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<b><font size=4" color="#FF01AF">La SSPL vista dall'esperto...

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2008 17:56
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08/05/2008 17:56
 
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Le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali

Valutazione e prospettive di riforma

di Vincenzo Di Cataldo

I dati normativi. Quante sono oggi le SSPL
1. Le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali (SSPL, secondo l’acronimo spesso usato, e che utilizzerò in questo breve saggio. Altri le chiamano “Scuole Bassanini”) sono state create con decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398 (Modifica delle discipline del concorso per uditore giudiziario e norme sulle scuole di specializzazione per le professioni legali, a norma dell’art. 17, commi 113 e 114, della legge 15 maggio 1997, n. 127), e sono regolate quasi solo dal decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica 21 dicembre 1999, n. 537 (Regolamento recante norme per l’istituzione e l’organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali), oltre che dagli statuti delle singole Scuole e dai regolamenti che ciascuna di esse si è data.

Esse sono istituite da Università sedi di Facoltà di Giurisprudenza (così l’art. 2, comma 1, d.m. 537/1999), anche sulla base di accordi e convenzioni con altre Università. Hanno avviato la propria attività nell’anno accademico 2000-2001. Ad inizio dell’anno accademico 2006-2007 (il sesto della loro attività) le SSPL erano 39, delle quali 5 istituite in consorzio tra più università.

Secondo la previsione dell’art. 16, commi 2 bis e 2 ter, del D.lgs. 398/1997, introdotti dall’art. 17 della legge 13 febbraio 2001, n. 48, la durata del corso, in presenza di un corso la laurea in giurisprudenza con piano di studi quadriennali, era fissata in due anni. La stessa norma prevedeva poi che, con l’entrata a regime della riforma che istituiva il doppio regime di laurea breve + laurea specialistica (c.d. 3+2), l’accesso al corso di SSPL sarebbe stato riservato a coloro che avrebbero conseguito la laurea specialistica per la classe scienze giuridiche, quindi a chiusura di un ciclo di studi quinquennale, e la durata del corso sarebbe divenuta annuale. Le prime lauree specialistiche sono state rilasciate, come è noto, nel giugno 2006. Nel frattempo, il piano degli studi è stato ulteriormente modificato, e la c.d. laurea magistrale (che prevede un quinquennio continuo di studi) ha preso il posto del percorso laurea breve + laurea specialistica (c.d. 3+2).

Anche per la pressione esercitata in tal senso dalla Conferenza dei Direttori delle SSPL[1], il Ministro ha però continuato a bandire concorsi per l’accesso a corsi biennali della Scuola, rinunziando (per il momento, ed in vista di una revisione più ampia della struttura delle SSPL) ad emanare il decreto che avrebbe dovuto portare i corsi da due anni ad un anno, riscrivendone la struttura.

Scarsità di informazioni sulla realtà effettiva delle SSPL

2. L’esperienza fin qui vissuta dalle SSPL non è molto nota al loro esterno. Non si hanno notizie precise su come le SSPL si sono strutturate (su come, cioè, ciascuna di esse abbia utilizzato gli spazi di autonomia creati dalla scarna cornice normativa), né su come si sia effettivamente svolta la loro attività.

Il che non è strano: si sa poco delle SSPL come si sa poco delle Facoltà. Manca in Italia (a differenza di quanto accade in altri Paesi) un foro di discussione delle esperienze delle Università, non esiste alcuna rivista dedicata specialmente a questi temi, ed i non numerosi scritti che si interessano di essi sono costretti a cercare ospitalità su riviste giuridiche generali o settoriali, il che poi contribuisce a limitarne la diffusione e la lettura.

Fatto ancora più grave è che sembra non esista alcuna rilevazione sistematica e di una certa ampiezza dei dati empirici delle SSPL neppure presso il Ministero dell’Università, né presso gli organismi centrali delle professioni interessate (Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense, Consiglio Nazionale del Notariato).

Si è dato vita ad una Conferenza dei Direttori delle SSPL, che si è riunita più volte in questi anni per discutere dei problemi delle SSPL, per elaborare per alcuni di essi una soluzione comune, e per cercare di porsi come interlocutore informato (in ordine ai problemi delle SSPL) del Ministero dell’Università, innanzitutto, della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Giurisprudenza e dei vertici di Magistratura, Avvocatura e Notariato. Ma anche la Conferenza dei Direttori, che non può contare su strutture né risorse di alcun genere (e che ha trovato un luogo in cui riunirsi solo grazie all’ospitalità del Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma), pur essendosi proposta di elaborare un quadro di come le singole SSPL si siano strutturate e stiano procedendo, non ha mai potuto dar vita ad una ricognizione accettabile dell’esistente che andasse oltre scambi di informazioni abbastanza episodici e limitati.

Le sole informazioni accessibili sono quindi quelle contenute nei vademecum e nelle pagine web predisposte da quasi tutte le SSPL.

Ciò costringe gli interessati ad una raccolta difficile di dati, e, inoltre, impedisce di cogliere lo scarto, sicuramente esistente (e le sue proporzioni), tra dati cartacei o formali e dati effettivi.

Gli sbocchi aperti ai diplomati delle SSPL:
Magistratura e
Avvocatura

3. In questo breve saggio, che compare su una rivista nuova dedicata con generosità e lungimiranza dall’Avvocatura ai temi della formazione della classe forense, e che è da augurarsi acquisti diffusione e prestigio, vorrei dare una prima indicazione di almeno alcuni dei problemi di fondo delle SSPL, nella speranza che su questi si possa creare un qualche dibattito, che porti poi a risultati operativi.

Il primo punto da esaminare è certamente quello degli sbocchi dei corsi delle SSPL. Con tutta evidenza, infatti, la struttura dei corsi non può che essere pensata e valutata in rapporto agli obiettivi che essi stessi si propongono.

L’indicazione che proviene dalle norme istitutive delle SSPL è molto chiara: queste strutture si propongono di curare la preparazione a tre diverse professioni legali: magistratura, avvocatura e notariato. I primi anni di esperienza hanno tuttavia confermato quanto molti (direi: tutti) avevano previsto fin dall’inizio: può essere relativamente facile costruire (e può ritenersi positivo che esista) una struttura di preparazione comune a magistratura ed avvocatura, ma è molto meno facile costruire (ed è molto meno sicuro che esista una sicura esigenza in tal senso) una struttura che valga alla preparazione anche dell’ accesso al notariato.

Dico subito che mi occuperò solo marginalmente più avanti (nel § 4) del problema della funzionalizzazione delle SSPL all’accesso al notariato, e darò invece maggiore attenzione al problema della funzionalizzazione delle SSPL all’ accesso a magistratura ed avvocatura.

Come è noto, la SSPL punta a costruire una “casa comune” per (aspiranti) magistrati e avvocati. Questo progetto è stato, al suo apparire, salutato con generale favore. Anch’io credo che esso sia notevolmente positivo, ed anzi meriti di essere ulteriormente sviluppato (ad esempio, prevedendo che l’accesso a magistratura sia riservato a chi abbia esercitato l’avvocatura per un certo numero di anni. Questa proposta è stata più volte avanzata negli ultimi anni, in linea con esperienze di altri paesi giudicate da tutti positive, ma francamente non sembra avere oggi ancora molte chances).

