L'enigma Keynes: ricetta o causa della crisi?

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trixam
00mercoledì 12 gennaio 2011 13:41
Dopo qualche decennio di sordina, il pensiero di Keynes è tornato al centro dell’attenzione, non solo fra gli economisti. La ragione è semplice: per uscire dalla crisi i Paesi sviluppati stanno adottando politiche essenzialmente keynesiane, ma non tutti gli esperti sono convinti che funzioneranno. Di qui la moltiplicazione di libri che tornano sul pensiero di Keynes, sulla sua visione del capitalismo, sulle sue ricette di politica economica, a partire dalle due fondamentali: ridurre i tassi di interesse, aumentare la spesa pubblica, anche in deficit. Una riflessione che si fa particolarmente interessante, per non dire inquietante, allorché ci si accorge che non solo manca qualsiasi accordo sulla bontà delle ricette keynesiane, ma non c’è consenso neppure su che cosa Keynes avrebbe veramente detto, e ancor meno sulla natura delle politiche economiche che ci hanno condotto alla crisi attuale.

E allora il modo migliore di entrare nel vivo, per il lettore curioso, è di partire da Keynes stesso. Magari cominciando dalla selezione dei suoi scritti proposta da Giorgio La Malfa, con il titolo Sono un liberale?, ripreso da un saggio del 1925 (Sono un liberale?, Adelphi 2010). La raccolta spazia negli ambiti più diversi, e si lascia apprezzare anche per la scrittura incisiva, spesso polemica, con cui Keynes affronta i vari argomenti, talvolta a contenuto prevalentemente accademico (come nei saggi su Marshall, Malthus, Newton), talaltra legati all’attualità politica ed economica del suo tempo: le riparazioni di guerra, i partiti politici, l’economia russa, la fine del gold standard. La breve introduzione di La Malfa, da sempre studioso e ammiratore di Keynes, non manca di offrirci la sua personale lettura della crisi attuale: per La Malfa la crisi del 2007-2009 ha le sue radici nell’abbandono delle politiche keynesiane durante il trentennio liberista (da Reagan e Thatcher in poi), e perciò il superamento della crisi - che a suo parere ora sarebbe finalmente in corso - è strettamente legato al ritorno a Keynes.

Un parere alquanto diverso sulla bontà delle ricette keynesiane si può ritrovare in un altro libro su Keynes, anch’esso uscito nell’anno appena trascorso, a firma Franco Reviglio, economista illustre, ex senatore ed ex ministro, già presidente-amministratore delegato dell’Eni (Goodbye Keynes?, Guerini 2010). Autore già nel 1977 di un libro profetico, in cui avvertiva che l’eccessiva espansione della spesa pubblica avrebbe condotto l’Italia alla stagnazione (Spesa pubblica e stagnazione dell’economia italiana, Il Mulino 1977), Reviglio non pare affatto fiducioso nelle politiche espansive propugnate dai seguaci di Keynes, e richiama i numerosi studi che hanno mostrato gli effetti negativi che il debito esercita sulla crescita, specie allorché il rapporto debito/Pil supera il 90%.

Ma la critica più impietosa dell’edificio keynesiano proviene da un terzo libro su Keynes, uscito in inglese nel 2009 e da poco tradotto anche in Italia grazie all’Istituto Bruno Leoni (Hunter Lewis, Tutti gli errori di Keynes, IBL 2010). Preceduto da un denso saggio di Francesco Forte, il libro di Hunter Lewis ricostruisce minuziosamente il pensiero di Keynes, le sue oscillazioni, le sue incoerenze, per approdare a una diagnosi tanto severa quanto sorprendente, almeno rispetto alle idee oggi dominanti. Secondo Lewis, non solo le ricette keynesiane attualmente in voga non funzionano, ma è proprio grazie ad esse che le economie dei Paesi sviluppati sono precipitate nella crisi. Contrariamente a quanto sentiamo ripetere da alcuni decenni, l’era del turbocapitalismo, del «pensiero unico», della controrivoluzione monetarista, del liberismo selvaggio, è stata molto più keynesiana di quanto i seguaci di Keynes siano oggi disposti ad ammettere. Privatizzazioni e deregolamentazioni, capisaldi della controrivoluzione liberista, si sono spesso mescolati con ingredienti di matrice keynesiana, come i bassi tassi di interesse e la spesa pubblica in deficit, dando luogo a un cocktail inedito, o se preferite a un keynesismo «paradossale», per riprendere la felice espressione coniata da Riccardo Bellofiore nella sua introduzione al classico testo di Minsky su Keynes, molto tempestivamente ripubblicato da Bollati Boringhieri (John Maynard Keynes e l’instabilità del capitalismo, Bollati Boringhieri 2009).

