P3 caldoro,cesare e compagnia bella

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J.Rebus
00venerdì 16 luglio 2010 09:48
Nell'ufficio di un magistrato
incontri sul dossier anti-Caldoro
Il presidente della Corte d'appello di Salerno, Marconi, ricevette l'ex assessore Sica. Il giudice chiamò Martino, uno dei membri della P3, e disse: "Quando ci possiamo vedere?"
di FRANCESCO VIVIANO

ROMA - Una Procura, quella di Napoli, aveva chiesto l'arresto del sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Un altro palazzo di giustizia, quello di Salerno, invece, difendeva lo stesso Cosentino e preparava insieme ai componenti della "P3" il dossier diffamatorio nei confronti del candidato alla Presidenza della Regione Campania Stefano Caldoro. Ed il "regista" e "consulente giuridico" del dossieraggio altri non era, incredibilmente, che il presidente della Corte d'Appello di Salerno, Umberto Marconi. Lo hanno scoperto i carabinieri di Roma mentre intercettavano l'ex assessore della Regione Campania Ernesto Sica e l'imprenditore Arcangelo Martino, arrestato con Pasquale Lombardi e Flavio Carboni per associazione a delinquere e associazione segreta. Sica, "coordinatore" del dossier a luci rosse che avrebbe dovuto convincere Caldoro a ritirarsi dalle elezioni regionali, si consultava con Marconi per stilare quella che, in codice, la "triade" della "P3" definiva il dossier anti Caldoro.

Il 22 gennaio 2010 i carabinieri intercettano una telefonata di Marconi che chiama Martino. E descrivono così la scena. "Il Presidente Marconi che si trova nel suo ufficio del palazzo di giustizia di Salerno, in compagnia di Ernesto Sica, chiama Arcangelo Martino e gli chiede un incontro per fare il punto sulla situazione". "Pronto - dice il magistrato - sono il Presidente. Quando ci possiamo vedere che sono con l'amico... coso (Sica-ndr), che tra l'altro sta qui con me per quella situazione? Insomma quando ci possiamo vedè?". Martino risponde di essere a conoscenza di quello che stanno preparando, cioè il dossier contro Caldoro. I due si danno quindi appuntamento l'indomani mattina al bar Riviera di Salerno, per parlare "da vicino".

Durante la conversazione telefonica il magistrato di Salerno informa Martino che Sica è li vicino a lui, nel suo ufficio, e glielo passa. Sica informa Martino che "abbiamo fatto quella cosa" e aggiunge: "Quando ci vogliamo vedè?". Marconi e Martino continuano a parlare d'altro e poi il presidente della Corte d'Appello di Salerno chiede a Martino di andarlo a prendere l'indomani mattina per incontrarsi.
Martino poi parla con Carboni e lo informa di come procede l'attività di dossieraggio anti-Caldoro. Anche Sica aggiorna gli altri due su come procedono le cose. L'iniziativa viene condotta utilizzando quella che viene definita l'"assistenza" di Marconi. Qualche giorno dopo, quest'ultimo viene chiamato da Martino. Questi lascia un messaggio in segreteria telefonica dopo essersi incontrato con Carboni:

"Ciao - sono le parole di Martino a Marconi - sono a Roma e ti ho servito...".
E quando il "dossier" contro Caldoro è completato, Sica informa Martino di essersi incontrato con Denis Verdini "al quale si sarebbe proposto come candidato alla Presidenza della Regione Campania, minacciandolo - scrivono i carabinieri nella loro informativa allegata all'ordinanza d'arresto - che nel caso in cui non avesse preso in considerazione la sua candidatura avrebbe messo in piazza tutto quello che sa a partire dal 2007".



L'ANALISI
La corruzione nel nome di Cesare
Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. Un metodo di governo e un sistema di potere costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio
di MASSIMO GIANNINI

IN nome di "Cesare" 1. Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. In mano a una "cupola" che, sul Lodo Alfano, non ha esitato a giocare una partita mortale, dentro e contro lo Stato di diritto. L'ha persa, ma non per questo appare oggi meno pericolosa. Perché il "metodo di governo" che c'è dietro, il "sistema di potere" che organizza e difende, è costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio, e per riprodurne i metodi corruttivi all'interno del tessuto politico, del contesto economico e dell'apparato istituzionale.

