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La scuola che vorrei

Ultimo Aggiornamento: 03/10/2010 19:38
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02/10/2010 00:59
 
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Dalle riforme impossibili alla riforma delle possibilità

Tutelare il merito e valorizzare le differenze dovrebbero essere i parametri di qualsiasi riforma scolastica che renda il diritto allo studio un diritto al proprio futuro.

In Italia possiamo dire che manchi tutto tranne le riforme della scuola. Non c'è ministro che in qualche modo non abbia sbandierato il proprio progetto megagalattico di trasformazione del sistema scolastico. La parola riforma, violentata nel suo significato, è diventata un termine onnicomprensivo di qualsiasi bislacca idea. La riforma Gelmini a pieno titolo si inserisce nel filone. La riforma che vorremmo, invece, è molto semplice e va tratteggiata a prescindere dagli spot politici. I punti di riferimento imprescindibili sono il merito e l'efficienza (dato il momento potremmo accontentarci dell'efficace, ma puntiamo ad un Paese normale).
In primo luogo è necessario garantire agli studenti la piena libertà nell'individuazione sia del percorso di studi sia dei soggetti deputati ad impartire tali conoscenze. In pratica si lascia allo studente, aiutato da appositi programmi di orientamento, la determinazione quasi totale delle materie che affronterà nel suo monte orario scolastico. Una volta determinato un programma di formazione valido per le scuole primarie, durante le quali lo studente acquisisce le nozioni fondamentali di grammatica e matematica, si permette a ciascuno di individuare quale percorso seguire, decidendo in piena autonomia cosa ritiene più utile ed opportuno per la sua crescita personale. Parallelamente le scuole sarebbe costrette a presentare una pluralità di offerte didattiche e di corsi che le costringerebbe a selezionare i migliori docenti e a pretendere che l'insegnamento sia di alto livello. Questa prospettiva potrebbe essere avversata da chi ritiene che in questo modo l'interesse collettivo ad una popolazione istruita (interesse che si lega anche alle esternalità positive derivanti dal livello di istruzione) venga messo nella completa disponibilità di singoli incompetenti e\o incapaci di scegliere il meglio tanto che gli studenti potrebbero orientarsi verso corsi meno impegnativi e con professori meno esigenti, creando in questo modo il risultato opposto in ordine alle competenze dei professori e in ordine alla loro stessa preparazione. Si tratta di critiche superficiali che non considerano come già normalmente nella massa degli studenti molti decidano di ritagliarsi un percorso semplificato non ostacolato in modo realistico né dai professori né dai debiti formativi. Spesso questo disimpegno si lega semplicemente ad errori di valutazione nel momento dell'iscrizione (errori non riparabili in itinere) e alla presenza di materie non gradite ma che devono essere studiate obbligatoriamente perché si possa conseguire il titolo di studio. Infatti si aumenterebbe la possibilità che i risultati siano migliori, permettendo agli studenti di creare un percorso di studi perfettamente adatto alle proprie capacità e volontà. Inoltre il percorso scelto sarebbe altamente qualificante e specializzante, evitando inutili dispendi di tempo in materie pressoché inutili o poco formative. La vera libertà consiste nella scelta e solo dalla scelta possono derivare direttamente incentivi all'impegno, perché oggi tutti gli studenti sanno che l'unico elemento di differenziazione degli uni dagli altri potrebbe essere il voto con cui si consegue il titolo, un semplice trofeo per i migliori un alibi di disimpegno per gli altri. Inoltre l'attuale sistema garantisce geni della matematica costretti ad investire il loro tempo a cavillare su questioni di letteratura o di storia e geni della scrittura costretti ad incespicare sui numeri. L'obiettivo principale di un sistema scolastico, invece, dovrebbe essere quello di valorizzare le differenze, rendendole occasioni di crescita e di affermazione personale e professionale. Infatti la libertà di autodeterminazione culturale, oltre ad essere un chiaro diritto dell'individuo, in quanto il percorso di studi inciderà in modo determinante sul suo futuro familiare, sociale ed umano, non solo esalta le capacità dei migliori, ma permette ai meno brillanti sia di responsabilizzarsi, assumendo la responsabilità del proprio futuro, sia di eliminare quanto proprio non gli riesce senza che ciò precluda la possibilità di eccellere laddove il proprio talento si manifesta.
Si tratta di rinnegare una volta e per tutte l'idea che lo Stato conosca meglio dell'individuo cosa sia giusto ed utile per il singolo, cioè eliminare quell'idea per cui tutti devono essere uguali anche nei desideri, nelle capacità e nella volontà. Non si può pretendere che un programma scolastico ideato secondo canoni arbitrari sia compatibile con ogni studente inteso come un'unità indifferenziata e priva di individualità. In Italia si è consolidato un sistema per cui ciò che è bene per uno deve essere necessariamente bene per un altro e ciò che poteva essere valido dieci anni fa continua ad esserlo oggi. Non è un caso che lo Stato si ritrovi con le sue tipiche lentezze, vedi la lunga resistenza della riforma Gentile, a rincorrere senza successo la società moderna velocissima, complessa e mutevole, abbandonando di fatto lo studente al suo destino. È una prospettiva ingiusta soprattutto per tutti coloro che hanno minori capacità economiche, ma uguale se non maggiore voglia di salire la scala sociale, di cambiare il proprio destino senza doversi scontrare con costosissimi corsi di perfezionamento e con anni di studi specializzanti durante i quali la disoccupazione potrebbe costringerli ad abbandonare tutto, provocando una chiara perdita di benessere sia per il singolo a cui viene sottratto il futuro sia per la collettività a cui viene negata l'esternalità positiva di un soggetto potenziale più capace e competente di un altro.
Tuttavia l'altro passo fondamentale sarebbe quello di creare un sistema scolastico in cui ci siano libere aggregazioni di soggetti competenti che offrono le loro capacità per “metter su scuola”. Un sistema che non deve essere piegato necessariamente alle mire economiche del privato, ma che permetta ai membri della società civile di aggregarsi per offrire istruzione in concorrenza con altri soggetti potenzialmente più preparati. Gli studenti si troverebbero a scegliere coloro che offrono le maggiori competenze e le offerte più attinenti ai loro obiettivi. Gli insegnanti sarebbe costretti a dimostrare il loro valore sul campo non solo all'inizio della loro carriera, ma per tutta la vita. Inoltre si eviterebbero posizioni corporativiste e di chiusura del mondo dei titolari nei confronti dei precari. L'offerta didattica diventerebbe, quindi, il risultato della domanda che a sua volta sarebbe orientata non al soddisfacimento di un mero percorso legale, ma alla realizzazione di un percorso formativo in grado di specializzare e di fornire le competenze per entrare nel mondo del lavoro e dell'università. Certo sarebbe necessario abolire il valore legale del titolo di studio, ma solo così si eviterebbe l'assurdo di master post laurea, di scuole di specializzazione e di voti di laurea e di diploma non corrispondenti a parametri oggettivi. Inoltre finirebbe lo spreco di risorse in istituti incapaci di adempiere alle funzioni a cui sono chiamati, ma efficientissimi nel tutelare le proprie cattedre grazie alla garanzia di regalare l'ambito pezzo di carta a studenti incapaci di scrivere legittimo con una sola g.