Sul piano tecnico, il duplice sbocco verso magistratura ed avvocatura non mi pare crei alle SSPL problemi seri. Crea forse qualche frizione per il semplice fatto che tra magistratura e avvocatura, pur non esistendo (almeno, a mio parere) differenze reali in ordine al tipo di preparazione necessaria per lo svolgimento dell’attività, esistono però oggi (e si può prevedere che rimarranno) differenze consistenti in ordine alle prove di accesso, sia per quanto attiene alle discipline che sono oggetto di esame (e questo non mi pare molto ragionevole), sia per quanto attiene al livello di conoscenze che le rispettive prove prevedono, sia per quanto attiene alle modalità della prova di accesso.

Di fatto, se si guarda alle aspirazioni dei corsisti, emerge quasi ovunque che essi puntano, nella stragrande maggioranza, verso la magistratura. Il più modesto livello di preparazione e conoscenze che si ritiene (non del tutto a torto, se si guarda solo all’esperienza concreta dei nostri esami di abilitazione) sufficiente per l’accesso all’avvocatura induce molti di coloro che scelgono questa strada a ritenere non necessario un corso impegnativo di preparazione. Ciò ha portato molti a pensare alle SSPL come a “Scuole per magistratura”, e, conseguentemente, ha anche indotto parte dell’Avvocatura a dedicare ad esse scarsa attenzione, come se si trattasse, appunto, di strutture ad essa estranee.

Il punto merita però una riflessione, perché credo che la realtà sia ben diversa dall’apparenza. Da un lato, è sempre meno vero che l’accesso all’ avvocatura non richiede una scuola post-laurea; in questo senso, del resto, l’Avvocatura si è spesa molto, e meritoriamente. Dall’altro, e soprattutto, il fatto che i corsisti delle SSPL dichiarino in larga percentuale di puntare (e realmente puntino) verso magistratura non toglie tuttavia che, nella realtà, solo una frazione assai ridotta di essi riesca poi ad accedere davvero a magistratura. A fronte di alcune migliaia di persone che acquisiscono annualmente il diploma di SSPL[2], il canale di accesso a magistratura recluta, come è noto, poche centinaia di persone a ritmo meno che annuale[3]. In realtà quindi (ed anche tenendo conto del fatto che buona parte dei vincitori del concorso per magistratura non è passata attraverso la SSPL), circa l’80% dei diplomati SSPL (abbia o meno puntato verso magistratura) accede alla avvocatura.

Il che si presta ad una considerazione amara, perché non è mai bello non realizzare i propri sogni. Per altro verso, è sicuramente positivo che l’avvocatura riceva un numero non indifferente di persone che hanno frequentato un corso di preparazione di buon livello. Ma proprio per questo credo sia importante (per le SSPL, ancor prima che per l’Avvocatura) che l’Avvocatura dia più attenzione alle SSPL, come a strutture che la riguardano direttamente.

Gli sbocchi:
il Notariato

4. Il notariato appare oggettivamente più lontano dalle due professioni forensi, e non è facile pensare ad un percorso comune. Di fatto, gli aspiranti al notariato hanno costituito fin qui solo una percentuale minima dei corsisti delle SSPL, anche a motivo dell’esistenza di Scuole di Notariato, organizzate dagli stessi Consigli Notarili, che hanno acquisito nel tempo una loro tradizione ed una loro efficacia.

L’indicazione normativa, come è noto, è nel senso di un percorso diverso per il secondo anno (il d.m. n. 537/1999 infatti prevede, per il secondo anno, un indirizzo giudiziario-forense ed un indirizzo notarile); e forse potrebbe ragionevolmente pensarsi ad una parziale diversificazione dei corsi anche all’interno del primo anno. Nell’esperienza fin qui realizzata, il secondo anno delle SSPL per l’indirizzo notarile è stato quasi ovunque organizzato tramite convenzioni con le Scuole del Notariato, nella previsione di un’attività didattica (per questi corsisti) da svolgere in parte all’interno delle SSPL, in parte all’interno delle Scuole del Notariato. Il punto meriterebbe certamente uno studio a sé (magari a partire proprio dall’analisi di queste esperienze).

Attività didattica e pratica forense
5. Tra i dati di fondo della struttura attuale delle SSPL una prima serie di regole, tra loro collegate, cui dedicare attenzione, conta le regole della durata (annuale o biennale) del corso (questo problema, ovviamente, deve oggi essere pensato tenendo conto di una laurea quinquennale), delle dimensioni dell’attività didattica, e dei rapporti con la pratica forense.

Come è noto, il monte-ore di attività didattica è fissato oggi in almeno 500 ore per anno (art. 7, comma 5, d. m. 537/1999). Si tratta di una misura unanimemente giudicata eccessiva[4] (per nulla mitigata dalla previsione della sua distribuzione in attività “teoriche” e attività “pratiche”), se si considera che una annualità di un corso di laurea mediamente prevede tra 200 e 250 ore di attività didattica.

La normativa vigente non dice nulla in ordine al rapporto tra la SSPL e la pratica forense. Implicitamente, sembra tuttavia immaginare che i corsisti non abbiano da svolgere la pratica legale, ed infatti prevede che i due anni del corso di SSPL valgano “ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alle professioni di avvocato e notaio per il periodo di un anno” (regolamento 11 dicembre 2001). In questa prospettiva, la pratica sembra da effettuare dopo il conseguimento del diploma di SSPL, per un anno ulteriore rispetto ai due di Scuola.

A me pare che (se la pratica rimane in via generale biennale; ed a prescindere dalla opportunità di ripensare le modalità del suo svolgimento. Opportunità seriamente condivisa dall’avvocatura, anche se non mi pare siano ancora giunte a maturazione proposte serie per una sua rimodulazione) sia del tutto irragionevole la riduzione della pratica (per i corsisti delle SSPL) ad un solo anno. È bene che i corsisti delle SSPL facciano la pratica come coloro che accedono all’avvocatura per altri canali; e, proprio a rimarcare l’utilità della pratica, e la sua funzionalità rispetto alle professioni forensi, è bene che essa sia svolta in collegamento, e dunque in parallelo, rispetto alla scuola, e non in un periodo successivo.

A questo punto, mettendo assieme i problemi della durata, del monte ore e della pratica, sembra facile pensare ad una frequenza contemporanea alla pratica ed alla scuola, con una riduzione consistente dell’impegno didattico della SSPL (che si attesti sulla misura, più “umana”, di 250-300 ore per anno) e con il mantenimento della durata biennale.

Le materie oggetto di insegnamento
6. Una seconda serie di problemi attiene ai contenuti dei corsi delle SSPL, e cioè alla scelta delle materie ed alla distribuzione dell’impegno orario per ciascuna di esse. Il loro esame merita, credo, una breve premessa in ordine agli obiettivi didattici della SSPL.

Le SSPL sono state pensate dalla legge come strutture vocate sia a preparare i corsisti al superamento delle prove di accesso alle professioni legali, sia a prepararli ad uno svolgimento serio della propria attività all’interno di queste professioni.

