E' il mercato,bellezza

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connormaclaud
00martedì 16 luglio 2013 18:38
Nel mese di maggio il Foglio aveva scritto che in “questo scandalo nulla si tiene”. Ora è ufficiale, sabato scorso il tribunale del riesame ha smontato un pezzo portante dell’impianto accusatorio del cosiddetto scandalo del Monte dei Paschi di Siena: quello che riguarda l’operazione finanziaria di scambio di titoli tra Mps e Nomura. Le pressioni politiche nella tumultuosa arena senese, la bulimia del circo mediatico-giudiziario, la pretesa di ottenere un immediato risarcimento economico dopo quello che è stato dipinto dalla stampa come lo “scandalo” finanziario italiano più devastante di sempre, avevano spinto le ipotesi della magistratura al di là dei limiti possibili (e plausibili) del diritto internazionale. E così la “punta di lancia” dell’inchiesta condotta dai pubblici ministeri di Siena – il contratto di scambio titoli tra Monte dei Paschi e Nomura – è stata spezzata per due volte negli ultimi cinque mesi: non c’è illecito, non c’è un danno, non c’è nulla di occulto. La prima volta in aprile. Il giudice per le indagini preliminari, Ugo Bellini, aveva respinto la richiesta di sequestro di 1,8 miliardi di euro ai danni della banca giapponese Nomura, “rea”, secondo l’accusa, di avere truffato e di avere tratto un guadagno usurario da quella che in realtà era una regolare operazione di ristrutturazione di titoli derivati (un pacchetto chiamato Alexandria), fatta con il Monte dei Paschi nel 2009, come ce ne sono molte altre nel mondo, per coprire perdite di bilancio derivanti in particolare dall’azzardata acquisizione di Antonveneta. La decisione di Bellini ha provocato un conflitto istituzionale ai massimi livelli burocratici dello stato, fino al Consiglio superiore della magistratura, evidenziando un dissidio interno alla procura senese. I pm Aldo Natalini, Giuseppe Grosso e Antonino Nastasi avevano infatti esposto immediato ricorso presso il tribunale del riesame contro la decisione del gip. Ricorso che è stato ora respinto dai giudici competenti, decisione da cui si evince che l’ipotesi accusatoria risulta inconsistente.

Così il riesame smonta le accuse dei pm
Lo spiegano i giudici del riesame (Stefano Benini, Francesco Bagnai, Pierandrea Valchera) nell’ordinanza che respinge la richiesta d’appello dei pm in tre punti chiave.
1) Al di là della voglia di rivalsa della politica cittadina nei confronti dell’usurpatore internazionale (“ridare a Siena quel che è di Siena”, dicevano gli esponenti del movimento di Beppe Grillo alla vigilia delle elezioni comunali di maggio), per i giudici “l’importo non può essere oggetto di sequestro perché non rappresenta una perdita ai fini della determinazione del danno ove si voglia ipotizzare la truffa, e nemmeno una componente della sproporzione tra le prestazioni, nelle ipotesi di usura, bensì una minus valenza latente, valutata in un determinato momento”.
2) E non è nemmeno possibile soddisfare le velleità vendicative dei senesi perché il reato di usura non sussiste: si sta parlando infatti di un’operazione consueta in finanza. Dicono i giudici: “Nella prassi bancaria internazionale degli swap e dei Repo, non risulta la previsione di limiti quantitativi, e sono usuali clausole contrattuali di marginazione dei rischi connessi all’operazione su sottostanti, per non parlare della normalità degli scambi sui tassi d’interesse, tipica degli asset swap”.
3) Infine, l’operazione era nota alla Banca d’Italia ben prima dell’esplosione dello scandalo mediatico nato con la pubblicazione del “contratto segreto” – che segreto non è – da parte del Fatto quotidiano a gennaio, a ridosso delle elezioni politiche nazionali, rimaste perciò “ostaggio” dei fatti legati al Monte durante quelle settimane, e anche oltre. Dicono i giudici: è emerso da due ispezioni della Banca d’Italia del settembre 2011 e del marzo 2012 il collegamento tra la ristrutturazione del derivato Alexandria, preso in carico da Nomura, e lo scambio di titoli a lungo termine, presi dal Monte dei Paschi. Era cioè noto anche prima del “reperimento del mandate agreement” che sarebbe stato conservato nella cassaforte dell’attuale amministratore delegato Antonio Vigni fino allo scoop del Fatto. Secondo i giudici, l’accusa ha gonfiato questo aspetto dell’indagine per avvalorare la tesi per cui tale operazione finanziaria sarebbe servita a coprire le perdite derivanti dalla acquisizione di banca Antonveneta; un clamoroso errore da parte degli ex vertici Mps che ha determinato il dissesto finanziario in cui ora versa la terza banca italiana per dimensioni. Dicono i giudici: “Il collegamento tra la ristrutturazione di Alexandria e l’acquisto dei Btp al 2034, enfatizzato dai pm, a seguito del reperimento del mandate agreement nella cassaforte […] per colorare l’illiceità dell’operazione complessiva, sembra, in realtà, al di là del significato che potrà assumere la circostanza alla stregua di altre ipotesi criminose che appaiono estranee alla attuale fase cautelare, la giusta chiave per interpretare il significato economico della rovinosa dissipazione operata, secondo l’inquirente, sul patrimonio di Mps”, si legge ancora nell’ordinanza.

