una bellissima recensione di medinapoli
"Quore, per un lavoro in divenire" è uno spettacolo frutto di un infinito workinprogress a cui lo spettatore è invitato a dare il significato che preferisce: l’idea è quella di entrare in un laboratorio piuttosto che in teatro, un laboratorio delle relazioni umane e sociali, impersonate da maschere teatrali, quadri scenici, frammenti di narrazione, frazioni di dipinti che esplodono in dissennate ostensioni del corpo. Una maschera(ta) in continua trasformazione tra isteria, depressione e ironia, un teatro del senso di vuoto dove ci si fotografa e ci si muove in una fiera di brutte vanità recitata da esseri post-apocalittici che galleggiano nella stupidità ritmico-ipnotica di una canzone pop, ostentando una povera sensualità, fatta di pistole di gomma e parrucche posticce, in folli tentativi di raggiungere inutili risultati fisici. Un’estetica del brutto in bilico tra caricatura ed espressionismo, ridicolo e sentimentalismo.
Durante l’ora scarsa della rappresentazione si è invitati ad esperire, quasi con mano, il vuoto dell’esistenza, il nonsense dello scorrere routiniano del tempo, nell’immobilità del “non è successo niente, niente ci è stato raccontato”. Il perché siamo qui stanotte?, rivolto al pubblico da un presentatore/regista, diviene il perché siamo qui nel mondo e la risposta è una somma, senza alcun apparente senso, di azioni e vortici – somma che il regista sembra additare come propria dell’esistenza umana. Che poi nel suo piccolo ognuno si costruisca la sua autobiografia di microazioni, con cui cerca di dare senso narrativo allo scorrere della vita, è una dinamica che, nella rappresentazione feroce e ironica messa in scena dalla Giordano, non si ha mai il tempo di cominciare perché sistematicamente elusa da un continuo rifrangersi dell’azione. Ciò che resta sono dettagli e ossessioni dell’agire quotidiano che spietatamente vengono fagocitati sulla scena e vuotati d’ogni valore.
Alla fine lo spettatore si salva dalla debacle totale della modalità occidentale di pensiero lineare solo per la bravura (unica nota stonata di questa sinfonia dodecafonica della relatività) degli attori e per la forte e mai banale presenza espressiva di Raffaella Giordano.