Il primo è l’obiettivo fondamentale che ciascun corsista assegna alla Scuola, e sarebbe irrealistico non tenerlo in conto adeguato; il secondo è il dato trainante in una prospettiva di interesse generale, ed emerge con chiarezza dall’elenco delle materie oggetto di insegnamento, che oggi comprende (anche) discipline estranee alle prove di accesso alle professioni. Le SSPL hanno (giustamente, a mio modo di vedere) enfatizzato la propria specificità culturale rispetto alle (tante) scuole di accesso alle professioni (a magistratura in specie) che (almeno alcune) spesso si limitano a trasmettere agli iscritti (soltanto, o quasi) regole di esperienza su come trattare l’argomento oggetto delle prove scritte, o come, alla luce dei temi assegnati negli ultimi anni, “indovinare” il tema del concorso.

Credo che questa ambivalenza delle SSPL sia positiva, ma è sicuro che essa impone alle Scuole su molti punti delle scelte difficili, per la cui soluzione occorre grande equilibrio.

Il nodo fondamentale è quello della distribuzione del monte-ore globale dell’attività didattica alle singole materie. La maggior parte delle SSPL ha organizzato i corsi distribuendo le ore tra le materie in misura non egualitaria, ma “privilegiando”, se così si può dire, le materie per le quali è prevista una prova scritta all’interno dei concorsi per magistratura e notariato e dell’esame di avvocato. A diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo è stato fin qui generalmente dedicato un impegno orario particolarmente alto (anche 70-80 ore ciascuna per anno, tra didattica teorica e attività pratiche); un impegno più ridotto è stato generalmente previsto per procedura civile, procedura penale e diritto commerciale (tra 40 e 50 ore ciascuna per anno); alle altre discipline presenti negli elenchi di cui al d.m. n. 537/1999[5] è stato generalmente riservato un carico orario più circoscritto (da 15 a 4 ore ciascuna per anno). In questo senso, la distribuzione dell’impegno orario per le singole discipline ha trovato una sua base naturale non in una loro diversa importanza in astratto, ma nella loro diversa funzionalità rispetto all’obiettivo costituito dalle prove di accesso alle professioni ed alla preparazione del professionista.

Io credo che questa polarizzazione meriti di essere ulteriormente accentuata. In questo senso spinge una forte richiesta dei corsisti; all’interno dei consigli delle SSPL questa linea tende ad acquisire riconoscimenti, e buona parte dei Direttori di SSPL la ritiene importante. Molti direttori di SSPL hanno constatato personalmente, in questi anni, come l’interesse dei corsisti, mediamente abbastanza (o molto) alto per gli incontri dedicati alle materie fondamentali, crolli drammaticamente per gli incontri dedicati alle materie non rilevanti rispetto alle prove di accesso alle professioni.

Questa prima osservazione suggerisce di aumentare ancora il divario, quanto a distribuzione delle ore, tra le materie fondamentali e le altre; e poiché al di sotto di un certo impegno orario la presenza di qualunque materia appare poco fruttuosa, potrebbe ritenersi opportuno ridurne radicalmente il lotto.

Credo che si possa aggiungere, nello stesso senso, una ulteriore motivazione di particolare peso. Per alcune materie (ancora una volta: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo), i contenuti (tutti ugualmente necessari sia per lo svolgimento dell’attività, sia per il superamento delle prove di accesso) sono divenuti talmente ampi che lo scarto tra il loro complesso e quanto forma oggetto di trattazione effettiva nell’insegnamento dei corsi di laurea è impressionante (i corsi di laurea, infatti, nonostante l’introduzione del sistema dei crediti, non hanno differenziato in termini consistenti lo spazio temporale dei vari corsi). Per queste materie, quindi, esiste una precisa esigenza di acquisire spazi relativamente ampi nei corsi delle SSPL, proprio al fine di dare ingresso[6] ad ampi pezzi di contenuti che il corso di laurea è costretto a trascurare. Per altre materie (le due procedure e diritto commerciale) lo scarto è meno consistente, anche se notevole. Per altre ancora (penso a diritto del lavoro, diritto ecclesiastico), la trattazione che si svolge all’interno dei corsi di laurea copre percentuali ben più elevate, o a dirittura la quasi totalità dei contenuti complessivi, e quindi una trattazione diffusa anche all’interno delle SSPL non avrebbe una analoga giustificazione[7]. Infine, alcune materie (penso a fondamenti di diritto europeo, contabilità di stato, economia e contabilità industriale, e lo stesso diritto ecclesiastico) sono talmente marginali sia rispetto alle prove di accesso alle professioni, sia rispetto allo svolgimento effettivo dell’attività (non per ragioni di scarsa “importanza”, ma, semplicemente, di ridotta “funzionalità”), che potrebbero avere solo spazi minimi, quindi incapaci di condurre ad esiti di qualche interesse, talmente ridotti da rendere poco significativa la loro stessa presenza.

Questa idea potrebbe essere coniugata con l’autonomia delle singole SSPL, prevedendosi che una percentuale alta del monte-ore (ad esempio, il 75-80%) sia obbligatoriamente dedicata alle sei discipline di base; e che ciascun consiglio distribuisca le ore residue, nel range prefissato (25-20% di ore), tra le altre materie. Non credo sia necessario imporre alle SSPL di pescare queste discipline da un elenco vincolante; ed anzi, ove il legislatore non volesse rinunziare a fornirlo, riterrei saggio che esso sia aperto ad integrazioni che consentano alle singole SSPL di offrire insegnamenti su discipline che abbiano una loro specificità locale (ad esempio, a Genova potrebbe essere ragionevole insegnare diritto della navigazione; non altrettanto forse a Teramo, ove alcune lezioni di diritto agrario potrebbero essere più appropriate).

Metodi di insegnamento. Lezioni teoriche e pratiche.
Stages presso Uffici Giudiziari

7. Come il lettore avrà notato, parlare dei contenuti è difficile. Parlare dei metodi lo è ancora di più.

Le regole vigenti provano a dare delle indicazioni sul punto. Il comma 6 del d. m. 537/1999 così dispone: “l’attività didattica consiste in appositi moduli orari dedicati rispettivamente all’approfondimento teorico e giurisprudenziale e ad attività pratiche quali esercitazioni, discussione e simulazioni di casi, stages e tirocini, discussione pubblica di temi, atti giudiziari, atti notarili, sentenze e pareri redatti dagli allievi, ed implica l’adozione di ogni metodologia didattica che favorisca il coinvolgimento dello studente e che consenta di sviluppare concrete capacità di soluzione di specifici problemi giuridici”.

Di fatto, per ciascuna materia ogni SSPL ha previsto “lezioni” (la parola indica qui semplicemente un modulo orario) affidate a docenti universitari e “lezioni” affidate a docenti non universitari (magistrati, avvocati, notai). I primi hanno tendenzialmente condotto lezioni “teoriche”, cioè lezioni aventi ad oggetto un tema astratto, pur cercando di realizzare un livello di approfondimento ed un livello di attenzione al quadro giurisprudenziale maggiori di quelli normalmente propri delle lezioni dei corsi di laurea.

