Moschea, la destra attacca Obama "Sempre più lontano dall'America"

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FELICEDILAURO
00lunedì 16 agosto 2010 12:40
WASHINGTON - E' polemica sulle dichiarazioni del presidente americano Barack Obama sul contestato progetto di costruzione di un centro culturale islamico e una moschea a pochi isolati dal sito degli attentati alle Torri Gemelle di New York, l'11 settembre 2001. Il progetto aveva già provocato la reazione negativa di associazioni delle vittime della strage, che la ritengono una provocazione. Ma è sostenuto anche ad alto livello politico, in primo luogo dal sindaco di New York Michael Bloomberg. Due giorni fa è arrivato, inaspettato, l'appoggio del presidente che del dialogo interreligioso e dell'apertura all'Islam ha fatto una delle bandiere della sua amministrazione. Un intervento anche simbolicamente molto orientato: una cena con la comunità musulmana in occasione dell'iftar, la rottura serale del digiuno del Ramadan.

Obama ha dichiarato in quell'occasione che secondo lui "non c'è niente di male a costruire una moschea", perché così vuole la Costituzione dei padri fondatori: "Siamo l'America - ha detto - La libertà di culto è un diritto inalienabile". Le sue parole sono suonate più come una difesa di quello che le famiglie delle vittime vedono come una provocazione dell'islam radicale che come il riconoscimento di un diritto sancito dalla legge.

Puntuali gli attacchi al veleno dei Repubblicani al presidente, che proprio in questi giorni festeggia il traguardo di metà mandato. "Nell'ultimo anno - ha detto al "Fox News Sunday" il rappresentante anziano del Texas in Senato John Cornyn - Il presidente si è progressivamente allontanato dalla nazione. Non è una questione di libertà di religione: noi rispettiamo il diritto di tutti, ma credo che non sia giusto costruire una moschea proprio dove, per mano musulmana, hanno perso la vita migliaia di persone". Secondo il senatore conservatore le dichiarazioni di Obama dimostrano che "Washington, la Casa Bianca, l'amministrazione e lo stesso presidente sono sempre più lontani dall'America".

Che il presidente, in vacanza con la famiglia, abbia avvertito l'esistenza di un "problema di comunicazione" lo dimostra il fatto che ha sentito la necessità di chiarire il concetto: "Non ho mai fatto commenti, e mai ne farò sull'opportunità della decisione di costruire una moschea lì - ha detto sabato da Panama City - Ho solo ricordato un diritto che risale alla nostra fondazione". Le sue precisazioni non sono servite a placare gli animi. Peter King, anche lui repubblicano, deputato di New York alla Camera dei rappresentanti, ha detto alla CNN che "Obama, con le sue prime dichiarazioni, ha chiaramente dato l'impressione di supportare la costruzione della moschea, anche se poi ha fatto un passo indietro. Avrebbe dovuto essere più chiaro, molto più preciso, non può cambiare opinione una volta al giorno su una cosa che riguarda la nostra Costituzione".

Tra i sostenitori del progetto "Cordoba House" (questo il nome del centro culturale musulmano che dovrebbe esser costruito) c'è il sindaco di New York Michael Bloomberg, secondo cui "la tolleranza religiosa è la miglior risposta all'estremismo: siamo stati attaccati da Al Qaeda, non dall'Islam". Anche lui però dovrà fare i conti con l'opinione pubblica. Dai numerosi sondaggi effettuati in questi giorni emerge che la maggior parte del popolo americano è contrario all'iniziativa. L'Opinion Research Corporation Poll della CNN ha condotto una ricerca proprio nei giorni scorsi, dimostrando che circa il 70% dei cittadini Usa si oppone al progetto e che il 54% di questi sono democratici.

Le elezioni di novembre di metà mandato, ricordano i repubblicani, faranno il punto. E' di questioni come la disoccupazione che, secondo loro, Obama dovrebbe occuparsi. "Intellettualmente il presidente può anche avere ragione - ha detto alla CBS il consulente repubblicano Ed Rollins - ma si tratta di una questione che coinvolge troppo l'emotività della popolazione, che ha perso figli, genitori e amici. E' per questo che è molto difficile da affrontarla".

