Il ranking internazionale delle università italiane

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(pollastro)
00sabato 17 agosto 2013 21:14
l'indice 2013 dell'università Jiao Tong di Shangai
L’Università di Pisa la migliore d’Italia, segue la Sapienza. Ma è record negativo nelle classifiche internazionali
Le Università di Pisa e quella di Roma “La Sapienza” sono le migliori in Italia, almeno secondo il prestigioso Academic Ranking of World Universities (www.shanghairanking.com) elaborato dalla “Jiao Tong” University di Shanghai per il 2013. I due atenei sono i primi tra gli italiani e si posizionano tra il 101° e il 150° posto al mondo, precedendo quelli di Milano e Padova, tra il 151° e il 200 posto, e quelli di Bologna, Firenze, Torino e del Politecnico di Milano, che si situano tutti tra il 201° e il 300° posto. Complessivamente, sono 19 le istituzioni accademiche italiane che quest’anno compaiono tra le primo 500 al mondo, contro le 20 dello scorso anno e le 22 del 2011, ponendo l’Italia all’8° posto tra le Nazioni, subito dietro la Francia (che ne ha 4 tra le prime 100) e il Giappone (3 nelle prime 100) con 20. A primeggiare sono ancora una volta le università degli Stati Uniti, con 17 tra le prime 20 e 149 tra le prime 500, seguite da quelle della Cina (42 tra le prime 500, ma nessuna tra le prime 100), Germania (38 e 4 tra le prime 100) e Regno Unito (37 e ben 9 tra le prime 100). L’Ateneo pisano, come scritto sul suo sito, conferma la leadership in Italia per il macro settore delle Scienze naturali e matematiche, essendo presente tra i primi 100 al mondo insieme alla Scuola Normale e all’Università di Padova. Compare inoltre in quello dell’Ingegneria, tecnologia e informatica, dove è tra il 151° e il 200° posto al mondo. L’Università di Pisa è infine presente in quattro dei cinque campi disciplinari monitorati dall’ARWU: quelli della Matematica e della Fisica, entrambi posizionati tra il 76° e il 100° posto al mondo, e quelli della Chimica e dell’Informatica, che si piazzano tra il 151° e il 200° posto. “A dieci anni dalla nascita della classifica di Shanghai, che è senza dubbio quella più accreditata a livello internazionale – ha commentato il rettore Massimo Augello – possiamo provare a tracciare un bilancio sul medio periodo. Per quanto riguarda l’Università di Pisa, tale bilancio è molto positivo, avendo scalato circa cento posizioni dal 2003, quando era collocata tra il 201° e il 250° posto al mondo, ed essendo diventata da alcuni anni leader assoluta in Italia, insieme alla Sapienza di Roma, dopo aver scavalcato atenei del prestigio di Milano, Firenze e Padova”. Per quanto riguarda la situazione generale, però, le cose sembrano non andare a gonfie vele. “Non altrettanto può dirsi, in generale, per il nostro sistema universitario, che ha visto diminuire le sue presenze nella top 500 mondiale, passando dalle 23 del 2003 al minimo di 19 di quest’anno, e che da un lungo periodo non conta università tra le prime 100 al mondo. A mio parere, ciò è conseguenza di una politica miope da parte dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese, che hanno continuato a tagliare i fondi e impedito di fatto gli investimenti in risorse umane tendenti a un ricambio generazionale. In tal modo il Paese non ha saputo cogliere il rilievo fondamentale che il mondo dell’università e della ricerca ha nella società contemporanea, non riuscendo a rilanciare e valorizzare l’enorme potenziale di ricchezza degli atenei italiani in un contesto mondiale sempre più competitivo e globalizzato”.
Corriere del’Università Job, sabato 17 agosto 2013
connormaclaud
00domenica 18 agosto 2013 09:19

A mio parere, ciò è conseguenza di una politica miope da parte dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese, che hanno continuato a tagliare i fondi e impedito di fatto gli investimenti in risorse umane tendenti a un ricambio generazionale.