I docenti non universitari hanno tendenzialmente condotto lezioni “pratiche”, in cui la didattica generalmente procede dallo studio di un caso, o di una sentenza, o di un atto giudiziario. Io credo che la presenza di un numero significativo di ore di didattica frontale di tipo teorico sia essenziale; e ciò non solo perché la visione teorica e sistematica condiziona (nel bene e nel male) la capacità di trattare il caso, ma anche (se non soprattutto) perché le prove di accesso alle professioni sono ancora impostate su prove scritte di taglio essenzialmente teorico[8]. Non mi sembra facile specificare ulteriormente in astratto le caratteristiche che dovrebbe avere la didattica. La scelta dei vari temi dovrebbe essere fatta tenendo conto della loro rilevanza ai fini professionali. Il coinvolgimento dei corsisti può essere facilitato dalla distribuzione preventiva di materiali (sentenze, articoli, note, ecc.), ma è spesso disturbato dal numero dei corsisti, quanto meno laddove tutti i posti disponibili siano coperti (il numero massimo di corsisti per aula è cento: art. 6, d.m. 537/1999).

Una particolare attenzione hanno dato le migliori SSPL alla realizzazione di elaborati scritti. Questi sono stati tendenzialmente “assegnati” alle discipline per le quali le prove di accesso alle professioni prevedono una prova scritta, ed hanno avuto la forma di elaborati teorici, atti professionali, o pareri. Alcune SSPL ne hanno previsto lo svolgimento “a casa”, altre lo svolgimento in aula, in condizioni “controllate”, quindi con l’uso (soltanto) dei sussidi consentiti dalle discipline delle prove di accesso alle professioni (codici non commentati, come prevede l’accesso a magistratura; codici commentati solo con giurisprudenza, come prevede l’accesso alla avvocatura). Una buona soluzione è quella di procedere gradualmente dallo svolgimento a casa (con ogni tipo di sussidio) allo svolgimento in aula (senza sussidi). Il numero complessivo di questi elaborati non dovrebbe essere inferiore ad almeno dieci per anno.

Un momento importante (a prescindere poi dal fatto che delle valutazioni degli elaborati si faccia uso per la valutazione dei corsisti[9]) è quello della correzione degli elaborati. L’idea più efficace è quella di una correzione individuale, a seguito della quale ciascun corsista apprende la valutazione del suo elaborato, con i rilievi sul suo svolgimento, seguita da una correzione collettiva in aula, nel corso della quale il correttore espone quale avrebbe dovuto essere lo schema-tipo di svolgimento, quali contenuti avrebbero dovuto essere trattati e con quali proporzioni reciproche, quali sono stati gli “errori” più diffusi e quali ragioni inducono a ritenerli tali. Superfluo dire che la funzione di questo “correttori” è assai pregnante, e che essi devono essere scelti con particolare attenzione.

La seconda parte del comma 6 dell’art. 7 del d.m. 537/1999 prevede che le SSPL programmino, previa la stipula di appositi accordi, lo svolgimento di attività didattiche presso studi professionali, scuole del notariato, uffici giudiziari. La prima tra queste previsioni è forse la meno interessante, quanto meno se si procede nel senso di rendere obbligatoria la pratica forense per tutti gli iscritti alle SSPL, in parallelo ai corsi. La seconda ha trovato, come ho già detto, il suo terreno elettivo nella organizzazione del secondo anno di corso per l’indirizzo notarile; il che però la confina ad uno spazio piuttosto circoscritto.

La terza previsione, convenzioni con uffici giudiziari, è quella che ha dato vita, fin qui, alle esperienze più interessanti. Essa ha consentito la stipula di convenzioni tra ciascuna SSPL (o, meglio, le Università presso cui le SSPL sono incardinate) ed i capi degli uffici giudiziari di vertice del territorio che costituisce il bacino della stessa SSPL (di solito, la Corte d’Appello e la Procura Generale). Buona parte di queste convenzioni ricalca, per quanto ne so, il modello pensato, nel primo anno di esperienza delle SSPL, dalla Università Statale di Milano, il cui rettore era Enrico Decleva (direttore della SSPL era allora Francesco Denozza), dalla Corte d’Appello di Milano e dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Milano (allora rette, rispettivamente, da Giuseppe Griechi e da Francesco Saverio Borrelli). Esse prevedono che ciascun corsista frequenti per un certo periodo di tempo (il d.m. 537/1999 prevede almeno cinquanta ore. Nella prassi in molte SSPL questo tempo è stato anche più lungo. L’esperienza positiva maturata dai corsisti ed i riscontri favorevoli delle strutture ospitanti potrebbe indurre a portare questi stages ad almeno 150 ore per anno) un ufficio giudiziaio, affidato ad un magistrato, con un rapporto sostanzialmente assimilabile all’uditorato, pur con alcuni limiti. In generale, il corsista non è ammesso alla trattazione di affari che riguardino il diritto delle persone e della famiglia, e comunque, per gli uffici cui è ammesso, non partecipa alle camere di consiglio. Il primo limite è giustificato da esigenze di privacy, mi sembra ineliminabile, e comunque credo non incida particolarmente sull’esperienza dei corsisti; il secondo, invece, mi pare meno giustificato, e sarebbe bene che venga rimosso. Di fatto, questi stages presso gli uffici giudiziari risultano molto interessanti ai corsisti, e potrebbero anche dare un aiuto concreto ai magistrati[10]. Sarebbe senz’altro opportuno estenderli ai Tribunali amministrativi ed agli Uffici del Giudice di Pace, anche tenendo conto del fatto che già oggi gli iscritti al secondo anno delle SSPL possono svolgere le funzioni di Pubblico Ministero avanti il Giudice di Pace: il che li porta non solo a prestare collaborazione, ma anche ad iniziare ad assumere responsabilità.

Il Consiglio
Direttivo

8. Il governo delle SSPL è affidato ad un Consiglio Direttivo composto da dodici membri (art. 5, d.m. 537/1999), di cui sei professori universitari, due magistrati, due avvocati e due notai. Tutti sono designati dal Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza presso cui (o, meglio, della Università presso cui) è istituita la SSPL; i sei componenti non universitari vengono scelti all’interno di rose formulate dal Consiglio Superiore della Magistratura, dal Consiglio Nazionale Forense e dal Consiglio Nazionale del Notariato. Il direttore è eletto dal consiglio stesso tra i professori universitari.

Sia la composizione del Consiglio, sia le modalità della nomina sono oggetto di dibattito. Io credo, anche alla luce dell’esperienza di questi anni, che hanno visto le varie componenti dei consigli lavorare in modo generalmente affiatato, che potrebbe utilmente ridursi lo “squilibrio” attuale tra le varie componenti, o ampliando la componente non accademica (tre magistrati, tre avvocati, tre notai), ovvero riducendosi la componente accademica (quattro anziché sei). Forse la seconda soluzione sarebbe preferibile, in quanto eviterebbe il rischio di un consiglio troppo esteso, e quindi in qualche modo impacciato dallo stesso numero dei suoi membri.