(15 agosto 2010)
J.Rebus
00martedì 17 agosto 2010 12:00
di gad lerner.
E’ un segno di decadenza dei popoli quando gli dèi cominciano ad essere comuni… Quanto più forte è un popolo, tanto più il suo dio è particolare”.
Questo abbassamento di Dio a semplice attributo della nazionalità, finalizzato a indicare il popolo russo come l’unico popolo “portatore di Dio”, costituisce motivo di tormento per lo slavofilo Fedor Dostoevskij (“Chi non è ortodosso non può essere russo”), e anima un dialogo cruciale de “I demoni”: “Credo nella Russia, credo nella sua ortodossia… Credo nel corpo di Cristo… Credo che il nuovo avvento sarà in Russia… Credo… – si mise a balbettare Satov, in preda all’esaltazione”.
E’ un afflato religioso di segno opposto quello che ha sospinto Barak Hussein Obama a pronunciarsi in difesa della costruzione di un centro comunitario islamico a Lower Manhattan, in prossimità di Ground Zero. Il discorso con cui Obama ha motivato la sua scomoda scelta, è stato innanzitutto il discorso di un credente. Fin dagli inizi della sua attività sociale e politica a Chicago egli ha rivendicato l’impegno pubblico come sviluppo conseguente della fede evangelica. Celebri sono i suoi richiami biblici, l’immaginarsi come un Giosuè chiamato a proseguire il cammino dei patriarchi dopo la schiavitù e la traversata del deserto. Guidando un popolo che è unico non certo perché esibisca l’idolo di un dostoevskijano “dio particolare” quale requisito d’appartenenza, ma al contrario perché capace di sommare le sue diversità.
Anche la mia Pasqua ebraica è allietata dalle fotografie provenienti dalla Casa Bianca, dove il presidente americano figura come ospite e gusta il pane azzimo del seder insieme ai collaboratori. Così come lo vediamo ogni anni rompere il digiuno del Ramadan islamico partecipando alla cena dell’Iftar, celebrare il Natale cristiano e il Diwali indù.
Sarà un bel giorno, temo lontano, quello in cui si celebreranno pure al Quirinale analoghe cerimonie di concittadinanza. Lungi dal proporre ambigui modelli di sincretismo, esse favoriscono il riconoscimento della funzione pubblica imprescindibile delle religioni, e di certo non offendono i non credenti. La laicità dello Stato non ne subisce alcuna minaccia.
Lo ha spiegato Obama venerdì, nel suo breve ma storico discorso dell’Iftar: “Ad attestare la saggezza dei nostri fondatori, l’America è rimasta un Paese profondamente religioso: una nazione dove persone di confessioni diverse sono capaci di convivere pacificamente, nel rispetto reciproco, in netto contrasto con i conflitti religiosi tuttora in atto in altre parti del mondo”.
Certo anche gli Stati Uniti, colpiti nove anni fa dall’attentato fondamentalista alle Torri gemelle, sono attraversati da una pulsione reazionaria tendente a plasmare la falsa tradizione di un “dio particolare” d’America –ad uso riservato di protestanti, cattolici, ortodossi e ebrei- contrapposto agli dèi altrui e quindi negatore del Dio comune. Ma a New York sono in attività cento moschee islamiche e nessuno, dopo l’11 settembre 2001, si è mai sognato di proporne la chiusura. Al contrario, il sindaco (ebreo) della metropoli, Michael Bloomberg, ha fin da subito condiviso il progetto di edificare vicino a Ground Zero un centro culturale e religioso islamico che il proprietario dell’area, un cittadino americano di madre polacca e padre egiziano, vuole intitolare alla mitica Cordoba, città-simbolo di una convivenza armoniosa tra fedi e saperi nella Spagna medievale.
New York ci appare così distante anni luce dalla nostra Milano, dove una volta ancora il Ramadan deve celebrarsi in una tensostruttura provvisoria visto che le autorità cittadine si rifiutano di consentirvi l’edificazione di una moschea. Litigano per accaparrarsi i fondi dell’esposizione universale convocata nel 2015, pensando seriamente che un incontro definito, appunto, “universale” possa svolgersi là dove si nega un’adeguata sede di culto a una religione che conta più di un miliardo di fedeli.
Può darsi che il presidente Obama sia spaventato dalle divisioni suscitate tra gli americani dal suo discorso. Domenica ne ha minimizzato le conseguenze, precisando che le sue affermazioni di principio non vanno considerate un’interferenza nella decisione sul Centro Cordoba, spettante alle autorità cittadine. Ma prima che sopravvenissero i vincoli della realpolitik, è dal patrimonio della sua fede personale che Obama ha attinto l’ispirazione profetica. Sto parlando della fede in un Dio che apre gli occhi e i cuori, aiutandoci a ben distinguere fra l’islam nel suo insieme e al Qaeda. Un Dio fiducioso nelle virtù benefiche della preghiera e della riflessione culturale. Perché non credere che i musulmani riuniti in quell’edificio vicino al luogo-simbolo della memoria insanguinata di New York, ne potranno trarre ispirazione alla saggezza e alla condivisione del lutto? Destinati come già sono a vivere nella metropoli comune, lo spirito americano di cui Obama è un testimone li instrada a partecipare della sua contrizione.
Chi viceversa si batte per un divieto che violerebbe la legislazione americana sulla proprietà privata e sulla libertà di culto, anteponendole motivi d’opportunità, sposa una visione statica e disanimata della religione. Sfiduciato e privo di fede, considera il monoteismo islamico perduto e riduce il suo grande mistero a mero fanatismo. Con la stessa miopia che in passato portò altri intolleranti a negare i diritti delle medesime confessioni che oggi pretende di cooptare nel suo falso “dio particolare” d’America.
Non a caso fra i più accaniti condottieri della crociata contro “la moschea di Ground Zero” spiccano gli esponenti dei Tea parties che insistono nel chiamare Obama col suo secondo nome, Hussein, sostenendo che il presidente sia un infiltrato di al Qaeda al vertice degli Usa. Farneticazioni minoritarie disseminate come vox populi per gli ignoranti, da parte di chi non digerisce ancora l’accadimento dirompente rappresentato dall’elezione di un meticcio con sangue afroamericano alla Casa Bianca.
Il corrispettivo italiano, lo conosciamo bene. Siede nei banchi del nostro governo. Definisce “imam” l’arcivescovo di Milano solo perché in assenza di una voce pubblica disposta a fronteggiare il pregiudizio nei confronti dei musulmani, osa chiedere che essi possano pregare in luoghi degni edificati a questo fine. Ma soprattutto il corrispettivo italiano degli avversari di Obama esprime in versione caricaturale, sia pure inconsapevole, la bestemmia slavofila narrata da Dostoevskij: secondo cui il sacro risiederebbe nel popolo stesso, in quanto legittimo portatore della tradizione quand’anche essa si sia distaccata, storicamente, dal Vangelo. Cittadinanza e battesimo come sinonimi; buoni a fronteggiare l’Altro, a prescindere dal credere e tanto meno dal testimoniare nei comportamenti di vita.
Non a caso anche l’ebraismo si divide sulla vicenda della “moschea di Ground Zero”. Da una parte i favorevoli, come il sindaco Bloomberg, che agli argomenti di natura costituzionale affiancano il richiami ai principi fondamentali della Torah; dall’altra i contrari, guidati dall’Anti-Defamation League, i cui argomenti sempre meno derivano dalla Legge fondativa dell’ebraismo, affidandosi piuttosto a una sorta di nuova religione della Shoah.
Il loro argomento è storico-emotivo: autorizzereste la costruzione di un centro culturale tedesco dentro Auschwitz? (Mia risposta personale: a duecento metri di distanza, perché no?)
Si tratta di esponenti mossi da finalità politiche, che vorrebbero però assolutizzare col ricatto morale, rivestendo arbitrariamente i panni dei portavoce delle vittime. Nella visione di costoro l’ebraismo, sul finire del suo quinto millennio, cercherebbe fondamento sempre meno nei principi biblici, e sempre più su una supposta rappresentanza degli sterminati. Temo questo abuso del senso di colpa, già manifestatosi ampiamente sui mass media statunitensi a proposito del Centro Cordoba di Manhattan, e che avvicinandosi il decennale dell’11 settembre 2001 vedrà scatenarsi la competizione per la “legittima” rappresentanza politica dei tremila caduti nell’attentato.
Ignoro se sia concessa a un presidente degli Stati Uniti la possibilità di promuovere, nell’esercizio delle sue funzioni, una visione profetica. E’ difficile, improbabile. Ma quando dice sì a un impegno incrollabile per la libertà religiosa e afferma “Ecco, questa è l’America!”, noi sappiamo che Obama indica anche il destino di quel mosaico che è il mondo contemporaneo, una volta attraversata la stagione di conflitti che di religioso non hanno proprio nulla.
giusperito
00martedì 17 agosto 2010 12:31
Re:
Tra i sostenitori del progetto "Cordoba House" (questo il nome del centro culturale musulmano che dovrebbe esser costruito) c'è il sindaco di New York Michael Bloomberg, secondo cui "la tolleranza religiosa è la miglior risposta all'estremismo: siamo stati attaccati da Al Qaeda, non dall'Islam".