Continuare a puntare il dito contro la politica e desiderare fondi a pioggia non aiuterà le università, se non nello sperpero.

Curioso di vedere il ranking della facoltà di giurisprudenza,stando a questo sito, La Sapienza si conferma seconda in italia,preceduta da Bologna.

(pollastro)
00domenica 18 agosto 2013 10:18
Dal professore Prisco, che mi prega di postare (come Pollastro avevo postato la notizia autonomamente, senza sentirlo, ma condivido il giudizio)

Condivido Connormclaud sotto questo profilo: occorrono non "non fondi a pioggia", ma intelligente internazionalizzazione, incrocio virtuoso tra didattica e ricerca profondamente rinnovate, apertura alla concorrenza intellettuale veramente seria; tuttavia è anche vero che exilis nummus brevem parit missam (traduzione napoletana: non sarà insomma tutta questione di investimenti economici, ma è pur vero che senza denare nun se cantano messe; o - appunto - si celebrano solo messe sciuè sciué).
Il problema vero mi sembra il provincialismo del ceto politico, che dice di credere - ma senza che sia troppo vero (salvo mandare i suoi figli all'estero e in università "esclusive" e costose) - in quegli obiettivi come davvero per tutti: non si tratta solo di fondi, ma di convinzione vera di unamission: da questo punto di vista, la tanto vituperata Gelmini non aveva tutti i torti e mi fido del ministro Carrozza, se il Governo dovesse durare, del che non sono sicuro
connormaclaud
00domenica 18 agosto 2013 11:14
Si potrebbe iniziare col cantare in più chiese [SM=g2725400] anche perchè ,alla lunga, musica e musicanti annoiano.
Servirebbe uno studio che analizzasse le forme ed i modi di sopravvivenza delle università ben piazzate in classifica, ma oso immaginare che naufragherebbe ancor prima di iniziare.

La creazione di poli di ricerca ,slegati dai "poteri" universitari, è probabilmente il primo passo da fare,contestualmente l'eliminazione della figura del "collaboratore" a vantaggio del ricercatore, iniziare a discutere di fondi dai privati -goccia dopo goccia in mezzo secolo si potrebbe avere un'alternativa complementare al papàstato- e atomizzare la destinazione delle risorse,c'est à dire, ogni ministero s'impegna a collaborare con la vita delle singole facoltà, con pecunia e molto di più.

Solo dopo è possibile,a mio avviso, toccare l'insegnamento in modo consapevole.
Come sempre è la voglia a latitare.

(pollastro)
00domenica 18 agosto 2013 12:10
Le classifiche delle università: possiamo davvero fidarci?
di Andrea Ichino, Università di Bologna, Corriere della Sera, domenica 18/8/2013

