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(pollastro)
00sabato 1 settembre 2012 11:48
In USA però almeno si "processano" gli studenti del "copia e incolla"
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Stati Uniti
Harvard processa gli studenti copioni
Testi d'esame fatti a casa consegnati identici, l'università indaga 125 ragazzi. «Un tradimento intollerabile»
New York. Orgogliosa dei codici d’onore che si è data da secoli, sicura del loro rispetto da parte di studenti della cui lealtà non ha mai dubitato, l’università di Harvard - la più prestigiosa d’America, almeno per le discipline umanistiche - sprofonda in un colossale scandalo di esami copiati come una qualunque scuola «plebea» della periferia americana.
È con aria incredula che il presidente del celebre ateneo di Boston, Drew Faust, ammette il «fattaccio»: un «copia e incolla» di massa grazie al quale 125 studenti, la metà di quelli che frequentano il corso di «government», ha consegnato testi d’esame praticamente identici. Esami che, nel caso specifico, vengono svolti a casa e non in aula, tanta è la fiducia negli studenti ai quali sono stati inculcati i principî di lealtà nei confronti degli insegnanti e dei loro stessi compagni: copiare, falsare i risultati di un esame, oltre a essere da sempre una violazione infamante, è anche un torto fatto ai propri compagni di corso che in un simile contesto non possono emergere come meriterebbero. Per questo per secoli nessuno (o quasi) ha sgarrato.
Così adesso l’esterrefatto Faust tuona: «Se verranno provati, questi comportamenti vanno condannati come assolutamente inaccettabili: un tradimento della fiducia sulla quale si basa il prestigio intellettuale di Harvard».
Quindi ci saranno sanzioni che possono andare dalla sospensione degli studenti per un anno a forme più blande come l’ammonizione.
Tutti gli studenti sorpresi a copiare (ragazzi ai quali è stato garantito l’anonimato) dovranno comparire davanti all’Harvard Administrative Board, una sorta di tribunale presieduto dal preside della scuola «undergraduate», Jay Harris. Un vero «segugio» che fin qui non si era accorto di nulla. È stato un giovane assistente che, nel correggere i compiti, ha dato l’allarme, rendendo inevitabile l'indagine.
E qui la cosa che più sorprende è la sorpresa dei docenti, visto che da quasi dieci anni ormai, il «copia e incolla» si va diffondendo ovunque attraverso Internet, cambia profondamente il comportamento degli studenti, stravolge il loro senso etico.
Del resto casi di plagio spuntano ovunque anche nelle professioni, dalla letteratura all'ingegneria. Senza risparmiare il giornalismo, dal caso del «copione» Jayson Blair, cacciato nel 2003 dal New York Times , fino a quello che ha coinvolto pochi giorni fa il columnist Fareed Zakaria.
Il punto è che Internet e i suoi strumenti digitali non solo hanno facilitato il plagio sul piano tecnico, ma hanno piano piano reso il «copia e incolla» una pratica accettata dai più, soprattutto dai più giovani.
Una pratica che ha anche acquisito una sua certa dignità intellettuale quando, nel 2004, lo studioso Lawrence Lessig ha pubblicato «Remix»: un saggio che dichiara superata la difesa a oltranza della proprietà intellettuale e vede nel «copia e incolla» un utile strumento culturale per accelerare la circolazione delle idee. Senza la pretesa di essere gli alfieri di una nuova cultura, da una decina d’anni migliaia di studenti copiano a man bassa, semplicemente perché il «copia e incolla» non è più percepito come un comportamento illegittimo visto che «così fan tutti».
È dal 2003, quando la Rutgers University effettuò la prima indagine scoprendo che il 40 per cento degli studenti ammetteva senza alcun senso di colpa di aver commesso qualche plagio, che l'allarme è scattato. Ovunque ma non nelle università «aristocratiche» della Ivy League, che, forse, si sentivano «al di sopra di ogni sospetto». Evidentemente non lo sono.
MASSIMO GAGGI, www.corriere.it , sabato 1 settembre 2012


GiuristaCorsaro
00sabato 1 settembre 2012 14:16
In Italia si processano anche i prof. del copia-incolla.