L’inchiesta sui derivati che ha tenuto in scacco la politica nazionale per mesi, riempiendo le pagine dei quotidiani, si trasforma dunque, per il riesame, soltanto in una “giusta chiave” per descrivere il dissesto del Monte. E’ un depotenziamento notevole dell’inchiesta giudiziaria rispetto alle premesse di sconquasso iniziali. Premesse che erano vacillate già nel mese di giugno quando gli ex dirigenti Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e il capo dell’Area finanza, Gianluca Baldassarri, sono stati chiamati al “giudizio immediato” per “ostacolo all’autorità di vigilanza” e non per altri reati più gravi ipotizzati in passato: la procura ha raggiunto un obiettivo minimo. Quest’ultima azione della magistratura rafforza peraltro l’ipotesi, sostenuta anche dal Foglio, secondo la quale il contratto con Nomura è stato in realtà vidimato a tutti i livelli di controllo interni al Monte dei Paschi, perché altrimenti anche la banca stessa avrebbe esposto denuncia per “truffa” nei confronti dei suoi ex vertici, ma non l’ha mai fatto. Va aggiunto che i pubblici ministeri probabilmente presenteranno ricorso in Cassazione contro la decisione del riesame. Allo stesso tempo è la Fondazione Monte Paschi a volere insistere nell’accusare le banche d’affari con cui il Monte ha operato in passato, nonostante le ormai flebili prove a conforto.

I borbottii della politica non funzionano più
Due settimane fa, la Fondazione ha chiesto il risarcimento danni a Nomura e Deutsche Bank. L’istituto tedesco aveva stipulato con Mps un contratto simile a quello di Nomura, che aveva come oggetto il derivato Santorini. La banca tedesca, la cui sede – a differenza di quella di Nomura – non è stata perquisita, ha rimandato all’ente senese qualsiasi addebito (“l’operazione è stata soggetta ai rigorosi processi interni di approvazione di DB e ha ricevuto la necessaria autorizzazione di Banca Mps, a sua volta supportata da consulenti indipendenti”, ha risposto in una nota).

La mossa della Fondazione cadeva a ridosso di due appuntamenti chiave: il primo è la riforma dello statuto bancario per consentire ai soci, diversi dalla Fondazione, di entrare in modo significativo nel capitale di Mps per rendere così la banca contendibile sul mercato; il secondo è l’Assemblea dei soci in programma questo giovedì. E’ una prassi che pare consolidata a Siena, quella di lanciare strali, o comunque dare particolare risalto mediatico a vicende legate al Monte, alla vigilia di appuntamenti importanti. Stavolta però la Fondazione, da sempre il trait d’union tra banca e politica, difficilmente avrà la meglio sulle banche d’affari. Allo stesso modo i politici senesi, contrari al rinnovamento, non riescono a influenzare la strategia di Mps come un tempo. La riforma statutaria infatti passerà: avere più del 4 per cento del capitale azionario non sarà più una prerogativa della Fondazione. Era un obiettivo del nuovo management e un requisito richiesto dalla Commissione europea per avallare il prestito di 4 miliardi da parte dello stato.

www.ilfoglio.it/soloqui/19048
connormaclaud
00mercoledì 17 luglio 2013 13:11
Ligresti
Svolta clamorosa nell'inchiesta su Fonsai: questa mattina è finita agli arresti l'intera famiglia Ligresti: Salvatore, ai domiciliari, e i tre figli Giulia, Jonella. Paolo Ligresti, invece, non è stato arrestato e risulta allo stato «ricercato». I finanzieri sanno che il manager si trova in Svizzera e secondo quanto si apprende non sarebbe intenzionato a rientrare in Italia. Con i componenti della famiglia Ligresti sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Torino su richiesta della procura di Torino anche gli ex amministratori delegati di Fonsai, Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta e l'ex vicepresidente Antonio Talarico. Le ipotesi sono di falso in bilancio aggravato per grave nocumento al mercato e manipolazione del mercato. Alle 11 si terrà una conferenza stampa degli inquirenti per spiegare l'operazione. Per i componenti della famiglia Ligresti e per le altre persone arrestate il reato contestato è quello di false comunicazioni sociali.