La norma che riserva la direzione ad un universitario è stata ripetutamente contestata dai non universitari. Io credo che non valga la pena di fare del punto una questione di puro principio o una guerra di religione. Forse affidare la direzione ad un universitario in linea di massima dovrebbe garantire un miglior contatto della direzione stessa con gli uffici universitari che hanno la “gestione” amministrativa della SSPL (dalla gestione dei fondi al reperimento delle aule).

Il valore legale del diploma. SSPL e Scuole degli Ordini
9. Rimane da esaminare il problema del c.d. “valore legale” del diploma rilasciato dalle SSPL. In una prima fase questo valore è stato molto modesto. Il diploma è stato detto equivalente ad un anno di pratica rispetto all’accesso ad avvocatura e notariato, ed ha consentito l’accesso diretto alle prove scritte del concorso per magistratura con esonero dalla “prova preliminare”, e cioè dalla c.d. preselezione informatizzata[11].

La nuova disciplina del concorso per magistratura, introdotta con legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario) dà, invece, al diploma di SSPL, il valore di titolo di accesso al concorso, insieme con molti altri. Secondo queste nuove regole, la partecipazione al concorso per magistratura è riservata ai magistrati amministrativi e contabili, ai procuratori dello Stato, ai dipendenti dello Stato con qualifica dirigenziale, ai docenti universitari di ruolo di discipline giuridiche, ai dipendenti della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali con qualifica dirigenziale, agli avvocati, a coloro che hanno svolto funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni, a coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche, a coloro che hanno conseguito il diploma di SSPL ed a coloro che hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica. Questa strada segna un riconoscimento importante per le SSPL, che forse meriterebbe di essere ulteriormente rimarcato riducendo in qualche misura i canali di accesso al concorso (alcuni dei quali, a mio modo di vedere si giustificano assai poco).

È invece ancora irrisolto il nodo del valore legale del diploma di SSPL per l’accesso alle professioni di avvocato e notaio; nodo collegato al più generale tema della riforma delle professioni stesse. Senza qui ridiscutere, per ragioni di spazio, questi temi più generali, riterrei (e non credo di essere il solo) che un corso impegnativo come quello delle SSPL meriterebbe comunque un “peso” maggiore ai fini dell’accesso all’avvocatura, e potrebbe conseguirlo anche a prescindere dalla riforma dell’avvocatura. Corrispondentemente, proprio la valorizzazione delle strutture didattiche esistenti (SSPL e Scuole Forensi) potrebbe contribuire a risolvere, o quanto meno a gestire, il problema dell’esame di accesso all’avvocatura, che assume dimensioni sempre più allarmanti.

Si potrebbe pensare, per i diplomati delle SSPL, ad una prova semplificata (ad esempio, una sola prova scritta anziché le tre attualmente previste, ed un colloquio orale di ambito più circoscritto. Questa ipotesi è stata considerata negli incontri tenuti in questi anni tra Università, Magistratura, Avvocatura e Notariato, ed ha in generale incontrato scarso favore). Ovvero si potrebbe, con maggiore coraggio, prevedere (eventualmente previo ritocco delle regole di svolgimento dei corsi) che il diploma di SSPL sia esso stesso abilitante all’esercizio della professione.

Entrambe le proposte su indicate si intersecano con il problema del valore legale della frequenza alle Scuole create negli ultimi anni dagli Ordini Forensi, e/o con il problema del valore legale dei titoli rilasciati dalle stesse. Al fondo esiste, per la verità, un problema ulteriore, per certi versi più delicato, ed è quello della controllo della “serietà” del corso e dell’esame finale di diploma. E questo problema si pone per tutte le scuole (e cioè, sia per le SSPL, sia per le Scuole Forensi) e per tutti i diplomi.

Il problema della “parità di trattamento” tra le SSPL e le Scuole degli Ordini è molto semplice e molto delicato allo stesso tempo. Direi che questa parità non può non essere riconosciuta. Occorre però che si realizzi uno statuto (se non identico, quanto meno) equivalente per tutti i corsi.

La caratteristica più immediatamente evidente delle Scuole Forensi create dagli Ordini degli Avvocati è la loro notevole eterogeneità, non tanto nei metodi e nei contenuti (metodi e contenuti che il Consiglio Nazionale Forense, attraverso la sua Scuola superiore dell’avvocatura, sta meritoriamente puntando ad elevare ed omogeneizzare), quanto in una variabile di assoluto rilievo strategico: la quantità di ore di attività didattica (in questa formula comprendo tutte le attività in aula). Ed è difficile pensare che queste differenze possano essere colmate in tempi brevi, nonostante il lodevolissimo impegno profuso negli ultimi anni. Esse dipendono sopratutto dalle risorse umane che ciascun Consiglio può investire in queste attività, e queste risorse sono, in molti Ordini, troppo esigue perché si possa fare di più.

In effetti, solo gli Ordini di qualche dimensione sono in grado (e con qualche sforzo) di organizzare delle Scuole Forensi i cui corsi prevedano un impegno orario dell’ordine (non dico di 500 ore per anno, quale è la previsione attuale, ma anche solo) di 250-300 ore per anno (quale cioè è auspicabile sia domani, come si è visto nel § 6, l’impegno orario dei corsi delle SSPL). Semplicemente, gli Ordini piccoli, che poi sono tanti, non possiedono le risorse umane necessarie alla gestione di corsi della durata su indicata; non sono in grado di reclutare avvocati, magistrati, docenti universitari (adeguatamente preparati e) in numero sufficiente.

Le Scuole degli Ordini hanno svolto e svolgono una funzione preziosa, costruendo una rete capillare di servizio ai praticanti; meritano la massima attenzione, perché le esigenze di formazione sono enormi e diffuse, ed esiste una larga fascia di praticanti che, per le ragioni più diverse, trovano in queste Scuole l’unico canale formativo praticabile; ed è necessario studiare per esse una evoluzione ulteriore, che ne incrementi l’impegno, e consenta poi di prevedere anche per esse un percorso differenziato di accesso all’esame di abilitazione.

Una prospettiva facilmente immaginabile è quella che punti a realizzare (ovviamente, con la opportuna elasticità) una sorta di piano tipico per una Scuola Forense che svolga un percorso formativo valutabile come adeguato (per questa operazione, sarebbe utile tener presente non solo l’esperienza pregressa delle Scuole Forensi, ma anche l’esperienza e le proposte di riforma delle SSPL). Su questa base, si potrebbe poi procedere ad una valutazione delle Scuole Forensi esistenti, istituendo un sistema di accreditamento che attribuisca valore legale (solo) alla frequenza ed ai titoli delle Scuole che soddisfino i requisiti del modello precostituito. Questo sistema favorirebbe naturalmente (e comunque specifici incentivi in tal senso potrebbero essere pensati) una aggregazione di tipo consortile per le strutture che non raggiungano da sole la “consistenza” prevista per l’accreditamento stesso.

Direi, allora, che potrebbe avanzarsi la seguente ipotesi: un esame semplificato per l’accesso all’avvocatura per le Scuole (SSPL o Scuole Forensi) che realizzino un percorso formativo biennale con almeno 300 ore anno. E ciò a condizione che questo percorso formativo sia “omologato” ad un modello che potrebbe essere predisposto abbastanza rapidamente, se si conviene sul progetto, e che venga concluso con un esame finale che assicuri una preparazione adeguata. Una alternativa teorica che ho già segnalato, ma che forse sarebbe saggio riservare ad un momento successivo ad una fase di sperimentazione di queste scuole rimodellate, è quella della frequenza direttamente abilitante.