Quando il copia-incolla non è prerogativa esclusiva degli studenti.

CRONACA
16/12/2009 - LA STORIA
"Il prof mi copia" E lo studente lo fa condannare


Spaccia per sua la tesi di un laureando
GRAZIA LONGO
TORINO
Lo studente che zoppica in creatività e procede al ritmo di copia-incolla, non è una novità. Ma quando a indossare i panni del copione è il professore - universitario per giunta - l’episodio non può che suscitare qualche stupore. Se di mezzo ci sono pure giudici e avvocati, la curiosità è ancora più alta. Come nel caso della condanna, passata in giudicato, di un docente a contratto alla facoltà di Economia dell’Università di Torino.

Il professor Gilberto Borzini, 54 anni, alessandrino, ha spacciato per sua, su un giornale online, una parte della tesi di laurea di uno studente. La sentenza, sia in primo grado, sia in appello e, pochi giorni fa in Cassazione, è sempre la stessa: colpevole. Colpevole di aver violato la legge sui diritti d’autore. Borzini dovrà risarcire con 20 mila euro l’ex studente - oggi libero professionista - oltre a pagare una multa di 10 mila. Originale, tanto da non avere quasi bibliografia in Italia, era la tesi di Roberto Francini, difeso dall’avvocato Davide De Bartolo. «Yield management», che tradotto in italiano significa più o meno «ottimizzazione dei ricavi nell’azienda albergo».

L’obiettivo era quello di spiegare i meccanismi del sistema di gestione delle capacità disponibili di un hotel, con scopo finale il potenziamento del volume di affari. Un tema molto trattato all’estero, poco nel nostro paese. I fatti risalgono al 2002. Quando il professor Borzini ha ascoltato la tesi del laureando ha evidentemente pensato che si trattava di un’occasione da sfruttare il più possibile. E così ha fatto. Si è procurato la tesi del ragazzo e ne ha trascritto, parola per parola, i primi due capitoli sul sito web «Job in tourism». Proprio su Internet è stato pizzicato da Roberto Francini. «Quando ho letto il frutto del mio lavoro a firma di un altro m’è salita una rabbia folle - racconta -. Con quel professore non avevo avuto mai niente da spartire prima del giorno in cui mi sono laureato e lui ha approfittato del mio impegno senza alcuno scrupolo. Lo Yield management in Italia è poco conosciuto e di conseguenza poco attuato. Oggi sono consulente proprio in questo campo, ma gli esperti in materia sono pochi. Uno è il professor Paolo Moreggio, relatore della mia tesi».

Preziosa la testimonianza di quest’ultimo durante il primo processo, condotto dal giudice Giuseppe Casalbore (ora impegnato nel maxi dibattimento Eternit). All’epoca l’imputato provò a difendersi, sostenendo che non conosceva il nome dell’autore. Ma il professor Moreggio replicò che era impossibile, perché il nome era scritto chiaro e tondo sulla tesi. Anche l’editore di Job in tourism prese le distanze dal collaboratore, si scusò online con i lettori e riportò le dichiarazioni di Francini. «La giustizia ci ha dato ragione - commenta l’avvocato De Bartolo -, sgombrando anche il campo da ogni equivoco sul tema dell’originalità, dell’ingegno, di una tesi di laurea che è stata infatti considerata frutto del pensiero personale, anche se svolto in forma riepilogativa o espositiva».
GiuristaCorsaro
00sabato 1 settembre 2012 14:26
Se il prof. copia la tesi è plagio
di Miriam Carraretto


Un anno e mezzo di carcere. Tanto è costata una furbata finita male al prof. Domenico Corradini, 68 anni, ex titolare della cattedra di Filosofia del Diritto all'Università di Pisa, oggi in pensione. Il noto docente toscano è stato condannato per aver copiato una tesi di
laurea. E la fretta (o la pigrizia) è stata tale che non ha nemmeno pensato di correggere gli errori di battitura dell'originale: un copia-incolla da maestri, è il caso di dire. La sentenza è arrivata qualche settimana fa dopo quattro anni di indagini.

