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Lettera di Travaglio a Michele Santoro

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2010 09:08
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20/02/2010 18:11
 
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Caro Michele,

ho riflettuto su quanto è accaduto giovedì ad Annozero. E, siccome è accaduto davanti a 4 milioni di persone, te ne parlo in forma pubblica. Parto da una tua frase dell’altra sera: "Parliamo di fatti". Il punto è proprio questo. Si può ancora parlare di fatti in tv? Sì, a giudicare dagli splendidi servizi di Formigli, Bertazzoni e Bosetti. No, a giudicare dal cosiddetto dibattito in studio, che non è più (da un bel pezzo) un dibattito, ma una battaglia snervante e disperante fra chi tenta di raccontare, analizzare, commentare quel che accade e chi viene apposta per impedirci di farlo e costringerci a parlar d'altro.

La maledizione della par condicio, dovuta alla maledizione di Berlusconi, impone la presenza simmetrica di ospiti di destra e di sinistra. E, quando si tratta di politici, pazienza: la loro allergia ai fatti è talmente evidente che il loro gioco lo capiscono tutti.
Ma quando, come l’altra sera, ci si confronta fra giornalisti, anzi fra iscritti all’albo dei giornalisti, ogni simmetria è impossibile: quelli "di destra" parlano addosso agli altri e – quando non sanno più che dire – tirano fuori le mie condanne penali (inesistenti) o le mie vacanze con mafiosi o a spese di mafiosi (inesistenti). Da una parte ci sono giornalisti normali, come l'altra sera Gomez e Rangeri, che non fanno sconti né alla destra né alla sinistra; e dall’altra i trombettieri. Che non sono di destra: sono di Berlusconi. E non fanno i giornalisti: recitano un copione, frequentano corsi specialistici in cui s'impara a fare le faccine e a ripetere ossessivamente le stesse diffamazioni.

Invece di contestare i fatti che racconti, tentano di squalificarti come persona. Poi, a missione compiuta, passano alla cassa a ritirare la paghetta. E, se non si abbassano a sufficienza, vengono redarguiti o scaricati dal padrone. Non hanno una faccia e dunque non temono di perderla.
Partono avvantaggiati, possono permettersi qualunque cosa. Non hanno alcun obbligo di verità, serietà, coerenza, buonafede, deontologia. Non temono denunce perchè il padrone mette ogni anno a bilancio un fondo spese per risarcire i danni che i suoi sparafucile cagionano a tizio e caio dicendo e scrivendo cose che mai scriverebbero o direbbero se non avessero le spalle coperte. Come diceva Ricucci, che al loro confronto pare Lord Brummel, fanno i froci col culo degli altri.

Sguazzano nella merda e godono a trascinarvi le persone pulite per dimostrare che tutto è merda. E ci tocca pure chiamarli colleghi perchè il nostro Ordine non s'è mai accorto che fanno un altro mestiere.

Ci vorrebbe del tempo per spiegare ogni volta ai telespettatori chi sono questi signori, chi li manda, quali nefandezze perpetrano i loro "giornali", perchè quando si parla di Bertolaso rispondono sulle mie ferie e soprattutto che cos'è davvero accaduto a proposito delle mie ferie: e cioè che ho documentato su voglioscendere.it di aver pagato il conto fino all'ultimo centesimo e di aver conosciuto un sottufficiale dell'Antimafia prima che fosse arrestato e condannato per favoreggiamento, interrompendo ogni rapporto appena emerse ciò che aveva fatto (i due trombettieri invece dirigono e vicedirigono i giornali di due editori - Giampaolo Angelucci e Paolo Berlusconi, già arrestati due volte ciascuno, il secondo pregiudicato - e non fanno una piega).

Ma in tv non c'è tempo per spiegare le cose con calma. E, siccome io una reputazione ce l'ho e vi sono affezionato, non posso più accettare che venga infangata ogni giovedì da simili gentiluomini.
Gli amici mi consigliano di infischiarmene, di rispondere con una risata o un'alzata di spalle. Nei primi tempi ci riuscivo. Ora non più: non sai la fatica che ho fatto giovedì a restarmene seduto lì fino alla fine. Forse la mia presenza, per il clima creato da questi signori, sta diventando ingombrante e dunque dannosa per Annozero. Che faccio? Mi appendo al collo le ricevute delle ferie e il casellario giudiziale? Esco dallo studio a fumare una sigaretta ogni volta che mi calunniano? O ti viene un'idea migliore?

