Pio XII-Giovanni XXIII e gli ebrei

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angel in the sky
00venerdì 14 gennaio 2005 22:25
Il 17 Gennaio giornata del dialogo fra ebrei e cristiani
CERCARE LE RADICI, NON LE POLEMICHE
Don Leonardo Zega, "La Stampa" del 13 Gennajo

Si può esprimere un auspicio? Questo: che il prossimo 17 gennaio coincida
con l'archiviazione dell'interminabile dibattito giornalistico sui bambini
ebrei sfuggiti ai lager nazisti, ospitati in Francia in strutture
ecclesiastiche o in famiglie cattoliche, battezzati in buona fede nonostante
le disposizioni contrarie della gerarchia cattolica e contesi - a guerra
finita - all'ambiente religioso ebraico, che ne reclamava la «restituzione»,
perché ne avrebbe sofferto la loro educazione cristiana.
In causa sono stati chiamati due papi: Pio XII, sospettato di rigidità
dottrinale e di durezza pastorale; Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni
XXIII e al tempo nunzio a Parigi, che sarebbe stato più conciliante, fino
all'abile "aggiramento" delle disposizioni ricevute da Roma. Tra i
responsabili poi sono elencati il Sant'Uffizio e la curia romana in genere,
cardinali e arcivescovi francesi. A scatenare la bagarre, lo stralcio di una
lettera pubblicato sul "Corriere della sera" dallo storico della Chiesa
Alberto Melloni. E dietro tutti gli altri.
Non so che idea se ne siano fatta i lettori, ma alla lunga è parso un po' a
tutti che il topolino (uno scoop giornalistico dai contorni piuttosto
imprecisi) abbia partorito una montagna di parole, aumentando la confusione
ove si immaginava di fare chiarezza. Per questo se ne auspica la fine,
restituendo la Storia con la maiuscola e i giornali ai loro rispettivi
ambiti, senza perigliose invasioni di campo.
La data del 17 gennaio viene indicata per una ragione precisa: in quel
giorno infatti si celebra da quattordici anni, per volontà della Conferenza
episcopale italiana, una Giornata di riflessione "per approfondire e
sviluppare il dialogo religioso tra ebrei e cristiani". La giornata prelude
la tradizionale Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani, che si
svolge dal 18 al 25 dello stesso mese. L'aggancio è voluto, pur rispettando
le diverse finalità: il 17 i cristiani sono chiamati, non tanto a verificare
la loro distanza dalla volontà di unità espressa da Cristo per tutti i suoi
seguaci, ma a confrontarsi onestamente con i loro «fratelli maggiori»,
perché l'ebraismo «non è estrinseco a noi ma, in un certo modo, intrinseco
alla nostra stessa religione», come si espresse Giovanni Paolo II durante la
storica visita alla Sinagoga di Roma il 13 aprile del 1986.
In quell'occasione il Papa disse tra l'altro: «Non si può né si deve
dimenticare ciò che è avvenuto nel passato. Gli atti di discriminazione e di
oppressione, anche sul piano delle libertà civili, nei confronti degli
ebrei, sono stati oggettivamente manifestazioni gravemente deplorevoli».
Aggiunse parole di dura esecrazione per l'Olocausto e, citando il Concilio
vaticano II, affermò di «deplorare gli odi, le persecuzioni e tutte le
manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo, e
da chiunque. Ripeto: da chiunque». E quel "chiunque", ribadito con forza,
includeva un atto di umiltà e una richiesta di perdono, anche a nome
di eventuali predecessori e rappresentanti autorevoli della sua Chiesa,
che avessero mancato.
La riflessione indetta per il 17 gennaio è sicuramente figlia dell'inedito
gesto di Giovanni Paolo II, ma è soprattutto la traduzione concreta della
svolta radicale impressa ai rapporti tra ebrei e cristiani dal Vaticano II,
e codificata in uno dei suoi documenti più controversi, approvato dai padri
conciliari con il maggior numero di voti contrari: quello appunto sulle
relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane e, segnatamente, con
l'ebraismo, promulgato da Paolo VI il 28 ottobre 1965 e conosciuto
con il nome "Nostra aetate".
Badiamo alle date. Esse ci dicono che ancora nella prima metà degli Anni
sessanta il rapporto con l'ebraismo faceva problema per i cattolici.
Pregiudizi e malintesi sono duri a morire, specie se rivestiti di valenze
«teologali». Provvidenzialmente, non mancò ai Papi del Concilio, Giovanni
XXIII e Paolo VI, il coraggio di sciogliere i nodi, così come negli anni
successivi non è mancata a molti pastori illuminati - ma non a tutti - la
determinazione di tradurre le indicazioni dall'alto in pratica quotidiana.
S'è fatta molta strada sulla via della reciproca comprensione, ma non tutto
è pacifico. L'insorgere un po' ovunque in Europa di nuove forme di
antisemitismo obbliga alla vigilanza. Il 17 gennaio i cristiani non sono
chiamati semplicemente a pregare per gli ebrei, ma a moltiplicare gli sforzi
per meglio conoscersi, per incontrasi e lavorare insieme nel solco del
comandamento del Signore, scelto come tema per quest'anno: "Amerai
dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... Amerai il prossimo come
te stesso". Il testo è tratto dal Deuteronomio, l'ultimo dei primi cinque
libri della Bibbia, che formano la Torah, e cioè la legge o l'insegnamento
per eccellenza di Dio.
Questo è quel che conta davvero e che andrebbe riportato in primo
piano. Il resto, tra cui le diatribe recenti, ha senso solo se si colloca
in questo ambito e non lo si carica di veleni polemici, che nuocciono alla
verità e alla giustizia.


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