VS

"Intellettualmente il presidente può anche avere ragione - ha detto alla CBS il consulente repubblicano Ed Rollins - ma si tratta di una questione che coinvolge troppo l'emotività della popolazione, che ha perso figli, genitori e amici. E' per questo che è molto difficile da affrontarla".

(15 agosto 2010)




Da quando un popolo decide sulla base dell'emotività? Cedere i valori fondanti in questo momento sarebbe un suicidio politico. Complimenti ad Obama che non cavalca i sondaggi a discapito della democrazia.
FELICEDILAURO
00martedì 17 agosto 2010 12:53
sono daccordo con te GIUS...la scelta di OBAMA è stata quella giusta sono daccordo....molto controtendenza rispetto all'opinione popolare americana....ma credo che questo a lungo andare porti benefici anche nei confronti dei mussulmani specialmente quelli ancora in dubbio tra PACE E GUERRA......

Astronascente86
00martedì 17 agosto 2010 13:07
"La tolleranza religiosa è la miglior risposta all'estremismo: siamo stati attaccati da Al Qaeda, non dall'Islam".

Questo e' risaputo. Ma non credo che agli estremisti importi piu' di tanto se c'e' o non c'e' una moschea nei pressi del luogo della strage... continueranno comunque ad uccidere.
FELICEDILAURO
00martedì 17 agosto 2010 13:30
Re:
Astronascente86, 17/08/2010 13.07:

"La tolleranza religiosa è la miglior risposta all'estremismo: siamo stati attaccati da Al Qaeda, non dall'Islam".

Questo e' risaputo. Ma non credo che agli estremisti importi piu' di tanto se c'e' o non c'e' una moschea nei pressi del luogo della strage... continueranno comunque ad uccidere.




guarda non sono daccordo perchè cmq questo passo fatto da OBAMA avvicinerà all america una arte degli estremisti, ne sono convinto!
J.Rebus
00martedì 17 agosto 2010 13:46
Re:
Astronascente86, 17/08/2010 13.07:

"La tolleranza religiosa è la miglior risposta all'estremismo: siamo stati attaccati da Al Qaeda, non dall'Islam".

Questo e' risaputo. Ma non credo che agli estremisti importi piu' di tanto se c'e' o non c'e' una moschea nei pressi del luogo della strage... continueranno comunque ad uccidere.




e che c'entra? lo farebbero èpure se non venisse cotruita.
ma questa sarebbe una di quelle azioni ke di sicuro aiutano sia nel senso delgi americano ke nel senso dei musulmani.
credo ke tra le later cose,queste sono quelle che fanno grande un presidente.
ke invidia...
Astronascente86
00martedì 17 agosto 2010 20:16
Re: Re:
J.Rebus, 17/08/2010 13.46:




e che c'entra? lo farebbero èpure se non venisse cotruita.
ma questa sarebbe una di quelle azioni ke di sicuro aiutano sia nel senso delgi americano ke nel senso dei musulmani.
credo ke tra le later cose,queste sono quelle che fanno grande un presidente.
ke invidia...




Appunto.Quello che di dicevo.
J.Rebus
00martedì 17 agosto 2010 20:24
Re: Re: Re:
Astronascente86, 17/08/2010 20.16:




Appunto.Quello che di dicevo.




si ma ssarebbe un atto di grande apertura [SM=x43799]
trixam
00mercoledì 18 agosto 2010 00:30
Questa questione ha una duplice implicazione.
Questione di principio
Obama non ha fatto altro che ribadire quella che per gli americani è una ovvia banalità. La democrazia americana nasce dalla libertà di culto e su essa si fonda. Il primo emendamento parla chiro, le autorità civili non possono fare leggi in materia religiosa né ostacolare in qualsiasi modo la libertà di culto. E la giurisprudenza della corte suprema sul punto è severissima.

Questione pratica
Obama ha commesso uno scivolone clamoroso, un errore da assoluto dilettante. In un momento in cui è in clamorosa difficoltà, con sei americani su dieci che pensano che non è in grado di prendere le decisioni giuste per il paese, se ne esce con questa cosa che ha il sapore della provocazione? Soprattutto quando sa benissimo che non è ancora ben chiaro chi finanzierà questo centro culturale, visto che dietro il progetto c'è una fondazione che ha le solite società di comodo che a sua volta la finanziano.
Ormai è allo sbando. Non sa più cosa fare. Avevo promesso un sogno e sta trasportando l'america in un incubo. Le sue scelte economiche hanno prodotto un disastro, la sua indecisione cronica lo ha messo in contrasto con i generali ed in Afghanistan è impantanato con i soldati americani che pagano ogni giorno con il loro sangue le sue velleità intellettuali. Adesso sta riperdendo anche l'Iraq dove la guerra era quasi vinta.
Aveva ragione Kevin Kagan, Obama dietro il suo sorriso nasconde una profonda sfiducia nel paese che gli ha dato tutto, sospirando con invidia al modello cinese che tanti bei brutti produce.
L'unica sua fortuna è che ha un'opposizione senza leader che non riesce a capitalizzare tutti i suoi errori. Nonostante questo a novembre nelle elezioni di mid term si prepara una cappotto storico.
giusperito
00mercoledì 18 agosto 2010 02:58
Re:
trixam, 18/08/2010 0.30:

Questa questione ha una duplice implicazione.
Questione di principio
Obama non ha fatto altro che ribadire quella che per gli americani è una ovvia banalità. La democrazia americana nasce dalla libertà di culto e su essa si fonda. Il primo emendamento parla chiro, le autorità civili non possono fare leggi in materia religiosa né ostacolare in qualsiasi modo la libertà di culto. E la giurisprudenza della corte suprema sul punto è severissima.