In questo contesto, sono comunque presenti altri punti scottanti. Direi che anche per le Scuole degli Ordini sarebbe assai opportuno (personalmente lo riterrei irrinunziabile) un meccanismo di accesso contingentato, che eviti l’inserimento nel circuito di chi, pur avendo conseguito la laurea in Giurisprudenza, non dispone delle competenze tecniche necessarie per avviare un percorso non semplice come quello che conduce all’Avvocatura. Inoltre, dovrebbe comunque pensarsi ad un sistema di monitoraggio che assicuri che ciascuna Scuola rispetti le regole strutturali. E, infine, occorre una disciplina seria e comune dell’esame finale.

L’esame finale
10. Chiudo con alcune osservazioni su quest’ultimo punto. L’esame finale (il discorso dovrebbe riguardare tutte le Scuole. Ma, ancor prima che si realizzi il percorso di omologazione tra SSPL e Scuole Forensi, che ho sopra auspicato, direi che dovrebbe comune valere per le SSPL) dovrebbe essere ripensato, e dovrebbe avere struttura identica per tutte le Scuole. La situazione attuale, che ha visto ciascuna SSPL gestirlo in assoluta autonomia, grazie alla vaghezza delle indicazioni normative, e talvolta in termini non particolarmente “seri”[12], poteva avere una sua giustificazione nella fase di avvio, ma non è seriamente sostenibile a regime, e, comunque, mi sembra incompatibile con un serio progetto di accrescimento del valore legale del diploma.

Credo che esso dovrebbe essere centrato sullo svolgimento di una prova scritta del tipo di quelle che oggi sono le prove di accesso alle professioni, lasciando a ciascun corsista la scelta tra tipo di atto (tema teorico, parere o atto professionale) e materia (almeno le tre fondamentali: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo). In questo modo ciascun corsista potrebbe scegliere all’interno di un ventaglio di opzioni abbastanza articolato. La prova dovrebbe essere svolta in aula, in condizioni controllate, su un arco di 6-8 ore, e dovrebbe essere identica su scala nazionale.

La commissione di esami dovrebbe essere esterna alle Scuole, e cioè esterna sia rispetto ai consigli direttivi, sia rispetto al corpo docente. Sarebbe opportuno che i criteri di composizione delle Commissioni siano identici, e potrebbe pensarsi che la designazione dei componenti possa essere in parte “esternalizzata” rispetto alle SSPL, prevedendosi, ad esempio, che uno o più componenti siano designati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e/o dal Consiglio Notarile e/o dal vertice dell’Ufficio Giudiziario locale.

I rapporti tra le SSPL e Magistratura, Avvocatura,
Notariato

11. Le ultime riflessioni procedono da questo punto, e riguardano proprio i “rapporti” tra le SSPL e le istituzioni ad essa interessate.

L’Università italiana era ben poco preparata ad accogliere una struttura di questo tipo. Per quanto negli ultimi anni si sia molto parlato dell’attribuzione, all’Università, del compito della formazione (anche) post laurea, non esisteva (salvo per la Facoltà di Medicina) alcuna tradizione in questo senso; e questo è sicuramente vero, in generale, per le Facoltà di Giurisprudenza.

Le Facoltà di Giurisprudenza hanno accolto la creazione delle Scuole con reazioni miste. Credo che in generale esse abbiano sinceramente mostrato di apprezzare l’importanza del nuovo ruolo loro affidato; molte tuttavia si sono trovate (anche grazie alle moltiplicazioni piuttosto dissennate di facoltà, sedi decentrate, corsi di laurea e altro, realizzate negli ultimi anni) nell’oggettiva difficoltà di gestirlo al meglio, essendo le loro risorse umane a volte appena capaci (o a dirittura già incapaci) di gestire i compiti originari dell’insegnamento nei corsi di laurea. Inoltre, i più interessati alla nuova struttura si sono trovati ad essere, naturalmente e pur con alcune importanti eccezioni, i docenti a tempo definito, che sono però ai margini della gestione delle facoltà[13]. Ciò ha comportato alcuni inconvenienti.

Il problema fondamentale emerso in questi anni è quello delle risorse umane[14]. Il reperimento di docenti universitari è stato possibile, quasi ovunque, solo a costo di una forte parcellizzazione dei moduli di insegnamento, dal momento che tutti i docenti universitari sono altamente oberati da compiti didattici all’interno dei corsi di laurea. Almeno per la materie fondamentali le SSPL avrebbero bisogno di docenti dedicati esclusivamente ad esse; se si crede alle Scuole, se davvero si vuole che queste strutture funzionino, è indispensabile che ciascuna di esse abbia almeno sei docenti dedicati interamente ad esse.

Più agevole, in generale, è stato il reclutamento di docenti non universitari per lo svolgimento delle attività pratiche; anche qui, tuttavia, si è avuta una notevole parcellizzazione della docenza (perché non è facile ottenere da magistrati o professionisti, soprattutto dai migliori, un impegno orario consistente).

La Magistratura in un primo tempo è parsa molto prudente, forse anche perché si è spesso pensato alla creazione di una scuola per magistrati interamente gestita all’interno dell’ordinamento giudiziario. Successivamente ha mostrato grande attenzione, sia perché convinta, probabilmente, della propria inadeguatezza a gestire da sola su scala nazionale il percorso di accesso alla magistratura (pur conservando, ovviamente, interesse alla piena autogestione della preparazione post-concorso dei nuovi magistrati), sia perché tranquillizzata dall’esigenza dei primi anni in ordine alla possibilità di svolgere nelle Scuole un ruolo attivo e rispettato. Oggi sicuramente la Magistratura (lo ha a più riprese mostrato il Consiglio Superiore della Magistratura) si presenta come fortemente interessata al destino delle SSPL, e partecipa con convinzione alla loro attività.

Il Notariato si è tenuto in una posizione relativamente defilata, consapevole della esistenza di una serie di scuole professionali autogestite (le Scuole del Notariato), spesso di ottimo livello e di grande tradizione, verso le quali continua ad orientarsi la maggior parte dei laureati che punta al notariato; consapevole, anche, di poter svolgere un ruolo di primo piano nella progettazione e nella gestione dei percorsi speciali di secondo anno riservati ai corsisti orientati verso il notariato (percorsi che, come ho detto, in molti sedi sono stati predisposti tramite convenzioni con le Scuole di Notariato locali).

L’Avvocatura ha espresso, nelle sue varie componenti, posizioni molto varie, e che sono anche spesso mutate.

Gli avvocati presenti nei consigli direttivi delle Scuole si sono generalmente orientati in termini fortemente e lodevolmente positivi.

I Consigli dei Ordini locali si sono comportati in modo assai diverso tra loro. Alcuni hanno appoggiato le SSPL con grande convinzione, anche offrendo, ad esempio, borse di studio per la frequenza ai corsi; alcuni le hanno ignorate; pochi altri hanno a volte manifestato qualche forma larvata di ostilità (ad esempio, fornendo interpretazioni ingiustificatamente riduttive della norma che equipara il biennio di SSPL ad un anno di pratica).