Da il Fatto Quotidiano del 20 febbraio
[Modificato da diegoo. 20/02/2010 18:13]
nel mezzo c'è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
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20/02/2010 18:29
 
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...moralizzatore del cazzo...
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20/02/2010 18:33
 
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Re:
gcgcgc, 20/02/2010 18.29:

...moralizzatore del cazzo...




questa è la tua massima capacità argomentativa? [SM=x43830]
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20/02/2010 18:42
 
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Re: Re:
diegoo., 20/02/2010 18.33:




questa è la tua massima capacità argomentativa? [SM=x43830]




...è la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto 'sta stronzata...
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20/02/2010 18:52
 
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Re: Re: Re:
gcgcgc, 20/02/2010 18.42:




...è la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto 'sta stronzata...




Invece secondo me ha racchiuso in poche battute quella che è la situazione del giornalismo e della libertà di stampa in Italia oggi.
E soprattutto il modus operandi di un certo tipo di giornalisti "servi"!
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Niccolò Fabi-Costruire

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20/02/2010 19:15
 
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Ma chi si crede di essere costui?? A lui dovrebbe essere concesso di infangare gente sulla base delle sue note da questurino ogni giovedì a spese del contribuente, e poi se qualcuno parla dei suoi "fatti" si adonta e paventa una lesa maestà. è solo lui giornalista?! anche questa lettera è stracarica di improperi e allusioni. ma magarisarà giudicata come il "verbo" della libertà!






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20/02/2010 19:18
 
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Per par condicio va pubblicato un articolo di giornalismo servo:

da Il giornale
Il teletribuno Travaglio giustizialista con i nemici, garantista con se stesso
di Giancarlo Perna

Il moralizzatore di "Annozero" ha fatto fortuna con le accuse agli altri. Ma incalzato da Belpietro e Porro ha perso le staffe. Nel 2002 andò in ferie con una persona poi condannata per mafia. Era un cattolico tradizionalista, oggi lancia sentenze a senso unico.

Come ogni sedicente moralizzatore, il giornalista Marco Travaglio giudica tutti con severità draconiana, salvo se stesso e i propri amici. Non ha l'ipocrisia di Totò Di Pietro - incarnazione vivente del detto «predica bene e razzola male» - ma si crogiola nell'incoerenza. Se però glielo fai osservare, strologa. È successo giovedì ad Annozero con uno strepitoso battibecco tra quattro giornalisti di lingua pronta. Da un lato, Travaglio e Norma Rangeri, del Manifesto, critici di Guido Bertolaso di casa al Salaria Sporting Center, proprietà di un imprenditore coinvolto nelle intercettazioni sulla Protezione civile. Con spreco di retorica i due hanno sostenuto che la frequentazione era inopportuna, i massaggi ambigui, ecc.

Dall'altra, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, e Nicola Porro, nostro vice direttore, che persa la pazienza sono sbottati dicendo a Travaglio: «Anche tu sei andato in giro con gente che poi è stata condannata». Come dire: può capitare a tutti di sbagliare compagnie. Marco, messo all'angolo, si è incappiato di brutto: «Io non distribuivo denaro pubblico», mai fatto nulla di male, ecc. Il sottinteso era che Bertolaso invece ha scialato soldi non suoi. Ossia, in puro stile travagliesco, la sentenza prima giudizio. Ne è nato un alterco e Marco, che di norma fa perdere le staffe agli altri, le ha perse lui. «Prenditi un’aspirina», gli ha suggerito Porro. «Come ti permetti, vergognati. Liberali del cavolo», ha reagito Travaglio. «Sei un cretino», ha replicato Porro divertito e perfidamente felice di vedere Marco paonazzo anziché serafico com’è di solito. «Sei un poveraccio», ha urlato Travaglio minacciando di andarsene. Santoro si è intromesso: «Fermi, zitti e che cavolo!» e ha riportato la calma. Questo il clou della trasmissione.

Domanda: perché Marco si è inviperito all'accenno delle sue frequentazioni? Azzardo due motivi. Il primo è che ha abilmente sollevato un polverone perché la vicenda allusa non fosse rievocata. Il secondo è che ha creato un’industria editoriale - decine di volumi, prefazioni, articoli, conferenze - basata sulle accuse agli altri. Non poteva perciò permettersi di vestire lui l'abito dell'imputato mettendo a rischio un fatturato milionario e un seguito di fanatici che lo considerano santa Colomba vergine. Arrabbiandosi a freddo ha difeso il tesoro di famiglia. Qual è l'aneddoto rimasto sulla punta delle lingue di Belpietro e Porro?