Questione pratica
Obama ha commesso uno scivolone clamoroso, un errore da assoluto dilettante. In un momento in cui è in clamorosa difficoltà, con sei americani su dieci che pensano che non è in grado di prendere le decisioni giuste per il paese, se ne esce con questa cosa che ha il sapore della provocazione? Soprattutto quando sa benissimo che non è ancora ben chiaro chi finanzierà questo centro culturale, visto che dietro il progetto c'è una fondazione che ha le solite società di comodo che a sua volta la finanziano.
Ormai è allo sbando. Non sa più cosa fare. Avevo promesso un sogno e sta trasportando l'america in un incubo. Le sue scelte economiche hanno prodotto un disastro, la sua indecisione cronica lo ha messo in contrasto con i generali ed in Afghanistan è impantanato con i soldati americani che pagano ogni giorno con il loro sangue le sue velleità intellettuali. Adesso sta riperdendo anche l'Iraq dove la guerra era quasi vinta.
Aveva ragione Kevin Kagan, Obama dietro il suo sorriso nasconde una profonda sfiducia nel paese che gli ha dato tutto, sospirando con invidia al modello cinese che tanti bei brutti produce.
L'unica sua fortuna è che ha un'opposizione senza leader che non riesce a capitalizzare tutti i suoi errori. Nonostante questo a novembre nelle elezioni di mid term si prepara una cappotto storico.




Mi sembra che le condizioni in cui si trova l'America, cioè l'incubo a cui ti riferisci, siano il frutto delle scelte della precedente gestione o se vogliamo della congiuntura economica internazionale che certo non dipende dalle sue scelte. Posto anche che tu hai sempre criticato l'influenza di Krugman sulle scelte di Obama pensare di valutare in un periodo così breve ed ancora così instabile il risultato di tali scelte è definibile come un atto di arbitrio. Potrei condividere un'analisi teorica sugli errori di Obama, ma non pratica. Sull'Afghanistan la tua valutazione non prende in considerazione il rapporto del dicembre 2008 del comandante delle truppe americane che prevedeva per l'aprile successivo un inasprimento della guerra. Si tratta di una questione che prescinde dalle scelte di Obama e si lega anzi al particolare sostegno che certe nazioni come l'Iran stanno ricevendo da stati sempre più sull'orlo di una crisi di credibilità interna ed internazionale (come la Russia). L'Iraq non era una guerra vinta per il semplice motivo che non si riesce a costituire un governo da oltre un anno e la classe dirigente mi sembra la stessa insediata al tempo di Bush. Se in Iraq o in Afghanistan si muore oggi è per lo stesso motivo per cui si moriva ieri. E' una guerra che piaccia o meno, che sia giustificata o meno è una guerra. Se non si volevano i morti, non si andava. Certo non può essere il tentativo di individuare un exit strategy il motivo per cui si muore.
Poi posso essere d'accordo che Obama non sia riuscito a regalare un sogno agli americani, ma spesso quelli che si presentano come paradisi diventano inferni. Allora forse è il caso di ricordare che il compito di un politico è il rispetto della libertà del popolo (motivo per cui la moschea deve essere costruita) e il tentativo costante di riformare il suo paese in meglio.
Sulla previsione delle elezioni di medio termine permettimi ma è meglio lasciar stare i sondaggi e le previsioni. Si tratta di un modo come un altro per non parlare di politica, ma di supposizioni. E' legittimo, ma sul piano delle supposizioni tutto è legittimo. Diciamo è un po' come quando dicevi che Cameron avrebbe stravinto e, dopo non aver nemmeno vinto, che non avrebbe mai accettato un governo con Clegg.
In ogni caso per tornare in topic Dio salvi il presidente che parla senza cavalcare i sondaggi, senza vendere i principi fondamentali delal sua nazione alle necessità elettorali (e ne avrebbe avuto ben motivo visto che tra 3 mesi si vota), senza vendere le sue convizioni intellettuali sul banco dell'arrivismo. Ogni popolo è libero di suicidarsi come vuole, Dio benedica Obama che non è il motore di questo suicidio.
Se poi vogliamo criticare le sue scelte a disposizione, ma sulla base di fatti e non di antipatie personali.
trixam
00lunedì 23 agosto 2010 15:45
X gius
Premesso che a me Obama non sta affatto antipatico, la colpa insomma è sempre di falchi liberisti.
E poi in second ordine dei governi precedenti e della crisi internazionale, pensare che quando in italia lo dice un certo uomo politico tutti corrono a dire che non è vero. Curiose aporie.
Mi sembra giusto cominciare col dire che sotto l'amministrazione Bush l'America ha avuto la più grossa crescita economica degli ultimi venti anni. Noi possiamo dire giustamente che una parte di questa crescita è stata drogata, dalle politiche di sovvenzionamento al mercato immobiliare che Bush ereditò da Clinton e sbagliando mantenne per acquisire consenso al centro, e dalle politiche per il finanziamento delle guerre, facendo sotto questo aspetto di quella guidata da Bush la più keynesiana delle amministrazioni americane. L'altra parte della crescita però era vera e reale, dovuta ai poderosi tagli alle tasse che fecero aumentare gli investimenti, soprattutto nelle innovazioni tecnologiche che hanno permesso a gente come Mark Zuckenberg, uno che aveva in testa di fondare un'azienda con un nome curioso, Facebook, di avere un milione di dollari di finanziamento da una compagnia privata che beneficiava dei tagli. Mai esempio fu più giusto di una politica economica virtuosa. Poi c'è stato lo shock di Lehman, i crack e tutto quello che sappiamo.
Obama non ha causato la crisi, ci mancherebbe, la quale ripeto ha origine nelle politiche populiste portate avanti da entrambi i partiti che hanno approvato leggi suicide come il community reinvestment act che obbligavano le banche a frodare i clienti e lo stato, se volevano restare nella legalità. Però Obama ha vinto le elezioni nel novembre 2008, quindi è stato l'uomo che l'america ha scelto per curare il suo male. E obama ha messo in campo la sua cura, un pacchetto di stimoli all'economia approvato nel febbraio del 2009 superiore agli 800 miliardi di dollari.
Le promesse erano: in 18 mesi l'america sarebbe tornata a crescere ad un ritmo superiore al 3%, per ogni dollaro di spesa pubblica ci sarebbe stato un effetto moltiplicativo di 1.5 dollari di ricchezza creati, il deficit non era un problema(articolo di Krugman del febbraio 2009 sul NYT si intitolava proprio così “Il deficit è un falso problema”), la disoccupazione sarebbe diminuita.
Risultati ottenuti, dati presi dell'ultimo bollettino della federal reserve pubblicato il 13 agosto: il deficit è fuori controllo, a luglio era atteso un aumento di spesa di 32 miliardi e invece siamo ancora sopra i 50, a causa dell'aumento della spesa per i sussidi settimanli di disoccupazione.
Il pil nell'ultimo trimestre ha rallentato dello 0.4%, e su base annuale la crescita è ferma all1.7.
La disoccupazione è aumentata. C'è stato un risveglio inflazionistico. La fiducia dei consumatori è diminuita.
L'effetto moltiplicativo, non se lo ricorda più nessuno.
Questo è interamente un prodotto della cura di Obama. Ovvio che su di esso influiscono anche fattori esteri come la crisi delle esportazioni, ma altri fattori sono tutti interni.
Il deficit è esploso non solo perché i dati su cui sono stati fatti i calcoli erano diciamo mal valutati, ma perchè ci sono state altre misure come la cosiddetta riforma della sanità che secondo l'amministrazione avrebbe dovuto costare 800 miliardi mentre secondo tutti gli analisti costerà 2.4 trilioni di dollari, cioè esattamente il triplo. L'ufficio budget del congresso, che è l'autorità indipendente che calcola i costi delle leggi, non è in grado di fare una stima dei costi.
Per questo la corte suprema dovà esprimersi sulla compatibilità della legge con il diciassettesimo.
Il pil rallenta perché si sono totalmente bloccati gli investimenti, naturalmente Obama dice che è colpa delle banche avide che non danno credito, ma il dato di fatto è che nessun imprenditore investe perché si attende a breve un aumento delle tasse per via del deficit e comincia a scontarlo già da adesso. Non si sa poi se il congresso rinnoverà gli sgravi di Bush. Come se non bastasse ci sono anche proposte come quella del consigliere economico di Obama Larry Summers che vuole mettere una tassa sulla delocalizzazione delle imprese, nonostante gli sia stato più volte dimostrato che è una pura idiozia. In tutto questo l'Orco Bush, che c'entra?