La pericolosità criminale di questa "rete" al servizio di Silvio Berlusconi viene fuori con paurosa chiarezza, a leggere le centinaia di pagine dei verbali. Si resta allibiti nel verificare la frenetica "attività" del comitato d'affari, riunito intorno al coordinatore di fiducia del Cavaliere dentro al Pdl Denis Verdini, al suo braccio destro nell'avventura di Publitalia e di Forza Italia Marcello Dell'Utri, al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, e a personaggi come Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Tutti impegnati, a vario titolo e con funzioni diverse, a cercare di condizionare la decisione dei quindici giudici costituzionali chiamati a decidere sulla legittimità del Lodo. Tutti ingaggiati, probabilmente, dallo stesso premier: col quale hanno incontri, al quale devono costantemente riferire.

Altro che "quattro sfigati in pensione": queste carte ci dicono che a cavallo di quel settembre/ottobre del 2009 ci fu un vero e proprio "assedio" agli ermellini della Corte, per estorcergli un verdetto positivo da consegnare tra gli allori al Cesare "trionfatore", citato nelle carte ben 23 volte. Altro che gente che "trama per sei bottiglie di vino", come scherzano i giornali di famiglia: in quei giorni la posta in gioco, altissima per il Cavaliere, era il suo salvacondotto processuale, cioè la sua salvezza politica. Solo grazie ad essa la nuova P3 avrebbe potuto continuare a prosperare, nel quadro di quel collaudato "scambio di favori tra reti criminali" di cui ha parlato il procuratore antimafia Pietro Grasso. E poco importa se, alla fine, l'assedio fallì e il verdetto fu negativo: l'ultimo degli studenti di giurisprudenza sa bene che per il diritto penale il reato tentato, ancorché non consumato, non indica affatto una minore pericolosità criminale.

IL VERTICE A CASA VERDINI
Il lavoro è sporco, ma qualcuno lo deve pur fare. E allora l'offensiva del "gruppo di lavoro" incaricato di tutelare e di riferire "a Cesare" comincia il 22 settembre di un anno fa. Per il successivo 6 ottobre la Consulta ha fissato l'udienza nella quale deve stabilire se il Lodo Alfano viola o meno i principi di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge fissati dalla Costituzione. Non c'è tempo da perdere. Così il 22 Pasquale Lombardi, "l'uomo che sussurrava ai giudici", come ha scritto Alberto Statera, cioè l'intermediario che ha il compito di avvicinare e circuire le toghe attraverso convegni e viaggi offerti da un suo improbabile centro di studi giuridici, si attacca al telefono per convocare una riunione il giorno dopo, a casa di Denis Verdini, a Palazzo Pecci Blunt, in piazza dell'Ara Coeli. La prima telefonata è per Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione (che per altro ha fatto domanda da procuratore generale). "Oh, ti ricordi alle tredici... poi ti do l'indirizzo preciso, ma intorno a Piazza Venezia....". La stessa telefonata Lombardi, ancora più agguerrito, la fa a Flavio Carboni: "Io sarò un poco prima, con l'elmetto in testa". Poi chiama Dell'Utri: "Mio caro Marcello, ciao, ciao...". E il plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia vuole sapere quanti saranno all'incontro. "Siamo sei noi, più te sette", spiegando che ci saranno anche tre magistrati. Poi aggiunge: "Abbiamo scoperto qualcosa che ti devo riferire di persona. sì veramente una cosa incredibilmente importante...".

