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Chiesa e ICI: Questione Morale

Ultimo Aggiornamento: 17/12/2011 18:22
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08/12/2011 13:44
 
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“Chiesa e Ici, una Questione Morale”

di Barbara Spinelli

È scandaloso che la Chiesa italiana chieda più equità nella manovra,
e non sia sfiorata dal dubbio che anche Lei debba contribuire ai sacrifici chiesti agli italiani,
pagando come ciascuno l’Ici sugli immobili.
Non dovrebbe neppure aspettare che il Governo discuta la questione.

Dovrebbe anticipare le mosse dell’esecutivo ed esigere – qui, subito – di essere tassata come lo sono tutti,
di contribuire al risanamento italiano con una parte delle proprie ricchezze.
Se non lo fa
, non potrà esser chiamata Chiesa della povertà, Chiesa che assiste gli ultimi, i derelitti.
Confermerà di essere una lobby come le altre, e anzi più potente delle altre: perché più ascoltata, perché – anche quando tace, proprio perché tace – più rumorosa.

Da quando la crisi si è acuita, molti personaggi facoltosi – in Italia, Usa, Francia – hanno chiesto di essere tassati di più, ritenendo di godere di privilegi non meritati e di dover alleviare le sofferenze dei concittadini. Non si sono sentite richieste simili dalle massime autorità ecclesiastiche, che di privilegi ne hanno molti e che in Italia influiscono sulle scelte politiche dei governi con un’insistenza e un’efficacia del tutto inusuali in altri paesi d’occidente. Così facendo, la Chiesa italiana conferma ancora una volta che il Samaritano straniero ha più compassione dei sacerdoti e leviti, che passano accanto al perseguitato e al ferito cambiando marciapiede.

Quanto al governo Monti, una cosa è chiara: tra le prove che aveva di fronte a sé ce n’era una essenziale, ed era quella della Laicità. L’ha mancata, esonerando la Chiesa da una tassazione che è giusta solo se coinvolge in prima linea i più ricchi, più potenti e più organizzati.
Anche pagare le tasse su immobili che la Chiesa usa a fini commerciali è una questione morale.
È un brutto inizio, dal quale ci si possono attendere i peggiori compromessi su altri temi etici – testamento biologico in primis – che solo per una minoranza di italiani prefigurano valori non negoziabili.

Fonte (8 dicembre 2011)

Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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08/12/2011 13:48
 
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La questione spiegata in termini tecnico-giuridici
Categorized | Diritto e Giustizia
Vaticano e ICI, un compromesso è possibile
26 agosto 2011.



- Ha suscitato una vasta eco, sia in ambito politico che nell’opinione pubblica, la proposta del segretario dei Radicali italiani Mario Staderini di “tagliare i privilegi del Vaticano, a cominciare dall’8 per Mille e dalle esenzioni su ICI, IVA, IRAP e IRES”: secondo Staderini, “eliminando l’8 per mille e le esenzioni fiscali, il bilancio dello Stato potrebbe contare su 3 miliardi di euro in più all’anno”, e ciò consentirebbe di alleggerire il carico della manovra finanziaria sulle famiglie. La proposta di Staderini è stata successivamente ripresa dal Movimento Cinquestelle, dal Democratico Giuseppe Civati ed ha ricevuto il sostegno di numerosi gruppi spontanei sui social network.

In questo articolo non si desidera fornire un giudizio di merito sull’opportunità politica e sulle conseguenze sociali che la concretizzazione di tale proposta potrebbe produrre: si vuole piuttosto che essa venga contestualizzata all’interno del quadro giuridico vigente. Inoltre, il limitato spazio a disposizione consente di affrontare – in questa sede – esclusivamente la questione delle esenzioni ICI delle quali godono alcuni beni immobili di proprietà ecclesiastica (si tornerà in seguito sulle problematiche dell’otto per mille e dei benefici relativi all’IRES).Occorre principiare rilevando che i fabbricati di proprietà della Santa Sede elencati negli articoli da 13 a 16 del Trattato dell’11 febbraio 1929 (cd. “Trattato del Laterano” ratificato con legge 27 maggio 1929, n. 810 e modificato in parte dall’Accordo di Villa Madama del 1984) sono – per volontà delle Alte Parti contraenti – esenti da qualunque tributo, sia ordinario che straordinario, tanto verso lo Stato quanto verso altro ente: ciò in forza di quanto disposto dallo stesso art. 16 del Trattato del Laterano.
Quest’ultima norma – secondo la Corte costituzionale – è garantita dall’art. 7 cpv. della Costituzione, e non è perciò modificabile unilateralmente dal Parlamento se non con la procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost.

Va peraltro evidenziato che, essendo il Trattato del Laterano un vero e proprio accordo internazionale, esso dovrebbe essere garantito anche dall’art. 10 Cost., per cui – in forza del principio pacta sunt servanda – l’esenzione prevista dal suddetto art. 16 potrebbe essere cancellata unilateralmente solo nei casi espressamente previsti dalla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969. Nulla invece osta ad una modifica bilateralmente convenuta.