Sull'Afghanistan il mio ragionamento parte da una premessa: che quella guerra non la possiamo vincere, se per vincere intendiamo una vittoria militare completa di tipo classico.
É impossibile per tutta una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo elencare, diciamo che basta gettare uno sguardo alla storia: in Afghanistan ci hanno lasciato le corna sia l'impero britannico nell'ottocento sia l'armata rossa sovietica negli anni ottanta. La dura lezione del Vietnam è che un esercito convenzionale, per quanto potente possa essere, non può vincere una guerra asimmetrica.
Quello che noi possiamo ottenere è di uscirne con un compromesso onorevole.
Per far questo dobbiamo fare due cose: ottenere alcune vittorie militari parziali(che abbiano anche un effetto simbolicco) e trovare un accordo politico. Le due cose non sono semplici naturalmente, soprattutto l'accordo politico dato che di fatto l'Afghanistan è un paese dove non c'è una nazione, ma una serie di etnie tribali le une contro le altre armate. Però la diplomazia repubblicana nel 2008 aveva lasciato in eredità ad Obama un accordo con i tagiki e i Waiziri che avrebbero avuto di fatto due stati nello stato semiindipendenti, che stava bene alla maggioranza dei caperonzoli Pastun. C'era anche la benedizione del Pakistan.
Tutto questo è saltato. In Pakistan musharaff è stato travolto e di certo la proposta di Obama di mandare truppe americane in territorio pakistano, una cosa per cui i diplomatici americani si sono disperati, ha di fatto mandato a casa il principale alleato americano nell'area, per quanto sgradevole esso fosse. L'accordo è poi saltato perché l'offensiva militare promessa, per allegerire la pressione talebana nelle loro zone non ci fu, perché Obama negò a Mcrystal gli uomini e i mezzi, salvo poi pentirsene e accordarglieli quando era troppo tardi per rimediare.
La guerra si fa con le scelte e il presidente in america è il comandante in capo, ed Obama ha dimostrato di non saper fare scelte giuste nei momenti giuste. Ragioni per cui molti dei generali hanno perso la fiducia nel presidente tanto che Mcrystal l'ha detto ad una rivista che ha pubblicato il tutto due mesi fa, facendo succedere uno scandalo che ha portato alle dimissioni del generale.

L'Iraq invece è una questione diversa. Militarmente in Iraq la guerra è quasi vinta.
I santuari dei terrorismo, come il triangolo sunnita, Falluja ecc sono stati sgominati, dalla strategia del sourse del generale Patreus, che si è dimostrato un guerriero formidabile.
Gli attentati sono diminuti dell80% in tre anni, interi settori della guerriglia si sono arresi.
Naturalmente Patreus ha usato tutti i trucchi che in queste situazioni si usano senza dirlo in giro, come le milizie territoriali, che in altri tempi e altri luoghi sarebbero stati chiamati squadroni della morte. In Iraq restava il problema politico, ma qui la situazione è completamente diversa.
L'iraq è diviso in tre. A nord i curdi sono ormai di fatto uno stato indipendente, e stanno combattendo una guerra non dichiarata con la Turchia che è fonte di forti instabilità.
Poi c'è l'eterno dilemma dei rapporti tra sciiti e sunniti e tra i vari gruppi che li compongono.
Condy Rice, dopo gli errori dei primi due anni, aveva imparato a metterli ad un tavolo a negoziare e aveva trovato degli accordi, non sempre il massimo, ma comunque buoni per dare un governo decente. Basta ricordare alcuni dati che nessuno da: dal 2003 il pil iracheno è triplicato, sono state aperte più di 100.000 nuove aziende indigene, il livello di occupazione femminile è aumentato del 12%, la distribuzione dell'acqua potabile ha raddoppiato il raggio d'azione, sono nati più di 100 giornali liberi, stanno nascendo movimenti culturali sulla scia di una nuova classe intellettuale. Oggi c'è uno stallo politico, perchè una parte degli sciiti fa fatica ad accettare il risultato delle elezioni e cerca di ricattare gli altri usando la violenza.
Obama e la sua amministrazione non riescono a fare quello che faceva la Rice.
La giusta pressione per sbloccare lo stallo, anche qui perché l'amministrazione americana è dilaniata al sua interno.
Questo è l'errore principale di Obama, lo aveva commesso anche Bush durante il primo mandato.
Invece di scegliere uomini suoi, ha scelto ferri vecchi dell'amministrazione clinton, i quali fanno una loro politica distaccata. É come se ci fossero due linee politiche: quella degli uomini del presidente come Jim Messina che è bravissimo, e quella dei clitoniani i quali ne fanno una a parte, una sorta di terza amministrazione clinton, e il guaio è che Obama non sa come liberarsene perché se li licenzia, come ha già fatto con qualcuno, ha paura di dimostrarsi ancora più debole e indeciso.
Insomma è vittima dei propri inganni. Per ogni presidente democratico c'è un incubo natturno: lo spettro di Jimmy Carter. Se Obama non vuole diventare un nuovo Carter deve fare dei cambiamenti radicali. La sua fortuna è che è ancora in tempo.
PS Su cameron vedo che ti incaponisci. La cosa è curiosa. Questo è un leader che ha preso un partito al cimitero, lo ha rimesso in vita, gli ha fatto fare il più grande guadagno in tempi di seggi parlamentari dal 1911 ad oggi, lo ha poratato al governo e secondo te non ha vinto? Solo perché per pochi seggi ha mancato la maggioranza assoluta nelle elezioni più frammentate del dopoguerra? Mah, mi lascia abbastanza perplesso.
Poi è vero che io pensavo che non avrebbe fatto il governo con Clegg, ci mancherebbe, e continuo a pensare che alla lunga si rivelerà un errore quando il partito laburista ricomincerà a salire nei sondaggi con l'elezione del nuove leader.
Ma Cameron ha preferito il buon senso di Churchill il qualche diceva che l'unica cosa peggiore dell'avere alleati è non averne. E poi aveva capito una cosa, che i Libdem erano piuttosto assetati di potere e infatti si sono inchiavardati sulle poltrone con colla attack a presa rapida in stile democristiano. La loro influenza sul governo è stata minima ed hanno praticamente accettato tutte le misure dei Tories. Questa intuizione di Cameron è la dimostrazione che è un leader.
giusperito
00martedì 24 agosto 2010 01:07
Credo che il nostro problema sia il continuo spostamento del punto nodale..