Il giorno dopo, alle 10, Lombardi richiama Carboni, al quale conferma: "Saremo ricevuti a casa dell'uomo verde...". Poi richiama Arcangelo Martino, e i due concordano insieme chi deve convocare a casa Verdini il sottosegretario Caliendo e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia. Di quest'ultima convocazione si occupa lo stesso Lombardi, che da a Miller le coordinate dell'appuntamento e lo saluta con un "Ok, a dopo. Un bacione...". Molto più che un rapporto confidenziale: un rapporto incestuoso, vista la sovrapposizione e il conflitto degli interessi in gioco.
La stessa impressione si ricava dalla telefonata immediatamente successiva che lo stesso Lombardi fa alle 11,45 all'altro magistrato convocato. Martone ha un problema di orari: "Ho una riunione adesso, dal Procuratore, comunque spero di fare in tempo...". Il faccendiere perde la pazienza, e risponde in dialetto, non come se parlasse a una toga ma a un sottoposto: "Sì, sì, mandalo affanculo che chist nun porta voti e poi vieni adda noi...". Poco dopo le 13, dunque, il gruppo di lavoro composto da Dell'Utri, Caliendo, Martone, Miller, Lombardi Martino e Carboni si ritrova in casa di Denis Verdini. L'ordine del giorno lo si desume dalle telefonate successive, e i verbali lo riassumono così, riprendendo le parole di Lombardi: "Dovranno svolgere il seguente compito afferente la prossima decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano". La sintesi in dialetto che lo stesso Lombardi fa a Caliendo dice tutta la portata eversiva del tentativo messo in piedi da questo pezzo di anti-Stato: "Abbiamo fatto un discorso per quanto riguarda la corte costituzionale... amm' fa nu poc' nà conta a vedè quanti sonn' i nostri e quani songo i loro, per cui se putimm correre ai ripar', mettere delle bucature, siamo disponibili a fare tutto...". Non solo. Il sensale dei giudici spiega anche l'intenzione "programmatica" del gruppo: "Giustamente abbiamo fissato che ogni giorno... ogni giorno... ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere andò sta o' buono e ando stà o' malamente... Io farei una ricognizione, i favorevoli e i contrari. Poi vediamo come bisognerà per vedere di raggiungere i contrari...". E per convincere il sottosegretario, Lombardi fa l'ultimo affondo, indicandogli anche una possibile ricompensa personale: "Questa è una cosa molto importante. Ormai, vagliò, ti è spianata la via per i' a fa o' ministro, o' vuoi capiscere o no?".

"POI DOBBIAMO VEDERE CESARE"
Avviata la "procedura" dell'infiltrazione e dell'interferenza, compare quello che potremmo definire il manovratore iniziale e, al tempo stesso, l'utilizzatore finale del meccanismo. Lombardi dice a Caliendo, nella stessa telefonata: "... Poi ammo a vedè Cesare quanto prima...". Da qui fino al 7 ottobre, data della sentenza della Corte sul Lodo, il riferimento a "Cesare" che bisogna vedere, che bisogna informare, che bisogna accontentare, diventa sistematico. Conta troppo, per Berlusconi, la pronuncia della Consulta. E il sodalizio che lavora per lui se ne rende conto. "Quattro sfigati in pensione", di nuovo? Non si direbbe, a leggere la conversazione tra un pezzo da novanta come Dell'Utri e l'antico socio negli affari sardi Carboni. "È stato un ottimo incontro", dice Dell'Utri. E il faccendiere incassa: "Ecco, questa è la parola che più mi fa piacere... amico mio... È che io non posso... non potevo fare di più, anche quando Denis mi parla, tu lo capisci, io lo lascio parlare, ma sono tutte cose che abbiamo già fatto, no?". Come dire: l'ingranaggio è già oliato da tempo. Un'ultima domanda di Carboni, infine, sembra rimandare di nuovo a "Cesare", anche se non in modo esplicito: "Era soddisfatto l'uomo, sì?". Dell'Utri rassicura: "Sì, sì, sì. Comunque soddisfatto...". Di che "uomo" stanno parlando?
Cesare, Cesare e ancora Cesare. In suo nome, ancora una volta, lo stesso Carboni parla in serata al telefono con Arcangelo Martino, sia dell'avvio della missione Lodo Alfano, sia della candidatura del plurinquisito Nicola Cosentino alla Regione Campania: "Sei contento?", chiede Martino. "Sì beh, soddisfattissimo. Credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare, i tribuni hanno già dato notizia...", rassicura Carboni. Da quel momento in poi, parte la corsa contro il tempo per intercettare i giudici della Consulta prima dell'udienza del 6 ottobre, e per renderne conto al premier. Telefonate quotidiane. Lombardi ripete a Carboni: "Io adesso mi metto in contatto per il giorno sei, cosa bisogna fare...". E Carboni: "Sì , bravissimo, bisogna sapere i nomi...". Sullo sfondo, sempre l'ombra di Cesare. Lombardi a Martino: "Flavio ha detto che più tardi mi darà un colpo di telefono perché parlerà pure con Cesare...". Martino a Carboni, il giorno dopo, parlando dei numeri telefonici dei giudici da contattare: "Sì, queste informazioni, se bisogna fare l'incontro con Cesare...".