L'accusa di plagio era stata mossa nel 2006 da una ricercatrice della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Lecce, Adriana Prizreni, 43enne di Tirana, che aveva svolto la sua tesi di dottorato sul diritto orale albanese, il Kanun. Qualche tempo dopo la
discussione, la donna si accorge che sul sito dell'Università di Pisa, per cui lei ha svolto alcune ricerche, è stato pubblicato un interessante lavoro sullo stesso argomento a nome del prof. Corradini. Lo consulta, incuriosita, e scopre che i contenuti sono identici ai suoi, refusi compresi. La querela scatta subito.

In tribunale, Corradini si difende sostenendo di essere stato lui a fornire alla ricercatrice il
materiale per la tesi e, a sua discolpa, consegna al pm un dischetto contenente le "prove" di quanto dichiarato. Peccato che gli inquirenti scoprano presto una terza verità: il floppy in realtà appartiene a uno studente dell'ateneo pisano, autore lui di una tesi di laurea sul
diritto orale albanese, naturalmente all'oscuro di tutto. Morale della favola: sia Corradini che la Prizneri hanno copiato, in modo diverso, dall'ignaro ragazzo. Ora il prof., oltre a scontare un anno e mezzo, dovrà risarcire il giovane con 15 mila euro.
Alla ricercatrice, invece, è stata inflitta una condanna a due mesi.
Insomma, il plagio è un reato a tutti gli effetti, regolato in Italia da una legge datata 1925
che punisce, anche con la reclusione da tre mesi a un anno, "chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri". Chi copia una tesi, docente o studente che sia, se viene beccato rischia di perdere il titolo acquisito. Non solo: se con quel titolo ha vinto un concorso, può anche essere allontanato dal posto di lavoro con
l’aggravante di dover restituire allo Stato tutto quello che ha guadagnato.

Copiare è facile, non c'è dubbio. E l'"istituzionalizzazione" del copia-incolla è arrivata con la diffusione capillare del web, libero, gratuito e sempre disponibile: su Internet c'è tutto, a volte troppo, e la tentazione è grande.
Un sovraffollamento di informazioni spesso incontrollate e incontrollabili, di cui è difficile stabilire la fonte e quindi la veridicità. Un mare magnum disordinato in cui, in fondo, se uno usa il lavoro di altri che male c'è? E, soprattutto, chi se ne accorgerà mai?
In realtà questa è una pratica illegale e dannosa. Fortunatamente, c’è qualcuno che si è inventato un modo per contrastarla e per sensibilizzare gli studenti sull’importanza della tesi di laurea, che è a tutti gli effetti un prodotto dell’ingegno: si tratta di Tesionline, la più famosa banca dati di tesi in Italia dove i laureati possono pubblicare gratuitamente i propri lavori.
Tesionline ha avviato una campagna di sensibilizzazione nelle università rivolta ai laureandi, in collaborazione con i docenti, e ha creato uno strumento che consente loro di verificare quanto c’è di copiato, anche involontariamente, nella propria tesi.
Questo strumento si chiama Tesilink: con un solo click, è possibile calcolare la percentuale di testo citato e riordinare automaticamente con precisione i riferimenti bibliografici presi dalla rete.
Come dire: se hai copiato, anche senza volerlo, in questo modo lo puoi scoprire, e sei in tempo per riscrivere quella parte senza rischiare l’accusa di plagio. Una verifica di questo tipo non è un modo per “bastonare” gli studenti indisciplinati, ma uno strumento di assunzione di responsabilità che sicuramente darà i suoi frutti anche fuori dalle aule universitarie, nella vita come nel lavoro. Una presa di coscienza, individuale prima e collettiva poi, che fa crescere e maturare. Cosa che, di questi tempi, la nostra università malconcia fatica a fare.
E dire che per evitare il plagio basterebbe poco: indicare sempre con precisione nella bibliografia la fonte di ogni documento consultato, mettere tra virgolette le citazioni, inserire delle note a piè pagina in cui si specifica da dove arriva l’informazione ed eventualmente si inserisce qualche elemento di approfondimento.
Citare, nel modo corretto, non solo è lecito ma anche caldamente consigliato. L’abbondanza di citazioni è indice di un’adeguata conoscenza della letteratura sull’argomento e, quindi, di competenza. L’importante è che chi legge sia messo in grado di capire chiaramente quali parti della tesi sono testi scritti da altri, chi ne è l’autore e da quale fonte sono tratte.
Chissà quanti prof. Corradini ci sono dietro le cattedre degli atenei italiani, e chissà a quanti è capitato di trovare parti delle tesi copiate proprio da chi ci ha seguito per laurearci… Da oggi, siamo tutti un po’ più consapevoli che questo è un reato, e che la legge tutela l’ingegno. Per fortuna…