Raffaele Minieri
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03/10/2010 19:38
 
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Tutto giusto Gius, ma liberare la scuola italiana dall'oppressione del paternalismo statalista è una operazione impossibile.
Riformare la scuola in senso moderno sarebbe il punto di arrivo di un processo di modernizzazione che da noi non è mai partito.
Inutile osservare che tutti i paesi più avanzati hanno superato la scuola dell'obbligo in favore della scuola aperta, che realizza il ciclo integrato dell'istruzione che ti permette di essere magari laureato in storia moderna e fare l'amministratore delegato di una grande azienda, per citare un caso di una grande manager americana.

Io invito i nostri statalisti a visitare la Finlandia, un paese notoriamente socialdemocratico, che ha saputo realizzare in questo campo un autentico miracolo in soli quindici anni.
Li invito a visitare un liceo finlandese, come il Mannerheim di Turku.
Una struttura ipermoderna, palestre, campi da calcio, basket e tennis, piscina olimpionica, laboratori di chimica e fisica da far invidia al MIT, una biblioteca fornitissima, un teatro con una compagnia stabile di studenti che fanno spettacoli di successo(da cui la scuola trae importanti di finanziamenti), una sala cinematografica. Una offerta formativa ampissima, con corsi che vanno dall' algebra e Antropologia, fino a Diritto ed Economia, per arrivare alla zoologia. Tutto senza creare tremila indirizzi diversi che servono solo a moltiplicare cattedre e precari, ma con il sistema dei corsi annuali scelti dai ragazzi con i tutor al termine dei quali vi è un esame di fine corso con commissioni esterne formate da esperti indipendenti del settore. Opportunità e severità, quello che la scuola dovrebbe offrire. Secondo l'ultimo rapporto osce sull'istruzione la scuola finlandese è la migliore d'europa.
In finlandia sono convinti che il loro modello sia fortemente di sinistra, perché ha moltiplicato le opportunità, aumentato la mobilità sociale, ridotto le disuguaglianze, che poi è il vero significato della meritocrazia. Magari la nostra sinistra la pensasse così, invece di pensare ai precari.
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