Dal brogliaccio delle intercettazioni, a dispetto della "teoria del polverone", emerge il ruolo centrale di Verdini e Dell'Utri, come collettori di notizie e promotori di interventi sulla Consulta. Lo dice Carboni, nei giorni successivi, al telefono con Martino, chiedendogli i primi esiti della riunione a casa di Verdini: "Sono ansioso... adesso io chiamo Marcello... chiamo Denis i quali mi chiederanno, allora s'è saputa qualche notizia? Che risposta do?". Col passare dei giorni, il lavoro del gruppo verso i giudici della Consulta sembra dare qualche risultato. Si tratta di capire come voteranno i 15 ermellini in camera di consiglio. Carboni parla con Martino: "Denis, Marcello, io tu e lui aspettiamo i numeri...". La risposta sembra confortante: "Siamo ottimisti.. glielo puoi dire, diglielo...". A chi deve dirlo, il faccendiere sardo, è subito chiaro: "Diglielo a Cesare, che siamo...".

"Cesare", insomma, vuole sapere quanti giudici voteranno sì al Lodo e quanti voteranno no. Nell'attesa, non disdegna aggiornamenti sul caso Cosentino e sulla sua candidatura a governatore. Ancora Martino a Carboni: "Cosentino può proseguire, credo che sia bravo come candidato...". Carboni approva: "Denis è favorevole a questo... E poi chiamo anche Cesare, d'accordo?". Ma l'ossessione principale resta il Lodo Alfano. E per avere più certezze sulle scelte dei singoli giudici, Lombardi non esita a contattare prima un esponente dell'opposizione, Renzo Lusetti, poi un altro esponente del centrodestra, Angelo Gargani: a tutti e due la stessa richiesta, il numero di telefono di un ex presidente della Consulta. Cesare Mirabelli viene effettivamente contattato, pochi giorni dopo, dallo stesso Lombardi, che saluta affettuosamente: "Presidente buongiorno, sono Pasqualino Lombardi, come andiamo?", poi gli chiede udienza: "È una cosa un po' urgentuccia...". La otterrà, sempre al telefono, il giorno successivo. Non prima di aver esultato con Martino per aver stabilito un contatto prezioso per il suo "committente". "Domattina incontrerò il personaggio più importante d'Italia..", dice. Allude ancora a "Cesare", che nel frattempo sta tampinando anche lo stesso Martino, che a sua volta chiosa: "Mio cugino Cesare vuole sapere... mi ha chiamato, mio nipote Cesare... concretezza... concretezza e risultati".

LA SIGNORA DELLA CONSULTA
A testimoniare tutta la pericolosità del network criminale c'è proprio la telefonata di Lombardi al presidente emerito Mirabelli: "Siccome il 6 ottobre si verificherà il lodo del ministro... in quell'occasione i suoi amici ex colleghi su che posizione staranno?". Mirabelli svicola: "Ahh, è una bella domanda...". Ma il faccendiere non molla: "Quella della Consulta che è la donna, dice che è sua amica... possiamo intervenire almeno su questa signora?". Il riferimento è a Maria Rita Saulle, giudice costituzionale, che Mirabelli conosce. Ma l'ex presidente svicola, di nuovo: "Non è che gli interventi valgano granché, eh!? Ma comunque cosa avete come iniziative?". E qui Lombardi spiega, senza tante perifrasi: "Abbiamo fatto per lo meno accertare di raggiungere un po' quasi tutti e le dico, il risultato, quattro negativi, cinque positivi, tre nì...". Poi l'estremo tentativo: "Comunque, vedi un poco se sulla signora possiamo avere un riscontro... Mi stanno mettendo in croce gli amici miei... che sono anche amici suoi...".

