La formazione del giurista tra teoria e pratica

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napulitanboy
00venerdì 28 febbraio 2014 19:51
Invito rivolto al Prof. Prisco
Tratto da un articolo pubblicato sulla rivista "Cultura e Diritti" della Scuola Superiore dell'Avvocatura. Autore: Bianca Chiara Sinisi, segretario generale dell'ELSA di Roma.


La formazione del giurista inizia con l'università. Negli anni di studio, il giurista si avvicina al mondo del diritto considerandolo, inizialmente, solo da un punto di vista teorico, con poche occasioni di mettere in pratica quanto va via via imparando sui libri, per poi ritrovarsi, dopo la laurea, a dover operare improvvisamente nel mondo del lavoro. All'improvviso, non c'è più teoria ma pratica, e la domanda che, probabilmente, ogni neolaureato si pone è: "E ora cosa devo fare?".
LA FORMAZIONE DURANTE L'UNIVERSITA'
Durante i cinque anni di università lo studente si confronta per la prima volta con il mondo del diritto.
In Italia, lo studio è incentrato su un approccio fortemente teorico. La formazione è strutturata in una serie di lezioni, in larga parte frontali, volte a illustrare il mondo del diritto per lo più attraverso un'esposizione delle diverse dottrine in materia, con un limitato ricorso all'illustrazione dei casi pratici e delle problematiche che le norme intendono risolvere.
Si viene a conoscenza delle varie branche del diritto, si impara cos'è una legge, come è organizzato lo stato italiano, cosa prescrive il codice, quali sono i reati e quando una persona può essere considerata colpevole, quali sono le norme che disciplinano lo svolgimento del processo. Lo studente impara pagine e pagine di libri, centinaia di disposizioni normative ed altrettante nozioni che gli serviranno per la futura carriera lavorativa. Durante il corso degli studi, però, non ha mai la possibilità di metterle in pratica.
Questo rende notevolmente più difficile lo studio: è complesso capire veramente cosa si stia studiando, comprendere come porsi in relazione all'applicazione di una norma, sapere come si svolge un processo, se lo si impara solo sui libri. La formazione teorica è certo necessaria, ma rimane limitata se non completata con l'esperienza.
Così, durante gli anni di università, ci si trova persi tra un libro e l’altro, con la volontà di applicare quanto imparato senza poterlo fare. E’ infatti assente il contatto con il mondo del lavoro: difficilmente si entrerà in un’aula di tribunale o in uno studio legale. Non si viene a contatto con i professionisti, non si impara a scrivere atti, non si scrivono contratti, non si fanno esercitazioni per la risoluzione di casi pratici. E’ come se l’università dovesse formare dei teorici e non anche degli avvocati, dei giudici.
Questa strutturazione dei nostri studi è una delle maggiori differenze che l’università italiana ha con il resto del mondo. In altri stati, i tirocini costituiscono attività essenziale per potersi laureare, gli esami sono strutturati come risoluzioni di casi pratici e non come interrogazioni teoriche, i corsi si svolgono secondo il metodo socratico, obbligando lo studente ad imparare sin dall’inizio il metodo del ragionamento giuridico per rispondere prontamente. L’università, spesso, prevede simulazioni processuali e corsi obbligatori per imparare a scrivere atti giuridici (…)
Certamente, la nostra formazione è più organica e completa di quella, a volte eccessivamente pragmatica, in uso in altri paesi, ma la mancanza di formazione pratica nel corso dei nostri studi rende più difficile la formazione durante il praticantato: è certamente più difficile per noi imparare a scrivere un atto o un contratto, non avendolo mai fatto prima e questo inoltre scoraggia i professionisti ad assumere più praticanti, dovendo impiegare del tempo nell’insegnare ai neolaureati tali nozioni di base. Inoltre determina uno svantaggio dei laureati italiani rispetto a quelli di altri paesi nel caso si scelga di lavorare all’estero finiti gli studi (…)

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Il mio invito al prof. Prisco consiste in questo: e se si organizzasse, sfruttando la sede universitaria, un percorso formativo secondario finalizzato esclusivamente all'approccio pratico rispetto alle materie di studio.
Redazione di atti e pareri, simulazione di processi, redazione di contratti ecc..

