Ho letto parecchie cose in questa discussione, che mi hanno fatto sorridere. Più vado avanti e più mi rendo conto di vivere in un mondo di "dormienti"; voglio muovere qualche osservazione, che esula dalla richiesta dell'autore del post (al quale chiedo scusa), ma non posso esimermene (ed alla fine dirò anche cosa ne penso in merito) e spero che aiuti più di qualcuno a riflettere. Vi trucidate verbalmente per detenere il primato dell'appartenenza all'università più difficile/contenutisticamente ricca/accademicamente prestigiosa et similia, senza rendervi conto di cadere nel ridicolo più efferato. Ma cosa credete voi, che nella vita basti aver studiato qualche manualetto in più o esser stato esaminato dal prof. Tizio piuttosto che dal prof. Caio o vantare un pezzo di carta con un numerino a tre cifre, sudato o meno che sia? Siete destinati al fallimento se la pensate così. Oltre ad una buona preparazione di base, che va comunque oggidì raffinata e specializzata con approfondimenti post lauream, occorre un'ottima preparazione
umana. Cosa significa? Significa che sono imprescindibilmente richieste capacità comunicative e relazionali (che onestamente mi sembrano del tutto assenti anche in questo contesto), occorre sapersi dare ma nello stesso tempo saper pretendere, occorre uno spirito di sacrificio che in genere possiede chi ha sudato un po' in più per raggiungere determinati traguardi, occorrono intraprendenza ed acume mentale, occorrono modestia ed
umiltà, occorre una personalità matura e ben salda sulle proprie coordinate psicoattitudinali. Questo indipendentemente dall'essersi laureati nella università X o Y. Poi, per quanto riguarda il punto nodale, dipende sempre e comunque dalle aspettative di ognuno: onestamente, definire i federiciani (come ho pure letto, ma non ricordo i giusti termini) dei clienti asserviti e poveri di contenuti, è follia all'ennesimo stadio; è vero, purtroppo l'assenza del numero chiuso rende la facoltà di giurisprudenza di questa università un coacervo di elementi umani che ben farebbero ad andare, per la maggioranza, a lavorare i campi (e rispetto altamente gli agricoltori, ma non tutti sono nati per studiare e non vedo perchè si debba farlo per forza, soprattutto quando non si possiedono nemmeno le basi della sintassi della lingua italiana). Ma quelli che, tra i federiciani, danno anima e corpo lottando con la massa e le categorizzazioni che l'altissimo numero di iscritti porta i docenti a sposare come proprio metro di valutazione, che non contano più le nottate insonni, i pianti di nervosismo e stanchezza, le rinunce e le crisi affrontate in anni di sacrificio... Eh be', miei cari gentiluomini, quelli non possono essere eguagliati. Non perchè siano dei piccoli Chiovenda o posseggano la scienza infusa, ma perchè imparano sulla propria pelle cosa significhi il sacrificio, cosa voglia dire la lotta per la ricerca del proprio spazio, come si traduca il dover imporre la propria personalità. E di qui a dieci anni (non adesso, non una volta usciti dall'aula della seduta di laurea con la pergamena in mano) il valore umano dato dalla fatica e dal sacrificio renderanno merito e faranno la differenza. Conclusione della filippica: chi voglia pure impiegare dieci anni per concludere il corso di studi, ma desideri uscirne plasmato e forgiato come da un'accademia militare (oltre comunque a farsi una preparazione, dato che non viene regalato nulla e questo è poco ma sicuro), chi insomma voglia giostrarsi in una
scuola di vita, si iscriva alla Federico II; chi preferisca far presto, senza preamboli e senza grosse palpitazioni (raggiungendo magari pari contenuti, ma non certo la pari formazione umana), si iscriva altrove.
"L'uomo è un qualcosa che deve essere superato. Ama le tue virtù, giacchè perirai per esse".
(F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)