Ritengo essenziale che il rapporto tra le SSPL e l’Avvocatura diventi più stretto, perché un buon esito delle SSPL senza la partecipazione attiva dell’Avvocatura alla gestione delle SSPL ed alla docenza che in esse realizza è semplicemente impensabile. In questo senso, l’Avvocatura è necessaria al buon esito delle SSPL, ma, per altro verso, sicuramente l’Avvocatura potrebbe, dalla presenza di Scuole efficienti, trarre qualche vantaggio.

sintesi conclusiva

Le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali (SSPL) operano dal 2000 e sono oggi 39. Nell’esperienza fin qui realizzata la maggioranza dei corsisti che ha acquisito il diploma finale si è indirizzata verso l’Avvocatura, una percentuale ridotta (probabilmente tra il 10% ed il 20%) ha avuto accesso alla Magistratura ordinaria, pochissimi sono coloro che si sono orientati verso il Notariato. Sarebbe tempo di promuovere una verifica della struttura normative delle SSPL, anche al fine di proporre le modifiche che possono sembrare opportune.

Un primo problema è quello del tipo di attività didattica. Sarebbe opportuno ridurre le ore dedicata a didattica frontale (oggi almeno 500 per anno), ed aumentare le ore dedicate ad attività di stages di carattere pratico. Il lotto delle discipline dovrebbe essere rivisto, accentuando il peso delle materie fondamentali dal punto di vista delle prove di accesso alle professioni legali. Il valore legale del titolo dovrebbe essere arricchito, consentendo ai diplomati delle SSPL un accesso all’Avvocatura attraverso un esame ridotto. Questo, ovviamente, presuppone una disciplina unitaria a livello nazionale dell’esame finale dei corsi delle SSPL.




[1] Nell’estate 2005 il Ministero, tenendo conto della previsione del D.lgs. 398/1997, aveva predisposto una bozza di bando di concorso per l’accesso alle SSPL con la previsione della durata annuale. La Conferenza dei Direttori fece notare che la domanda di ammissione sarebbe stata presentata anche (ed anzi, in assoluta maggioranza. E così poi è stato) da laureati quadriennali; che quindi si sarebbero dovuti prevedere due corsi distinti, uno biennale per i vecchi laureati quadriennali, ed uno annuale per i laureati in possesso della laurea specialistica; e che le SSPL non avevano risorse (umane – docenti – materiali – aule – e finanziarie) sufficienti a gestire contemporaneamente i due corsi. Una ipotesi teorica, la cui praticabilità avrebbe avuto bisogno di una verifica attenta (che però non è stata fatta), poteva forse essere quella di un corso biennale, progettato in modo da consentire che i laureati quinquennali potessero frequentare una sola annualità (la prima, o la seconda, ovvero ancora parte della prima e parte della seconda). Di fatto poi sia nell’anno 2005-2006, sia nell’anno 2006-2007 il Ministero ha bandito solo corsi a durata biennale; la maggior parte degli iscritti, dovunque, è stata ancora formata da laureati quadriennali, ed i pochi laureati quinquennali ad essi iscritti hanno frequentato gli stessi corsi (biennali) dei laureati quadriennali.

[2] Per l’anno accademico 2006-2007 sono stati banditi, per tutte le SSPL, 5.030 posti. Non tutti sono stati coperti, ma la percentuale di posti non coperti dovrebbe essere contenuta (alcuni riscontri personali mi fanno pensare che debba essere intorno al 30% su scala nazionale). Sicuramente molto bassa è la percentuale di abbandoni da parte di iscritti. Si può quindi immaginare che, alla scadenza del biennio, i diplomi di SSPL rilasciati a questa classe dovrebbero essere un pò più di 3.000.

[3] Negli anni da 2000 a 2005 sono stati banditi tre concorsi per magistratura, per complessivi 1.447 posti. Più esattamente: 360 posti con d.m. 17 ottobre 2000; 350 posti con d.m. 12 marzo 2002; 7 posti (riservati alle Province Autonome di Trento e Bolzano) con d.m. 28 dicembre 2002; 380 posti con d.m. 28 febbraio 2004; e 350 posti con d.m. 23 marzo 2004 (gli ultimi due concorsi sono ancora in corso di espletamento). Immaginando che tutti i concorsi coprano tutti i posti banditi, ed inoltre utilizzino la possibilità di dichiarare idonei candidati in esubero del 10% rispetto ai posti banditi, si arriverebbe a 1.592 posti in cinque anni, cioè, mediamente, a 319 per anno.

[4] Rimangono affatto oscure le ragioni che hanno a suo tempo indotto i redattori del d.m. 537/1999 a prevedere un impegno orario talmente assurdo. Assurdo perché sostanzialmente incompatibile non solo con la pratica forense (che del resto essi probabilmente pensavano non dovesse essere svolta in parallelo ai corsi) ma anche con un serio studio individuale, che non può non essere l’impegno principale dei corsisti.

[5] Oltre la materie già menzionate nel testo, il d.m. 537/1999 prevede, per il primo anno, Fondamenti di diritto europeo, Diritto dell’Unione Europea, Diritto del lavoro e della previdenza sociale, nonché elementi di Informatica giuridica, di Contabilità di Stato e degli enti pubblici, di Economia e contabilità industriale.

Per il secondo anno dell’indirizzo giudiziario-forense le materie sono quelle oggetto di prove concorsuali per magistratura e di esame di accesso all’avvocatura, le materie del primo anno, nonché Diritto ecclesiastico, Deontologia giudiziaria e forense, Ordinamento giudiziario e forense, Tecnica della comunicazione e della argomentazione.

Per il secondo anno dell’indirizzo notarile le materie sono: Diritto delle persone, Diritto di famiglia, Diritto delle successioni, Diritto della proprietà e dei diritti reali, Diritto della pubblicità immobiliare, Diritto delle obbligazioni e dei contratti, Diritto dei titoli di credito, Diritto delle imprese e delle società, Volontaria giurisdizione, Diritto urbanistico e dell’edilizia residenziale pubblica, Diritto tributario, Legislazione e deontologia notarile.

[6] E questo a prescindere dalle differenze tra metodo e di didattica del corso di laurea e metodo e didattica della SSPL.

[7] Va da sé che quanto si dice nel testo potrebbe essere radicalmente mutato se si modificasse in maniera significativa lo spazio dato alle singole discipline all’interno dei corsi di laurea. Se per diritto privato-diritto civile si prevedesse (come accade in altri paesi, e come sarebbe senz’altro opportuno) uno spazio doppio o triplo rispetto a quello che si dedica ad altre discipline (che mi permetterei di definire) minori, l’esigenza di “recupero” nello studio post-laurea sarebbe adeguatamente ridotta. Mi pare però che sia abbastanza utopico pensare a passi seri in questa direzione, e quindi non rimane che curare questa diversa distribuzione di pesi nella fase post-laurea.

