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La democrazia minacciata dagli idealisti. Il pensiero radicale di Kenneth Minogue

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2011 16:30
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22/03/2011 17:29
 
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Nel 1963, un professore australiano trapiantato in Inghilterra, docente di Scienze politiche alla London School of Economics, pubblicò una denuncia severa e coraggiosa del progressismo radicale. Scritto in totale controtendenza allo Zeitgeist del tempo, la fede incondizionata negli effetti benefici della mano pubblica, The Liberal Mind (ora tradotto in italiano da Liberilibri con il titolo La mente liberal) puntava l'indice contro «la nozione che la storia richieda il perfezionamento della società umana» e che i governi, nel perseguimento di questo ideale, debbano «provvedere per ogni uomo, donna, bambino e cane condizioni decenti di vita». Attenzione, ammoniva la giovane Cassandra, «una popolazione che affidi il suo ordine morale ai governi, per quanto impeccabile sia la motivazione, diventerà dipendente e servile».

È passato quasi mezzo secolo. Ma Kenneth Minogue, oggi magnifico ottantenne e professore emerito dell'università londinese, non molla l'argomento. Anzi, con un sentimento dove la soddisfazione si mescola a reale preoccupazione intellettuale, vede la sua tesi ampiamente confermata. E in The Servile Mind. How Democracy Erodes the Moral Life («La mente servile. Come la democrazia erode la vita morale»), da poco uscito negli Stati Uniti, riscopre la sua vena iconoclasta, documentando i modi in cui la democrazia, una volta propulsore della libertà, richieda oggi cieca obbedienza allo Stato e all'ordine burocratico-morale che lo sostiene.

Kenneth Minogue mi riceve nella sua bella casa di Fulham, a poche centinaia di meri da Stamford Bridge, una tipica town-house londinese a tre piani, in legno e mattoni. Da un anno, da quando è morta la moglie, vive da solo e le centinaia di libri sparsi dappertutto ne sono probabilmente il segnale. Ma il disordine non toglie nulla al calore: l'appartamento è luminoso e accogliente, i divani sono comodi, il caffè preparato dal professore è forte e profumato. Minogue è alto e sottile, gli anni ne hanno scarnificato la mole, visibile nelle foto da giovane incorniciate e appoggiate su qualche mobile, i capelli folti e biancheggianti hanno ancora qualche ombra grigiastra, le sopracciglia cespugliose coprono in parte gli occhi di un azzurro intenso. Il suo eloquio inglese è chiaro ed elegante, pieno di autoironia, ricco di citazioni che cadono naturalmente e senza ostentazione.

«Perché l'idealismo politico minaccia la nostra civiltà?» è il tema della conferenza che Minogue, sicuramente uno dei maggiori filosofi politici di orientamento conservatore, tiene domani a Milano, ospite dell'Istituto Bruno Leoni. E un quesito inquietante e scomodo, che affronta partendo da un dato molto concreto, la crisi dell'Europa, da lui riassunta nelle cosiddette tre D: debito, demografia, democrazia.

«Un debito pubblico altissimo, poiché gli Stati europei devono mantenere un modello sociale ormai insostenibile, col risultato che siamo costretti a prendere a prestito somme sempre maggiori, per esempio dalla Cina, per finanziare ciò che consumiamo oggi. Questo significa ipotecare il futuro dei nostri figli e nipoti, che dovranno ripagare la tendenza a vivere oltre i nostri mezzi. Il problema demografico viene invece dall'invecchiamento delle nostre società, che fa sì che ci saranno sempre meno persone in grado di sostenere questa specie di fraudolenta catena di Sant'Antonio. Né può l'invecchiamento essere compensato dall'immigrazione, primo perché c'è un limite alla capacità d'integrazione e secondo perché gli immigrati invecchiano e diventano parte del problema».

