SENTENZA DORIGO

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giusperito
00lunedì 17 gennaio 2011 00:31
Da oggi iniziamo a sperimentare una nuova modalità di intendere cultura. Nei prossimi giorni cercherò di postare e di sollecitare il commento di questioni giuridiche tecniche utili per chi prepara i concorsi e per chi vuole approfondire con la necessaria attenzione temi piuttosto complessi. Invito tutti a partecipare attivamente.
Il primo argomento sarà la sentenza Dorigo.



In base all'art. 46.1 della CEDU l'Italia ha l'obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
La Corte E. ha riconosciuto la violazione del diritto ad un giusto processo nel caso Dorigo condannato sulla base di dichiarazioni fatte in fase di indagini preliminari e non confermate in dibattimento. Si trattava di violazione dell'articolo 6.3 lett. D CEDU che prevede il diritto ad esaminare o far esaminare i testimoni a carico. Sollecitazioni per la riapertura del processo sono venute dal Comitato dei ministri del consiglio d'Europa, competente a sorvegliare la corretta esecuzione delle sentenze della corte, che ha invitato a predisporre gli strumenti legislativi necessari per rispettare le pronunce di non equità proveniente dalla corte e.
La Cassazione doveva pronunciarsi sul diniego del giudice dell'esecuzione adito ex art. 670 c.p.p. di dichiarare l'inefficacia del titolo esecutivo a carico del condannato e la conseguente illegittima detenzione. Il giudice dell'esecuzione riteneva che, non esistendo nell'ordinamento alcun rimedio per rinnovare il processo giudicato non equo, la liberazione del condannato sarebbe stata una sospensione sine die. Inoltre affermava che, ex art. 635 c.p.p., la sospensione poteva essere dichiarata dal giudice eventualmente adito per la revisione del processo.
La Cassazione, invece, afferma che la dichiarazione di non equità e il riconoscimento del diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio è titolo valido per dichiarare la non eseguibilità del giudicato anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell'ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo.
Tale conclusione fa venir meno l'esclusività del sistema processuale penale. I giudici di legittimità sono strati pressati da un lato dal fatto che Dorigo aveva scontato quasi del tutto la sua condanna e, quindi, qualsiasi intervento legislativo rischiava di essere tardivo se non inutile, dall'altro dalla constatazione che il mancato rispetto dei diritto dell'accusato come previsto dall'articolo 6 CEDU possa comportare il rifiuto di attuare il mandato d'arresto europeo da parte degli altri stati nei confronti dell'Italia (problema analogo a quello presentatosi per la riforma del processo contumaciale).