Secondo Lewis, che in parte riprende proprio le analisi di Minsky, le crisi degli ultimi decenni hanno per lo più seguito un tipico pattern keynesiano: credito facile, bassi tassi di interesse, spesa pubblica in deficit, aumento del valore degli asset (case e azioni), inflazione, stretta del credito, recessione. Insomma, Keynes non sarebbe il rimedio, ma semmai l’origine della crisi attuale.

Una ricostruzione, quella di Lewis, che rovescia il senso comune tuttora prevalente, per cui i governi conservatori sarebbero ultra-liberisti, mentre quelli progressisti sarebbero keynesiani. E che trova conferma nell’analisi storica dei deficit pubblici: nella deriva espansiva degli ultimi decenni, assai poco attenta all’equilibrio di bilancio, i governi ultra-liberisti di Reagan-Bush (senior) e Thatcher-Major si sono dimostrati spesso più disinvolti dei loro successori progressisti, Bill Clinton negli Stati Uniti e Tony Blair nel Regno Unito.

Insomma il puzzle keynesiano resta più che mai tale. I quattro libri di Keynes, Reviglio, Lewis e Minsky non lo risolvono, ma sicuramente aguzzano l’ingegno del lettore.


Luca Ricolfi
ObbligazioneNaturale
00mercoledì 12 gennaio 2011 17:04
Nella foga, Ricolfi dimentica 2-3 punti abbastanza importanti.
Un disclaimer per meglio leggere e comprendere l'articolo che e' in effetti una rassegna letteraria.

Quale crisi?
Quella dei subrime? Quella dell'Euro? Quella del debito Sovrano?
Tra il 2006 ed il 2009 abbiamo avuto una serie ininterrotta di cause certamente endogene (basti pensare all'eredita' post 2001) ma certamente indipendenti da una qualsiasi influenza ultraterrena da parte di Keynes.
Questioni diverse anche in classi apparentemente contigue (i deficit d'Irlanda e Grecia sono diversi).
Nello specifico: le politiche Keynesiane avranno semmai aggravato la malattia piuttosto che curarla.
In Irlanda poi...

Le cause sarebbero altre: connivenza dei politici, inettitudine, scarsa crescita, deregulamentation.
democrat4lyf90
00mercoledì 12 gennaio 2011 17:15
Re:
ObbligazioneNaturale, 12/01/2011 17.04:

Nella foga, Ricolfi dimentica 2-3 punti abbastanza importanti.
Un disclaimer per meglio leggere e comprendere l'articolo che e' in effetti una rassegna letteraria.

Quale crisi?
Quella dei subrime? Quella dell'Euro? Quella del debito Sovrano?
Tra il 2006 ed il 2009 abbiamo avuto una serie ininterrotta di cause certamente endogene (basti pensare all'eredita' post 2001) ma certamente indipendenti da una qualsiasi influenza ultraterrena da parte di Keynes.
Questioni diverse anche in classi apparentemente contigue (i deficit d'Irlanda e Grecia sono diversi).
Nello specifico: le politiche Keynesiane avranno semmai aggravato la malattia piuttosto che curarla.
In Irlanda poi...