Quando esce una classifica internazionale delle università tutti iniziano ad accapigliarsi su quanto credito essa debba ricevere. E purtroppo il dibattito viene immediatamente monopolizzato da chi per principio è contrario ad ogni tentativo di misurare il merito per dargli un giusto valore e da chi invece crede, un po' ottusamente, che qualsiasi classifica, comunque fatta, sia utile. La realtà è che il prestigio e la qualità di un ateneo dipendono da una molteplicità di caratteristiche che hanno necessariamente valore diverso per utenti diversi. Nessuna classifica può andar bene a tutti, perché chiunque sia interessato a comparare tra loro degli atenei vorrà dare i suoi pesi preferiti a ciascuna caratteristica. Ci sono ad esempio università straordinariamente eccellenti in alcune materie, ma molto carenti in altre e università che invece garantiscono un minimo decente nella maggior parte dei campi. Oppure atenei che privilegiano la qualità dei docenti e dei ricercatori a scapito della modernità delle strutture e viceversa. Uno Stato interessato a stimolare l'eccellenza valuterà questi atenei in modo diverso da uno Stato che voglia garantire un livello minimo di qualità a tutti. E diversa ancora sarà la valutazione di uno studente interessato ad una specifica materia o di un docente interessato alla qualità dei colleghi. Dire queste cose, quasi ovvie, non significa però affermare che non debbano esistere università di serie A e B, oppure che le differenze di prestigio e qualità tra gli atenei non siano misurabili e comunque debbano essere tenute nascoste. Significa invece chiedere, a chi formula classifiche, di fare una cosa molto diversa e ben più coraggiosa: ossia rendere trasparenti e il più possibile complete le informazioni elementari sulla base delle quali poi ognuno potrà farsi la sua valutazione, scegliendo autonomamente i pesi da dare a ciascuna caratteristica. In questa direzione si è opportunamente mossa l'Anvur per quel che riguarda la valutazione di una delle dimensioni della qualità di un ateneo, ossia la ricerca. I rapporti dettagliati dei Gruppi di Esperti Anvur per ciascuna disciplina, non si sono limitati ad una classifica e hanno cercato di dare informazioni elementari che consentano valutazioni autonome. Ad esempio, oltre a tenere separate le singole materie, non è stato reso pubblico solo il risultato medio ottenuto da ciascun dipartimento, ma sono state anche fornite informazioni utili per capire se quel risultato medio deriva da punte di eccellenza combinate a zone d'ombra, oppure è indice di una omogeneità di valore dei ricercatori. Molto di più l'Anvur potrebbe e dovrebbe fare per mettere a disposizioni le informazioni elementari sui singoli prodotti di ricerca, ma la strada imboccata è quella giusta. C'è però, in questo modo, il rischio di una valutazione «fai da te» in cui tutti possono trovare il modo di risultare primi? No, perché se le informazioni elementari sono disponibili, ognuno può controllare come la classifica è stata fatta e decidere se credere a tutti quelli che dicono di essere i migliori oppure solo ad alcuni, e soprattutto decidere per proprio conto chi sia il migliore disponendo delle informazioni necessarie per farlo a ragion veduta. E dovrebbe essere in primo luogo lo Stato a fornire queste informazioni: basterebbe un sito web nel quale registrare, dipartimento per dipartimento, tutte le informazioni elementari riguardanti la ricerca, le strutture, le dimensioni, la didattica, i risultati ottenuti dai laureati nel mercato del lavoro, e via dicendo. Il sito dovrebbe poi fornire una maschera mediante la quale l'utente possa aggregare nel modo preferito le diverse caratteristiche. Anche lo Stato, come ogni altro utente, potrebbe proporre le sue valutazioni: la trasparenza delle informazioni elementari e dei criteri usati per ogni classifica stopperebbe sul nascere inutili discussioni di principio, consentendo invece una dibattito molto più serio, informato e ragionato sulla qualità dei singoli atenei e dei loro dipartimenti.
(pollastro)
00domenica 18 agosto 2013 15:43
Per continuare la discussione

Università, la finta eccellenza della Bocconi
di Francesco Sylos Labini, Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2012(articolo scritto in collaborazione con Francesco Coniglione)