16 febbraio 2011.

Fonte: http://www.tesionline.it/news/docs/stampa/repubblica1.pdf
...Leon...
00sabato 1 settembre 2012 15:14
Analisi esatta, trovo incorretto solo il passaggio su Lawrence Lassig (che sostiene una critica sul copyright ben più strutturata)

giusperito
00sabato 1 settembre 2012 15:21
Si, il riferimento a Lassig è un po' ingeneroso, benché la sostanza dell'articolo non cambi. Inoltre credo che il merito non sia nemmeno se a copiare siano gli studenti o i prof. Il problema è la mentalità di base!
In ogni caso a volte il copia ed incolla è indotto anche da alcuni prof. eccessivamente citazionisti. Tempo fa lessi un simpatico articoletto di Guarino in cui spiegava come i prof. universitari leggessero le opere dei colleghi. Praticamente guardavano le note. Se lo trovo online lo pubblico.
In ogni caso il discorso sulla proprietà intellettuale è una nuova frontiera del dibattito economico e giuridico. Non a caso un importante studio è stato condotto da Boldrin, falco neolib, che sostiene come possa essere economicamente più efficiente l'abolizione della proprietà intellettuale. Credo che alla lunga i sistemi di comunicazione provocheranno l'abbattimento della proprietà intellettuale.

Piccola provocazione: il copia incolla è una pessima pratica, ma il taglia e cuci non è in sé una forma di produzione? In fondo non esiste libro che non parli di un altro libro (cit. Eco)

p.s.
bentornato Leon.. è un piacere tornare a leggerti (e penso ben presto a litigare [SM=g2725401] )
...Leon...
00sabato 1 settembre 2012 15:52
A tal proposito, suggerisco un interessante libro del Prof. Vito Campanelli, docente di Teoria e tecniche della Comunicazione di massa all' Università degli studi di Napoli 'L'Orientale', dal titolo "Remix it yourself".




Ciao Gius!