Il primo ottobre c'è un nuovo incontro a casa Verdini. E stavolta il livello del coinvolgimento delle "toghe sporche" sale ulteriormente. Lombardi annuncia a Martino che al pranzo, oltre ai "soliti noti" Caliendo, Martone, Miller, Carboni, "viene a mangià anche o' presidente da cassazione". Cioè Vincenzo Carbone. Anche questo convivio a casa "dell'uomo verde" soddisfa tutti. Lombardi, stavolta, lo dice direttamente a Cosentino: Tutt'appost, tutt'appost, uagliò...". E del buon esito del vertice, ancora una volta, occorre che sia informato l'immancabile "Cesare". "I mo comm' stann' e cose a settiman che trase m'incontro pure co Cesare... Lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il sei ottobre...". Cioè per la data dell'udienza della Consulta sul Lodo.

AL BAR DELL'EDEN, ASPETTANDO LA CORTE
Tutto sembra pronto per l'ordalia del sei ottobre. La Consulta convoca l'udienza. La sentenza arriverà il giorno dopo, cioè il 7. Negli stessi minuti in cui la Corte è chiusa in camera di consiglio e sta per annunciare il verdetto, a poca distanza dal palazzo di fronte al Quirinale c'è un'altra riunione, non meno significativa. Al bar dell'Hotel Eden, in via Ludovisi, si riuniscono Dell'Utri, Carboni, Martino e Lombardi, ad aspettare il verdetto. Alle 18 e 20 Martone chiama i "quattro amici al bar", e gli dà la ferale notizia: la Corte ha bocciato il Lodo. Lombardi sbotta: "Noi nun comandamm' manco o cazz' cò sti quindici rincoglioniti...". Martino è amareggiato: "Che figura di merda, va...". Dell'Utri, uomo di mondo, è più prosaico: dice solo "eh sì, sì, va beh...".

"La P3 al telefono sembra un film di Totò", ironizzano adesso i cantori berlusconiani e i frenatori terzisti, per trasformare in burletta il nuovo scandalo dell'eolico. In realtà, l'esame di questo inquietante canovaccio di contatti, di colloqui, di incontri tra Verdini, Dell'Utri, Caliendo, Cosentino e una colorita schiera di affaristi senza scrupoli, magistrati senza etica, trafficanti del sottobosco campano del Pdl, suggerisce un'altra trama. Drammatica, per chi la voglia capire fino in fondo, rifiutando le comode banalizzazioni di regime. Tragica, per chi ha a cuore lo Stato di diritto ferito a morte e le sorti di questa democrazia sempre più squalificata. La trama è quella di un gigantesco, pericoloso "Romanzo criminale". Scritto, ideato e sceneggiato "in nome di Cesare".



J.Rebus
00venerdì 16 luglio 2010 09:48
IL COMMENTO
Quelle toghe illegali
di STEFANO RODOTA'

Una rete di infiltrazione e corruzione dei magistrati era il primo piano d'azione organizzativo della cosiddetta P3. Non mi sorprende il fatto che nel disegno complessivo di stravolgimento di ogni regola del funzionamento del sistema istituzionale si sia intervenuti anche sulla magistratura e che ci siano state persone che hanno finito con l'aderire a questo disegno.

La magistratura non è diversa dal resto del paese, i rischi di inquinamento ci sono dappertutto, ma questa vicenda suggerisce immediatamente due considerazioni. La prima: chi ha tuonato e continua a tuonare contro la politicizzazione della magistratura si è reso protagonista di una operazione non solo di politicizzazione ma in qualche modo di asservimento a disegni esterni di singoli magistrati. In secondo luogo la forza di reazione della magistratura medesima la mette in una posizione di legittimità e di forza rispetto a tutti gli altri ambienti nei quali l'inquinamento non solo viene negato, ma i responsabili vengono difesi fino all'ultimo: e solo quando la pressione esterna dell'opposizione politica e dell'opinione pubblica si fa intollerabile si decide di intervenire.