Infine la democrazia, che nella profezia di Platone e Aristotele «avrebbe depredato i ricchi». Il che «non è successo con l'avvento della democrazia di massa, ma è successo con lo sviluppo dello Stato sociale». P. J. n Rourke, ricorda Minogue, ha detto che «la democrazia è un modo d'impossessarsi dei soldi degli altri». Ora, se sul piano ideale può essere giusto che lo Stato redistribuisca la ricchezza in base ai bisogni, «nei fatti, superato un certo punto, quando si tassa più del 50 per cento del reddito, cessa l'incentivo a produrre ricchezza e tutti ne soffrono».

Ci sono molte cause per spiegare la crisi europea. Ma Kenneth Minogue concentra l'attenzione sull'idealismo politico, definito come «la convinzione di avere il potere di cambiare la società e il dovere politico-morale di farlo per renderla più egualitaria in termini di reddito disponibile per gli individui, quindi socialmente più giusta». Più semplicemente, l'idealismo politico è stato l'argomento centrale per lo sviluppo del Welfare State, dove a differenza del Nightwatchman State (lo Stato «guardiano notturno»), che doveva solo occuparsi della difesa e della sicurezza, il governo ha la responsabilità crescente di redistribuire la ricchezza.

Ma sarebbe un errore affibbiare all'idealismo politico un'etichetta di sinistra: «Ne esiste anche una versione di destra, che suggerisce di concedere più benefits, mentre quella di sinistra punta alla soddisfazione di bisogni essenziali. In ambedue i casi, più lo Stato concede, più aumenta il suo controllo: l'esempio classico è quello delle università, ben felici negli anni Sessanta di ricevere fondi per espandersi, assumere professori, creare insegnamenti. Oggi lo Stato le controlla, dice loro cosa e come insegnare. Oppure prenda la salute: lo Stato ci impone di non fumare, ci dice di bere poco alcol, mangiare cibo sano, fare esercizio».

Minogue non teme gli accostamenti eretici. Se il comunismo voleva costruire l'uomo nuovo, un po' di quella tentazione è implicita anche nel Welfare State. La differenza è che «il comunismo usava il terrore, mentre sotto l'idealismo politico il controllo dello Stato sulla società allo scopo di renderla migliore può essere fatto senza violenza, usando la persuasione».

Uno degli assunti fondamentali dell'idealismo politico è il concetto di «vulnerabilità». Minogue nota come gruppi sempre più vasti siano considerati vulnerabili e «debbano» essere protetti: «I bambini hanno bisogno di essere protetti contro vari abusi, gli omosessuali protetti dai pregiudizi, poi ancora i tossicodipendenti, le minoranze sessuali di ogni tipo. Ma la creazione di questa categoria di vulnerabili, destinataria di grandi benefici, porta alla sua moltiplicazione fino al punto che di fatto la maggioranza della società sia considerata tale. Ora, in tutte le società nella storia ci sono stati gruppi che non venivano considerati in grado di decidere per sé e di gestirsi. Nella società democratica occidentale moderna ogni cittadino dovrebbe essere maturo e in grado di fare le sue scelte: questo naturalmente non è possibile. Ma altrettanto impossibile è l'opposto, teorizzato dall'idealismo politico: che cioè ogni cittadino abbia bisogno di aiuto da parte dello Stato».

Altruismo e benevolenza sono ormai gli ideali dominanti: «Otteniamo rispetto e stima partecipando a iniziative di beneficenza, corrne cene, aste, eventi sportivi per raccogliere denaro per buone cause. Oppure andando a concerti rock per combattere la povertà in Africa: ma la maggior parte di quelli che ci vanno non sono neppure buoni a impegnarsi in un matrimonio, a creare una famiglia. Voglio dire che esiste una tendenza a spostarsi dai doveri e dalle responsabilità di una vita morale tradizionale, verso obiettivi politico-morali grandiosi quanto astratti».