(pollastro)
00sabato 1 settembre 2012 17:38
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mediterò i vostri interventi, tutti interessanti, ma una cosa credo che sia chiara (almeno a me lo è): copia/incolla o taglia e cuci che faccia, chi riporta pagine o pensieri altrui deve dirlo, altrimenti (studente o docente che sia) è moralmente una chiavica di uomo o di donna e per il diritto commette un reato. E' chiaro che i libri nuovi si scrivono attraverso altri e precedenti, meditandoli, commentandoli e criticandoli (oltre che sulla base del confronto delle idee con l'esperienza): questo non mi scandalizza, giacché la creatività non nasce mai dal nulla. Il lettore, però, deve potere sapere quanto di preciso è mia mera citazione di altri, quanto mia rielaborazione, quanto pensiero soggettivamente originale mio ci sia infine in una pagina ("soggettivamente" perché magari in Giappone c'è qualcun altro che ha avuto lo stesso pensiero, ma io - che non conosco il giapponese - non posso essere accusato di plagio, sempre ipotizzando che il testo non sia stato tradotto in altre lingue generalmente diffuse). La tesi poi, la abolirei, comre sostengp pubblicamente da anni, sostituendola con un tema in aula su un caso (P.S.: introdurrei scritti e orali, a Giurisprudenza, per TUTTI gli esami)
(pollastro)
00sabato 1 settembre 2012 18:16
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Video molto interessante, quello postato da Leon (che ringrazio), su Vito Campanelli, autore di Remix it yourself, di cui egli riassume lì un capitolo. In sostanza, se ho capito bene, visto che ormai i "cittadini (transnazionali) digitali" possono postare/scambiarsi materiali in rete, anche in forma anonima, cioè non conoscendosi e in spazi fisicamente non prossimi (è chiaro che lui sta quindi parlando anche di noi utenti di questo sito), tale modalità di relazione è economicamente più moderna dell'industria culturale tradizionale. Detto più terra terra: i prodotti si possono fruire anche senza pagarli (all'autore e all'editore/intermediario, che fino a tempi recenti scrivevano, pubblicavano e vendevano su supporti cartacei, che hanno - anche per promozione e distribuzione - un costo e devono quindi avere un ritorno in termini di profitto). Sarà pure vero (mi chiedo però come camperebbe poi l'autore); ma, ai fini di quello che sostengo più sopra, noto che anche Campanelli riconosce che permanere e va pertanto tutelato, anche se su altri aspetti le leggi sul copyright devono a suo parere essere aggiornate, un diritto (che lui chiama - almeno - "morale") d'autore, per cui chi cita deve attribuire la paternità , cioè esplicitare quali siano le sue fonti. Anche nell'era digitale, chi copia senza dirlo e facendo credere che scrive, compone, ecc., roba sua, commette insomma un atto riprovevole (poi deve decidersi se moralmente o anche giuridicamente)
...Leon...
00sabato 1 settembre 2012 18:45
Re:
(pollastro), 01/09/2012 18.16:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Video molto interessante, quello postato da Leon (che ringrazio), su Vito Campanelli, autore di Remix it yourself, di cui egli riassume lì un capitolo. In sostanza, se ho capito bene, visto che ormai i "cittadini (transnazionali) digitali" possono postare/scambiarsi materiali in rete, anche in forma anonima, cioè non conoscendosi e in spazi fisicamente non prossimi (è chiaro che lui sta quindi parlando anche di noi utenti di questo sito), tale modalità di relazione è economicamente più moderna dell'industria culturale tradizionale. Detto più terra terra: i prodotti si possono fruire anche senza pagarli (all'autore e all'editore/intermediario, che fino a tempi recenti scrivevano, pubblicavano e vendevano su supporti cartacei, che hanno - anche per promozione e distribuzione - un costo e devono quindi avere un ritorno in termini di profitto). Sarà pure vero (mi chiedo però come camperebbe poi l'autore); ma, ai fini di quello che sostengo più sopra, noto che anche Campanelli riconosce che permanere e va pertanto tutelato, anche se su altri aspetti le leggi sul copyright devono a suo parere essere aggiornate, un diritto (che lui chiama - almeno - "morale") d'autore, per cui chi cita deve attribuire la paternità , cioè esplicitare quali siano le sue fonti. Anche nell'era digitale, chi copia senza dirlo e facendo credere che scrive, compone, ecc., roba sua, commette insomma un atto riprovevole (poi deve decidersi se moralmente o anche giuridicamente)