Dunque da una parte un establishment che si difende in ogni modo, anche di fronte a prove clamorose di deviazioni dalla legalità, dall'altra la reazione immediata dell'Associazione nazionale magistrati e del Consiglio superiore della magistratura che invece subito chiedono che i responsabili di questa gravissima deviazione vengano messi fuori gioco.
Tutti ricordiamo che la corruzione e l'uso veramente politico della magistratura poggiavano in passato su una rete di protezione del malaffare politico: ricordo bene in proposito un articolo di "Repubblica" che riguardava la Procura di Roma e venne intitolato "il porto delle nebbie". Ci volle tempo, ci volle il rinnovamento interno alla magistratura perché quell'immagine venisse allontanata, e la magistratura riassumesse pienamente il compito di custode della legalità. Episodi rivelati in questi giorni ci dicono che si sta cercando di ripetere esattamente quel copione, cioè in un momento in cui la politica soffre il controllo dell'opinione pubblica e il controllo della legalità, si tenta di piazzare nei posti di responsabilità persone fidate per ricostruire la rete di protezione.

Non è un caso che proprio in questi giorni l'insistenza e la fretta intorno alla vicenda della legge bavaglio diventino rivelatrici. Forse all'inizio qualcuno aveva sottovalutato quella legge dicendo che tutto sommato era uno strumento che il presidente del Consiglio adoperava con la logica tradizionale delle leggi ad personam per evitare che intercettazioni sgradite potessero essere conosciute all'esterno. Questa lettura tutto sommato riduttiva è stata smentita, e mi pare che poi fosse evidente che l'obiettivo andava al di là della tradizionale legge ad personam. L'accelerazione sulle intercettazioni va di pari passo con la scoperta progressiva della corruzione diffusa, di questo - riprendo la famosa espressione di Silvio Spaventa - mostruoso connubio che si è determinato tra politica, amministrazione e affari. Un connubio non esterno al sistema di governo, non esterno al modo in cui la maggioranza funziona, ma del tutto interno e in qualche modo provocato da questa medesima maggioranza perché se c'è una differenza tra Tangentopoli e oggi è questa: Tangentopoli fu una vicenda che si determinò attraverso connivenze politiche composte da una rete di protezione, ma si trattava comunque di comportamenti fuori dalla legalità. Tutta questa vicenda che noi in questo momento abbiamo davanti agli occhi è stata dunque resa possibile dallo stravolgimento della legalità determinato dalle procedure che hanno sottratto agli ordinari controlli di legalità questioni rilevanti.
Quindi c'è una componente istituzionale di questo scandalo messa a punto attraverso un uso degli strumenti legislativi. In questo momento noi ci rendiamo conto dunque che c'era bisogno di tenere al riparo questo insieme di comportamenti illegali dall'occhio del pubblico e dall'occhio degli stessi magistrati. Quindi la legge sulle intercettazioni oggi acquista tutta la sua portata, non solo di legge ad personam, ma di misura fatta per difendere un sistema di governo che proprio in questi giorni sta mostrando tutti i suoi vizi e tutte le sue caratteristiche.

Tutta questa vicenda conferma la necessità non solo di opporsi ma di denunciare le caratteristiche proprie di questa legge sulle intercettazioni che è un pezzo essenziale di questa abnorme costruzione istituzionale di salvaguardia, abuso e privilegio. Prima si sono varate tutta una serie di norme per rendere opaco e non controllabile lo svolgimento di una serie di affari, e poi si cerca di approvare norme ulteriori per impedire che si possa svelare questa opacità e mettere in evidenza le caratteristiche del mostruoso connubio che stiamo vivendo.

J.Rebus
00venerdì 16 luglio 2010 09:48
L'INCHIESTA
Cesare, quello presudonimo
ripetuto ventitré volte
Di seguito alcuni dei passaggi delle intercettazioni in cui viene citato lo pseudonimo di Cesare
Consulta
Amm' a vedè Cesare quanto prima... Abbiamo fatto un discorso per quanto riguarda la Corte Costituzionale
(colloquio fra Pasquale Lombardi e Giacomo Caliendo)

Dossier
Credo che (il dossier su Caldoro - ndr) sia già arrivato nelle stanze di Cesare. I tribuni hanno già dato notizia
(colloquio tra Flavio Carboni e Arcangelo Martino)

Telefono
Più tardi mi darà un colpo di telefono (l'allusione è a Carboni - ndr) perché prima parlerà pure con Cesare
(colloquio tra Pasquale Lombardi e Angelo Martino)

Mio cugino
Dobbiamo vederci assolutamente alle 15, allo stesso posto, perché mio cugino Cesare vuole sapere prima le cose. Hai capito?
(Arcangelo Martino in un colloquio con Pasquale Lombardi)