Uno dei problemi che caratterizzano il dibattito pubblico sull’università e la ricerca è l’uso intenzionale di dati ed informazioni che deformano la realtà. Giuseppe de Nicolao ha recentemente raccolto una guida alla demistificazione delle leggende sull’università e la ricerca messe in giro da un gruppo di economisti di scuola neo-liberista, la maggior parte operanti in Italia alla Bocconi o nelle famose “migliori università americane”. Questa serie di luoghi comuni è stata utilizzata sia dal ministro Gelmini che dal ministro Profumo: non solo la politica ma il lessico comunicativo è stato lo stesso durante i due ministeri.
La settimana scorsa altri due economisti della stessa scuola, Andrea Ichino e Daniele Terlizzese, hanno scritto un articolo sul Corriere della Sera, in cui per dare supporto alla mistificatoria tesi “i poveri pagano l’università ai ricchi” hanno riportato una serie di dati e informazioni non veritiere. Ieri è stato il turno di un’altra coppia di economisti, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, che, di nuovo dalle colonne del Corriere della Sera, hanno spiegato perché nell’Agenda Monti ci sarebbe troppo Stato. Con i colleghi di Roars abbiamo già analizzato l’Agenda Monti, mostrando che questa si muove in perfetta continuità con le politiche del governo Berlusconi che stanno non solo ridimensionando l’università ma orientando la ricerca a essere non solo al servizio dell’impresa quanto piuttosto completamente assoggettata a questa.
Scrivono dunque Giavazzi e Alesina: “… Ci spiace parlare della nostra università, ma la Bocconi non riceve sussidî pubblici, si finanzia con rette scolastiche che sono modulate in funzione del reddito, ed è uno dei pochi atenei italiani che non fa brutta figura nelle classifiche internazionali. Riprodurre questo modello altrove non è impossibile.”
Non riceve sussidî pubblici? Vediamo un po’. Il contributo pubblico alle accademie private è stato nel 2012 di 89,6 milioni di euro, contro i 79.5 mln del 2011, di cui 14,95 mln (13,5mln nel 2011) alla Bocconi. Come risulta dalla tabella che determina la ripartizione del fondo agli atenei privati, le voci sono state: 9 mln in misura proporzionale alla quota attribuita agli stessi nel 2011, 4.2mln come compensazione del mancato gettito delle tasse e 1.8 mln destinato a fini premiali agli atenei. Considerando che la Bocconi ha circa 13,000 studenti il costo per i contribuenti per ogni studente che frequenta la Bocconi è di 1.150 euro: per dare un ordine di grandezza questa cifra è leggermente inferiore alle tasse universitarie pagate in media da uno studente italiano (circa 1.400 euro).
Considerando i finanziamenti complessivamente ricevuti dalle amministrazioni pubbliche, apprendiamo che nel bilancio 2009 i contributi (statali o regionali) sono ‘scesi’ da 35 a 32 milioni. Il che porta il costo di ogni studente per la collettività a circa 2.400 euro, molto più delle tasse mediamente pagate nelle università statali. Possiamo dunque concludere che la Bocconi riceve consistenti sussidî pubblici che sono aumentati del 10% nell’ultimo anno, proprio quando il finanziamento agli atenei pubblici ha subito un ulteriore taglio del 5% (che si è andato ad aggiungere ad una serie di tagli che continuano dal 2008).
Ed ora veniamo alle classifiche internazionali, tanto spesso invocate come una sorta di arma di distruzione di massa contro le università statali italiane. Abbiamo già espresso altrove non poche perplessità in merito, per cui non siamo certo noi a sostenere la loro assoluta affidabilità ed esattezza nel valutare i meriti relativi delle varie università. La situazione è la seguente: nessuna delle università private, né quelle sorte negli ultimi anni, né quelle “storiche” arriva entro le prime 500 o 400 posizioni. Ad esempio la Bocconi nelle classifiche generaliste (che considerano anche università specializzate), è assente tra le prime 400, 500 o 700 università del mondo in ben 7 ranking su 8. Quindi se per classifiche internazionali si considerano quelle generaliste, cui si fa riferimento nella discussione dei rankings delle università, la situazione è diversa da quanto scritto dai due economisti, ed addirittura vi sono delle università statali che hanno posizionamenti migliori della Bocconi, se si considerano specifici campi di ricerca. Ad esempio, per la più citata di queste classifiche, l’ARWU, nelle prime 100 al mondo compaiono 6 dipartimenti di fisica, 2 di matematica, 2 di chimica, uno di ingegneria e zero di economia. Nel QS Rankings la Bocconi, nella categoria Social Sciences and Management, occupa il 46° posto su 50, mentre in Engineering and Technology il Politecnico di Milano, università statale, occupa il 48° posto.
In conclusione la Bocconi non è affatto un faro di eccellenza internazionale ed in Italia, se si guardano le classifiche scorporate o il numero di pubblicazioni/citazioni delle singole discipline, vi è di molto meglio; però lo Stato sovvenziona i suoi studenti e la Bocconi non paga l’IMU. Insomma un ottimo esempio del capitalismo all’italiana, quello a cui Giavazzi è tanto affezionato: Libero Mercato sì, ma finché si scherza.
connormaclaud
00domenica 18 agosto 2013 17:48
La Bocconi sa vendersi,c'è poco da fare.
Non so dire se sia un bene o un male eppure, relazionato al menefreghismo delle "statali" che vengono svegliate - un pò rincoglionite- a suon di schiaffi da classifiche impietose, un pò di buona volontà, sarà pure nell'arte dell'arrangiarsi,la mette sul piatto.
La Bocconi non è un eccellenza,ma i suoi studenti non vengono lasciati a se stessi, questo bisogna dargliene atto.