Lo rivelò per primo, un paio di anni fa, Giuseppe D'Avanzo, di Repubblica, che è della stessa pasta torquemadesca di Marco ma suo acceso rivale. Nel 2002, Travaglio si fece consigliare una villeggiatura estiva da un sottufficiale della Dia, Giuseppe Ciuro. Costui, gli fornì il nome di un albergo di lusso e trascorsero insieme la vacanza. Tempo dopo, Ciuro fu condannato a quattro anni e sei mesi per favoreggiamento di Michele Aiello, il «re delle cliniche» poi condannato a 14 anni per mafia. Questa è la frequentazione «sbagliata» allusa da Belpietro e Porro. «Io che ne sapevo?», si è sempre difeso Marco. Già, ma che ne sapeva Bertolaso del titolare del Centro massaggi, convenzionato per di più col ministero dell'Interno? Questi sono i due pesi e due misure di stampo travagliesco. Nella villeggiatura siciliana c'è di più. Marco sostiene di avere pagato lui, e salato, il conto dell'albergo. Ma il difensore di Aiello lo smentisce. «A saldare fu il mio cliente», ha detto il legale.

Se è vero, l'intemerato Travaglio e famiglia si sono goduti gratis le ferie a spese di un mafioso. Insomma, è la solita storia: chi si impanca rischia di spiaccicarsi. Se Marco non vedesse mafiosi e disonesti ovunque, chiunque sarebbe disposto a riconoscere la sua buona fede. Essendo invece uno che pensa di sapere tutto degli altri, non è creduto se poi dice di ignorare ciò che riguarda lui. La possibilità di cadere in trappola o vale per tutti, Bertolaso compreso, o per nessuno, neanche per la vergine Colomba.

Travaglio è fatto così. Sempre in tv, due anni, fa accusò Renato Schifani, presidente del Senato, di essere amico di un mafioso, tale Mandalà. In realtà Schifani lo aveva frequentato nel 1979, successivamente lo perse di vista. Mandalà fu poi accusato di mafia nel 1998. Ma per Marco, il senatore doveva già sapere quello che sarebbe accaduto vent’anni dopo e guardarsi, fin dagli anni giovanili, dal frequentare il futuro mafioso. Un ragionamento a metà strada tra l'imbecillità e la più furiosa malafede. Se tanto mi da tanto, poteva aggiungere che Schifani, prevedendo la sua nomina a presidente del Senato nel 2008, doveva tanto più vagliare le sue amicizie del 1979. Da manicomio.

Poi, però, quando al suo sodale Di Pietro capita una cosa simile, Marco cambia tattica. Un mese fa esce la foto del 1992 di un pranzo di Totò con diversi 007, tra cui l'agente Bruno Contrada. Sette giorni dopo l'istantanea, Contrada fu accusato di mafia. «E io che ne sapevo prima?», si è difeso Di Pietro all'uscita della vecchia foto. «Giusto. Che ne sapeva?», si precipita a dargli manforte Travaglio e sul suo giornale, il Fatto, confeziona articolesse con un’unica tesi: Tonino era all'oscuro di chi fosse Contrada, non ha mica la palla di vetro, ma che si pretende, ecc. Così ci risiamo: il nemico Schifani doveva sapere chi era Mandalà vent'anni prima che fosse accusato; l'amico Di Pietro poteva invece non sapere quello che sarebbe successo all'agente sette giorni dopo. La sagra dell'ipocrisia. Lo dico solo per sottolineare l'attitudine travagliesca a truccare le carte non essendo, quanto a Contrada, affatto convinto delle sue colpe. Questo quarantacinquenne tribuno dalle molteplici attività editoriali basate sulle soffiate delle Procure, le sentenze, le arringhe dei Pm, è un torinese affiliato in origine alle parrocchie.