6 ottobre
La settimana prossima mi vedo con Cesare. E' rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 (ottobre - ndr)
(Lombardi e Cosentino sul Lodo Alfano sotto esame alla Consulta)

Vogliamo te
Lui (nella conversazione si allude sempre a Cesare - ndr) ci deve dare qualcosa e ci deve dare te
(Pasquale Lombardi parla al telefono con Nicola Cosentino)

A nome del capo
Ci deve dare una mano, insieme a Marcello il quale parla anche a nome del...
di Cesare, capito? Che ora è a Catania
(colloquio sull'elezione in Campania tra Lombardi e Martino)

Vice-Cesare
Lo spazio occupato è un altro, secondo il maresciallo di stamattina: Lettieri dice che sia Cesare sia il vice Cesare vorrebbero lui
(Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino parlano di candidature)

Telefonata
Non so se lo chiama subito, fra un'ora, due ore, mi faccio forte, perché la prima cosa che mi dirà Cesare è proprio questa
(il 27 gennaio 2010 Carboni e Martino parlano di Cosentino)

Scelta
Informeranno Cesare solo domani perché non c'è, comunque, a loro giudizio, diventa difficile il primo (Sica - ndr)
(telefonata tra Carboni e Martino sul falso fascicolo Caldoro)
J.Rebus
00venerdì 16 luglio 2010 09:49
VERBALI
Nomine e missioni proibite
venti toghe a disposizione della "loggia"
di MARIA ELENA VINCENZI e EMANUELE LAURIA

ROMA - "Prendono parte alle riunioni nelle quali vengono impostate le operazioni e paiono fornire il proprio contributo alle attività di interferenza". Venti nomi che scottano. Quelli delle toghe coinvolte nell'inchiesta sull'eolico e sulla nuova loggia "P3". Il rapporto dei Carabinieri non lascia adito a equivoci. Era fitta la rete di giudici e procuratori attraverso la quale la banda Carboni portava avanti i suoi piani di "interferenza" sulle istituzioni. Tutto ruotava intorno al ruolo di Arcibaldo Miller (capo degli ispettori del ministero della Giutsizia), Giacomo Caliendo (sottosegretario alla Giustizia) e Antonio Martone (ex avvocato generale in Cassazione). Loro gli incaricati di costruire la ragnatela da stendere sui magistrati. Qualcuno aveva un ruolo di primissimo piano nell'attività dell'associazione segreta, altri davano informazioni preziose. Altri ancora erano semplicemente oggetto di tentativi di avvicinamento da parte della combriccola che - per perseguire i propri obiettivi illeciti - si avvaleva della copertura offerta dal centro studi "Diritti e libertà".

Sono sempre Miller, Caliendo e Martone i commensali del famoso pranzo a casa Verdini del 23 settembre scorso in cui sarebbe stato pianificato il condizionamento della Consulta per far approvare il Lodo Alfano. Martone era stato invitato senza giri da parole da Lombardi all'incontro a piazza dell'Aracoeli: "Noi ci dobbiamo vedere all'una meno un quarto". "Ma io sono impegnato con il procuratore...".
"Mandalo affanc. che chisto non porta voti e vieni da noi...", insiste Lombardi mostrando una certa confidenza.

Caliendo poi è presente in tutte le manovre. Dopo il pranzo a casa Verdini, Lombardi raccomanda al sottosegretario di fare la conta dei giudici costituzionali a favore e contro il Lodo: "Ci dobbiamo vedere ogni giorno, ogni settimana, capire dove sta o' buono e dove o' malamente: vuagliò, ti hai la strada spianata per fare il ministro". Le carte raccontano che Caliendo, su pressione di Lombardi, ha sollecitato al vicepresidente del Csm Mancino la nomina di Alfonso Marra a presidente della Corte d'Appello di Milano. Nomina che si è rivelata poco decisiva: Caliendo infatti è poi intervenuto, senza fortuna, con lo stesso Marra per far accogliere il ricorso di Formigoni contro l'esclusione della sua lista nelle elezioni regionali lombarde. Successivamente, davanti alle pressioni dello stesso Lombardi per far inviare gli ispettori alla Procura di Milano, il sottosegretario ammetterà: "L'ho chiesto trenta volte al ministro!". Della stessa vicenda è protagonista anche Miller, chiamato confidenzialmente Arci dai membri della banda, che in una telefonata del 5 marzo suggerisce ad Arcangelo Martino cosa fare per ottenere l'ispezione: "Ci vorrebbe un esposto...".

