.pisicchio.
00martedì 7 febbraio 2012 23:57
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“E’ MORTO FRANCESCO GALGANO” - Paolo CENDON
Di Francesco Galgano, morto oggi nel tardo pomeriggio, credo si scriverà tanto nei prossimi giorni. Se n’è andato un grande maestro del diritto privato, uguale a nessun altro, destinato a lasciare tracce profonde nella nostra letteratura giuridica.
Dei molti lati della sua personalità che anch’io potrei ricordare, vorrei limitarmi a segnalarne uno, il primo che mi ha colpito quando l’ho conosciuto, quello che anche in seguito non ha smesso di stupirmi.
La prima volta che l’ho visto è stato verso la fine degli anni ’70, a Trieste. Giovani Caselli, suo allievo e mio collega, l’aveva invitato a fare una conferenza nella città di Svevo (sui rapporti fra Costituzione e diritto civile, uno dei suoi cavalli di battaglia di quegli anni) e dopocena finimmo a casa di Giovanni, per il bicchiere della staffa.
Erano gli anni della contestazione di fine anni settanta, quella ruvida e spesso irriverente, quando non peggio. Indignato Galgano raccontava che a Bologna, alle sue lezioni di diritto civile, una minoranza di facinorosi prendeva ogni tanto il sopravvento. In aula gli toccava, mentre centinaia di allievi seguivano le sue parole, di dover sopportare le intemperanze di certi pseudo-studenti (visibilmente degli autonomi, alcuni “fatti” di qualcosa di sospetto) che di colpo si alzavano dal banco e senza ragione improvvisavano un coro: “Scemo, scemo ...”.
Solidarizzammo subito all’intorno, bicchierino in mano, con i giudizi espressi da Galgano: incredibile che l’Università finisse in mano talvolta a balordi del genere, capaci soltanto di fumare spinelli e disturbare grossolanamente docenti illuminati e progressisti, in cerca (loro sì) di orizzonti migliori!
Anch’io ero d’accordo, e lo dissi subito, ma la vita che facevo in quel periodo m’indusse ad aggiungere qualcosa. “Non sono tutti così – cominciai – Da alcuni di loro c’è anche da imparare”.
Mi era capitato in effetti di conoscere settimane prima - raccontai - un gruppo di cosiddetti autonomi, per la verità studenti in salsa triestina, molto più spelacchiati, gaudenti e pacifici di quelli di cui si leggeva sul giornale. “Non è che combinino molto, anzi non fanno praticamente niente. Si alzano tardi, stanno sempre insieme, girano per osterie, si rifugiano la notte nelle case, a parlare, a sentire musica, a fare sesso quando capita. Cercano strade nuove, direi, leggono poesie, si abbandonano al sogno di cose diverse; detestano la gelosia, il conformismo, il calcolo, la rassegnazione, si sforzano di capire cos’è importante al mondo, di scoprire chi sono e cosa vogliono davvero”.
Parlai a lungo, dando qualche particolare intorno a quelle notti, a quei codici di scambio, a quelle collere un po’ arroganti, casalinghe: generosità soprattutto, disponibilità per pigrizia, curiosità disordinata, romanticismo anche. Conclusi che in pochi mesi avevo appreso da loro, anche sul modo di vedere il diritto (riguardo a certi settori almeno), più che da tanti ordinari conosciuti in quegli anni.
Intorno (ebbi l’impressione) mi ascoltavano per educazione, nessuno ebbe a ribattere. Qualcuno probabilmente si chiedeva che ci facessi lì, se era quello il modo di parlare a un ospite così importante (lo era già Galgano), chi avesse suggerito di invitarmi.
Uscendo mi rimproveravo io stesso della mia franchezza - cosa mi era frullato per la testa?
Pochi giorni dopo mi dissero che Galgano chiedeva di parlarmi, gli telefonai subito in studio. Mi chiedeva di dimettermi dall’Università? No, mi domandava se non volevo trasferirmi io a Bologna e diventare suo collega di facoltà (ero allora incaricato stabilizzato) a Giurisprudenza, c’era un posto libero.
Alla fine non si è combinato, sono rimasto a Trieste, ma più tardi avrò mille occasioni di riincontrare “Franco”, soprattutto agli incontri della direzione di “Contratto e Impresa”. E ogni volta - debbo dire – sarà quello il lato migliore di Galgano che mi capiterà di ritrovare: il gusto per l’inedito, la noia per l’accademia, la spinta a percorrere altre strade, a divertirsi, a seguire l’istinto, a respingere i sentieri i più ovvi, più stantii della scienza, senza vita, bellezza o incantesimi
Forse non tutti concorderanno che fosse quello il suo lato più straordinario, ma io so che è così - e presto racconterò altri episodi che mi danno ragione.