ANALISI DELLA DECISIONE

La Cassazione non può entrare nel merito della revisione del processo, perché è chiamata a pronunciarsi sull'esperibilità di un incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. Parallelamente la Corte d'appello di Bologna, adita per ottenere la revisione sulla base del fatto nuovo rappresentato dalla condanna di Strasburgo, aveva sollevato questione di costituzionalità sull'art. 630 c.p.p. nella parte in cui esclude dai casi di revisione l'impossibilitò che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza definitiva della Corte europea che abbia accertato l'assenza di equità del processo. Inoltre la Corte d'appello di Bologna ex art.635 aveva disposto la sospensione dell'esecuzione in ossequio alla forza vincolnate delle sentenze della Corte europea (art. 46 CEDU) oltre che della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
La Cassazione ritiene che la questione di costituzionalità non impedisce il ricorso all'ulteriore istituto dell'incidente di esecuzione. Infatti in base alla giurisprudenza della Corte europea la detenzione non è legittima se la sentenza su cui si fonda viola il giusto processo e la rende non equa.
Con questa decisione il giudicato interno non è un ostacolo alla scarcerazione, perché il diritto alla rinnovazione del giudizio, riconosciuto dalla sentenza della corte europea, è incompatibile con la persistente efficacia del giudicato che resta neutralizzato finché non c'è una nuova decisione irrevocabile a conclusione del nuovo processo.
Il giudice dell'esecuzione aveva rigettato la domanda sulla base dell'assenza di rimedi previsti dal legislatore per recepire le sentenze della corte europea in ordine all'iniquità del processo derivante dalla violazione delle regole della CEDU.
La Cassazione argomenta affermando che la prolungata inerzia dell'Italia viola l'art. 46 CEDU che impone di conformarsi alla sentenza definitiva della corte europea. Si tratta quindi di diniego di giustizia e la persistenza della detenzione del Dorigo non può trarre titolo dal conclamato inadempimento degli obblighi della CEDU. Inoltre è assolutamente inaccettabile che l'esecuzione della pena possa cessare solo se e quando verrà meno l'illecito diniego di giustizia, perché verrebbe disconosciuta la precettività delle norme della CEDU e la forza vincolante delle decisioni della corte.
Tale atteggiamento della Cassazione non fa altro che accelerare le politiche legislative stabilendo la sanzionabilità giudiziale dell'inerzia (così come avviene nelle sentenze additive di principio della corte costituzionale in cui il principio è rimesso all'attuazione discrezionale del legislatore, ma è già utilizzabile da parte dei giudici comuni. La Cassazione afferma che l'inerzia compromette la potestà punitiva dello Stato, perché l'autorità giudiziaria non è abilitata a prolungare l'esecuzione della condanna. Si ha uno stallo sia sul condannato che non può essere dichiarato innocente sia sullo Stato che non può eseguire le pene irrogate e che non può procedere ad un giudicato per confermarle o smentirle.
Il fondamento del ragionamento è duplice: la forza della Convenzione che è anche fonte dell'ordinamento italiano e la forza delle sentenze di Strasburgo. Infatti l'art. 46.1 CEDU impone alle Alte parti contraenti di conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversi nelle quali sono parti.
La Cassazione, quindi, afferma l'immediata precettività delle norme della CEDU e la natura sovraordinata di tali norme e il correlato potere del giudice di disapplicare le norme italiane in contrasto con la norma pattizia. La Cassazione poggia questa decisione sulla sentenza 10/1993 dove le norme CEDU e le norme internazionali pattizie vengono considerate fonti atipiche che, in quanto tali, non possono essere abrogate o modificate da leggi ordinarie.
Non viene fatto nessun riferimento all'art. 117 co.1 che impone al legislatore il rispetto degli obblighi comunitarie ed internazionali.
Infine le sentenze della corte europea vengono considerate vincolanti. Infatti si evidenzia il nesso tra il monopolio interpretativo della CEDU spettante alla corte e il vincolo per gli Stati membri di ottemperare alle sentenze definitive della corte europea. Il diritto CEDU coincide con il diritto vivente di Strasburgo e, quindi, non c'è possibilità di interpretazione ad opera delle autorità nazionali tra cui i giudici. Gli Stati membri hanno discrezionalità nell'adempiere ai vincoli derivanti da una sentenza di condanna, ma sempre nei confini fissati nella decisione di Strasburgo. In definitiva gli obblighi positivi derivanti dalle sentenze della corte europea riguardano sia lo stato che i suoi organi. Infatti con la sentenza Scozzari e Giunta c. Italia la Corte aggiunge il fondamentale inciso secondo il quale la libertà della scelta dei mezzi con cui “ottemperare” alla condanna deve essere «compatibile con le conclusioni contenute nella sentenza». Dunque, è ancora il “diritto” a fissare il quadro d’azione alla “politica”. Il che, del resto, lo si ricava anche dal fatto che la “liberatoria” emessa dal Comitato nei confronti dello Stato condannato non impedisce alla Corte, in un caso successivo, di ritenere – in contrasto con la decisione del Comitato – non “sattisfattivo” rispetto ai vincoli della CEDU il rimedio adottato dallo Stato.
Inoltre con questa sentenza la forza della CEDU e delle decisioni di condanna di Strasburgo viene svincolata dal modello del diritto comunitario. Infatti la disapplicabilità della legge italiana contraria alla CEDU è scorretta, perché prevederebbe la comunitarizzazione delle stesse norme CEDU, quando, invece, tali norme sono irrilevanti rispetto a fattispecie meramente interne, cioè prive di un qualificato nesso con il diritto comunitario. Tuttavia la diversità tra modello comunitario e modello CEDU non implica l'assenza della supremazia delle norme nonché di meccanismi idonei ad attribuire alle sentenze della Corte europea la diretta vincolatività per il giudice interno.

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