Un magistrato vicino a Lombardi, Angelo Gargani, compare frequentemente nell'inchiesta: con il tributarista, dopo il pranzo a casa Verdini, parla della vicenda del Lodo e gli fornisce il numero di un ex presidente della Consulta da contattare, Cesare Mirabelli (che respingerà la "corte" del disinvolto faccendiere napoletano).

Lombardi attiva di continuo la sua rete di contatti con i magistrati. Lo fa all'occorrenza e soprattutto in occasione dell'elezione di Marra che - secondo i carabinieri - è avvenuta proprio grazie all'interferenza della banda. Il tributarista ne parla il 21 ottobre con Celestina Tinelli, componente del Csm. Alla quale chiede informazioni anche sulle chances di altri due "amici" in corsa per incarichi di rilievo: Gianfranco Izzo per la Procura di Nocera e Paolo Albano per Isernia. Lombardi parla in quel periodo con diversi magistrati. Fra i voti da conquistare (e poi conquistati) per l'elezione di Marra, c'è quello di Vincenzo Carbone, primo presidente di Cassazione: il 22 ottobre Lombardi invita Caliendo a "lavorarselo per bene", e gli comunica di avere già prospettato un aumento dell'età pensionabile da 75 a 78 anni. Una modifica della legge che proprio in quei giorni il governo proporrà con un emendamento. Lo stesso Carbone, un mese prima, aveva chiesto a Lombardi: "Che faccio dopo la pensione?".

Un altro giudice, Francesco Castellano, il 31 gennaio conferma all'attivissimo Lombardi di avere segnalato alla Tinelli il nome di Marra. Ma intanto Lombardi aveva già parlato del caso Marra a Beppe ("verosimilmente il giudice Giuseppe Grechi", scrivono i carabinieri). Anzi, è quest'ultimo il 16 novembre a chiedere a Lombardi qual è l'intenzione del "comune amico" Carbone in vista del voto: "Tienilo sotto che lo tengo sotto anch'io", dice il tributarista.

Il 19 gennaio Lombardi parla con Gaetano Santamaria della candidatura di tale "Nicola" per la Procura di Milano. A Cosimo Ferri, altro componente del Csm, arriva a chiedere il rinvio di quella nomina. Ferri, in realtà, si ritrae imbarazzato. A Lombardi sta a cuore, in quel periodo, anche la candidatura di Nicola Cosentino alla guida della Regione Campania. Vede due volte il procuratore di Napoli Giambattista Lepore per chiedergli informazione sulla situazione giudiziaria di Cosentino, indagato per rapporti con la camorra. Dopo l'incontro del 20 ottobre, Lombardi riferirà, violando tutte le procedure, ad Arcangelo Martino che le prospettive per il sottosegretario (appena dimessosi) non sono buone: "Negativo al 90 per cento". Agli atti anche una telefonata fra Lombardi e il magistrato Giovanni Fargnoli: parlano del ricorso in Cassazione contro la richiesta di arresto a carico di Cosentino: Fargnoli assicura a Lombardi che gli farà sapere perché il ricorso è stato rigettato. Una conferma, l'ennesima, della rete che lega i componenti della combriccola, i politici e i magistrati: il 14 ottobre Ugo Cappellacci, presidente della Sardegna, chiama Martino per avere il numero di telefono di Cosimo Ferri: vuole evitare il trasferimento di Leonardo Bonsignore, presidente del tribunale di Cagliari, ad altra sede: "Perderemmo un amico carissimo e una persona valida". Martino si attiva subito e parla con la segretaria di Ferri. Secondo i carabinieri proprio per questo motivo Martino "poteva ritenersi creditore nei confronti di Cappellacci".
fulvio25
00venerdì 16 luglio 2010 18:20
si potrebbero unire i due topic...cmq che vergogna tutto quello che sta venendo fuori...soprattutto per tutti i magistrati coinvolti...
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