Minogue mette in guardia dai rischi dell'idealismo politico: «La nazionalizzazione della vita morale è il primo passo verso il totalitarismo». Le buone intenzioni, in altre parole, possono condurre a una tirannia: «L'idealismo politico non prende sul serio le persone in quanto agenti morali, male considera vittime delle circostanze sociali, che devono essere aiutate da una classe superiore di funzionari pubblici. Prenda gli assistenti sociali, che intervengono in presenza di famiglie considerate problematiche (disoccupazione, alcolismo, etc.) e spesso tolgono i bambini ai genitori per darli in affidamento. Di fatto controllano la vita di gente considerata incompetente. Ma una delle conseguenze, nella mia visione realista, è che nel momento in cui si cerca di risolvere problemi sociali, non si fa altro che trasferirli altrove, spesso rendendoli più gravi. Un esempio che faccio spesso è quello delle ragazze che restano incinte senza essere sposate: una volta le possibilità, tutte dolorose, erano un matrimonio coatto, un aborto, l'adozione del bimbo. Oggi la maggior parte degli Stati alleviano la sofferenza di queste ragazze madri, dando loro un appartamento e un sussidio. Ma quando i bimbi crescono, i maschi spesso sono fuori controllo, antisociali, arrivano a scuola senza aver mai visto un libro o senza conoscere il loro cognome, le ragazze spesso rimangono anche loro incinte giovanissime. La conseguenza è il collasso della famiglia, come unità morale e pratica dell'educazione».

L'idealismo politico nasce dalla crescente possibilità della civiltà occidentale di controllare il mondo attraverso la tecnologia. «Alla metà del secolo scorso - ricorda Minogue - si diceva spesso: se possiamo controllare l'atomo, perché non possiamo anche imparare a controllare gli esseri umani nei loro gruppi sociali? Certo, c'è un'interessante e sinistra ironia vedendo quanto accade in Giappone. Ovviamente era un'ambizione illusoria. Abbiamo visto versioni disastrose dell'idealismo politico, come il nazismo e il comunismo. Il Welfare ha avuto un approccio più graduale: prima il miglioramento dello Stato, poi si è fatta strada la convinzione di poter riformare la società umana».

E se in passato le persone formulavano i loro giudizi morali e prendevano le giuste precauzioni, ora è lo Stato a dirci cosa fare: «Lo Stato cioè spiazza i nostri giudizi morali. Generazione dopo generazione, viene svilito il senso di responsabilità. E questo porta a un alto grado di regolazione della vita: non solo in termini di principi generali, rna anche di istruzioni molto specifiche, dall'igiene alle pratiche sessuali. Il problema è che queste decisioni, quelle su come viviamo, sono l'essenza della libertà. Dunque, a mio avviso la libertà è incompatibile con uno Stato moralizzatore».

La mente servile è per Minogue il diretto corollario di questa bulimia regolatrice dello Stato: «Il modo in cui la gente si comporta è una continua sequela di problemi per i governi, che impongono sempre nuovi divieti o regole. L'ironia triste e spaventosa è che più permettiamo allo Stato di determinare il nostro ordine morale e le nostre intime convinzioni, maggiore diventa il bisogno di sentirci dire come comportarci e cosa pensare. In questo modo prendiamo i nostri standard moral i dallo Stato, perdendo la capacità dì giudizio morale. Ecco perché l'idealismo politico è una minaccia alla nostra civiltà, che rischia di distruggere proprio gli elementi che hanno fatto unico il mondo occidentale, la capacità innovativa, l'individualismo creativo, che lo hanno reso irresistibilmente attraente per i popoli di altre parti dellaTerra. Milioni di persone sono ben felici di integrarsi nel mondo degli europei».

La domanda viene spontanea: dove finisce l'individualismo e comincia l'egoismo antisociale? O, meglio, lo Stato ha un obbligo di limitarne gli eccessi? Minogue nni guarda incuriosito. «Mi faccia un esempio» dice. Beh, bisognava o no mettere un limite a quello che stava succedendo a Wall Street prima del 2oo8? «Ah capisco! Forse ci voleva qualche limite alla decisione americana, sotto Clinton, di non distinguere più tra banche d'affari e banche tradizionali. Ma una soluzione è stato il crash, chi ha sbagliato è fallito. Sì, certo, il governo ha impedito il crollo di molte banche. E in quel campo sono piuttosto libertario: forse bisognava farne fallire di più. Il comportamento di molti banchieri è stato criminale. Ma anche la gente è responsabile dei soldi che affida a una banca. Prenda il caso Madoff: con quei tassi di rendimento qualcuno dei suoi clienti deve aver sospettato che qualcosa non fosse legale. Eppure gareggiavano per dargli i loro denari».