Le cause sarebbero altre: connivenza dei politici, inettitudine, scarsa crescita, deregulamentation.



uhm sì sono d'accordo [SM=x43665]

ma tu sei il fratellino di Giusperito ? [SM=x43627]
parli bello come lui [SM=x43829]

trixam
00mercoledì 12 gennaio 2011 21:58
Re:
ObbligazioneNaturale, 12/01/2011 17.04:

Nella foga, Ricolfi dimentica 2-3 punti abbastanza importanti.
Un disclaimer per meglio leggere e comprendere l'articolo che e' in effetti una rassegna letteraria.

Quale crisi?
Quella dei subrime? Quella dell'Euro? Quella del debito Sovrano?
Tra il 2006 ed il 2009 abbiamo avuto una serie ininterrotta di cause certamente endogene (basti pensare all'eredita' post 2001) ma certamente indipendenti da una qualsiasi influenza ultraterrena da parte di Keynes.
Questioni diverse anche in classi apparentemente contigue (i deficit d'Irlanda e Grecia sono diversi).
Nello specifico: le politiche Keynesiane avranno semmai aggravato la malattia piuttosto che curarla.
In Irlanda poi...

Le cause sarebbero altre: connivenza dei politici, inettitudine, scarsa crescita, deregulamentation.



Credo che si riferisca chiaramente alla categoria generale "crisi finanziaria" nella declinazione crisi sub prime iniziata nell'agosto 2007 e deflagrata con il fallimento di Lehman bros, che portò a fasi recessive e alla teorizzazione della necessità dell'intervento degli stati con pacchetti di stimoli ecc, come quello varato da Obama bel febbraio 2009.
Bisogna poi capire cosa si intende per cause endogene. Endogene a cosa? Al sistema finanziario? Al sistema produttivo? Al capitalismo in genere?
Penso che ad esempio ricolfi si riferisca alle critiche espresse da lewis alla politica monetaria di greenspan che è certamente tra i quattro fattori scatenanti della crisi.
Questà è una eredità post 2001.

La provocazione di lewis, che tanto provocazione poi non è visti i dati, è quella di dimostrare come l'amministrazione repubblicana di Bush sia stata più keynesiana di quella democratica precedente, soprattutto nella politica di stimolo creditizio per l'accesso al credito da parte di chi non se lo meritava per l'acquisto di case tramite l'azione della federal housing administration o le direttive congressuali alle gse, fatte per altro spesso bipartisan,
E cercare di dimostrare per esempio come invece le famose le leggi di deregolamentazione, poi tanto nocive non erano, visto che senza la Gramm-Leach Bliley Act, voluta da clinton, che differenziava i servizi finanziari e permetteva alle banche di investimento di diventare Holding bancarie, Goldman sachs e Morgan staley sarebbero fallite innescando una crisi enormemente più grave.

Insomma una delle tesi di Lewis, che va contro l'interpretazione dominante, è che questa sia una tipica crisi da regolamentazione.

Carla_1
00mercoledì 12 gennaio 2011 22:01
Meno male,almeno non è stato inutile studiare Keynes [SM=x43600] (è quello che mi è piaciuto di più [SM=x43829] )
giusperito
00giovedì 13 gennaio 2011 10:41
Re: Re:
democrat4lyf90, 12/01/2011 17.15:



uhm sì sono d'accordo [SM=x43665]

ma tu sei il fratellino di Giusperito ? [SM=x43627]
parli bello come lui [SM=x43829]





Non potrei tollerare un keynesiano in famiglia [SM=x43612]
Cmq Obbligazione è una delle risorse migliori del forum..

@Obbligazione: il discorso dell'Irlanda è monco. Personalmente ritengo che il vero problema irlandese è stato l'accollo del debito delle banche.
JuanManuelFangio
00giovedì 13 gennaio 2011 12:33
La grandezza di Keynes sta tutta nella straordinaria quanto semplice intuizione secondo la quale, nel breve periodo, i cittadini d'uno stato vogliono detenere oziosa una quantità di moneta in aggregato superiore a quella che in realtà possono realmente permettersi.
Da ciò la nota affermazione secondo cui un aumento del desiderio di risparmiare provoca una diminuzione del risparmio effettivo.
Keynes era un pensatore fuori dagli schermi, rifiutava l'ortodossia economica dominante quando essa chiudeva gli occhi di fronte alle crisi di sotto-occupazione per rinchiudersi negli schemi perfetti d'un mercato sempre efficiente, ma di certo non negava la bontà delle tesi sul riequilibrio di lungo periodo. Il fatto è che egli maturò le sue riflessioni quando negli USA la disoccupazione era diventata una piaga sociale, per cui si doveva necessariamente trovare una soluzione alternativa alla semplice idea di far flettere i salari verso il basso.
Non ch'egli rifiutasse tout court questa idea, semplicemente la trovava inadeguata perché, appunto, teoria di lungo periodo. Purtroppo, come ebbe a dire nella sua più celebre affermazione, nel lungo periodo saremo tutti morti.