Alunno dei salesiani, debuttò nel giornalismo sulla rivista diocesana, Il nostro tempo. Era già allora arrabbiato ma di ire opposte alle odierne. Fortemente anticomunista, stava a mezza strada tra Msi e reazionarismo ecclesiale. Era un cattolico tradizionalista, sosteneva la messa in latino, denigrava preti operai e messe rock. La prima scrittura seria sul palcoscenico del giornalismo l’ebbe al Giornale di Montanelli, per intercessione di Giovanni Arpino. Si occupava di sport e tifava per il Cav contro De Benedetti ai tempi della scalata Sme. Seguì Montanelli quando Indro ruppe col Giornale e, in simbiosi con lui, cominciò a odiare il Cav. Poi ha abbracciato il giustizialismo a senso unico. La scelta lo ha fatto ricco e ci è rimasto impiccato.









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20/02/2010 19:23
 
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Oppure possiamo scegliere un esempio di giornalismo non servile:


da La Repubblica/ maggio 2008
Non sempre i fatti sono la realtà
di GIUSEPPE D'AVANZO

Non so che cosa davvero pensassero dell'allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio (però, che irriconoscenza trascurare le istruzioni del direttore de il Borghese). Il buon senso mi suggerisce, tuttavia, che almeno una volta Montanelli, Biagi, Rinaldi, forse addirittura Furio Colombo, gli abbiano raccomandato di maneggiare con cura il "vero" e il "falso": "qualifiche fluide e manipolabili" come insegna un altro maestro, Franco Cordero.

Di questo si parla, infatti, cari lettori - che siate o meno ammiratori di Travaglio; che siate entusiasti, incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre o soltanto curiosi di capire.

Che cos'è un "fatto", dunque? Un "fatto" ci indica sempre una verità? O l'apparente evidenza di un "fatto" ci deve rendere guardinghi, più prudenti perché può indurci in errore? Non è questo l'esercizio indispensabile del giornalismo che, "piantato nel mezzo delle libere istituzioni", le può corrompere o, al contrario, proteggere? Ancora oggi Travaglio ("Io racconto solo fatti") si confonde e confonde i suoi lettori. Sostenere: "Ancora a metà degli anni 90, Schifani fu ingaggiato dal Comune di Villabate, retto da uomini legato al boss Mandalà di lì a poco sciolto due volte per mafia" indica una traccia di lavoro e non una conclusione.

Mandalà (come Travaglio sa) sarà accusato di mafia soltanto nel 1998 (dopo "la metà degli Anni Novanta", dunque) e soltanto "di lì a poco" (appunto) il comune di Villabate sarà sciolto. Se ne può ricavare un giudizio? Temo di no. Certo, nasce un interrogativo che dovrebbe convincere Travaglio ad abbandonare, per qualche tempo, le piazze del Vaffanculo, il salotto di Annozero, i teatri plaudenti e andarsene in Sicilia ad approfondire il solco già aperto pazientemente dalle inchieste di Repubblica (Bellavia, Palazzolo) e l'Espresso (Giustolisi, Lillo) e che, al di là di quel che è stato raccontato, non hanno offerto nel tempo ulteriori novità.

E' l'impegno che Travaglio trascura. Il nostro amico sceglie un comodo, stortissimo espediente. Si disinteressa del "vero" e del "falso". Afferra un "fatto" controverso (ne è consapevole, perché non è fesso). Con la complicità della potenza della tv - e dell'impotenza della Rai, di un inerme Fazio - lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere: "Anche la seconda carica dello Stato è un mafioso...". Basta leggere i blog per rendersene conto. Anche se Travaglio non l'ha mai detta, quella frase, è l'opinione che voleva creare. Se non fosse un tartufo, lo ammetterebbe.

Discutiamo di questo metodo, cari lettori. Del "metodo Travaglio" e delle "agenzie del risentimento". Di una pratica giornalistica che, con "fatti" ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica. E' un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra). Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.

8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.

Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?

Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.

Cari lettori, anche Travaglio può essere travolto dal "metodo Travaglio". Travaglio - temo - non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque.


(14 maggio 2008)







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20/02/2010 19:26
 
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Non voglio riaprire una vecchia polemica con Giuseppe D’Avanzo, che nel maggio 2008 aveva riportato su Repubblica le infamie di alcuni diffamatori sulle mie vacanze in Sicilia nel 2002 e nel 2003. Un anno fa ho pubblicato su questo blog i documenti che dimostrano come le vacanze del 2002 le abbia pagate interamente io. Ora, dopo lunga attesa per i ritardi della banca, sono riuscito a entrare in possesso dell’assegno con cui il 16 agosto 2003 pagai il mio soggiorno di 10 giorni nel residence Golden Hill di Altavilla Milicia (Palermo). Pubblico anche questo, cancellando per motivi di privacy il nome del beneficiario.