L’esenzione relativa ai fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e alle loro pertinenze è stabilita dall’art. 7 numero 1 lettera d) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. La norma non esenta dall’imposta solo i luoghi di culto di proprietà di enti ecclesiastici cattolici, ma tutti i fabbricati destinati allo svolgimento di pratiche cultuali purchè non si tratti di riti contrari al buon costume e tale destinazione abbia carattere esclusivo (va rammentato che l’articolo 2 della legge 1° agosto 2003 n. 206, ha equiparato – ai fini tributari – gli oratori ai luoghi di culto). Ci si può chiedere se il richiamo all’art. 8 Cost. cui fa cenno l’articolo 7 sopra citato, abbia l’effetto di escludere dall’esenzione i luoghi di culto di confessioni che abbiano statuti contrastanti con l’ordinamento giuridico italiano: rientrano peraltro certamente nell’esenzione suddetta tutti i luoghi di culto degli enti riconosciuti ai sensi della legge n. 1159 del 24 giugno 1929.

L’art. 7 numero 1 lettera d) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 è – a differenza dell’art. 16 del Trattato del Laterano - una norma unilaterale liberamente modificabile dal legislatore statale senza alcuna necessità di procedure aggravate. La sua ratio è evidentemente quella di sostenere la libertà religiosa di singoli e gruppi organizzati predisponendo un regime tributario che consenta ai fedeli di esercitare liberamente il proprio culto senza oneri fiscali nei confronti del comune in cui sorge il luogo ad esso deputato.

Qualora però il legislatore intenda modificare in pejus il regime tributario dei luoghi indicati nell’ articolo, egli è comunque tenuto a rispettare l’art. 20 Cost., il quale esclude che possano essere previsti dall’ordinamento giuridico tributi speciali che gravino esclusivamente sui beni degli enti con finalità di religione o di culto: da ciò deriva – quantomeno a nostro avviso – che il Parlamento è libero di assoggettare all’ICI i fabbricati destinati all’esercizio del culto, ma non può poi esonerare da tale tributo edifici adibiti allo svolgimento delle attività non commerciali di gruppi sociali di carattere non confessionale. Viceversa, gli enti aventi fine di religione o di culto si troverebbero ad avere un regime giuridico deteriore rispetto a quello previsto per altri corpi morali, giacché i luoghi ove essi si trovano a svolgere una delle loro attività principali (quella del culto) sarebbero gravati da oneri fiscali non previsti per i fabbricati destinati ad accogliere le attività di enti non confessionali.

Un discorso analogo vale per gli immobili degli enti ecclesiastici (legati – beninteso – non solo alla Chiesa cattolica ma a qualunque confessione religiosa) destinati allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, nonché inerenti all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana. Tali immobili sono esenti dall’ICI in forza dell’art. 7, numero 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, purché – in virtù dell’art 39 del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale ha sostituito l’art. 7, comma 2-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 – le attività ivi elencate “non abbiano esclusivamente natura commerciale”.Sia l’art. 7, numero 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 sia l’art 39 del decreto-legge n. 223 del 2006 sono norme unilaterali liberamente modificabili dal legislatore. Va peraltro osservato che il suddetto art. 7 numero 1, lettera i) non si applica esclusivamente ai fabbricati di proprietà degli enti ecclesiastici, ma a tutti gli edifici utilizzati da enti pubblici e privati, diversi dalle società e residenti nel territorio dello Stato, quando in essi vengano svolte le attività sopra descritte. I corpi morali che beneficiano della norma non sono pertanto solo enti ecclesiastici, anche perché l’esenzione non dipende dalla natura giuridica del proprietario dell’immobile, ma da quella del soggetto che lo utilizza e dall’attività effettivamente svolta. La sua ratio è evidentemente quella di sostenere l’esercizio di attività altruistiche ritenute di particolare importanza per la società civile.

Anche in questo caso, a nostro avviso, qualunque disposizione che intenda modificare in pejus lo status giuridico dei luoghi elencati dall’art. 7, numero 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 non può essere discriminatoria nei confronti degli enti aventi fine di religione o di culto, i quali – a norma dell’art. 20 Cost. – dovranno godere del medesimo regime tributario previsto per tutti gli enti non confessionali che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. Ciò implica che – qualora il Parlamento decida di eliminare l’esenzione ICI per gli immobili in cui un ente con finalità di religione o di culto svolga una delle attività previste dalla norma – dovrà fare altrettanto con riguardo agli immobili nei quali la medesima attività sia svolta da un ente non confessionale. Molte ONLUS, sindacati, patronati ed associazioni culturali potrebbero così essere “travolte” dalla fine dei benefici tributari previsti dalla disposizione in esame.

