Se il prof. copia la tesi è plagio
di Miriam Carraretto
Un anno e mezzo di carcere. Tanto è costata una furbata finita male al prof. Domenico Corradini, 68 anni, ex titolare della cattedra di Filosofia del Diritto all'Università di Pisa, oggi in pensione. Il noto docente toscano è stato condannato per aver copiato una tesi di
laurea. E la fretta (o la pigrizia) è stata tale che non ha nemmeno pensato di correggere gli errori di battitura dell'originale: un copia-incolla da maestri, è il caso di dire. La sentenza è arrivata qualche settimana fa dopo quattro anni di indagini.
L'accusa di plagio era stata mossa nel 2006 da una ricercatrice della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Lecce, Adriana Prizreni, 43enne di Tirana, che aveva svolto la sua tesi di dottorato sul diritto orale albanese, il Kanun. Qualche tempo dopo la
discussione, la donna si accorge che sul sito dell'Università di Pisa, per cui lei ha svolto alcune ricerche, è stato pubblicato un interessante lavoro sullo stesso argomento a nome del prof. Corradini. Lo consulta, incuriosita, e scopre che i contenuti sono identici ai suoi, refusi compresi. La querela scatta subito.
In tribunale, Corradini si difende sostenendo di essere stato lui a fornire alla ricercatrice il
materiale per la tesi e, a sua discolpa, consegna al pm un dischetto contenente le "prove" di quanto dichiarato. Peccato che gli inquirenti scoprano presto una terza verità: il floppy in realtà appartiene a uno studente dell'ateneo pisano, autore lui di una tesi di laurea sul
diritto orale albanese, naturalmente all'oscuro di tutto. Morale della favola: sia Corradini che la Prizneri hanno copiato, in modo diverso, dall'ignaro ragazzo. Ora il prof., oltre a scontare un anno e mezzo, dovrà risarcire il giovane con 15 mila euro.
Alla ricercatrice, invece, è stata inflitta una condanna a due mesi.
Insomma, il plagio è un reato a tutti gli effetti, regolato in Italia da una legge datata 1925
che punisce, anche con la reclusione da tre mesi a un anno, "chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri". Chi copia una tesi, docente o studente che sia, se viene beccato rischia di perdere il titolo acquisito. Non solo: se con quel titolo ha vinto un concorso, può anche essere allontanato dal posto di lavoro con
l’aggravante di dover restituire allo Stato tutto quello che ha guadagnato.
Copiare è facile, non c'è dubbio. E l'"istituzionalizzazione" del copia-incolla è arrivata con la diffusione capillare del web, libero, gratuito e sempre disponibile: su Internet c'è tutto, a volte troppo, e la tentazione è grande.
Un sovraffollamento di informazioni spesso incontrollate e incontrollabili, di cui è difficile stabilire la fonte e quindi la veridicità. Un mare magnum disordinato in cui, in fondo, se uno usa il lavoro di altri che male c'è? E, soprattutto, chi se ne accorgerà mai?
In realtà questa è una pratica illegale e dannosa. Fortunatamente, c’è qualcuno che si è inventato un modo per contrastarla e per sensibilizzare gli studenti sull’importanza della tesi di laurea, che è a tutti gli effetti un prodotto dell’ingegno: si tratta di Tesionline, la più famosa banca dati di tesi in Italia dove i laureati possono pubblicare gratuitamente i propri lavori.
Tesionline ha avviato una campagna di sensibilizzazione nelle università rivolta ai laureandi, in collaborazione con i docenti, e ha creato uno strumento che consente loro di verificare quanto c’è di copiato, anche involontariamente, nella propria tesi.
Questo strumento si chiama Tesilink: con un solo click, è possibile calcolare la percentuale di testo citato e riordinare automaticamente con precisione i riferimenti bibliografici presi dalla rete.
Come dire: se hai copiato, anche senza volerlo, in questo modo lo puoi scoprire, e sei in tempo per riscrivere quella parte senza rischiare l’accusa di plagio. Una verifica di questo tipo non è un modo per “bastonare” gli studenti indisciplinati, ma uno strumento di assunzione di responsabilità che sicuramente darà i suoi frutti anche fuori dalle aule universitarie, nella vita come nel lavoro. Una presa di coscienza, individuale prima e collettiva poi, che fa crescere e maturare. Cosa che, di questi tempi, la nostra università malconcia fatica a fare.
E dire che per evitare il plagio basterebbe poco: indicare sempre con precisione nella bibliografia la fonte di ogni documento consultato, mettere tra virgolette le citazioni, inserire delle note a piè pagina in cui si specifica da dove arriva l’informazione ed eventualmente si inserisce qualche elemento di approfondimento.
Citare, nel modo corretto, non solo è lecito ma anche caldamente consigliato. L’abbondanza di citazioni è indice di un’adeguata conoscenza della letteratura sull’argomento e, quindi, di competenza. L’importante è che chi legge sia messo in grado di capire chiaramente quali parti della tesi sono testi scritti da altri, chi ne è l’autore e da quale fonte sono tratte.
Chissà quanti prof. Corradini ci sono dietro le cattedre degli atenei italiani, e chissà a quanti è capitato di trovare parti delle tesi copiate proprio da chi ci ha seguito per laurearci… Da oggi, siamo tutti un po’ più consapevoli che questo è un reato, e che la legge tutela l’ingegno. Per fortuna…
16 febbraio 2011.
Fonte:
http://www.tesionline.it/news/docs/stampa/repubblica1.pdf