allora io non ho mai detto di condividere le scelte economiche di obama e, quindi, di considerare la crisi un fenomeno legato al mondo neoliberale. Personalmente sono convinto del contrario. Il rinvio implicito a Berlusconi credo dimentichi l'assenza di qualsiasi intervento di qualsiasi natura di questo governo. Per quanto riguarda le scelte economiche di obama siamo d'accordo che le politiche neokeynesiano non sono convincenti, anzi probabilmente dannose.Il mio discorso contestava l'eccessiva critica mossagli per una serie di colpe non sue e per una serie di scelte non valutabili nel breve periodo. Poi l'influenza di un certo ambiente culturale ed economico è un dato rilevante.. d'altra parte nessun obama ha un modello economico indipendente e per barak c'è krugman a provvedere..
In Iraq così come in Afghanistan (vale anche per le scelte economiche) non è possibile valutare la sua azione senza considerare variabili indipendenti dalla volontà statunitense (per questo citavo la nuova foga russa) e non è possibile ragionare sul breve periodo. Non si può contestare Obama a prescindere dalla variabile tempo.. si evince anche dalle tue paroel che considerano l'azione di governo BUsh alla luce di un tempo medio di 3-4 anni.. Inoltre sottolinei il fattore esperienza e questo potrebbe essere un altro buon motivo per evitare una valutazione di così preve periodo.
Le indecisioni ci saranno anche, ma non dimentichiamo che l'eccessivo decisionismo di Bush era anche dovuto ad un diverso approccio mediatico. Bush faceva il duro per immagine, Obama fa il mediatore per immagine. Non è un caso che 3 mesi dopo l'attacco all'iraq bush annunciò di aver vinto la guerra, quando sapeva bene che era appena iniziata. Credo che sia anche per questo che BUsh è quello del patriot act (che spero non vorrai difendere, ma credo che per un liberale sia indifendibile) ed Obama quello del bagno a panama city. I sondaggi ti prego di non citarli per motivi empirici evidenti..bush prima del secondo mandato era dato perdente..ti ripeto su obama credo che le aspettative fossero maggiori di quelle umanamente accettabili e sinceramente lo ripeto oggi come allora non riesco a capire a cosa si legassero.. paradisi e soluzioni geniali non esistono anche se le speranze erano decisamente maggiori, unico motivo che potrebbe farmi pensare ad una sconfitta alla prossima tornata elettorale.

su cameron il mio giudizio non è negativo, anzi credo che le sue decisioni dei primi 100 giorni siano da considerarsi il minimo sindacale di qualsiasi governo serio.. tuttavia credo che la coerenza sia un valore non negoziabile (e questo è il motivo per cui apprezzo la scelta di obama di non vendere i valori fondanti per un pugno di voti).. su clegg fai attenzione ad un giudizio così rapido.. non è potere per il potere.. ha scelto cameron perchè il biondo gli ha promesso la riforma elettorale in stile australiano(?).. e cameron ha scelto clegg perchè era l'unico modo per far fruttare l'insperato successo (sui voti recuperati ai laburisti dimentichi che oltre ai meriti di cameron ci sono i demeriti di brown, brown chi?, e le bugie di Blair)
trixam
00martedì 24 agosto 2010 23:35
Il problema è che Obama sta facendo semplicemnete politiche in gran parte sbagliate e chi si interessa di politica glielo dice, con lo stile del dibattito politico americano che, nel rispetto di regole rigorose, è sempre e solo al coltello.

è ovvio che un presidente non può essere giudicato dopo trent'anni, figurasi dopo due. Per esempio solo oggi si inizia a delineare una comprensione reale della presidenza nixon, figurarsi per una presidenza contemporanea. Il fatto è che Obama fa il presidente adesso e tra due anni spicci ha le elezioni.
Un mio amico democratico un po' pessimista mi diceva oggi che se continua così tra due anni avremo un presidente talmente di destra che al confronto Bush ci sembrerà un comunista.
In questo catastrofismo c'è del vero.
Detto per inciso io in rapporto al sistema politico americano sono repubblicano di ferro di rito hamiltoniano, ma ritengo che un fallimento di Obama non sarebbe una cosa utile. Obama è uno spot vivente per chi crede nell'ideale americano. Bisogna sempre ricordare che è il figlio di un immigrato kenyota e musulmano ed è diventato presidente.
Detto questo i suoi errori sono tutti lì.
Tu per esempio citi la russia, ma se la russia ha rialzato la testa è perché Obama glielo ha permesso, ad esempio riununciando allo scudo di bush in polonia. La cosa in se poteva anche avere senso, ma lui lo ha fattto senza condizioni, come gesto di "distensione". Al cremlino i gesti distensivi li capiscono in un solo senso, quello della resa a discrezione. Per far capire i messaggi ai russi, ci vuole sempre un kissinger.