Lo faccio perché l’avevo promesso, quando D’Avanzo mi aveva sfidato a farlo: “E' il saldo del soggiorno al Golden Hill, dunque, a dover essere confermato, se proprio si vuole. Perché l'avvocato di Aiello indica, come pagato dal suo assistito a vantaggio di Travaglio, il soggiorno al residence di Altavilla (2003) e non le vacanze all'Hotel Artale di Trabìa (2002). Dice infatti al Corriere (15 maggio 2008) l'avvocato Sergio Monaco, difensore di Aiello (e naturalmente le sue parole, come quelle di Aiello, non sono oro colato): ‘Posso solo dire che l'ingegner Aiello conferma che a suo tempo fece la cortesia a Ciuro di pagare un soggiorno per un giornalista in un albergo di Altavilla Milicia. In un secondo momento, l'ingegnere ha poi saputo che si trattava di Travaglio’. Ora sono sicuro che Travaglio, come ha trovato i cedolini del pagamento del 2002, possa agevolmente rintracciare anche quelli dell'anno successivo. E' quel che mi auguro perché Travaglio dovrebbe sapere, come lo so io, che vivere delle colpe altrui è un po' ‘come vivere a spese altrui’. Per vergognarsi c'è allora tempo…” (la Repubblica, 11 settembre 2008).

Ma lo faccio anche perché diversi topi di fogna berlusconiani, su giornali, siti internet, blog e in dichiarazioni pubbliche alle agenzie di stampa, hanno continuato per un anno a insinuare o ad affermare che io mi sia fatto pagare le ferie da altri, addirittura da “mafiosi” e che, dunque, io non possa avere le prove di aver pagato. Eccoli dunque accontentati. Io non ho mai avuto il dispiacere di conoscere il signor Aiello, né il suo avvocato. E questo è l’assegno da 1000 euro con cui pagai quei dieci giorni di ferie ad Altavilla Milicia. Ora chi vuole può tranquillamente vergognarsi per avermi calunniato.

L'assegno
nel mezzo c'è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
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Niccolò Fabi-Costruire

20/02/2010 19:27
 
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Re:
maximilian1983, 20/02/2010 19.15:

Ma chi si crede di essere costui?? A lui dovrebbe essere concesso di infangare gente sulla base delle sue note da questurino ogni giovedì a spese del contribuente, e poi se qualcuno parla dei suoi "fatti" si adonta e paventa una lesa maestà. è solo lui giornalista?! anche questa lettera è stracarica di improperi e allusioni. ma magarisarà giudicata come il "verbo" della libertà!




puo essere anche condivisibile la tua opinione,pero' cm si fa a negare alcune cose scritte nella lettera riguardo a certi giornalisti che sporcano questa ex gloriosa professione,vedi belpietro,feltri,minzolini,fede,et similia!!! [SM=x43673]
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20/02/2010 19:38
 
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Perchè ritenere che una persona, un giornalista che parteggia per una parte politica, debba essere solo per questo un "venduto"? Perchè da una parte solo venduti? perchè fidarsi di Travaglio? chi è travaglio? non è stato anche lui, per del tempo, a libro paga del cavaliere? non è stato anche lui al Giornale? all'epoca non aveva mai avuto la preoccupazione di essere dipendente di un "mafioso", quale ritiene essere Berlusca? eppure le chiacchiere su berlusca e la mafia sono antichissime. ne scriveva già nel 1974 Giorgio Bocca. Ma Travaglio all'epoca, quando era a libro paga di Berlusconi non sembrava preoccuparsene!






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20/02/2010 19:40
 
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Re:
maximilian1983, 20/02/2010 19.38:

Perchè ritenere che una persona, un giornalista che parteggia per una parte politica, debba essere solo per questo un "venduto"? Perchè da una parte solo venduti? perchè fidarsi di Travaglio? chi è travaglio? non è stato anche lui, per del tempo, a libro paga del cavaliere? non è stato anche lui al Giornale? all'epoca non aveva mai avuto la preoccupazione di essere dipendente di un "mafioso", quale ritiene essere Berlusca? eppure le chiacchiere su berlusca e la mafia sono antichissime. ne scriveva già nel 1974 Giorgio Bocca. Ma Travaglio all'epoca, quando era a libro paga di Berlusconi non sembrava preoccuparsene!



