La sua casa sarà chiusa dentro un recinto elettrificato alto 4 metri su tre lati e davanti una separazione
AL WALAJA – La casa azzurra e beige di Omar Hajajna sorge sulla sommità della collina nel villaggio di Al Walaja, che si trova in Cisgiordania, a sud ovest di Gerusalemme. La Linea Verde, tracciata nel 1949 dopo l’armistizio tra gli eserciti di Israele e dei Paesi arabi, dista mezzo chilometro: coincide con i binari della ferrovia che attraversa la valle collegando Gerusalemme a Tel Aviv. A est c'è la colonia di Gilo, e a sud Har Gilo. Omar, 44 anni, padre di tre figli, che lavora come muratore in Israele, non ammira il paesaggio. Seduto dentro casa su un vecchio divano, fuma nervosamente una sigaretta. Lunedì scorso funzionari israeliani gli hanno mostrato su una mappa il destino della sua casa. Un recinto elettrificato alto 4 metri la circonderà su tre lati ad una distanza di 10-15 metri dalle mura, dice. Il quarto lato sarà chiuso dalla barriera di separazione che Israele sta costruendo in Cisgiordania, che qui dovrebbe avere l’aspetto non di un muro ma di un doppio recinto pattugliato da guardie israeliane.
IL CANCELLO PERSONALE - Ci sarà un cancello apposta per lui, per entrare in Cisgiordania. «Tutto il villaggio è come una gabbia, e specialmente la mia casa», dice Omar. «Cosa accadrà se mia moglie si ammala? E i miei figli devono vivere così?». La moglie, con il velo azzurro a fiori bianchi che le incornicia il volto e scende fino alle gambe nascondendo le forme, si aggira ansiosa per le quattro stanze di casa. Dalla porta aperta si vedono gli operai israeliani armeggiare con una dozzina di sacchi di dinamite, che servono a spianare il terreno per la Barriera. A sei anni dal parere della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja sull’illegalità della Barriera di separazione israeliana quando devia dalla Linea Verde, la sua costruzione, iniziata nel 2002, è per due terzi completa. Corre per 400 chilometri e ingloberà il 9,4% della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est. Lo stato ebraico, accusato d'imporre unilateralmente un confine, dice che si tratta di una protezione temporanea contro i miliziani palestinesi che negli anni hanno ucciso centinaia di israeliani. L’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e l’Organizzazione mondiale della sanità esprimono preoccupazione per le conseguenze per la vita dei palestinesi: per i contadini che verranno separati dalle loro terre, per gli studenti isolati dalle scuole e i pazienti che necessitano di raggiungere gli ospedali.
IN TRIBUNALE - La Barriera circonderà completamente il villaggio di Al Walaja, in cui vivono 2.040 profughi, famoso perché ospita un ulivo millenario, secondo alcuni studi il più vecchio del mondo. Il percorso inizialmente previsto avrebbe tagliato in due Al Walaja. La comunità si è presentata in tribunale e ha ottenuto che il villaggio non venga diviso, ma il nuovo percorso, annunciato nel 2006, lo circonda consentendo l'uscita solo attraverso un tunnel o una strada controllata da un checkpoint. Il comune sta facendo ricorso insieme ad altri 9 villaggi della zona: non si oppongono alla Barriera in sé, ma al fatto che è costruita oltre la Linea Verde, ingabbiando gli abitanti e confiscando terre palestinesi. Li rappresenta un avvocato dell’Autorità nazionale palestinese. L'avvocato israeliano Ishay Shneidol cerca di aiutarlo contattando tutti gli abitanti che sono stati colpiti dalla costruzione della Barriera, spiega l’attivista Oz Marinov del «Norwegian Refugee Council».
IL VILLAGGIO - «Per noi Al Walaja è un caso importante – dice anche Matteo Benatti dell’Unrwa - perché si tratta di una comunità che nel 1948 è dovuta fuggire dal villaggio originario che si trova sulla collina opposta a questa (oggi Gerualemme ovest, ndr). Hanno trovato rifugio in questa zona dove prima c’erano i loro campi, hanno ricostruito la loro esistenza. Quello che temiamo adesso è che si taglino le persone dai loro campi e non possano più avere accesso». Il villaggio di Al Walaja ha perso il 70% delle proprie terre nel 1948, secondo l'Unrwa. Poi, dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967, Israele ha annesso metà di Al Walaja, includendolo nella municipalità di Gerusalemme. Allora, poiché quasi nessuno degli abitanti possiede un permesso di residenza per Gerusalemme, è accaduto che molti siano stati arrestati perchè vivevano «illegalmente» in casa propria o coltivavano le proprie terre. Israele inoltre non permette agli abitanti di costruire. Dal 1985 al 2005, 45 case sono state demolite e sono stati emessi altri 45 ordini di demolizione. Due fratelli, Ala Eddin e Mohammed Abdel Ghani, tassisti, hanno ricevuto a marzo due avvisi di demolizione. Con la costruzione del Muro, spiega Benatti, Al Walaja diventerà ancora più piccolo. Omar Hajajna, ad esempio, non potrà più accedere ai 18mila metri quadrati di terra della sua famiglia. Il suo vicino di casa, il 63enne Ahmed Bargouth, nato nel vecchio villaggio di Al Walaja e giunto qui all’età di un anno, prima della Seconda Intifada lavorava in Israele. Ora che non gli è più permesso, coltiva la terra. Un mese fa gli operai israeliani hanno scritto con un pennarello rosso numeri da 1 a 88 su altrettanti ulivi di Bargouth. Il giorno dopo li hanno sradicati. Per la costruzione della Barriera gli sono stati confiscati 15mila metri quadrati di terra, che sono stati spianati. Altri 20mila diventeranno inaccessibili, spiega Benatti. Le tombe dei suoi genitori e della nonna rischiano anch’esse di restare dall’altra parte. «Significa che avrò bisogno di un visto per vedere mio padre?», chiede Bargouth. Mostra i tronchi dei suoi 88 ulivi recisi. Gli operai li hanno ripiantati altrove, infilando tre tronchi dentro uno stesso buco oppure collocandoli troppo vicini l’uno all’altro. Per lui è un insulto. «E’ chiaro che così non possono sopravvivere».