Su Bush, questa fissa europea del patriot act è curiosa, soprattutto perché spesso viene paventata da coloro che poi, consapevolmente o meno, sostengono cose analoghe. Che differenza c'è ad esempio tra il patriot act e le posizioni del movimento "intercettateci tutti" o altre posizioni del genere?
Si dimentica che Bush si è trovato a fronteggiare la più grande sfida dai tempi della seconda guerra mondiale e quel tragico giorno di settembre mostrò un coraggio formidabile al quale l'intero paese si aggrappò. Un coraggio che pochi gli riconoscevano. Si dimentica che il problemino del terrorismo l'amministrazione clinton lo aveva messo sotto il tappeto con una negligenza che la commissione d'inchiesta sull'undici settembre ha condannato. Nell'emergenza ci fu una legislazione di emergenza, come era avvenuto del resto dopo Pearl harbour nel 1941 quando ai poveri cittadini americani, di origine giapponese, toccarono cose ben più terribili, come la rinchiusione in campi di concentramento e la negazione dei diritti costituzionali. Eppure il presidente di allora era quel sincero democratico di Franklin Delano Roosevelt, il mito del progressismo mondiale, quello del new deal.
Il patriot act conteneva alcune misure sensate, come i rafforzamenti dei controlli, con altre eccessive ed appunto ispirate all'emergenza.
Quella che era sbagliata era la filosofia di fondo, cioè quella che bisognava rinunciare a una parte di libertà per avere più sicurezza.
Una contraddizione in sé, visto che la difesa della libertà è l'unico strumento di sicurezza, e la rinuncia ad una parte di essa aumenta l'insicurezza perché favorisce l'arbitrio del potere. In questo si rifletteva oggettivamente una tendenza reazionaria di una parte dell'amministrazione bush impersonata da Dick Cheney, il vicepresidente, meglio noto come il carognone. Ma questo vale per quello che dicevo più su. Cheney era un vecchio arnese dei tempi di reagan e bush primo, una specie di commissario politico di tipo sovietico che l'ala radicale del partito aveva voluto mettere lì a sorvegliare bush, il quale scegliendolo aveva commesso un errore. Lo stesso che Obama ripete con i clintoniani. Quando Ronald Reagan arrivò alla case bianca disse al suo capo dello staff: "scieglimi gli uomini migliori, ma assicurati che abbiano un curriculum immacolato. "In che senso"? Gli chiese quello. "Che non siano mai lecchini di qualche altro presidente". Rispose il vecchio Ron. Solo così in quella fortunata amministrazione entrarono dei pazzi visionari come laffer.
Poi io dico sempre che il patriot act ha dimostrato la forza della democrazia americana, perché la corte suprema ha dichiarato incostituzionali le norme che confliggevano con il primo, il quarto, il quinto e il sesto emendamento. Roba normale. Ma il fatto è che la corte al tempo era formata da giudici a maggioranza repubblicana, di cui uno nominato da bush stesso, che senza pensarci un attimo votò contro il presidente che lo aveva nominato.


Su clegg io dico che si tratta di sete di potere mista ad ambizione, perché la legge elettorale proporzionale cameron non gliela può dare, a meno di accettare di decapitarsi da leader politico.
Cameron gli ha promesso un referendum, dice per l'anno prossimo, vediamo, Blair aveva promesso un referendum per l'adesione all'euro nel 2003 e non mi risulta che esso si sia mai celebrato.
Che poi gli inglesi siano così entusiasti di cambiare la legge elettorale che hanno da un paio di secoli per sposare un modello che più che australiano è tedesco, ho dei forti dubbi. I crucchi non sono mai stati molto popolari oltremanica.
Su Brown il tuo è un giudizio troppo severo.
Brown è stato un ministro del tesoro rigoroso e competente, durante il periodo glorioso del blarismo rampante(1997-2003) a volte nei sondaggi di popolarità, che non sono la bibbia ma servono ad intuire certi umori, eguagliava blair.
certo non aveva il carisma del principe, ma è stato sempre onesto intelligente e persipace, anche se ha commesso errori capitali come la nazionalizzazione della northern.
L'eredità di blair era troppo pesante per chiunque, come lo fu quella della tatcher ai tempi. Chiunque ne sarebbe stato travolto.
Non va dimenticato poi che una democrazia civile non può sopportare più di dieci anni di governo dello stesso partito, tranne rare eccezioni.
é una cosa fisiologica.

giusperito
00mercoledì 25 agosto 2010 00:49
dai intercettateci tutti è una provocazione.. cmq è il frutto malato del berlusconismo..
condivido la necessità che Obama non fallisca perché è l'immagine che potrebbe riaccendere il mito americano.. tuttavia le sue azioni sono vittima della sua immagine, ma credo che i sondaggi siano eccessivamente viziati e che presto qualcosa cambierà (penso alle dichiarazione di oggi sull'economia)..

a proposito che ne pensi del sistema elettorale australiano? A me convince abbastanza, farei giusto qlc cambiamento per renderlo compatibile con il sistema Italia.
...Leon...
00mercoledì 25 agosto 2010 11:13
L' "intercettateci tutti" è una risposta isterica sbagliata rispetto alla domanda di legalità nei confronti dei criminali [per lo più mafiosi, politici corrotti e colletti bianchi] che in assenza resterebbero impuniti.

Anche questo, purtroppo, è frutto della demagogia populista dei blogger moderni.
Selkis
00mercoledì 25 agosto 2010 11:22
Re:
...Leon..., 25/08/2010 11:13:

L' "intercettateci tutti" è una risposta isterica sbagliata rispetto alla domanda di legalità nei confronti dei criminali [per lo più mafiosi, politici corrotti e colletti bianchi] che in assenza resterebbero impuniti.

Anche questo, purtroppo, è frutto della demagogia populista dei blogger moderni.




a parte che i blogger non possono che essere moderni, dato che come strumento è relativamente nuovo, e a parte il fatto che tutti sono potenzialmente blogger (e non a caso i più seguiti, quelli che vengono sempre citati quando si parla della "blogosfera" appartengono a giornalisti di professione),
"intercettateci tutti" non è una risposta "isterica". È una risposta logica, e meno provocatoria di quel che sembra, alla polemica sulle intercettazioni. Se a me dicono "dato che l'intercettazione è uno strumento fondamentale per la lotta alla mafia, per il bene collettivo accettate la possibilità di essere intercettati come chiunque altro in italia?" io rispondo "certo, intercettatemi pure,tanto a parte qualche pettegolezzo non ho niente da nascondere. Io."
...Leon...
00mercoledì 25 agosto 2010 11:45
Re: Re:
Selkis, 25/08/2010 11.22:




a parte che i blogger non possono che essere moderni, dato che come strumento è relativamente nuovo, e a parte il fatto che tutti sono potenzialmente blogger (e non a caso i più seguiti, quelli che vengono sempre citati quando si parla della "blogosfera" appartengono a giornalisti di professione),
"intercettateci tutti" non è una risposta "isterica". È una risposta logica, e meno provocatoria di quel che sembra, alla polemica sulle intercettazioni. Se a me dicono "dato che l'intercettazione è uno strumento fondamentale per la lotta alla mafia, per il bene collettivo accettate la possibilità di essere intercettati come chiunque altro in italia?" io rispondo "certo, intercettatemi pure,tanto a parte qualche pettegolezzo non ho niente da nascondere. Io."