OLTRE 250 MILIONI DI EURO - «Uno spaccato inquietante». Così il procuratore aggiunto Vittorio Nessi della procura di Torino sull'inchiesta Fonsai ha commentato la svolta nelle indagini: «Una società assicurativa - ha aggiunto - molto importante era piegata agli interessi di una parte dell'azionariato, quello che contava. I Ligresti attraverso Premafin detenevano oltre il 30 percento della società». Ammonta a 253 milioni di euro la somma di denaro che la holding della famiglia Ligresti e Premafin hanno incassato come utili al posto di registrare perdite. I finanzieri hanno infatti verificato, in un'inchiesta partita nell'agosto del 2012, come fosse avvenuta una «sistematica sottovalutazione delle riserve tecniche del gruppo assicurativo della riserva sinistri», che ha consentito nell'arco degli anni l'afflusso di milioni di euro nelle casse della famiglia. La famiglia Ligresti, secondo la tesi dell'accusa, contando anche sulla «compiacenza del top management si è assicurata oltre al costante flusso di dividendi anche il via libera a numerose operazioni immobiliari con parti correlate». La Procura di Torino ha deciso di procedere con le misure cautelari nei confronti della famiglia Ligresti sia per le concrete possibilità di fuga, sia per il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. «Salvatore Ligresti ha reagito all'arresto con molta serenità», ha spiegato il comandante della guardia di finanza di Torino, generale Giuseppe Gerli.

[Esplora il significato del termine: PAOLO LIGRESTI IN SVIZZERA - Le misure cautelari disposte dalla magistratura di Torino sono state eseguite dalla Guardia di Finanza in diverse città. Salvatore Ligresti ha avuto la notifica dei domiciliari nella sua casa di Milano; la figlia Giulia è stata fermata nel capoluogo lombardo e trasferita in carcere; l’altra figlia Jonella è stata raggiunta a Cagliari, dove era in vacanza e portata nel carcere cittadino. Gioacchino Paolo Ligresti, altro figlio di Salvatore, è l’unico che non è stato rintracciato e si trova in Svizzera: allo stato risulta «ricercato» ma a quanto si apprende non sarebbe intenzionato a rientrare. Ad Emanuele Erbetta l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata a Novara, dove l’uomo vive. Fausto Marchionni è stato raggiunto a Forte dei Marmi e trasferito ai domiciliari nella sua casa in provincia di Cuneo. Antonio Talarico, infine, ha ricevuto la notifica dei domiciliari nella sua abitazione di Milano. L’INCHIESTA - Salvatore Ligresti e i figli Giulia, Jonella e Paolo erano già indagati nell’inchiesta coordinata dai procuratori torinesi Vittorio Nessi e Marco Gianoglio che ipotizzava da parte dei vertici di Fonsai di aver «truccato» la voce destinata alla cosiddetta riserva sinistri alterando tra il 2008 e il 2010 il bilancio della società, per poi comunicare ai mercati notizie false sul bilancio dell’azienda quotata in borsa, alterando il prezzo delle sue azioni] PAOLO LIGRESTI IN SVIZZERA - Le misure cautelari disposte dalla magistratura di Torino sono state eseguite dalla Guardia di Finanza in diverse città. Salvatore Ligresti ha avuto la notifica dei domiciliari nella sua casa di Milano; la figlia Giulia è stata fermata nel capoluogo lombardo e trasferita in carcere; l'altra figlia Jonella è stata raggiunta a Cagliari, dove era in vacanza e portata nel carcere cittadino. Gioacchino Paolo Ligresti, altro figlio di Salvatore, è l'unico che non è stato rintracciato e si trova in Svizzera: allo stato risulta «ricercato» ma a quanto si apprende non sarebbe intenzionato a rientrare. Ad Emanuele Erbetta l'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata a Novara, dove l'uomo vive. Fausto Marchionni è stato raggiunto a Forte dei Marmi e trasferito ai domiciliari nella sua casa in provincia di Cuneo. Antonio Talarico, infine, ha ricevuto la notifica dei domiciliari nella sua abitazione di Milano.

L'INCHIESTA - Salvatore Ligresti e i figli Giulia, Jonella e Paolo erano già indagati nell'inchiesta coordinata dai procuratori torinesi Vittorio Nessi e Marco Gianoglio che ipotizzava da parte dei vertici di Fonsai di aver «truccato» la voce destinata alla cosiddetta riserva sinistri alterando tra il 2008 e il 2010 il bilancio della società, per poi comunicare ai mercati notizie false sul bilancio dell'azienda quotata in borsa, alterando il prezzo delle sue azioni

www.corriere.it/economia/13_luglio_17/ligresti-arrestata-amiglia-inchiesta-fonsai_0e1a1be0-eeae-11e2-b3f4-5da735a065...
trixam
00giovedì 18 luglio 2013 18:50
Il riesame ha preso la giusta decisione. Solo un procuratore italiano poteva inventarsi un'accusa di usura dove la vittima è una banca. Roba da Disney.