Professore le sue osservazioni hanno ragioni da vendere: è per questo che, soprattutto per ciò che concerne testi universitari, musica (ma anche informatica e brevetti industriali) da qualche anno sono utilizzate le licenze Creative Commons, che prevedono, per la tutela del diritto d'autore nei termini sopra considerati la circolazione delle opere di ingegno senza limiti, solo laddove vengano rispettato i 6 parametri, che sono azionabili o meno dall' autore, previsti dalla licenza.
Tra questi, il riconoscimento della paternita, il divieto di utilizzo commerciale insieme al divieto (spesso non azionato nei testi universitari) di creare opere derivate senza il consenso dell' autore.
(pollastro)
00sabato 1 settembre 2012 19:59
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Grazie, Leon, sei competente e cortese. Mi fai capire meglio? Ho solo un'obiezione: quando uno scrive testi universitari, non ha bisogno di autorizzarne la citazione (riconoscendo ovviamente chi cita la paternità della stessa). In altri termini, si scrive per fare circolare le idee, l'autorizzazione a venire citati è quindi implicita nelle ragioni per cui si lavora
...Leon...
00sabato 1 settembre 2012 21:31
Re:
(pollastro), 01/09/2012 19.59:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Grazie, Leon, sei competente e cortese. Mi fai capire meglio? Ho solo un'obiezione: quando uno scrive testi universitari, non ha bisogno di autorizzarne la citazione (riconoscendo ovviamente chi cita la paternità della stessa). In altri termini, si scrive per fare circolare le idee, l'autorizzazione a venire citati è quindi implicita nelle ragioni per cui si lavora



Teoricamente il fine ultimo della divulgazione scientifica dovrebbe essere proprio il desiderio che ciò che viene prodotto venga in qualche modo recepito. Il disastrò è che l'attuale legge sul Copyright, la 633 del 1941, rende legata all' autorizzazione SIAE la totalità della divulgazione dei contenuti d'ingegno dei propri iscritti.
Tra questi limiti, si affaccia lo spiraglio del "diritto di citazione" cioè «il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti d'opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento», che sono liberi «nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscono concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera», per la cui interpretazione, in fase di giudizio, si rimanda convenzionalmente al fair use americano (con il D.Lgs n. 68 del 9 aprile 2003, il governo italiano ha reso l'articolo 70 della legge sul diritto d'autore equivalente a quanto dalla sezione 107 del Copyright act degli Stati Uniti).

Insomma, come per quasi tutto ciò che riguarda l'attuale legge sul copyright, sarà poi il giudice, in base a fattori relativi alla natura, alla quantità e alla commerciabilità,a stabilire se anche in cui micro campi liberi si stia citando oppure violando i diritti relativi all' autore.



giusperito
00domenica 2 settembre 2012 13:37
Rispondo rapidamente alla domanda: e come si campa?