Il futuro trova Minogue molto pessimista. La democrazia può sopravvivere? «Non so». Anche perché, «gli idealisti politici sono in gran parte convinti di poter pensare il bene collettivo meglio degli altri. Li anima un senso di superiorità rispetto a chi vive del profitto, una mentalità basa ta sull'attesa che la forma di vita ideale sia all'insegna della redistribuzione delle risorse mondiali attraverso istituzioni conce l'Unione Europea e l'Onu, insomma del governo globale. Ma un governo globale è inconcepibile, nei termini della democrazia occidentale, poiché non contempla la presenza di un demos».
22/03/2011 17:38
 
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Che senso avrebbe un governo (globale) senza demos? Necessariamente l'uno implica l'altro. Una democrazia vera e propria non esisterà mai proprio per questo senso di superiorità che, equamente, non prevede alcuna redistribuzione.
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23/03/2011 16:30
 
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da noisefromamerika.org
Dick Thaler è il padre dell'economia comportamentale (behavioral economics). Ne abbiamo già parlato qui. In soldoni: gli agenti economici sono meno che razionali, fanno errori sistematici, e quindi interventi paternalistici da parte di governi e istituzioni possono essere giustificati. Coscienti del fatto che il paternalismo, almeno in amerika, non è ben visto - chissà, forse ricorda il proibizionismo - Thaler e Sunstein hanno avuto un'idea geniale: non occorre che il paternalista entri a gamba tesa, basta una spintarella, leggera leggera, in grado di spostare solo gli agenti irrazionali, ma che invece lascia gli altri solidamente ancorati alla propria ragione. L'esempio principe è quello della scelta del regime pensionistico: partecipare al piano dell'impresa o meno. Tipicamente i piani pensionistici offerti dalle imprese sono favorevoli, ma una parte dei lavoratori non mette la X per entrare a parteciparvi, forse perché disattenti. Allora, dicono Thaler e Sunstein, rivoltiamo il contratto così che la X sia necessaria per NON partecipare al piano. Quei lavoratori che per ragioni loro non volessero partecipare possono comunque farlo, ma i disattenti adesso partecipano, che è un bene. Ci hanno scritto un libro, Thaler e Sunstein, un blog, ..., un successo mega-galattico che ha portato Sunstein ad un posto alla Casa Bianca.

E tutti a immaginarsi i giusti nudge per aiutare gli stupidotti. E piano piano le spintarelle diventano un po' più robuste. L'ultima che ho visto è sul New York Times, pagina degli editoriali. Occupa una pagina quasi intera con un bel disegno interattivo che non c'è modo purtroppo di copiare qui. Ma chi ha accesso al NYTimes se lo vada a guardare che è una meraviglia.

L'idea è quella di ridisegnare le mense degli studenti per dar loro una spinta a mangiare più sano:

A smarter lunchroom would nudge students toward making better choices on their own by changing the way their options are presented.

[Traduzione] Una mensa più intelligente spingerebbe gli studenti a compiere scelte autonome migliori, cambiando il modo il cui le opzioni sono presentate.

Ecco alcune proposte, cioè alcune spintarelle:

Mettere i broccoli all'inizio del tavolo della mensa.
Aggiungere aggettivi sexy alle verdure (tipo spinaci cremosi).
Offrire una scelta tra diverse verdure.
E fin qui, nulla di tremendo. Gli studenti che cascano a queste spinte devono essere davvero stupidotti, ma ... nulla di male.

E poi:

Nascondere il gelato (in freezer dalla porta opaca).
Nascondere il latte al cioccolato dietro a quello normale.
Diminuire le dimensioni delle tazze di cereali (allo stesso prezzo, suppongo).
Impedire l'acquisto di biscotti coi ticket della mensa (solo moneta sonante).
Istituire una coda express per chi mangia insalata.
Alla faccia del nudge. Ho un'idea anch'io:

Mettere la friggitrice per le patatine in una apposita area dentro il bagno.
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