Superare lo jus sanguinis e introdurre lo jus soli
Dal professore Prisco, che mi prega di postare. Il ccommento è in
The Monitor, nuovo quotidiano
on line , presentato come "il primo dell'era post - berlusconiana"
ECCO LA FANTASIA DELLA STORIA
Come accogliere l’invito del Capo dello Stato a ripensare (almeno per i bambini nati qui da stranieri) la legge sulla cittadinanza, da noi fondata ancora sullo
jus sanguinis, mentre i più grandi Paesi del vecchio continente legano l’acquisto della condizione di cittadino ad una residenza pluriennale sul suolo patrio, pur se diversamente graduata e gli Stati Uniti appunto alla nascita sul loro territorio, elemento non secondario della situazione di
melting pot per la quale vanno famosi?
Questo rilancio si presta a qualche considerazione di merito e a valutazioni - per così dire - di scenario, relative al momento e al clima in cui esso viene effettuato.
Sul primo terreno, chi abbia presente la realtà delle nostre classi elementari ormai multietniche, chi non abbia dubbi sull’italianità di Balotelli e chi pensi all’apporto che immigrati regolari danno alla languente economia nazionale, non può nutrire serie riserve. Quanto favorisce la piena integrazione di coloro che sono nati nel Paese, pur se forniti di colore della pelle e di tratti fisiognomici differenti da quelli che ci sono più abituali, va incoraggiato per motivi di equità e perfino di convenienza. Da questo punto di vista, assecondare simile proposta (che ne ricalca una di iniziativa parlamentare degli onorevoli Turco, Violante e Montecchi, presentata alla Camera fin dal 2001 e condivisa dall’onorevole Fini, che lega il riconoscimento della cittadinanza al completamento di un ciclo scolastico) non sarebbe un obiettivo eccentrico rispetto alla mission di un governo tecnico che si ispira alle parole d’ordine “risanamento, sviluppo, equità”, né certo alle sopra ricordate tendenze comuni alle legislazioni di molti Stati dell’Unione Europea, alle quali veniamo invitati ad adeguarci con riferimento a vari settori, oltreché intercettare la sensibilità di larga parte del mondo cattolico, anche moderato (si guardi alle favorevoli reazioni odierne di Casini e Di Pietro) e di quello di sinistra.
Sotto il profilo del soggetto che rilancia l’idea e del clima in cui essa ripiomba nella politica italiana, peraltro, il giudizio si fa più complesso.
Da un lato, il Presidente della Repubblica conferma il suo asse con quello della Camera dei Deputati e - sulla base di un tasso di popolarità e di fiducia testimoniato dall’altissimo indice di gradimento dei connazionali e dei circoli esteri che contano, pari al discredito in cui è invece precipitata la classe politica - la tendenza a costruire in proprio l’agenda del governo (sul chi debba cioè comporlo e sul che cosa esso debba fare). La forma di governo parlamentare italiana è insomma di fatto cambiata, da tempo e per più ragioni. Quest’ultimo intervento non fa che darne conferma.
Dall’altro, esso sembra fatto apposta per introdurre un ulteriore cuneo di divisione tra Lega Nord e PdL, già divaricati nell’atteggiamento verso l’Esecutivo, col secondo faticosamente impegnato a mantenere tuttavia un collegamento con la prima. In questa parte dell’opinione pubblica e dei suoi referenti partitici, la paura - del resto esplicitata con dura schiettezza - non è solo quella di salvaguardare la molto problematica identità etnica della penisola (siamo tutti storicamente, in realtà, materiati di molto sangue diverso), ma è più concreta: diventati maggiorenni, insomma, i bambini di oggi voteranno. Anche se l’esito dell’opposta vicenda dell’apertura di tale facoltà agli Italiani all’estero - che AN pensava all’epoca, intestandosi questa istanza, di egemonizzare quanto a consensi elettorali, mentre non è andata per nulla così - dovrebbe ammonire circa il fatto che la fantasia della storia è sempre più forte dei calcoli degli uomini.