simona bonfante
Il corso politico di Margaret Thatcher ha segnato il paese in maniera più profonda ed irreversibile di quanto il partito conservatore di allora fu in grado di comprendere. L’impietoso opportunismo con cui venne liquidata la Lady di Ferro e dissipata la sua eredità si rivolse contro lo stesso establishment tory auto-inflittosi per i tre lustri successivi l’espiazione della marginalità.
Fu Tony Blair a fiutare l’affare: il capitale riformatore accumulato dal paese durante l’era thatcheriana era pronto ad essere impiegato in un temerario, radicale investimento politico che avrebbe coinvolto la Gran Bretagna in una nuova fase di modernizzazione. Così fu. Fu un cambiamento sostanziale nella cultura politica della sinistra britannica – con l’implacabile archiviazione della retorica socialista – nel rapporto tra la politica e il mondo produttivo, tra la politica e l’opinione pubblica.
Concluso il ciclo blairiano, l’eredità dell’ex premier, ripudiata dal partito laburista, viene riscattata da David Cameron, il quale, come Blair prima di lui, comprende l’elemento essenziale della fortuna politica del suo predecessore: l’irreversibilità ed incisività delle trasformazioni determinate nel vissuto del paese dal ‘racconto’ del neolaburismo al potere.
Nelle sue dibattutissime memorie – A Journey – che dal primo settembre monopolizzano gli affari dei bookshop d’Oltremanica, Blair riserva al neo premier conservatore un tributo rivelatore:
“If governments don’t tackle deficits – scrive il 57enne ex premier neolaburista – the bill is footed by taxpayers, who fear big deficits now mean big taxes in the future, the prospect of which reduces confidence, investment and purchasing power. This then increases the risk of a prolonged slump”.
Blair, in sostanza, sposa la politica economica del governo lib-con, fa sue le ragioni liberali a sostegno del taglio alla spesa pubblica, confuta le tesi keynesiane dominanti nel suo partito, le stesse che, convintamente sostenute dal suo Cancelliere, Gordon Brown, hanno impedito di concludere il ciclo riformatore avviato, sin dal primo mandato, con la progressiva apertura al privato nei servizi pubblici. È su questo nodo di cultura politica che – sostiene l’ex leader laburista nel suo mediatizzatissimo best seller – si è consumato lo scontro con l’eterno antagonista.
Ed è questo il cleavage lungo il quale Cameron ha ancorato la piattaforma della coalizione al governo. Le foundation school e le fondazioni ospedaliere progettate dallo staff liberal-tory non sono infatti altro che la maturazione dell’ispirazione blairiana, lo sviluppo politicamente conseguente del processo avviato, parzialmente realizzato nei due primi mandati, ma definitivamente affossato nell’ultimo governo Labour. È Brown, con il suo ritorno allo ‘stato pesante’, ad avere in effetti fornito ai liberali dei due partiti rivali l’assist cruciale al recupero del blairismo ed alla conseguente riscrittura della piattaforma liberal-conservatrice, come già avevano fatto i tory anti-thatcheriani rispetto alla terza via neolaburista.
Come la Thatcher riconobbe in Blair il suo ‘erede’, così oggi Blair riconosce nel leader del partito conservatore il continuatore dell’esperienza riformatrice che, pur con molte ombre, ha consegnato alla Gran Bretagna un decennio di effervescenza culturale e prosperità economica. Una continuità nella diversità, quella tra i riformismi blariano e cameroniano. Diverso infatti è il contesto economico, diverse le prospettive di sviluppo, diverse le priorità determinate dall’agenda geo-economica internazionale.
I laburisti post-blairiani, con l’eccezione (timida) di David Miliband, stanno commettendo oggi lo stesso errore compiuto allora dai conservatori post thatcheriani: leggere nella sconfitta elettorale il rifiuto dell’esperienza riformatrice.
È vero il contrario. Quando Blair lasciò Downing Street non fu per l’Iraq: fu per l’ormai incolmabile cesura tra lui e il Cancelliere (e la maggioranza del suo partito) sull’identità New Labour, ovvero la direttrice liberale che Blair avrebbe voluto condurre all’estrema conseguenza: liberare il welfare dalla presenza pubblica e le amministrazioni territoriali dalla dipendenza dallo stato centrale.
È su questa direttrice che David Cameron, appresi gli errori di Blair – non ultima la deriva sulle libertà civili – ha restituito ai Tory la bandiera della modernizzazione ed ai liberali della coalizione le chiavi di Downing Street. È così che rinasce la ‘nuova destra’ europea. Ed è su questo orizzonte che la ‘nuova destra’ italiana dovrà fondare le proprie coordinate, se vorrà davvero offrire un contributo alla civilizzazione della politica nazionale.