campi minati ideologici - per non dire settari - prima ancora che finanziari. Infine - i tempi non sono affatto prematuri - andrebbe fatta una riflessione sul futuro duale della componente “spazio”, prima che l’expertise militare pazientemente conseguita vada dispersa.

Non illudiamoci che tutto questo possa portare a risparmi immediati: dopo tanti anni, abbiamo imparato che ogni ristrutturazione all’inizio è un costo. Questo va accettato, ma non deve scoraggiare.

Giornalista pubblicista, Mario Arpino collabora con diversi quotidiani e riviste su temi relativi a politica militare, relazioni internazionali e Medioriente. È membro del Comitato direttivo dello IAI.

www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2363

Condivido solo la prima parte,ma almeno la questione è stata sollevata
trixam
00venerdì 12 luglio 2013 13:11
Nella prima parte dice l'articolo dice cose false o senza senso nella miglior tradizione della supercazzola strategica con scappellamento a destra.

Nella seconda una o due cose sensate le dice, soprattutto sulla necessità di ridurre i volumi(aggiungo io andrebbero ridotti drasticamente), ma sono invalidate dalle falsità della prima parte dell'articolo. Quindi supercazzola di ritorno.

La legge quadro è una delega in bianco al governo e allo stato maggiore per fare quello che gli pare in termine di riorganizzazione senza che nessuno possa dire niente, una cosa per la quale i militari degli altri paesi ucciderebbero.

Per non dire, ad esempio, che il piano di riorganizzazione proposto dall'ammiraglio De giorgi, capo di stato maggiore della marina per via dinastica, se attuato ci porterebbe ad avere la più imponente marina per tonnellaggio dalla seconda guerra mondiale e la differenza sarebbe data solo dal fatto che allora c'erano in linea le corazzate. Alla faccia dell'austerità.
Esattamente mi si può spiegare in termini strategici a cosa serve una marina del genere ad un paese che non ha le Faulkland da difendere? Ci prepariamo a rinvadere l'etiopia?
goisis
00venerdì 12 luglio 2013 13:24
A proposito di difesa e forze armate i media di questo paese africano non dicono che ogni anno paghiamo penali alla U.E. in quanto siamo l'unico paese europeo (è un eufemismo, solo sulla carta) che ha 3 corpi con funzioni di polizia.
connormaclaud
00venerdì 12 luglio 2013 17:40
Re:
goisis, 12/07/2013 13:24:

A proposito di difesa e forze armate i media di questo paese africano non dicono che ogni anno paghiamo penali alla U.E. in quanto siamo l'unico paese europeo (è un eufemismo, solo sulla carta) che ha 3 corpi con funzioni di polizia.




ma chi le dice queste fesserie? [SM=g2725400]
connormaclaud
00venerdì 12 luglio 2013 18:57
Re:


L'italia non sa bene cosa farsene dello strumento militare, ufficialmente alla luce dell'art.11 cost. ufficiosamente alla luce dell'idiozia imperante, e questa evidenza è parsa ancor più evidente agli inizi degli anni '90 con il totale disinteresse per un settore che,dopo pericoli di presunti golpe ,terrorismo interno e mafia è stato sempre più,in maniera bipartisan aggiungo, tartassato dalle folli politiche italiane.
A partire dalla prima guerra del golfo, anticipato dalle false partenze in Libano e somalia, si è scoperto ,grazie essenzialmente alle pressioni internazionali e dei nostri partnes, l'universo delle missioni di peace keeping, con o senza egida nato.
Emblematico poi che la retorica della destra, contraddetta dai fatti, si scontri con un utilizzo,molto più concreto ed invasivo (e penso al kosovo, in primis),dello strumento difesa da parte dei governi di centrosinistra.
Eviterei di ridurre però la questione al battibecco di sempre,alla solita contrapposizione di sigle e colori che non hanno più senso di esistere svuotati del loro contenuto e rinnegati, de facto, dalle rispettive fazioni.

Fatta questa doverosa premessa,propongo un principio molto semplice: mantenere le ffaa garantendo un sufficiente standard operativo ha un senso, abbassare l'asticella significa mantenere un sistema inadeguato ad espletare le proprie funzioni e,di conseguenza, creare uno spreco.
Evitando analisi a compartimento stagno è necessario evidenziare che industria, oggi in ginocchio, e ricerca, da decenni in stato vegetativo, risentono dell'indifferenza politica e si sostanziano in tagli e arretratezza.
L'assenza di calibrati piani a breve-medio termine,in soldoni,non dà certezze agli investimenti delle industrie e,di rimando, ricerche di sviluppo e nuove assunzioni.
Non serve nascondersi dietro un dito per dire che buona parte delle applicazioni civili,in diversi campi,sono precedute da ricerche militari e non mi sembra il caso di ricordare che alenia,come fincantieri e finmeccanica hanno bisogno di programmi per restare dignitosamente a galla.
Mi si faceva notare che la marina verrà potenziata,mi risulta però che contestualmente ad un ingresso di soli 11 natanti ne andranno in pensione al'incirca 50. L'assottigliamento,nel prossimo decennio,nel numero e nei mezzi porterà a non poter più espletare le missioni della ffaa.
Stendo un velo pietoso sulla soppressione di numerosi reggimenti e l'accorpamento in,vecchie e nuove brigate, di quel che resta dell'ei o dei numeri avioggetti che non verranno sostituiti dall'ami,senza contare la riduzione d'organico di 30000 unità attuato ad una già presente carenza tabellare del 20% d'organico,su tutti i ruoli rispetto alla L. 14/11/2000 n.331.

L'incapacità gestione della politica fa sì che l'italia non sappia promuovere un settore che, in ogni stato normale, ha una considerazione ed un ruolo ben diverso.
Repetita iuvant: l'italia investe lo 0,89% del pil per lo strumento militare,contro una media europea del 1,41%.


Piccola parentesi in riferimento alla CSDP (common security and defence policy -UE-),oggi già esistono gli EUBG,basti pensare alla forza anfibia SIAF, ma il futuro della difesa comune può essere solo ed esclusivamente quello di ffaa coordinate,ma nazionali (ergo indipendenti),il resto è inattuabile all'interno di un sistema europeo che non è mai nato e che è tenuto in vita dalla sola moneta unica.
Per avere questa "ottimizzazione di prestazione" è necessario avere un apparato bellico,seppur ridimensionato o smart,ma non certo mignon.

Gli stati uniti d'europa non esistono e , Dio volendo, non esisteranno neanche in un prossimo futuro.


goisis
00sabato 13 luglio 2013 13:34
E' verissimo invece. Me lo ha confermato anche un maresciallo dei carabinieri amico mio. Solo gli afriliani hanno ps, carabinieri e finanza.
connormaclaud
00sabato 13 luglio 2013 15:06
Re:
goisis, 13/07/2013 13:34:

E' verissimo invece. Me lo ha confermato anche un maresciallo dei carabinieri amico mio. Solo gli afriliani hanno ps, carabinieri e finanza.





e spagna,portogallo,francia,olanda,polonia...la gendarmeria non è una anomalia italiana. [SM=x43799]
I paesi anglosassoni hanno anche loro diversi tipi di polizia,con la differenza che sono civili.
L'unica anomala per dipendenza è la gdf,ma parliamo sempre di eccellenze.

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