In ogni caso, paiono due i punti più problematici del sistema appena profilato sui quali potrebbe porsi l’attenzione del legislatore.
a) Come si accennava l’art. 7 numero 1 lettera d) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 dichiara esenti dall’ICI le pertinenze dei luoghi di culto. A tal proposito va ricordato che la determinazione del concetto di “pertinenza” è piuttosto incerta: potrebbero rientrare in tale categoria anche l’abitazione del parroco e – addirittura – il cinema parrocchiale quando non svolga attività commerciale. Forse si potrebbe – ai fini dell’esenzione ICI – chiarire e limitare il concetto di “pertinenza di luoghi di culto” per evitare abusi e situazioni ambigue.
b) Ugualmente – al fine di evitare abusi e situazioni ambigue – si potrebbe definire cosa si intenda, all’interno dell’art 39 del decreto-legge n. 223 del 2006, con l’espressione “attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale”. L’eliminazione dell’avverbio “esclusivamente” potrebbe risolvere ogni dubbio ermeneutico purché – come detto in precedenza – la modifica non sia discriminatoria o punitiva nei confronti dei soli enti aventi finalità di religione o di culto.Occorre peraltro evidenziare che alcuni di questi esercitano talora un’attività collaterale di carattere commerciale – avente una limitatissima rilevanza economica – in locali che non sono accatastati separatamente rispetto a quelli destinati ad accogliere le proprie ordinarie e prevalenti occupazioni di carattere non commerciale (ovvero relative all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana). Il tipico esempio può essere rappresentato dal convento in cui una cella o un ambulacro sia dedicato alla vendita di prodotti realizzati dai religiosi per finalità di autosostentamento: in tal caso dovremmo avere, ai fini fiscali, un’attività commerciale (giacchè in tale concetto rientrano le attività dirette alla produzione di beni o di servizi, anche se svolte in via non esclusiva e anche se non organizzate in forma di impresa, ex art. 55 TUIR e art. 4 DPR 633/72) del tutto secondaria rispetto a quella principale svolta dai religiosi residenti.Nella fattispecie appena descritta può apparire eccessivo sottoporre tutto l’edificio al pagamento dell’ICI, giacchè solo una minima parte di esso è dedicato ad attività di carattere commerciale: in questo caso, come arrivare ad un compromesso? Una buona soluzione può essere sostituire – all’interno dell’art 39 del decreto-legge n. 223 del 2006 – l’espressione “attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale” con l’espressione “attività che abbiano natura commerciale secondaria e comunque che non producano un fatturato superiore ai 1000 euro annui”.



Fonte: Libertiamo

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08/12/2011 21:33
 
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LA POSIZIONE DEL GOVERNO
Il ministro Riccardi: «La Chiesa paghi l'Imu».
Il responsabile per la Cooperazione a Lucia Annunziata:
«Si valuti caso per caso e si intervenga»


MILANO - La Chiesa deve pagare l'Imu in caso di attività commerciali. È la posizione espressa dal ministro per la Cooperazione e l'integrazione, Andrea Riccardi. «Credo - ha detto intervistato da Lucia Annunziata su Raitre - che le attività di culto, culturali della Chiesa siano una ricchezza per il Paese e quindi l'Ici-l'Imu non va pagata. Per quelle che possono essere le attività commerciali gestite dalla Chiesa, dai religiosi, dalle associazioni cattoliche vigilino i Comuni o chi è preposto a questo per vedere se l'imposta viene pagata e intervenga. Inutile fare una grande battaglia. Si tirino fuori i casi, si valuti caso per caso e si intervenga: se c'è stata mala fede - ha concluso Riccardi - si prendano le misure necessarie». (Fonte: Ansa)


Fonte: Corriere della Sera 8 dicembre 2011 | 21:08
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10/12/2011 19:33
 
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Svelati i finti «luoghi di culto»
È della Chiesa il 20% del patrimonio immobiliare italiano

L'INCHIESTA - l'anomalia dei beni di proprietà della chiesa sfruttati a fini commerciali e tuttavia esentati dall'Ici: il consigliere comunale di Milano, Marco Cappato, ha presentato un'interrogazione per conoscere quali sono i beni della Chiesa, i controlli fiscali eseguiti e con quale risultato: «Non ho ancora ricevuto risposta - spiega - nell'attesa ho chiesto conferma del trattamento riservato ad alcuni beni ecclesiastici chiedendo se fossero esentati. Ed ottenuta risposta positiva, abbiamo provveduto noi a fare una piccola verifica». Il segretario dei Radicali Mario Staderini si è presentato in alcuni studentati e convitti ecclesiastici chiedendo una stanza per qualche notte. Ha così scoperto che in qualche caso, dietro la parvenza di una struttura religiosa, si celava un vero e proprio albergo, con tanto di tariffe perfettamente in linea con i costi del mercato. [SM=x44463]
Il tutto filmato da una telecamera nascosta.

Fonti:
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17/12/2011 18:22
 
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