Ma quelle erano chiacchiere, non condanne con sentenze passate in giudicato.

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20/02/2010 19:40
 
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Ancora un bell'articolo sul giornalismo travagliesco di un vero grande giornalista!

La lezione del caso Schifani
di GIUSEPPE D'AVANZO

E' utile ragionare sul "caso Schifani". E - ancora una volta - sul giornalismo d'informazione, sulle "agenzie del risentimento", sull'antipolitica.

Marco Travaglio sostiene, per dirne una, che fin "dagli anni Novanta, Renato Schifani ha intrattenuto rapporti con Nino Mandalà il futuro boss di Villabate" e protesta: "I fascistelli di destra, di sinistra e di centro che mi attaccano, ancora non hanno detto che cosa c'era di falso in quello che ho detto". Gli appare sufficiente quel rapporto lontano nel tempo - non si sa quanto consapevole (il legame tra i due risale al 1979; soltanto nel 1998, più o meno venti anni dopo, quel Mandalà viene accusato di mafia) - per persuadere un ascoltatore innocente che il presidente del Senato sia in odore di mafia. Che il nostro Paese, anche nelle sue istituzioni più prestigiose, sia destinato a essere governato (sia governato) da uomini collusi con Cosa Nostra. Se si ricordano queste circostanze (emergono da atti giudiziari) è per dimostrare quanto possono essere sfuggenti e sdrucciolevoli "i fatti" quando sono proposti a un lettore inconsapevole senza contesto, senza approfondimento e un autonomo lavoro di ricerca. E' un metodo di lavoro che soltanto abusivamente si definisce "giornalismo d'informazione".

Le lontane "amicizie pericolose" di Schifani furono raccontate per la prima volta, e ripetutamente, da Repubblica nel 2002 (da Enrico Bellavia). In quell'anno furono riprese dall'Espresso (da Franco Giustolisi e Marco Lillo). Nel 2004 le si potevano leggere in Voglia di mafia (di Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo, Carocci). Tre anni dopo in I complici (di Lirio Abbate e Peter Gomez, Fazi). Se dei legami dubbi di Schifani non si è più parlato non è per ottusità, opportunismo o codardia né, come dice spensieratamente Travaglio a un sempre sorridente Fabio Fazio, perché l'agenda delle notizie è dettata dalla politica ai giornali (a tutti i giornali?).

Non se n'è più parlato perché un lavoro di ricerca indipendente non ha offerto alcun - ulteriore e decisivo - elemento di verità. Siamo fermi al punto di partenza. Quasi trent'anni fa Schifani è stato in società con un tipo che, nel 1994, fonda un circolo di Forza Italia a Villabate e, quattro anni dopo, viene processato come mafioso.

I filosofi ( Bernard Williams, ad esempio) spiegano che la verità offre due differenti virtù: la sincerità e la precisione. La sincerità implica semplicemente che le persone dicano ciò che credono sia vero. Vale a dire, ciò che credono. La precisione implica cura, affidabilità, ricerca nello scovare la verità, nel credere a essa. Il "giornalismo dei fatti" ha un metodo condiviso per acquisire la verità possibile. Contesti, nessi rigorosi, fonti plurime e verificate e anche così, più che la verità, spesso, si riesce a capire soltanto dov'è la menzogna e, quando va bene, si può ripetere con Camus: "Non abbiamo mentito" (lo ha ricordato recentemente Claudio Magris).

Si può allora dire che Travaglio è sincero con quel dice e insincero con chi lo ascolta. Dice quel che crede e bluffa sulla completezza dei "fatti" che dovrebbero sostenere le sue convinzioni. Non è giornalismo d'informazione, come si autocertifica. E', nella peggiore tradizione italiana, giornalismo d'opinione che mai si dichiara correttamente tale al lettore/ascoltatore. Nella radicalità dei conflitti politici, questo tipo di scaltra informazione veste i panni dell'asettico, neutrale watchdog - di "cane da guardia" dei poteri ("Io racconto solo fatti") - per nascondere, senza mai svelarla al lettore, la sua partigianeria anche quando consapevolmente presenta come "fatti" ciò che "fatti", nella loro ambiguità, non possono ragionevolmente essere considerati (a meno di non considerare "fatti" quel che potrebbero accusare più di d'un malcapitato).