@Giusperito (a parte un caloroso saluto) se la crisi dell'Irlanda è dovuta solo all'eccessivo indebitamento per salvare le banche, allora gli USA domani chiudono bottega. La realtà è che, come correttamente rilevato da te, il piano di salvataggio è stato sicuramente troppo oneroso, ma il motivo dell'eccesso di onere sta tutta nella via prescelta dall'Irlanda: deregolamentare i mercati finanziari, ridurre al minimo la tassazione sulle imprese, al fine di attirare quanti più capitali possibile. Il problema è che l'effetto positivo di tale politica sulla bilancia dei pagamenti è solo illusoria, poiché gli attivi maggiori (e decisivi) sono tutti alla voce movimenti di capitale, la cui aleatorietà è inversamente proporzionale ai rendimenti di lungo periodo.

giusperito
00giovedì 13 gennaio 2011 17:03
Assolutamente non sta in quello. L'Irlanda è un piccolo Paese con una bassa densità di abitanti e il suo Pil in ogni caso non potrebbe essere paragonabile a quello di Stati grandi come l'Italia (decisamente più povera, ma con Pil superiore). Il problema dell'Irlanda è stato il salvataggio delle banche (imposta da chi?) che è una misura assolutamente in controtendenza rispetto allo stile liberista degli anni passati.
Inoltre per sostenere la tua posizione bisognerebbe dimostrare che il Pil irlandese poteva essere sensibilmente superiore a quello attuale con altre politiche (ne abbiamo già parlato). Tuttavia immaginare un Pil in grado di assorbire quel debito è opera assai ardua (farei una valutazione su quali Stati siano riusciti a tamponare i debiti delle proprie banche e soprattutto mi porrei la domanda del perché salvare una banca)

Un caloroso saluto anche a te (nell'altro topic ho visto che già stai in tenuta da guerra [SM=x43607] , ma la befana ti ha intossicato? [SM=x43606] )
JuanManuelFangio
00venerdì 14 gennaio 2011 00:08
Re:
giusperito, 13/01/2011 17.03:

Assolutamente non sta in quello. L'Irlanda è un piccolo Paese con una bassa densità di abitanti e il suo Pil in ogni caso non potrebbe essere paragonabile a quello di Stati grandi come l'Italia (decisamente più povera, ma con Pil superiore). Il problema dell'Irlanda è stato il salvataggio delle banche (imposta da chi?) che è una misura assolutamente in controtendenza rispetto allo stile liberista degli anni passati.
Inoltre per sostenere la tua posizione bisognerebbe dimostrare che il Pil irlandese poteva essere sensibilmente superiore a quello attuale con altre politiche (ne abbiamo già parlato). Tuttavia immaginare un Pil in grado di assorbire quel debito è opera assai ardua (farei una valutazione su quali Stati siano riusciti a tamponare i debiti delle proprie banche e soprattutto mi porrei la domanda del perché salvare una banca)

Un caloroso saluto anche a te (nell'altro topic ho visto che già stai in tenuta da guerra [SM=x43607] , ma la befana ti ha intossicato? [SM=x43606] )




Macché, posso stimarti anche senza essere buonista. [SM=x43812]
Su certe cose abbiamo posizioni diverse, lo sai. E poi, se non fosse così non ti divertiresti. [SM=x43636]
Carla_1
00venerdì 14 gennaio 2011 00:15
[SM=x1457839] [SM=x1520878]
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