Ma è proprio questo lo scarto che non deve esistere: è illogico porre sullo stesso piano una persona colpita da gravi indizi di reato ed un pubblico cittadino che non ha assolutamente nulla da spartite con la legge. Proprio per l'equità posta alla base della giustizia c'è una distinzione tra chi compie reati, o è fortemente sospettato di compierli. Livellare verso il basso significa appiattire e rendere uguali situazioni che uguali non sono: significa declinare l'art. 3 della nostra Costituzione.
E la risposta non può essere "Certo!".
Selkis
00mercoledì 25 agosto 2010 11:52
Re: Re: Re:
...Leon..., 25/08/2010 11:45:



Ma è proprio questo lo scarto che non deve esistere: è illogico porre sullo stesso piano una persona colpita da gravi indizi di reato ed un pubblico cittadino che non ha assolutamente nulla da spartite con la legge. Proprio per l'equità posta alla base della giustizia c'è una distinzione tra chi compie reati, o è fortemente sospettato di compierli. Livellare verso il basso significa appiattire e rendere uguali situazioni che uguali non sono: significa declinare l'art. 3 della nostra Costituzione.
E la risposta non può essere "Certo!".




Ehm... è questa la provocazione. E l'appiattimento non viene da questo slogan, ma dalle contestazioni pretestuose a cui risponde. Il mancato distinguo è fatto da chi dice "... ma allora ci intercetteranno tutti!" non da chi dice "ok, e se anche fosse?"
giusperito
00mercoledì 25 agosto 2010 13:37
Re: Re:
Selkis, 25/08/2010 11.22:




a parte che i blogger non possono che essere moderni, dato che come strumento è relativamente nuovo, e a parte il fatto che tutti sono potenzialmente blogger (e non a caso i più seguiti, quelli che vengono sempre citati quando si parla della "blogosfera" appartengono a giornalisti di professione),
"intercettateci tutti" non è una risposta "isterica". È una risposta logica, e meno provocatoria di quel che sembra, alla polemica sulle intercettazioni. Se a me dicono "dato che l'intercettazione è uno strumento fondamentale per la lotta alla mafia, per il bene collettivo accettate la possibilità di essere intercettati come chiunque altro in italia?" io rispondo "certo, intercettatemi pure,tanto a parte qualche pettegolezzo non ho niente da nascondere. Io."




ti prego ritratta [SM=x43638]
JuanManuelFangio
00giovedì 26 agosto 2010 12:07
Re: Re:
giusperito, 18/08/2010 2.58:




Mi sembra che le condizioni in cui si trova l'America, cioè l'incubo a cui ti riferisci, siano il frutto delle scelte della precedente gestione o se vogliamo della congiuntura economica internazionale che certo non dipende dalle sue scelte. Posto anche che tu hai sempre criticato l'influenza di Krugman sulle scelte di Obama pensare di valutare in un periodo così breve ed ancora così instabile il risultato di tali scelte è definibile come un atto di arbitrio. Potrei condividere un'analisi teorica sugli errori di Obama, ma non pratica. Sull'Afghanistan la tua valutazione non prende in considerazione il rapporto del dicembre 2008 del comandante delle truppe americane che prevedeva per l'aprile successivo un inasprimento della guerra. Si tratta di una questione che prescinde dalle scelte di Obama e si lega anzi al particolare sostegno che certe nazioni come l'Iran stanno ricevendo da stati sempre più sull'orlo di una crisi di credibilità interna ed internazionale (come la Russia). L'Iraq non era una guerra vinta per il semplice motivo che non si riesce a costituire un governo da oltre un anno e la classe dirigente mi sembra la stessa insediata al tempo di Bush. Se in Iraq o in Afghanistan si muore oggi è per lo stesso motivo per cui si moriva ieri. E' una guerra che piaccia o meno, che sia giustificata o meno è una guerra. Se non si volevano i morti, non si andava. Certo non può essere il tentativo di individuare un exit strategy il motivo per cui si muore.
Poi posso essere d'accordo che Obama non sia riuscito a regalare un sogno agli americani, ma spesso quelli che si presentano come paradisi diventano inferni. Allora forse è il caso di ricordare che il compito di un politico è il rispetto della libertà del popolo (motivo per cui la moschea deve essere costruita) e il tentativo costante di riformare il suo paese in meglio.
Sulla previsione delle elezioni di medio termine permettimi ma è meglio lasciar stare i sondaggi e le previsioni. Si tratta di un modo come un altro per non parlare di politica, ma di supposizioni. E' legittimo, ma sul piano delle supposizioni tutto è legittimo. Diciamo è un po' come quando dicevi che Cameron avrebbe stravinto e, dopo non aver nemmeno vinto, che non avrebbe mai accettato un governo con Clegg.
In ogni caso per tornare in topic Dio salvi il presidente che parla senza cavalcare i sondaggi, senza vendere i principi fondamentali delal sua nazione alle necessità elettorali (e ne avrebbe avuto ben motivo visto che tra 3 mesi si vota), senza vendere le sue convizioni intellettuali sul banco dell'arrivismo. Ogni popolo è libero di suicidarsi come vuole, Dio benedica Obama che non è il motore di questo suicidio.
Se poi vogliamo criticare le sue scelte a disposizione, ma sulla base di fatti e non di antipatie personali.




..ma se lo critica un giorno si e l'altro pure perchè troppo poco deciso nell'intervento statale. Guardate che Krugman ha lavorato anche con Reagan.... L'errore di fondo che fate è immaginare Krugman con la sciarpetta keynesiana che salta sulla curva scrivendo cartelloni in formato assi cartesiani contro Feldstein. Questi signori, come tutti gli uomini di scienza hanno le proprie idee, i propri orientamenti, ma comunque sono dei professionisti. Non è assurdo vederli come consiglieri economici una volta dei democratici un'altra dei repubblicani. Scusate ma voi giudicate un pilota di Formula 1 da come la pensa in materia di aborto oppure da come sa guidare?
giusperito
00giovedì 26 agosto 2010 22:44
infatti io dicevo che è obama a risentire dell'ingluenza di krugman, mica il contrario... era un discorso che prescindeva dall'ascrivibilità di krugman ai democratici.. ritengo che obama per formazione culturale sia molto sensibile alle proposte di K.
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