L'articolo parla di un incremento dei fondi statali col governo Monti - un fulmine a ciel sereno [SM=g2725381] - però l'altra faccia della medaglia è un'università che in passato è stata in grado di vivere da privata.
Oggi probabilmente ha avuto un appiattimento con il resto del paese e vive sulle ceneri della nomea,ma sono solo ipotesi.
(pollastro)
00lunedì 19 agosto 2013 17:54
Il Corriere dell'Università Job , 19 agosto 2013
Classifiche dell’Università, ancora polemiche. Carrozza: “Parametri diversi, premiato modello anglosassone”
Fa ancora discutere la speciale classifica dell’Università di Shanghai. A intervenire, ora, è lo stesso ministro Carrozza. ”Bisogna prima di tutto leggere attentamente questi tipi di studî, di classifiche. I parametri di questi rankings premiano un certo approccio alla formazione e allo studio: il modello anglosassone è quello predominante nell’analisi e quindi è evidente che sia premiante per determinati istituti”.
In un’intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale il ministro commenta il responso dell’Academic Ranking of World Universities, che esclude Atenei italiani dalle prime cento posizioni. E si prova a spiegare il perché.
“I criterî privilegiano un certo tipo di università - continua Carrozza - e non riguardano solo per così dire le ‘deformazioni linguistiche’, ovvero il fatto che contino di più gli atenei che si distinguano per pubblicazioni in lingua inglese”.
“Contano percorsi non umanistici, tratto distintivo delle università italiane e, direi, europee. Condivido il pensiero del ministro francese: serve un metodo più europeo nella valutazione”.
“Le nostre università pubbliche sono luoghi dedicati a una formazione di massa - conclude il ministro - e devono fare i conti con le difficoltà economiche. Conosciamo bene lo stato di salute della ricerca italiana, che da sempre esprime eccellenze riconosciute a ogni latitudine. Stiamo lavorando per i giovani: il governo darà loro delle risposte”.
trixam
00mercoledì 21 agosto 2013 18:58
La soluzione è semplice. Basta seguire il pensiero del professor Bagnai da Pescara, grande prodotto dell'accademia italiana nonché neoguru delle masse internettiane: uscire dall'euro, così ci potrà essere una svalutazione della classifica e le nostre università tornare competitive.
Sembra un po' il suggerimento del ministro Carrozza che come sempre davanti alla realtà si lamenta dei criteri sbilanciati verso il modello anglosassone, poi invoca la solita "particolarità" del modello italiano e conclude che c'è bisogno di inventare un metodo di valutazione che cancelli la realtà e dica quanto siamo bravi.
Un compendio di italianità tremontiana. Ma dove li pescano questi ministri?

Ritengo veritiera la classifica per le italiane. Pisa è realmente la migliore università italiana, il resto è il solito mortorio.
Governare sistemi complessi come un sistema di istruzione superiore è una delle tante incapacità del paese, non c'è né la volontà né il Know How per farlo. Parliamo di un paese dove la politica universitaria la decide il Tar.

Infondo anche il rettore di Pisa non fa altro che chiedere soldi i quali servono, non c'è dubbio, ma devono arrivare dopo aver riformato il sistema.
Invece in Italia si inverte sempre l'ordine logico, prima i soldi e poi una volta preso il malloppo arriva il più classico del "chi ha avuto, ha avuto...."

Da qui in avanti sarà peggio perché la concorrenza tra governi per la predisposizione di infrastrutture istituzionali sempre più competitive(come il sistema d'istruzione) penalizzerà ancora di più paesi alla deriva come l'Italia.
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