Il modo in cui Alexandria fu ristrutturato è un puro esempio dell'italian way of business. Leggere le descrizioni della fantozziana conclusione del contratto è esilarante. Una conference call tra Mussari a Siena che non sa l'inglese e non ha la minima idea di cosa diavolo stessero parlando e quelli di Nomura a Londra allibiti che con la mente sospettosa dei banker forse si chiedevano: "Ma questi ci fanno o ci sono? Non ci sarà sfuggito qualche dettaglio"?

Il giudice ha ragione a dire che la transazione non presentava niente di anomalo. Mps non voleva scrivere la perdita di 220 milioni derivante dal primo contratto con la Dresdner Bank, così si accorda con nomura la quale si prende i titoli al loro valore nominale di 400 milioni e paga i titoli con delle Credit Linked notes(titoli legati a prestiti subordinati e ad obbligazioni garantite). Quindi Nomura si prende la perdita ma come condizione per concludere il contratto pone la sottoscrizione di due operazioni da parte di mps: un asset swap e due pronti contro termine.

In sostanza Nomura prestò una certa cifra ad mps, mi pare 3 miliardi, con la quale mps comprò da Nomura dei btp a 30 anni che depositò presso Nomura stessa a garanzia del prestito con l'impegno a riacquistarli ad un prezzo prefissato che garantisse Nomura dalle perdite(questo è l'oggetto del contendere con la procura).

COntemporaneamente le due banche fecero un derivato base, l'interest rate swap, un contratto che permette di scambiare i flussi finanziari.
Mps cedeva a nomura il rendimento fisso dei btp ed incassava il tasso variabile euribor a 3 mesi.


Questa è l'operazione. So che letta così può sembrare schizofrenica, ma queste sono transazioni abbastanza normali nei mercati finanziari e soprattutto sono quelle che permettono a tante aziende di coprirsi e non chiudere.


La procura sostiene che c'è stato accordo tra la Nomura e i vertici di Mps per truffare Mps stessa, ma questa accusa si basa sul fatto che le operazioni andarono male per Mps, cosa però dovuta a due eventi. Da una parte la crisi del debito pubblico italiano nel 2011 che portò ad indebolire la garanzia del prestito obbligando mps a piazzare nuovi collateral che andavano evidenziati a bilancio al mark to market(in sintesi il valore reale di quel momento), dall'altra il calo del tasso euribor che volgeva l'irs a sfavore di Mps.

In sostanza gli incassi della banca crollavano mentre le somme da versare a Nomura aumentavano sempre più, obbligando mps a fare una maxisvalutazione in bilancio.
Qui abbiamo di certo un'operazione di mercato andata male, dove si può imputare una cattiva gestione del rischio che però è un argomento scivoloso ed oggetto di dibattito tecnico. Sta di fatto che in condizioni normali non sarebbe successo nulla di particolare, Mps sarebbe andata da un'altra banca e si sarebbe fatta ristrutturare di nuovo il derivato. Il guaio per mps è che la musica si stava fermando e la coperta era troppo corta perché quelle operazioni tentavano di porre rimedio al clamoroso errore dell'acquisto di Antonveneta comprata ad un prezzo assurdo senza nemmeno fare una due diligence dei conti.
Qui è il vero nodo di tutta questa vicenda e non credo che lì sia solo fumo, anzi penso proprio che quella vicenda possa essere la Enimont della seconda repubblica.

Perciò dire che non è successo niente come lascia intendere il foglio non è mica vero. Ad esempio non è ancora chiarito perché per fare queste operazioni fu utilizzato un mediatore svizzero non certo del giro dei mediatori normalmente utilizzati da soggetti di questo livello, detto che non si è capito perché in quelle operazioni servisse un mediatore.

Sta di fatto che abbiamo una vicenda pazzesca di un istituto con 5 secoli di storia distrutto in 5 anni, una banca commerciale con depositi di clienti retail che operava come un hedge fund di sbronzi ubriachi e naturalmente il conto lo pagheranno i contribuenti dato che lo sanno anche le pietre che la banca non sarà in grado di rimborsare i (tre)monti Bond. C'è scritto chiaro e tondo nelle condizioni, lo stato pagherà le azioni al valore di libro invece di quello di mercato salvando il culo alla fondazione. Se ci fosse un governo serio la banca sarebbe stata già nazionalizzata per proteggere i contribuenti.

Poi naturalmente le inchieste sono pasticciate con i soliti filoni spezzettati che si sovrappongono creando enorme confusione, ma diversamente non sarebbe un'inchiesta italiana.


Ps Non essere giustizialisti quando arrestano i Ligresti è dura.
I principi costano fatica.
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