L'operazione è ancora più insidiosa quando si eleva a routine. Diventata abitudine e criterio, avvelena costantemente il metabolismo sociale nutrendolo con un risentimento che frantuma ogni legame pubblico e civismo come se non ci fosse più alcuna possibilità di tenere insieme interessi, destini, futuro ("Se anche la seconda carica dello Stato è oggi un mafioso..."). E' un metodo di lavoro che non informa il lettore, lo manipola, lo confonde. E' un sistema che indebolisce le istituzioni. Che attribuisce abitualmente all'avversario di turno (sono a destra come a sinistra, li si sceglie a mano libera) un'abusiva occupazione del potere e un'opacità morale. Che propone ai suoi innocenti ascoltatori di condividere impotenza, frustrazione, rancore. Lascia le cose come stanno perché non rimuove alcun problema e pregiudica ogni soluzione. Queste "agenzie del risentimento" lavorano a un cattivo giornalismo. Ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. Si fanno pratica scandalistica e proficuamente commerciale alle spalle di una energica aspettativa sociale che chiede ai poteri di recuperare in élite integrity, in competenza, in decisione. Trasformano in qualunquismo antipolitico una sana, urgente, necessaria critica alla classe politico-istituzionale.

Nel "caso Schifani" non si può stare dalla parte di nessuno degli antagonisti. Non con Travaglio che confonde le carte ed è insincero con i tanti che, in buona fede, gli concedono fiducia. Non con Schifani che, dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere sul quel suo passato sconsiderato. Non con chi - nell'opposizione - ha espresso al presidente del Senato solidarietà a scatola chiusa. Non con la Rai, incapace di definire e di far rispettare un metodo di lavoro che, nel rispetto dei doveri del servizio pubblico, incroci libertà e responsabilità. In questa storia, si può stare soltanto con i lettori/spettatori che meritano, a fronte delle miopie, opacità, errori, inadeguatezze della classe politica, un'informazione almeno esplicita nel metodo e trasparente nelle intenzioni.

(13 maggio 2008)






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Non c'è nessuna sentenza passata in giudicato che dica che Berlusconi è mafioso!







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Re:
maximilian1983, 20/02/2010 19.41:

Non c'è nessuna sentenza passata in giudicato che dica che Berlusconi è mafioso!




Esistono sentenze passate in giudicato che sostengono il suo pluri delinquere e processi in corso che per il momento (fase di appello) hanno dimostrato i suoi rapporti con la mafia fin dal 1974.


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20/02/2010 19:47
 
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Bene, quella risposta non dice nulla nè sposta alcunchè sul metodo di travaglio (nomen omen!). é lì la forza argomentativa di d'avanzo...
Del resto d'avanzo rivolgendosi ai suoi avversari non li definisce "topi di fogna" o in altro modo...






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Re: Re:
...Leon..., 20/02/2010 19.46:



Esistono sentenze passate in giudicato che sostengono il suo pluri delinquere e processi in corso che per il momento (fase di appello) hanno dimostrato i suoi rapporti con la mafia fin dal 1974.






Ti sbagli. Non esiste un bel niente!






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Re: Re: Re:
maximilian1983, 20/02/2010 19.47:




Ti sbagli. Non esiste un bel niente!



Mai pensato di chiedere un colloquio per il MINIVER?
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Re: Re: Re: Re:
...Leon..., 20/02/2010 19.50:



Mai pensato di chiedere un colloquio per il MINIVER?




???






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20/02/2010 20:25
 
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Re:
maximilian1983, 20/02/2010 19.38:

Perchè ritenere che una persona, un giornalista che parteggia per una parte politica, debba essere solo per questo un "venduto"? Perchè da una parte solo venduti? perchè fidarsi di Travaglio? chi è travaglio? non è stato anche lui, per del tempo, a libro paga del cavaliere? non è stato anche lui al Giornale? all'epoca non aveva mai avuto la preoccupazione di essere dipendente di un "mafioso", quale ritiene essere Berlusca? eppure le chiacchiere su berlusca e la mafia sono antichissime. ne scriveva già nel 1974 Giorgio Bocca. Ma Travaglio all'epoca, quando era a libro paga di Berlusconi non sembrava preoccuparsene!




...un coglione che spara cazzate...

[Modificato da gcgcgc 20/02/2010 20:25]
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