Il diritto d'autore rappresenta una barriera all'ingresso che limita l'accesso ad un determinato bene o servizio. La risposta del consumatore si lega al rapporto costo\beneficio, cioè acquista se ritiene di poter sacrificare una parte del suo patrimonio per ottenere una certa quantità di utilità.
Se il bene è a domanda rigida, il costo ovviamente è più resistente. In quest'ottica l'autore ha possibilità di arricchirsi e vuole proteggere la sua "idea" da eventuali concorrenti.
Se, come nella maggior parte dei casi, il bene è una canzone, un libro, un videogioco, il discorso cambia radicalmente.
I concorrenti sono tanti, anzi tantissimi. Il mercato moderno non è più quello di una volta. Oggi ci sono centina di cantanti e migliaia di canzoni. Quasi tutti scrivono libri e le forme di intrattenimento sono decine e decine. Ogni bene è quindi altamente surrogabile e la disponibilità al sacrificio del patrimonio si riduce ai minimi termini.
Certo ci sono libri più belli e canzoni capolavoro, ma devono essere scoperti e per essere scoperti devono superare la barriera del sacrificabile. Se il prezzo è alto, rischia di essere un capolavoro privato (pericolo che esiste da sempre e che non lego alla modernità).
L'autore non può pensare di sopravvivere con le stesse dinamiche di una volta. Scrivere, produrre ed inventare iniziano ad essere attività in sé. Il guadagno diventa un discorso a parte o quanto meno si rimodula. Gli ebook si acquistano anche ad 1€. C'è gente che guadagna tanto proprio grazie al prezzo irrisorio, puntando sulla frontiera della quantità. ovviamente anche in questo caso c'è un diritto d'autore, ma viene percepito principalmente come un contributo volontario. Progressivamente si diffonde l'idea che un minimo contributo è necessario per permettere la sopravvivenza di certi giochi, libri o gruppi. Ci saranno sempre i free riders, ma, in un mercato come internet dove ormai è impossibile affermare il diritto d'autore, l'unica possibilità di guadagnare è cercare il contributo volontario. Inoltre non dimentichiamo che in questo modo aumenta la quantità di prodotto\servizio che può essere acquistato.
Molto spesso la completa gratuità di un bene permette all'autore di guadagnare in modo indiretto. Immagino FB dove non si paga l'iscrizione, ma il proprietari lucra sulla pubblicità. Immagino i tantissimi cantanti di basso valore, che avrebbero venduto poche centinaia di dischi, che riescono a trovare un pubblico disposto a pagare per ascoltare un loro concerto grazie all'iper diffusione dei loro brani in forma gratuita. Un professore universitario scrive un libro gratuito o a prezzo basso e riceve visibilità, contratti personalizzati (in un mondo normale ovviamente), corsi privati... leggevo di un avvocato romano che aveva aperto un sito dove dava consigli gratuiti agli utenti. In questo modo era riuscito a crearsi una clientela. Insomma oggi gratis è l'unico modo per entrare sul mercato e provare a guadagnare, un guadagno non stratosferico per pochi privilegiati, ma una cifra dignitosa per molti.

Qui la recensione del libro di Boldrin:
noisefromamerika.org/recensione/perche-napster-aveva-ragione
(pollastro)
00domenica 2 settembre 2012 19:32
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Grazie, Giusperito, mi hai convinto. Nei prossimi giorni apro un bancariello di consigli giuridici - gratuito - all'università, sotto ai portici vicino alla segreteria. Per ricevere lo sperabile contributo volontario degli utenti addestro la mia cagnolina a tenere il piattino in bocca. Se qualche procace fanciulla eterosessuale volesse contribuire al successo dell'impresa (si chiama messaggio promozionale o claim, tipo le fotografie delle donne poco vestite che pubblicizzano le automobili: non c'entra nulla col diritto e anzi distrae dalla qualità del prodotto, ma fa scena) si presenti convenientemente succinta a tenermi compagnia, poi facciamo a metà del ricavato. Anzi, dividiamo per un quarto a ciascuno: rivolgo infatti l'invito a venire al bancariello anche a un ragazzo e a una ragazza gay, per i diversamente orientati. Naturalmente c'è da pensare anche all'osso, ai croccantini e all'acqua sempre fresca per la cagnolina che tiene il piattino in bocca, cioè lo strumento che alimenterebbe tutti noi. Pensateci, basta un euro a cranio: con gli iscritti a Giurisprudenza della Federico II il guadagno è sulla quantità. Per i tifosi di de Magistris, se la cosa decolla, si prevede una succursale notturna nella zona a luce rossa, con aggiunta di fornitura di preservativi (essì, siamo generosi: ci vogliamo proprio rovinare!) [SM=g2725401]
giusperito
00domenica 2 settembre 2012 20:19
(pollastro), 02/09/2012 19.32:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Grazie, Giusperito, mi hai convinto. Nei prossimi giorni apro un bancariello di consigli giuridici - gratuito - all'università, sotto ai portici vicino alla segreteria. Per ricevere lo sperabile contributo volontario degli utenti addestro la mia cagnolina a tenere il piattino in bocca. Se qualche procace fanciulla eterosessuale volesse contribuire al successo dell'impresa (si chiama messaggio promozionale o claim, tipo le fotografie delle donne poco vestite che pubblicizzano le automobili: non c'entra nulla col diritto e anzi distrae dalla qualità del prodotto, ma fa scena) si presenti convenientemente succinta a tenermi compagnia, poi facciamo a metà del ricavato. Anzi, dividiamo per un quarto a ciascuno: rivolgo infatti l'invito a venire al bancariello anche a un ragazzo e a una ragazza gay, per i diversamente orientati. Naturalmente c'è da pensare anche all'osso, ai croccantini e all'acqua sempre fresca per la cagnolina che tiene il piattino in bocca, cioè lo strumento che alimenterebbe tutti noi. Pensateci, basta un euro a cranio: con gli iscritti a Giurisprudenza della Federico II il guadagno è sulla quantità. Per i tifosi di de Magistris, se la cosa decolla, si prevede una succursale notturna nella zona a luce rossa, con aggiunta di fornitura di preservativi (essì, siamo generosi: ci vogliamo proprio rovinare!) [SM=g2725401]