[8] Questa motivazione potrebbe anche portare ad un assetto secondo il quale le lezioni “teoriche” siano limitate alle materie per le quali la disciplina di accesso alle professioni prevede una prova scritta. Per tutte le altre materie, potrebbe pensarsi anche solo a lezioni “pratiche”, con approccio casistico e non sistematico.

[9] Il d.m. 537/1999 prevede (art. 7, comma 3) che ogni SSPL debba svolgere delle “verifiche intermedie” funzionali al passaggio dal primo al secondo anno. Non sembrano previste valutazioni intermedie nel corso del secondo anno, a chiusura del quale si prevede un “esame finale” (art. 8). Nella esperienza pratica sembra vi siano state differenze anche notevoli tra le varie SSPL in ordine alle modalità del passaggio dal primo al secondo anno, ed anche in ordine alle verifiche intermedie di primo anno, nonché in ordine alla prova finale. Non vorrei qui esaminare in dettaglio tutti questi problemi; dell’esame finale tuttavia dirò qualcosa più avanti, nel § 9.

[10] Si può anche pensare che questi stages, se svolti con serietà e per una durata non brevissima, potrebbero recare (oltre che una occasione di esperienza ai corsisti) significativa utilità ai magistrati affidatari. Questa potrebbe essere la via per provare a sviluppare, con gradualismo ed attenzione, una prassi analoga a quella, nota ed importante, della assistenza di studenti ai giudici come clercks nel sistema statunitense.

[11] L’esonero dalla “prova preliminare” (disposta, peraltro, da una norma transitoria, in attesa della riforma dell’accesso a magistratura da effettuare con la riforma dell’ordinamento giudiziario) era attribuito dall’art. 123 bis del r.d. 30 gennaio 1942, n. 12 (Ordinamento giudiziario), introdotto con d. lgs. 17 novembre 1997, n. 398, poi più volte modificato, “integrato” da decisioni del giudice amministrativo, abrogato e riproposto. Il d.m. 23 marzo 2004, che bandisce l’ultimo concorso per magistratura, in applicazione di tale norma, prevede le seguenti categorie di esonerati dalla prova preliminare: a) i magistrati militari, amministrativi e contabili, b) i procuratori e gli avvocati dello Stato, c) gli idonei in uno degli ultimi tre concorsi per magistratura, d) i diplomati delle SSPL. La successiva legge 5 novembre 2004, n. 262 (convertendo il decreto-legge 7 settembre 2004, n. 234) aggiunge a) coloro che sono in possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’avvocatura, b) coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno quattro anni, c) coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca in discipline giuridiche, e c bis) coloro che hanno conseguito un diploma di specializzazione in una disciplina giuridica con un corso di durata almeno biennale (si tratta, ovviamente, di scuole di specializzazione diverse dalla SSPL).

Queste norme (che concedevano l’esonero a figure tra loro assai eterogenee, alcune delle quali di esso probabilmente immeritevoli) hanno consentito un esonero assai ampio dalla prova preliminare. Per il concorso bandito con il d.m. 28 febbraio 2004, circa 14.000 candidati sono risultati esonerati dalla prova preliminare, e solo 6.765 candidati l’hanno invece sostenuta. Questo il commento del Presidente della Commissione esaminatrice, C. M. GRILLO (nella sua relazione, in Foro it., 2007, V, 100-101): “deve pertanto rilevarsi che il filtro della prova preselettiva, finalizzato a ridurre notevolmente il numero dei partecipanti per rendere gestibile il concorso per esami, non ha raggiunto il suo scopo”.

[12] L’art. 8 del d.m. 537/1999 prevede una prova finale “consistente in una dissertazione scritta su argomenti interdisciplinari”. Questa previsione presenta un condivisibile invito alla interdisciplinarietà della prova, ma sceglie una forma (la dissertazione scritta) che si presta ad utilizzazioni opportunistiche. Alcune SSPL hanno strutturato l’esame finale in forma di tesina scritta da preparare in un arco di tempo circoscritto (15-30 giorni) su un tema concordato tra il corsista e la SSPL (il consiglio o il direttore); forma che non appare particolarmente funzionale (né le prove di accesso alle professioni né poi l’attività professionale prevedono lo svolgimento di questo genere di operazioni), e che (anche quando poi si prevede la discussione della tesina davanti ad una qualche commissione di esame) si presta a facili abusi (copiature, redazioni da parte di terzi, ecc.).

[13] In alcune Università si è a dirittura dubitato, in presenza di regole che riservano le cariche accademiche, compresa la direzione di scuole di specializzazione, a docenti a tempo pieno, che la direzione della SSPL potesse essere tenuta da un professore universitario a tempo definito. Laddove è evidente che, se mai, dovrebbe pensarsi, al contrario, che la direzione della SSPL “debba” essere affidata ad un docente universitario che svolga anche attività professionale. Il problema, comunque, dovrebbe essere ora evitato dall’entrata in vigore della legge 4 novembre 2005, n. 230, la quale ha soppresso, a fini giuridici, la distinzione tra tempo pieno e tempo definito (seppure solo per coloro che entrano in ruolo dopo l’entrata in vigore della legge, e, quanto ai docenti già in ruolo, solo per coloro che esprimano una specifica opzione). Per il comma 16 dell’art. 1, infatti, “resta fermo … il trattamento economico dei professori universitari articolato secondo il regime prescelto a tempo pieno overo a tempo definito”; ma non “resta fermo” il diverso trattamento giuridico collegato, dal d.p.r. n. 382/1980, alla distinzione tra tempo pieno e tempo definito.

[14] Un punto assai importante, cui non posso qui dedicare adeguata attenzione, è quello delle risorse finanziarie attribuite alla SSPL. Il budget di ciascuna SSPL ha potuto contare, oltre che sulle c.d. tasse versate dai corsisti, su modesti contributi ministeriali. Il Ministero dell’Università ha attribuito annualmente a ciascuna SSPL un contributo (detto consolidabile) pari ad euro 78.251,00; ha anche attribuito, ma non con cadenza regolare, un contributo ulteriore (detto non consolidabile) di importo non costante, e che (tenendo conto degli ultimi cinque anni) risulta essere circa la metà di quello consolidabile. Tanto è generalmente bastato a coprire i costi della docenza (organizzati mediante la previsione di un compenso orario, in molte Scuole previsto tra 150 e 300 euro/ora), i costi della correzione degli elaborati (che, come si è visto, rappresenta una attività fondamentale), i costi di tutorato (ove presenti) ed un minimo di costi di segreteria. Ciò ha consentito alle SSPL di operare, fidando sul fatto che i locali ed i servizi connessi (pulizia, vigilanza, utenze) venissero messi gratuitamente a disposizione dalla Università. Per le SSPL per le quali questa ultima condizione non si realizza, e/o il numero di iscritti è troppo ridotto, e quindi il gettito delle tasse è basso, la sopravvivenza finanziaria è in dubbio. Per tutte, è comunque impensabile, finché le basi finanziarie restano quelle su indicate, una operazione che ritengo essenziale, e cioè la realizzazione di un corpo di docenti universitari dedicati esclusivamente all’insegnamento nelle SSPL.

da "Rivista & Formazione" - Rivista del Consiglio Nazionale Forense.

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