Il tutto, come è ovvio, pro bono... [SM=x43819]
(pollastro)
00sabato 1 marzo 2014 22:26
Dal professore Prisco, che mi pregadi postare

Caro Napulitanboy: e secondo te questo non l'avevo proposto da tempo in modo formale? . Vi sono altre università (in Italia, non all'estero), che già lo fanno. Io non so postare o fare postare qui i files, ma cerca le parole "Clinica legale" o "Cliniche legali" su un motore di ricerca; l'esperienza, proprio nei termini che auspichi(ogni lezione tenuta da un professore e da un avvocato, o un magistrato, o un notaio, o un funzionario amministrativo; ogni lezsione sia teorica, sia pratica) è partita a Brescia e io ho stampato e dato al Direttore (non da ieri) il materiale illustrativo. Ovviamente sto ancora aspettando una risposta o una sede ufficiale per parlarne operativamente.
La difficoltà vera è che il nostro è un Dipartimento di massa, in cui (comparativamente) pochi studenti frequentano e i professori fanno professionalmente anche altro (questo non è negativo, ma bisognerebbe poi mettere l'esperienza a disposizione concreta degli studenti)
Raffaele_23
00domenica 2 marzo 2014 10:41
www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/454237/Cliniche-legali-aspiranti-avvocati-assistono-i-piu-d...


www.giurisprudenza.unito.it/do/home.pl/View?doc=Cliniche_legali_Human_rights_migration_law_cli...

www.clinicalegale.jus.unibs.it/


Ho postato io qualche link. Io penso che questa sia l'ennesima prova della stasi in cui versa il nostro Dipartimento. Ma se non si riesce ad innovare e migliorare, per i grandi numeri, per le resistenze retrive dei baroni che hanno poca voglia di lavorare, per i fondi scarsi (ma a questo punto mi chiedo, pur da sostenitore dell'Università pubblica, ma ce li meritiamo davvero i soldi pubblici?) per la burocrazia e quant'altro, tanto vale sopprimere la Federico II. La sensazione è che si voglia continuare a vivere in una sorta di decadente ricordo delle vestigia perdute, il che che mi sembra inaccettabile oltre che pericoloso. Il problema sono i grandi numeri? L'Università ha la facoltà di istituire un numero chiuso. Il problema sono i baroni? Penalizziamo i Dipartimenti poco innovativi.(Per inciso: che esito hanno avuto gli strali dell'allora Rettore contro i fannulloni che avevano provocato una decurtazione dei fondi all'Università?). Sicuramente sono semplificazioni, so bene che le cose non sono mai così semplici. Ma il punto è che alla Federico II servirebbe una guida rivoluzionaria e lungimirante, capace di fare anche cose impopolari come quelle menzionate. Nè più nè meno di quanto serva all'Italia in generale.
Ad esempio, a Giurisprudenza non vi è mai stato un convegno sulla pratica delle Cliniche legali. I rappresentanti degli studenti invece di dormire dovrebbero chiedere che questo punto venga messo almeno all'ordine del giorno e discusso fattivamente nelle sedi competenti, senza che rimanga una battaglia contro i mulini al vento di pochi.
(pollastro)
00domenica 2 marzo 2014 16:03
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Chiedo scusa a Raffaele: ho visto male, la discussione è proprio questa. Grazie per i links
connormaclaud
00domenica 2 marzo 2014 16:30
Tante mezze verità che accorpate però non portano ad una completa.

L'Italia non è come gli altri paesi e risalgono a secoli or sono, Savigny docet, le prime testimonianze di un mondo accademico statico e di una stagnazione universitaria senza pari,alcune critiche di oltre un secolo sembrano una fotografia della nostra realtà.
Sulla riluttanza dei professionisti ad accogliere nuove leve,basta guardare il numero e la composizione degli studi legali nostrani,aggiungere l'incredibile bacino da cui prelevare praticanti e la politica del piccolo feudo,dove in un mercato ristagnante non ha alcun senso formare nuovi tecnici che,non potendo essere un investimento per lo studio, saranno diretti concorrenti di tutti i giorni.
Cliniche legali? Non me ne vogliate,ma la situazione è divenuta drammatica già con gli avvocati di strada, con queste cliniche altro che cannibalismo...

Sic et simpliciter: diversificazione dei corsi,delle specializzazioni e degli sbocchi. Università anello di congiunzione tra gli studenti ed il mondo del lavoro ( come è consuetudine in quelle private),Docenti impegnanti totalmente nelle attività accademiche.

Fino a quando non saranno i rappresentanti del mondo del lavoro a pescare dalle università,così come negli USA, si finirà sempre a tarallucci e vino


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