prof. riorganizzate il progetto ed includetemi.. vi do la dritta e voi non mi date nemmeno un ruolo [SM=g9242]

mettiamola in questi termini:
Il consiglio legale gratuito è solo un modo per creare una serie di contatti con potenziali clienti. E' un problema che si presenta nel momento in cui si è outsider di un sistema. Non potendo spendere titoli superiori, non avendo accesso a canali privilegiati, bisogna utilizzare gli strumenti della modernità.
In realtà non è elemosinare il contributo, ma abbandonare l'idea che basta pubblicare un libro per poter diventare ricchi.
Significa individuare canali indiretti di guadagno.
Prendiamo un gruppo musicale. Oggi ne esistono centinaia. La musica viene rielaborata in mille modi diversi. Alcuni pezzi faranno pena ed altri saranno bellissimi. Aumenta a dismisura la quantità di musica a disposizione. Come fare per farsi conoscere? per uscire dall'anonimato della quantità? Pubblichi un video su youtube e dai la possibilità a tutti di fruirne gratuitamente. (esempio eccezionale la nostra conterranea e anche molto bella Claudia Megrè che ha fatto una bellissima cover di Liù degli alunni del sole) Non si guadagna più sul disco, ma su altri canali...
non è forse un ritorno all'arte per l'arte stessa? Scrivo un libro non tanto per guadagnare, ma per diffondere.
Mi capita sempre più spesso di parlare del rapporto tra arte e denaro. Non sono forse due canali diversi?
E' ovvio che ognuno tragga il legittimo guadagno dal proprio lavoro, ma è anche ovvio che non tutti possiamo cantare come Lucio Dalla, ma essendo in tanti a saper cantare come Vasco Rossi forse possiamo ambire a ripartire il reddito di un insider tra tanti outsiders. Insomma è l'unico modo per selezionare e per non ricevere qualcosa già di selezionato. E' la forma più ampia di libertà.
In fin dei conti lei quando scrive qui sta pubblicando, ma non ci chiede denaro in cambio. Fa una sorta di investimento umano (ma è anche tempo e quindi denaro). Si trova un giusperito ed una serie di utenti che l'ascoltano come un magister e non come un semplice tecnico del diritto. Il vantaggio potrebbe essere anche di natura economica, ma lo riceverebbe indirettamente nel momento in cui ci comunicasse la pubblicazione di un suo libro.
(pollastro)
00domenica 2 settembre 2012 21:52
Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mi piace, è convincente. Allora è deciso: apro il bancariello. E per completezza mi metto anche le zizze di gomma e mi faccio le mèches a colpi di sole (è per il segmento trans dell'utenza, prima dimenticato; non sia mai che discrimini...). Tu in che ruolo vuoi giocare, in squadra? Indietro o avanti? [SM=g2725401] [SM=x43603]
giusperito
00lunedì 3 settembre 2012 00:16
Prof. mi sa che resto in panchina.. è più sicuro
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